Erano trascorsi sei mesi,
quattordici giorni, tredici ore e una manciata di minuti dalla notte in cui suo
fratello era morto. La notte in cui Dean era morto. Da allora non aveva fatto
altro che cercare un modo per riportarlo indietro. Aveva provato qualsiasi
cosa, dai rituali più antichi ai patti coi demoni. Non aveva aperto
nuovamente le porte dell’Inferno solo perché l’unica cosa
che sembrava potesse riuscirci, la colt, era
irrimediabilmente perduta. Neppure tentare di evocare Ruby era servito a molto.
Che dipendesse da quello che le aveva fatto Lilith o meno, la sgualdrina non
aveva avuto alcuna intenzione di mostrarsi. Perché Ruby, lei, era ancora
viva. Poteva percepirla. Li sentiva tutti, i demoni. Anche se non aveva alcun potere su di
loro, almeno non ancora. Sapeva di essere venuto meno alla promessa che gli
aveva fatto, ma chi poteva biasimarlo? Di certo non lui. Era stato Dean a
metterlo in una situazione simile. Pensava di essere l’unico a non poter
andare avanti da solo, l’unico a non poter affrontare un dolore tanto
grande? Beh si sbagliava, di grosso. Quel giorno non era morto soltanto
Dean… Non si vergognava di nessuna delle azioni commesse da allora.
Sapeva che Dean non l’avrebbe mai fatto, neppure per lui: quel coglione
credeva di essere il solo sacrificabile. Ovviamente anche in questo si
sbagliava. Il rito -una vecchia cerimonia negromantica
da officiare rigorosamente in greco- avrebbe funzionato se l’anima della
vittima avesse voluto compiere quel gesto in totale libertà. A lui era
sfuggito questo piccolo dettaglio, ma alle divinità cui aveva offerto
quella donna urlante e completamente immobilizzata evidentemente no. Inutile
piangere sul latte versato comunque, in quegli ultimi mesi aveva ucciso per
molto meno… Ed era proprio a questo che pensava mentre guardava la forma
raggomitolata fra le coperte nel letto accanto a suo. Dean.
Suo fratello era ritornato,
resuscitato da un angelo per l’esattezza. Un tempo una simile notizia
l’avrebbe rallegrato; si sarebbe trattato della conferma che qualcosa
vegliava su di loro, su di lui. Senza tralasciare l’ovvia soddisfazione
che avrebbe provato nello sbattere in faccia a Dean il fatto che aveva ragione
lui, come sempre. Ora invece la cosa lo riempiva di sgomento e… paura.
L’idea che creature simili ti osservino, che scrutino dentro di te,
quando la tua coscienza è tutt’altro che limpida, più che
rassicurante, diventa spaventosa. Ma non era questo a terrorizzarlo,
c’era qualcosa di ben peggiore in tutta la faccenda. Non temeva che i
nuovi amici di suo fratello gli facessero del male, potevano pure sbatterlo
all’Inferno per quello che lo riguardava: niente poteva esser peggio di
quei mesi di assoluta solitudine, vissuti nella consapevolezza che suo fratello
marciva all’Inferno per aver salvato lui.
No, la minaccia dell’Inferno era ben poca cosa. Quello che davvero gli
gelava il cuore e gli stringeva lo stomaco in una morsa quasi dolorosa era che
Castiel, il salvatore di Dean, si era anche eletto suo angelo custode. Fin qui
tutto bene, a quello sconsiderato di suo fratello non poteva che far bene un
po’ di assistenza dall’alto. Ma se l’angelo avesse deciso che
Dean aveva bisogno di protezione anche da lui? Cosa sarebbe accaduto se Castiel
gli avesse raccontato tutta la verità? Sam non aveva dubbi al riguardo:
Dean se ne sarebbe andato. E non perché spaventato da lui, non
perché i cacciatori non familiarizzano con le proprie prede. No, suo
fratello sarebbe rimasto disgustato nel vedere quello in cui si era trasformato
il suo Sammy. La cosa che era adesso non andava bene per Dean. Lui voleva il
suo college boy; il secchione; il
ragazzo che fino alla fine non poteva accettare di dover uccidere qualcuno, e
poco importava che il qualcuno in questione fosse un adolescente psicopatico
che aveva appena eliminato il suo stesso padre utilizzando poteri psichici. Il
fratellino di Dean non avrebbe mai fatto certe cose… Ma lui non era
più quella persona. L’unica cosa che quel ragazzino piagnucoloso e
quello che era adesso avevano ancora in comune era la paura di perdere Dean,
lui era l’unica cosa a cui nessuno dei due avrebbe mai rinunciato.
Così quella sera quando suo fratello, completamente ubriaco,
l’aveva guardato negli occhi e gli aveva detto con uno sguardo ed una
voce che non cercavano di nascondere quanto si sentisse tradito: “Mi hai
abbandonato lì, Sammy.”, lui non aveva ribattuto nulla. Nonostante
ogni cellula del suo corpo gli urlasse di afferrare Dean e di fargli finalmente
capire che lui era la persona più importante di tutte, che lo era prima
e che lo sarebbe sempre stata, era rimasto zitto. Aveva sorretto suo fratello
mentre vomitava l’anima e quando finalmente aveva perso conoscenza
l’aveva messo a letto. Non poteva dirgli la verità, non poteva
dirgli cos’era diventato perché Dean non aveva potuto accettare la
sua morte. La cosa avrebbe distrutto suo fratello e li avrebbe separati per
sempre. Quindi fece l’unica da fare: lasciò che il suo silenzio e
l’odio che Dean
provava per se stesso facessero tutto il lavoro. Dean non poteva
credere che qualcuno lo amasse nel modo in cui lui amava Sam, non poteva
credere di meritarselo, e lui avrebbe assecondato questo pensiero. Lo nauseava
utilizzare le debolezze di suo fratello per tenerlo al suo fianco, ma non
poteva fare altro. Non poteva perdere Dean. Non di nuovo.