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Autore: momoko89    27/10/2008    3 recensioni
OS BebexWendy. Bebe si perde tra i suoi ricordi e i pensieri, riflettendo sull'amicizia che ha con la sua migliore amica.
Dal testo:
'“Perché piangi?”
Lacrime che sgorgavano, scendevano lentamente sulle guance rosse e affannate di una bambina dai capelli dorati, appoggiata al tronco di un albero. Era lì da chissà quanto tempo, fissando in continuazione un punto del cielo, come se fosse in attesa di qualcosa. Prima o poi sarebbe comparso di nuovo, lo sapeva. Sarebbe tornato indietro da lei, dalla sua dolce mano, piccola e delicata. Bastava soltanto aspettare.
E lei aspettò, ma quel palloncino non tornò mai.'
Genere: Angst, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Bebe Stevens, Wendy Testaburger
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Beyond the skyline


 

“Mamma mamma!!!”

“Dimmi tesoro.”

“Me lo compri un palloncino?”

“Mh, non so. Potrebbe volare via da un momento all’altro, lo sai.’”

“Dai mamma!Voglio il palloncino!”

“Ok tesoro, ma ci devi stare attenta. Io ti ho avvisato!”

“Grazie mamy.”

***

 

L’amicizia

è come un palloncino.

Ti sfugge dalle mani,

senza che tu te ne accorga.

 

Non avevo voglia di uscire quella mattina. Ero stanca, spossata per il sonno che non avevo preso, provata dai pensieri che correvano nella mia mente, uno dopo l’altro senza interruzione dandosi il cambio ripetutamente come in una staffetta, un pensiero che conduceva inevitabilmente ad altri mille e così via. La mia mente sembrava un ciclo di anime tormentate senza fine.

Capelli arruffati, occhiaie che pesavano sul mio viso delicato, occhi spenti che dicevano ‘connessione in corso’ come un computer che sai non si riavvierà mai dal momento in cui appare l’avviso.

Non avevo proprio voglia di uscire quella mattina. Eppure, alla fine di tutto mi ero alzata dal letto, avevo spento la sveglia, fatto una magra colazione e nascosto me stessa dietro ad una maschera apparentemente leggera di trucco, per poi uscire e incontrare quella che era la mia migliore amica da praticamente una vita intera, e il mio incubo mortale solo di recente.

Non mi diede mai fastidio la sua relazione con Stan, mai. A Wendy era sempre piaciuto, sin da quando erano semplici bambini delle elementari che ancora avevano solo una vaga idea di cosa significasse davvero amare qualcuno. Si piacevano, lui le piaceva, lei gli piaceva, punto. Non erano mai andati oltre, sentimentalmente parlando, sebbene Stan avesse sempre avuto la fastidiosa abitudine di esagerare e gonfiare le emozioni che provava. Personalmente, non gli avevo mai creduto. La loro era una semplice e anche normale infatuazione, tipica dell’ingenuità di un bambino. E forse era anche per questo motivo che il loro legame non era mai costante. Si lasciavano spesso senza un motivo apparente e facevano pace secondo lo stesso principio. Erano un po’ come le giornate primaverili, passavano momenti solari e uggiosi così, in un attimo, senza alcun preavviso. La loro era una relazione lunatica insomma, niente di che.

O perlomeno, così era come la vivevo io.

Come migliore amica di Wendy, non potevo non starle accanto nei momenti di pioggia né privarla di un sorriso gioioso quando i raggi del sole illuminavano i suoi occhi scuri. Era un continuo ciclo, che col tempo si trasformò in abitudine, un po’ come assistere ad una rappresentazione teatrale di cui sai la storia, i passi e le battute a memoria. La conoscevo così bene che alla fine potevo recitarla pure io alla perfezione. E infatti, a volte, il suo atteggiamento mi dava noia. Quando le chiedevo il perché di questa soap opera senza fine lei mi rispondeva sempre “Non lo so, Bebe. Davvero.”, con un tono quasi stanco e tormentato mandava una ciocca dei suoi capelli corvini dietro la spalla e virava lo sguardo dall’altra parte, cercando un modo per glissare l’argomento. Ma tra tutti quei gesti, io la vedevo. Vedevo come cambiava la luce dei suoi occhi. A lei piaceva quel tira e molla, la divertiva come non mai. Non capii mai il perché, ma la vedevo felice, in fin dei conti, e non cercai mai un motivo che giustificasse il suo comportamento. Lei stava bene, io stavo bene. Bastava solo questo, niente di più, niente di meno.

E’ così che l’ho sempre pensata.

E’ così che l’ho sempre presa.

E’ così che l’ho sempre vissuta.

…fino alla settimana scorsa.

Una foto. Ecco cosa mi aprì gli occhi. Un fottuto pezzo di carta in cui vi era stampato “uno dei momenti più belli della mia vita”, come mi disse lei, una volta. E si vedeva: un sorriso dolce e innocente sul suo viso in primo piano, un Stan diciottenne accanto che gli bacia teneramente la guancia tenendola tra le sue braccia. Un fottuto pezzo di carta che poteva significare tutto e niente. E che ha fatto crollare il mio mondo.

La verità? Non l’avevo mai vista così felice. Tra le mille foto che aveva fatto con lui, non avevo mai visto un simile sorriso, così sincero, sereno, con l’indistruttibile convinzione che niente e nessuno sarebbe stato in grado di annientare un tale momento, né il loro mondo. Suppongo che Joyce lo avrebbe chiamato epifania, il preciso momento in cui presi coscienza di ciò che provavo davvero per lei. Era come se il mio cuore si trovasse in un luogo soffocante, come se fosse stato rinchiuso in una scatola, disorientato, perso, immerso in un lago d’inchiostro nero indelebile. Fu in quel preciso momento che mi accorsi che lei era qualcosa di più per me. La mia vita cambiò in un istante. Avevo finalmente capito ciò che tenni nascosto dentro un cassetto della mia mente per tutto quel tempo. Per me non era più Wendy, non era più la mia migliore amica, non era più una delle tante che mi capiva veramente. No, lei era diventata la mia Wendy, l’unica persona di cui m’importasse al mondo e l’unica che fosse in grado di capirmi veramente.

Un istante. Un solo istante per sentirmi spaesata.

Una sola immagine.

Un solo sorriso.

 

Certe volte

Viene trasportato via dalla corrente

E tu non puoi fare altro

Che vederlo sparire

Oltre i confini del cielo

 

“Bebe? Bebe?”

“Eh? Sì, dimmi.”

“Mi stai ascoltando?”

'No, non ti sto ascoltando. Non mi interessa ciò che dici né ciò che pensi. Soprattutto se i tuoi unici pensieri in questo momento sono per quell'essere inutile di Stan.'

“Sì, certo.”

“Davvero? Cosa stavo dicendo allora?”

Il sole del mattino si rifletteva sulle acque limpide del lago, sciogliendo quella poca neve che ancora poggiava sui rami degli alberi. Seduta su una panchina, una Wendy infastidita mi fissava con lo sguardo pretenzioso mentre venivamo investite dalla gelida brezza mattutina. I brividi mi assalirono improvvisamente.

...e non per il freddo.

“Ehm…”

“Ecco, appunto! Non sai quanto ti odio quando non mi ascolti.”

'Scusa se per una volta mi permetto di non sentire le ultime cazzate sul tuo ragazzo!'

“Non mi sento bene.” le dico, invece, portandomi una mano sulla guancia accaldata.

Gli occhi di Wendy diventarono apprensivi, “Cos’hai?”

Tirai un grosso respiro, prendendo tempo per ragionare, “Niente. Mi stavi dicendo?”

“Bebe, cos’hai?”

“E’ di nuovo successo qualcosa con Stan?”

“Cosa c’è che non va?”

“Scommetto che ha parlato di nuovo a sproposito, come al solito…”

Il suo sguardo non mi molla, “Sai che non risolvi niente ignorandomi.”

“…oppure si è dimenticato di chiamarti. Ma è comprensibile, Wen. E’ in tour con la band, sarà preso da mille impegni, stanco…e anche fatto. Ma questo non significa che non ti pensi. Stai tranquilla.”

I Moop+1 erano partiti in tour per un periodo tale che comprendeva tutti i tre mesi estivi. Ormai non vedeva Stan da una settimana circa, ma il poco tempo passato non ha fermato di certo la sua lingua e le sue ansie, cominciando a lamentarsi già dal terzo giorno. Era sempre una delizia sentirla.

Wendy mi fissò con un’espressione in piena contemplazione. Quando si comportava così mi faceva sentire a disagio. Avrei voluto distogliere lo sguardo, ma ormai era incollato irrimediabilmente al suo. Riuscivo a leggere i suoi pensieri ammirando soltanto il colore dei suoi occhi.

“Ti manca Kyle?”

“Cosa?”

“Ti manca Kyle? Bebe, puoi dirmelo, non c’è nessun problema.”

“Ma..no!”esclamo esterrefatta, “Certo che no, che dici?” mi rivolge uno sguardo rimproverante, “Cioè…forse, un pochino sì, ma è normale che mi manchi un amico.”

Le sue labbra si allungano in un sorriso, “Secondo me tu gli piaci…”

Alzo le sopracciglia incredula, “Wendy…è gay.”

“…state sempre assieme…”

“Ma…è gay.”

“…ti cerca spesso…”

“E sta con Kenny.”

“Per ora.”

“Wendy, smettila! Siamo solo amici.”

“Che c’è di male ad essere qualcosa di più?”

'No, questa ragazza non mi ascolta.'

“Tutto. Ti ho detto che è gay e che sta con Kenny, hai preso un abbaglio. E poi…non mi piacerebbe in quel senso.”

“Perché?”

'Perché non è te'

“Non so..in certi momenti è troppo irascibile. E poi a volte ha la fastidiosa mania di discutere per cazzate, e vuole sempre averla vinta lui. Non è certo una caratteristica che cerco in una…” mi blocco improvvisamente.

“…persona?”

'No, volevo dire ragazza.'

“Sì, persona.”

Fa un’espressione delusa, “Oh beh, peccato. Sareste stati carini assieme.”

“Ma anche no.”

Inoltre bisogna aggiungere il fatto che è anche colpa sua se ora sto così. E’ tutta la settimana che sono pensierosa. Da quando ho visto quella stramaledetta foto, e da quando ho avuto l’idea geniale di parlargli della mia ‘rivelazione’. Sì, davvero geniale, dato che ora non fa altro che dispensarmi consigli e obbligarmi a riflettere più di quanto non stia già facendo.

 

Bebe, dovresti dirglielo. So che ti sembra strano, ma non puoi continuare a soffrire in questo modo… se stai così male devi parlarle. E poi, se vuoi che la vostra amicizia non incontri ostacoli, devi essere sincera con lei, come sei sempre stata”

E’ vero, sto male. Ma che ci posso fare se la persona che amo non è interessata a me? Non nel senso in cui lo intendo io perlomeno.”

Parlarle, ecco cosa puoi fare! Bebe, non ignorare ciò che provi come tuo solito!”

 

La nostra discussione si intrecciava nei miei pensieri come serpenti nei rami di un albero. I raggi del sole mi riscaldavano lievemente le guance come le nuvole si diradavano piano piano. L’aria si riempì delle risate dei bambini che giocavano spensierati, intenti a rincorrersi l’un l’altro, con lo sguardo allarmato dei genitori che li tenevano perennemente d’occhio. Incrociai le gambe sulla panchina per stare più comoda e osservare meglio la scena. Due bambine in particolare, stavano sedute vicino alle acque calme del lago, dando vita alle loro bambole in una storia di cui solo loro sono a conoscenza.

 

***

 

“Perché piangi?”

Lacrime che sgorgavano, scendevano lentamente sulle guance rosse e affannate di una bambina dai capelli dorati, appoggiata al tronco di un albero. Era lì da chissà quanto tempo, fissando in continuazione un punto del cielo, come se fosse in attesa di qualcosa. Prima o poi sarebbe comparso di nuovo, lo sapeva. Sarebbe tornato indietro da lei, dalla sua dolce mano, piccola e delicata. Bastava soltanto aspettare.

E lei aspettò, ma quel palloncino non tornò mai.

“Perché piangi?” Bebe si voltò, staccò gli occhi dal cielo per capire chi le stesse rivolgendo la parola, ma attraverso il velo appannato riusciva solo a distinguere la forma circolare di qualcosa che levitava. Si portò le mani sul viso, asciugandosi le lacrime di troppo. Una bambina dagli occhi scuri e i capelli neri con due ferma ciuffi rosa la fissava pensierosa.

Tirò su col naso prima di rispondere, “I-il p-palloncino…è vo-volato v-via…”

Non riuscì a trattenere altre lacrime amare. Singhiozzi simili a mattoni incastrati nella gola la assalirono di nuovo. Sua madre l’aveva avvisata, gliel’aveva detto che sarebbe volato via, che le sarebbe sfuggito dalle mani in un attimo, senza che se ne potesse accorgere. Ma lei non le aveva dato retta. Voleva quel palloncino ad ogni costo. Era così bello vederlo muoversi per aria, agitarsi da una parte all’altra secondo il volere del vento, forse in cerca della libertà, o forse solo per il piacere di danzare.

'Tienilo tra le dita stretto stretto' le aveva detto, 'non perderlo di vista nemmeno un secondo' e così lei fece. Correva da una parte all’altra del parco felice, facendo volteggiare avanti e indietro quel palloncino colorato. Poi tutto a un tratto perse l’equilibrio, le sue gambe si piegarono, cadde sull’erba, ginocchia brucianti, dorsi delle mani infreddoliti. Si rialzò tranquilla, come se nulla fosse successo, si pulì i pantaloni e sistemò il golfino color biscotto. E in quel momento lo vide su nel cielo, il palloncino. Poi niente, solo lacrime.

Sentì una carezza sulla testa e alzò gli occhi.

“Non fa niente.” le disse la bambina con un sorriso, “Non essere triste. Tieni.” le prese la mano e intrecciò un filo intorno alle sue dita, “Puoi giocare col mio se vuoi.”

 

***

 

Altre volte invece

Ritorna

E ti trascina con lui

Ovunque

E in nessun luogo.

 

Le parole di Kyle non avevano senso. A cosa mi sarebbe servito parlarne con lei? Forse solo ad allontanarla e a farmi odiare. Avrei ottenuto esattamente l’effetto opposto, e io non me la sentivo di osare. Il rischio di perderla era troppo grande. Eppure…

Sincerità, Bebe. Sincerità!”

Lo devi fare per la vostra amicizia!”

Per un’amicizia che si scioglierà appena saprà la verità?”

No. Per un’amicizia talmente forte che è in grado di andare oltre queste cose”

 

La testa era in procinto di scoppiarmi.

“Bebe?”

“Hmm?” il profumo dolce dei sui capelli mi stese i nervi per un secondo. Mi sentii vuota al solo pensiero di non poterlo più sentire.

Wendy mi guardò con occhi tristi e vacui, in cerca di un appiglio. Due pozzi neri in cui avrei voluto affogare per l’eternità. Era sul punto di dire qualcosa, quando soffocò le parole in un sospiro abbattuto.

“Dimmi.” insisto io.

“Bebe, mi manca Stan.”

Una folata di vento gelido mi investì insieme alle sue parole, schegge di vetro da cui era impossibile scappare. Distolsi lo sguardo e tirai un respiro lento. Le bambine continuavano a giocare serene accanto alla riva. Le loro risate mi arrivavano sorde e incomprensibili, come una lingua che senti per la prima volta e di cui non conosci uno straccio di vocabolo.

“Stai tranquilla, Wen.” Pur odiandomi con tutta me stessa, con le dita le accarezzai la mano dolcemente. Perché, in fondo, era l’unico contatto che mi sarei mai potuta concedere con lei.

 

***

 

“Come ti chiami?”

“Bebe.”

“Io sono Wendy.”

“Co-come la fidanzata di Peter Pan?”

“Sì sì, proprio come lei!!”

“Mi piace Wendy. E’ un bel nome.”

“Gra-grazie! Senti…vuoi venire a giocare con me?”

“M-mi piacerebbe.”

“Bene!Vieni, tienimi la mano.”

“Ok.”

“E non lasciarla, ok?”

“Sì.”

 

Angolino mio <3

Ehm, che dire? Era un periodo no, anche questo xD Ma adoro scrivere femslash e spero che vi piaccia questa coppia, perché all'interno del fandom di SP è tra le mie preferite <3 Comunque, so che può risultare abbastanza intricata. Rileggendola, mi sono resa conto di aver inserito troppe cose (flashback, ricordi, poesia) perciò mi scuso con voi se non sono riuscita a renderla chiara al 100%. Ammetto di aver sempre amato scrivere di diversi momenti intrecciati tra di loro e giocare con la narrazione, quindi questa fic era un po' un esperimento. Spero abbiate apprezzato, comunque :)
Ah, la poesia l'ho scritta io in un pomeriggio in cui mi sentivo particolarmente ispirata. Se vi fa schifo, date la colpa a me >.<
Also, ringrazio Stsuka, c17chan e Windgoddess per aver commentato la mia precedente fic, All I need. Thanks girls, luv u <3

Momoko

 

  
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