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Autore: Lokisbrokensoul    17/11/2014    1 recensioni
Confusione, paura, dubbio, incertezza, amore. Sono queste le parole che rimbombano ripetutamente nella mente di Stiles. Sa di dover esternare i propri sentimenti a colui che crede di amare, ma non sa come farlo; ha paura di come potrebbero andare le cose. Ma deve dirglielo. Non ce la fa più ormai a tenersi tutto dentro, il timido Stiles, tormentato da quei pensieri così contrastanti e timorosi nella sua testa. Ma ce la farà, nonostante tutto. Stiles non ha la minima idea di quello che Derek pensa di lui.
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
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<< Stilinski! Ti ho fatto una domanda! Stilinski? A cosa diavolo stai pensando? >> la voce del professor Harris risuonò per tutta la classe. Alzai lo sguardo, distratto, e mi maledissi sottovoce. Dannazione, Stiles! Non è il momento di pensare a… No. Non è davvero il momento adatto. << Allora non sei sordo, Stilinski. Rispondi subito alla mia domanda, se non vuoi passare il pomeriggio qui a scuola in punizione. >>
Roteai gli occhi, preoccupandomi leggermente; era l’unico pomeriggio della mia vita in cui avessi progettato qualcosa da fare, e non potevo assolutamente passarlo in punizione. Con mio grande sollievo, vidi Scott girarsi verso di me e ripetermi velocemente la domanda che mi era stata appena posta, che ovviamente non avevo ascoltato. Per mia fortuna, riguardava l’unico argomento che il giorno prima avevo tentato di ripassare, con quel pensiero martellante che mi rimbombava nella testa. Concentrati. Risposi tutto d’un fiato, sperando che ciò che avevo appena detto avesse avuto un senso, e sospirai con il timore che mi sarei davvero potuto giocare quella giornata.

<< Mh. Corretto, Stilinski. Questa volta te la faccio passare. Ma guai a te se smetti di prestare attenzione. E questo vale anche per te, McCall! >> enunciò a voce alta, fissandoci con uno sguardo truce, per poi tornare di fronte alla lavagna e continuare la sua noiosa lezione, mentre io e Scott ci scambiavamo un’occhiata complice. Sorrisi, ringraziandolo con un movimento della testa, ed abbassai gli occhi sul foglio che si trovava sul banco, dove giusto qualche secondo prima avevo scarabocchiato un nome. E cancellato. Riscritto più volte e poi oscurato di nuovo con la penna nera.

Scott non sapeva. Nessuno sapeva. A pensarci bene, neanche io sapevo precisamente cosa mi stesse succedendo, non capivo cosa il mio cuore o la mia mente stessero tentando di dirmi. Sbuffai, di nuovo immerso in quelle riflessioni sentimentali che non erano proprio da me. Non ero abituato ad avere questo tipo di pensieri, nonostante avessi avuto una cotta stratosferica per Lydia Martin dalla terza elementare; ma questo era diverso. Completamente diverso, in tutti i sensi possibili. A voce bassa, Scott mi chiese quale fosse il problema, lanciando un’occhiata al foglio scarabocchiato. Aveva notato che qualcosa non andava, e aveva ragione, come sempre d’altronde, ma non potevo assolutamente riferirglielo. Per quanto mi sembrasse strano nascondergli dei segreti - ci raccontavamo, davvero, qualsiasi cosa -, non potevo dirgli la verità. Era fin troppo assurda da accettare persino per me, figuriamoci cosa avrebbe potuto dire lui. No. Non era ancora il momento. Gli sorrisi e lo rassicurai borbottando qualcosa su Lydia, nonostante non pensassi a lei ormai da diversi giorni; ma potevo comunque parlarne come scusa ogni qual volta mi venisse chiesto “cosa avessi”. Le ore passarono lentamente, i rintocchi dell’orologio sembravano macigni che mano a mano si facevano più pesanti dentro di me, schiacciandomi cuore e stomaco. No, non percepivo le farfalle come tutti dicono, ma mi sentivo oppresso da un peso invisibile sulle mie emozioni, a causa dei vari pensieri che avevo e del tempo che sembrava non voler passare mai. Ciò non era di grande aiuto, essendo io una persona già ansiosa di carattere.

Andiamo! Quanto manca ancora? La frase che ricorreva nella mia testa ogni circa 5 minuti. I miei occhi fissavano intensamente le lancette, quasi a voler perforare l’orologio, fino a quando dopo un lasso di tempo che mi sembrò interminabile, il dolce suono della campanella si fece sentire. Scattai in piedi e corsi fuori dalla classe, sotto le grida di Harris che “non aveva terminato di spiegare” e di Scott che mi chiamava, probabilmente molto confuso dalla mia reazione. Mi dispiaceva davvero per lui, non meritava di vedermi in quel modo senza ricevere alcuna spiegazione, ma non potevo fargli sapere. Non ancora. E di certo non sarei potuto restare un minuto di più in quella classe, l’agitazione era troppo alta e le mie gambe agivano ormai per conto loro.

Mi sbrigai a tornare a casa, cercando di non perdere neanche il minimo secondo di tempo. Preparai velocemente il pranzo a mio padre, lasciandogli un bigliettino per avvisarlo che non sarei stato presente quel pomeriggio ed afferrai qualcosa al volo per placare il mio stomaco brontolante; a scuola non avevo toccato cibo, preso dalla trepidazione. In realtà non avevo molta fame, e immettere tanti “agenti estranei” nel mio corpo così scosso non avrebbe sicuramente prodotto buoni risultati. Dopo poco tempo uscii di casa, presi la mia Jeep e mi diressi verso i boschi, impaziente per ciò che sarebbe successo a breve. Non sapevo neanche perché avessi avuto quell’assurda idea, creare questo incontro che ai suoi occhi sarà sicuramente sembrato strano e insensato. Già, i suoi occhi. Due smeraldi pungenti che mi trafiggevano da capo a piedi, quello sguardo penetrante che solo… Ah, ma chi volevo prendere in giro.

Nonostante avesse accettato di incontrarmi - cosa in sé molto strana, mi ero aspettato una diversa reazione da parte sua nel momento della richiesta; effettuata tra l’altro con un coraggio che di sicuro non mi apparteneva - , non significava che sarebbe andato tutto bene. Ma avevo visto qualcosa, nel modo in cui mi aveva risposto, che mi aveva fatto pensare che forse.. Forse qualcosa succedeva anche dentro di lui. Qualche dubbio, qualche incertezza. Magari… Mio Dio, Stiles, ti rendi conto delle ipotesi che fai?! sospirai. Magari aveva intuito di cosa avrei parlato, per qualche assurdo motivo. Non sapevo perché avessi quelle idee strane in mente, ma non stavo escludendo la possibilità che forse avrebbe capito. A dir la verità, era probabilmente l’unica persona che avrebbe potuto comprendere; ironia della sorte.

Lanciai uno sguardo al mio orologio da polso, prendendo un respiro profondo; era il momento. Scesi dalla Jeep, inciampando sui miei stessi passi - sperai di non fare figuracce in sua presenza - e mi incamminai fra gli alberi e i cespugli, dirigendomi verso il luogo dell’incontro: quella casa diroccata che ormai avevo identificato come sua abitazione temporanea. Fu una camminata lenta e riflessiva, che terminò quando i miei occhi cominciarono a vedere in lontananza i profili della costruzione. Mi feci ancora avanti, rallentando sempre più la mia andatura, e il mio cuore perse improvvisamente un battito. Lui era lì, seduto sul portico, con le braccia appoggiate sulle ginocchia e lo sguardo perso nel vuoto.

Guardarlo fu sufficiente per farmi capire tutto. Ero stato così stupido a negarmi questo sentimento, così stupido a fingere di non comprendere, perché la realtà era così dannatamente chiara, così semplice, e in fondo lo avevo sempre saputo. Sicuramente questo cambiamento così radicale fu una sorpresa per me, provare questo tipo di sensazione nei confronti di un ragazzo, un uomo, contrariamente a come avevo vissuto fino al momento del nostro primo incontro. Non c’era mai stato nessun altro oltre a Lydia. Eppure tutto quel tempo passato a tentare di conquistarla sembrò svanire così, in un battito di ciglia. Così era, e avrei dovuto accettarlo, per quanto difficile si sarebbe potuto rivelare.

Feci un altro passo, calpestando le foglie secche che risuonarono per la radura, e lui alzò lo sguardo verso di me. Sicuramente si era già precedentemente accorto della mia presenza, con i suoi sensi così sviluppati, ma non lo diede a vedere. Ci fissammo per alcuni secondi, mentre una scarica elettrica mi percorreva il corpo e la mente. Scossi la testa dopo qualche attimo, come per tentare di allontanare il nervosismo che cresceva sempre di più, e assunsi la mia solita espressione allegra e sorridente, sicuro al cento per cento di star tradendo in modo evidente il mio imbarazzo.

<< Ehi, Derek! >> lo salutai con la mano, andandogli incontro. << Ciao, Stiles. >> disse lui di rimando, impassibile. Le sue labbra accennarono ad un sorriso, ma la sua espressione non mostrava alcuna emozione, al contrario della mia. Questa sua reazione non mi rassicurò affatto. Si alzò in piedi, avvicinandosi a me con il suo corpo così imponente, altra causa fondamentale della mia insicurezza. Era possente e forte, ed io cos’ero, in confronto? Uno stuzzicadenti, a dir poco. Avevo così poca fiducia in me stesso, per quanto il mio carattere estroverso riuscisse a nasconderlo, e non sapevo da dove cominciare; lui era troppo perfetto ai miei occhi, ormai ne ero consapevole, e non potevo rischiare di fare brutta figura, di farlo arrabbiare, o peggio, di farlo allontanare. Sembrava già abbastanza lontano da me, non c’era bisogno di peggiorare ancor di più la situazione. Non lo avrei sopportato. Improvvisamente, la voglia di scappare via mi sembrò l’opzione più giusta da prendere, tra le poche che mi si presentavano. Derek presumibilmente se ne accorse, poiché si avvicinò ulteriormente e, con un tono di voce più rassicurante, cominciò a parlare.

<< Non hai motivo di temermi, >> disse, ridacchiando un poco. Credeva fosse una situazione divertente? Perché non lo era affatto. Per niente. E non poteva sorridere in quel modo, poi. Non farlo, non ci provare neanche, o rischi di mandarmi fuori di testa. << Non ti mangio mica. >> riprese, con fare superiore, i suoi occhi da lupo che si illuminarono brevemente. Un chiaro tentativo di provocazione. Dio, quanto lo odiavo quando faceva così. E quanto mi piacevano, allo stesso tempo, i momenti in cui ci scambiavamo due parole con un’evidente voglia di provocarci a vicenda, scherzando innocentemente. Lui aveva sempre la meglio, naturalmente. Ma questo non era il  momento. Si trattava di una faccenda seria.

<< Sì, come no. Saresti capace di farlo. >> borbottai. Un sorrisetto malizioso e divertito comparve sul suo volto. << Ammetto che potrei, effettivamente. Ma, nonostante la tua richiesta di incontrarci qui, da soli, mi sia sembrata un po’ strana, non nego di essere curioso di sentire cosa tu abbia da dirmi. >> La sua espressione tornò gradualmente seria, ogni traccia di scherzo era sparita, lasciando invece un alone di curiosità e interesse. Cominciai a pensare che forse lo preferivo quando era ironico, il suo modo di guardarmi così indagatore stava iniziando a farmi innervosire. E già lo ero abbastanza di mio. Avanti Stiles, fatti coraggio. Ce la puoi fare. Lo fissai dritto negli occhi, insicuro su cosa dire.

<< Allora… C’è questa cosa di cui ti dovrei parlare, e per quanto possa essere assurdo, sei l’unica persona a cui mi sento di dirlo. >> Idiota. Ovvio che vuoi dirglielo, è lui il diretto interessato, che discorsi fai! Con mia sorpresa, successivamente a quella premessa un po’ bizzarra e sospettosa, non si scompose. Non assunse espressioni strane o confuse; si limitò ad annuire, incitandomi ad andare avanti. Prima che io potessi continuare a parlare però, mi afferrò il polso, senza esercitare troppa pressione, e mi condusse al portico dove si trovava al momento del mio arrivo. Non badando al fatto che il mio braccio era andato completamente in tilt dopo il suo tocco, mi sedetti nel punto dove lui con la mano mi aveva fatto cenno di posizionarmi, e ci ritrovammo l’uno di fianco all’altro, fin troppo vicini. Respira. Mi sentivo come un bambino dell’asilo che doveva confessare la propria cotta alla vicina di banco, troppo timido per parlare ma con tanta voglia e necessità di farglielo sapere. Lui mi guardava con intensità, i suoi occhi non si muovevano un istante dai miei, ed io cercai in tutti i modi di sostenere il suo sguardo. Nella mia situazione, era difficile non evitare di guardarlo.

<< E… Ecco, vedi, mi succede qualcosa di molto strano, e credo che in parte possa succedere anche a te. E’ solo una mia supposizione, magari mi prenderai per pazzo, e non ti darei tutti i toti, sicuramente avresti ragione, ma… >> Mi resi conto di non aver ripreso ancora fiato. L’imbarazzo stava avendo la meglio su di me, e non potevo permetterlo.
<< Stiles. Calmati. Ho tutte le intenzioni di ascoltare ciò che hai da dirmi, e non passerò a conclusioni affrettate, se è questo che ti preoccupa. Come puoi vedere, ho tutto il tempo del mondo a disposizione, quindi vai tranquillo. >> mi rassicurò. Incredibile come solo lui riuscisse a farmi uscire di testa e allo stesso tempo a calmarmi in modo molto più efficace di un tranquillante. Emisi un sospiro di sollievo, chiudendo per un momento gli occhi. Non sarei riuscito a guardarlo, non durante quel discorso che stava per essere formulato dalle mie labbra.

<< Non so come sia successo, né perché, ma da qualche tempo per Lydia non provo più nulla, tutto ciò che ho accumulato in questi anni verso di lei è svanito… Ed è stato rimpiazzato da qualcosa di più grande, più vero, più… Più devastante. Penso a questa persona costantemente durante la giornata, e se poco tempo fa non avrei saputo dire perché, adesso credo di esserne consapevole. E non so perché te lo sto raccontando in questo modo diretto, dato che rischierebbe di farmi allontanare ancora di più da te, perché per quanto io possa sperarci, tu non proverai mai le stesse cose. Tu sei così… Così bello, forte, carismatico, non posso certo pretendere che il tuo interesse si sposti su di me, che non sono niente, non sono carismatico, né particolarmente attraente, sono magrolino e così comune… >> mi fermai, del tutto distratto dalle mie stesse parole, e il mio sguardo tornò a posarsi su di lui. La sua espressione era cambiata, non era più così seria come prima, i suoi occhi si erano allargati, le labbra socchiuse, le sopracciglia e la fronte corrugate. Rappresentava un miscuglio di varie emozioni diverse, tra sorpresa, sbigottimento, ma anche sollievo, sotto un certo punto di vista? Così sembrava. Oddio, ma che avevo detto? Non ricordavo neanche un accenno delle parole che avevo pronunciato giusto un secondo prima, probabilmente troppo di ciò che avrei dovuto dire era fuoriuscito dalle mie labbra. Complimenti, Stiles, avevi un’occasione e l’hai rovinata. Rimasi immobile, terrorizzato da come avrebbe potuto prenderla lui, e le mie guance presero fuoco dall’imbarazzo.

<< Non… Non fraintendere. Io… >> tentai di aggiungere, balbettando. Cosa c’era da fraintendere? Gli avevo semplicemente detto la verità. Tutta la verità. Forse anche troppa. Ed ero stato stupido, incosciente. Derek sbatté ripetutamente le palpebre, liberandosi da quello stato di trance in cui era caduto, ed abbassò lo sguardo, perdendosi nel vuoto. << Cosa c’è da fraintendere? >> Appunto. << Ciò che hai detto… E’ perfettamente chiaro. Io… >> si passò una mano fra i capelli, come se non sapesse come reagire, e vidi le sue guance tingersi di un rosa tenue, in contrasto con la sua espressione perplessa. Cominciai a pensare che mi avrebbe detto di non avvicinarmi più a lui, che ero un ragazzo strano e che ciò che avevo detto fosse insensato, mille reazioni possibili da parte sua mi balenarono nella mente. L’unica che non avevo assolutamente considerato, perché troppo incredibile e improbabile ai miei occhi, la vidi comparire nei suoi gesti e nelle sue seguenti parole. Seppure furono molto poche.

<< Io… >> ripeté, ancora incerto. << Oh, dannazione, Stiles. >> esclamò, con un tono mescolato fra irritazione, imbarazzo e… Cos’era, felicità? Non riuscii ad analizzarlo, né a replicare, poiché in un batter d’occhio mi ritrovai circondato dalle sue braccia, ancora confuso. Poi, accadde. Le sue labbra si avvinghiarono alle mie, con passione e desiderio, mozzandomi il respiro e sconvolgendomi del tutto. Cosa sta succedendo? Non riuscivo a credere che lo avesse fatto davvero, semplicemente non poteva essere reale. Mi lasciai trasportare in quel bacio inaspettato, voluto apparentemente da entrambi, uno scambio di lingue, di ardore, che risultò quasi violento. Poco dopo, con tutta la forza di volontà che riuscii a tirare fuori - non fu affatto facile - sciolsi quella sorta di involucro che si era creato fra di noi, riprendendo fiato. Volevo sapere cosa gli passasse per la testa, nonostante il mio corpo fosse fin troppo coinvolto nella situazione per poter  parlare in modo lucido e razionale. Mi vergognavo ad ammetterlo, ma ora che avevo provato questa nuova esperienza, nelle sue braccia, avevo capito che non ne avrei avuto abbastanza. Ma avevo bisogno di sentire i suoi pensieri.

<< Aspetta. >> mormorai. << Devo sapere… >> aggiunsi, guardando il suo petto muoversi in avanti e indietro, ansimante, ed il suo sguardo che fu più eloquente di mille parole. Leggevo nei suoi occhi che per lui era lo stesso, che lo aveva tenuto nascosto per tutto questo tempo, che i suoi commenti sarcastici e le provocazioni erano di fatto un espediente per dimostrare il suo affetto nei miei confronti. Ma perché proprio io? Era mai possibile che ricambiasse realmente? Non ebbi il tempo di rifletterci poiché le sue mani mi cinsero la vita, e mi sollevarono con poca fatica. In un attimo mi ritrovai seduto sulle sue gambe, le mie braccia gli circondavano il collo, appoggiate sulle sue spalle, e i nostri volti si sfioravano appena, ad un centimetro di distanza l’uno dall’altro. Fu parecchio strano trovarsi in quella posizione, decisamente insolita per me, ma mi sentivo completamente a mio agio nella sua stretta. Quel sorriso che tanto amavo comparve sul suo viso e i suoi occhi di smeraldo sembrarono illuminarsi. Le nostre labbra si unirono di nuovo, e le lingue cominciarono a rincorrersi con foga ed impazienza, il respiro si faceva ansimante e sonoro, mentre le mie mani passavano rapidamente fra i suoi capelli, e le sue esploravano attente e precise il mio corpo, causandomi brividi di piacere, che si facevano mano a mano più insistenti. Mi stavo abituando a questa sensazione così dannatamente piacevole ed elettrizzante, quando sentii il corpo di Derek contorcersi sotto di me. Il suo sguardo si era fatto più cupo, e i lineamenti canini cominciarono a mostrarsi, irrigidendogli l’espressione.

<< Derek…? >> chiesi, preoccupato che qualcosa fra noi non stesse andando come dovuto. Si posò un dito sul labbro e mi intimò di fare silenzio, mentre con le sue mani mi sollevava nuovamente, rimettendomi in piedi, e mi sussurrò di entrare in casa.  Protestai senza fare troppo rumore; avevo il diritto di sapere. Da parte sua, Derek mi lanciò un ringhio autoritario di risposta, il cui significato era ben chiaro. “Entra immediatamente e non fare domande.” Mi affrettai a risalire il portico ed andai dentro, chiudendomi la porta alle spalle. Mi nascosi sotto una finestra, in modo da poter eventualmente sbirciare la situazione esterna. Ero preoccupato e allo stesso tempo incuriosito dalla faccenda, ma l’ansia si fece sentire e il mio respiro affannato aumentò, insieme al battito del mio cuore.

Due uomini di grossa taglia si stavano avvicinando a Derek, che aveva sfoderato gli artigli appuntiti e i suoi occhi erano diventati rossi come il sangue. Erano due Alpha - riuscii a dirlo dalla stazza e dal colore dei loro occhi, così simile alla sfumatura di quelli di Derek - e non sembrava avessero buone intenzioni. Nonostante fossi a conoscenza dell’inconsueta forza di Derek, ero sicuro che quei due brutti ceffi sarebbero stati un osso duro per lui. Maledizione. Imprecai sottovoce: la lotta era iniziata. I due Alpha si erano lanciati su di lui, graffiandolo e ferendolo con le zanne. Sebbene in svantaggio, Derek si sapeva difendere benissimo; nessuno dei tre stava avendo la meglio in quel momento. Osservavo con inquietudine la successione delle varie mosse di combattimento, che sembravano formare una coreografia crudele e sanguinolenta. Non ce la facevo a restare lì, inerme e impotente; dovevo fare qualcosa per aiutarlo. Ma cosa?! Era in momenti come quello che rimpiangevo di non essere mai andato in palestra nonostante mio padre mi avesse ripetuto fino allo sfinimento che ne avrei potuto avere bisogno, un giorno. Ma io non avevo la corporatura adatta, che dovevo fare? Pensa, Stiles, pensa! Mi guardai intorno ed inaspettatamente un’idea mi attraversò la mente, come un fulmine a ciel sereno. Cominciai a frugare in tutti i posti possibili, cercando qualsiasi cosa potesse essermi utile anche soltanto quel minimo necessario per rallentare quegli scocciatori. Avevano rovinato il nostro momento e adesso stavano seriamente cominciando a farmi irritare, così aggressivi nei confronti di Derek. Il mio Derek. Da quando ero diventato così protettivo?

Perlustrai la casa da cima a fondo, sbuffando rassegnato, e cominciai a perdere le speranze, aprendo mille cassetti e armadi. Tutto ciò che vedevo era soltanto un mucchio di polvere e oggetti inutilizzati. Improvvisamente notai un bauletto nascosto in una rientranza vicino ad un armadio nel salone principale. Lo tirai fuori; era tutto rovinato, antico, e recitava la scritta “Altamente pericoloso, aprire solo in casi di emergenza.” Beh, quello era sicuramente un caso di emergenza, no? Feci per aprirlo, quando sentii il grido di Derek riecheggiare per tutta la radura. Sobbalzai spaventato, e svuotai la scatola del suo contenuto, senza neanche osservare cosa fosse; mi precipitai fuori correndo più veloce che potessi. La scena era raccapricciante: Derek si trovava bloccato tra i due, immobilizzato, con uno sguardo furioso negli occhi. Vedevo il suo corpo che tentava di liberarsi dalla loro presa, i muscoli contratti e la bocca digrignata. L’Alpha più grosso gli teneva le braccia unite dietro la schiena con una mano, e con l’altra gli aveva circondato il collo, minacciandolo di morte. L’altro gli teneva le gambe, puntandogli un coltello sul ventre. Non appena mi videro uscire, tutti e tre posarono lo sguardo su di me. I due  Alpha ridacchiarono, non sorpresi della mia comparsa: evidentemente si erano già accorti che qualcun altro era presente oltre a Derek, presumibilmente mentre cercavo di trovare qualcosa di utile per combatterli. E a tal proposito, guardai cosa avessi in mano, il contenuto di quel baule misterioso. Una pianta dai fiori azzurri si era leggermente stropicciata nel mio palmo, e l’urlo di Derek mi fece capire cosa dovessi fare. Corsi in direzione dell’Alpha che lo teneva per il collo, mentre con le dita sbriciolavo alcuni petali della pianta per creare una polverina. Lo raggiunsi e soffiai, attendo a non mandarla anche verso Derek; subito dopo vidi il viso di quel tipaccio riempirsi di un alone azzurro. La scena che ne seguì fu rapida e quasi impercettibile: l’Alpha cadde a terra, lasciando quindi Derek libero di agire. L’altro Alpha cominciò a combatterlo, ma senza successo: si ritrovò in breve tempo con il collo spezzato, e una volta accasciato a terra, tentò di muoversi e provare a rimarginarsi, quando mi avvicinai velocemente e lo stordii con lo strozzalupo. Era finita.

<< Stiles! Cosa diavolo credevi di fare?! >> si mosse verso di me con un’aria arrabbiata e in preda alla furia. << Non potevo restare a guardare, dovevo fare qualcosa. >> risposi, guardandolo dritto negli occhi. << E hai deciso di esporti così tanto al rischio? Saresti potuto morire! >> ringhiò. << Ma non è successo. E ti ho salvato il culo. Dovresti ringraziarmi. >> replicai, con l’atteggiamento più provocatorio che potessi assumere. In fondo sapevo che non era realmente arrabbiato, ma solo preoccupato. Sorrisi tra me e me, lasciando intravedere la mia soddisfazione. Lui se ne accorse e non poté fare a meno di ridacchiare. << Ti lascio vincere, per questa volta. Ma sappi che è la prima e l’ultima. >> sentenziò facendomi l’occhiolino, per poi attirarmi a sé e carezzarmi il viso. << E riguardo al discorso che stavamo facendo prima… Non devi assolutamente sottovalutarti. Tu sei molto di più di ciò che pensi di essere, e dovresti crederci. Hai appena dimostrato un grande coraggio, un vero valore, molto più importante della forza fisica. E in cuor tuo sai di essere una persona meravigliosa. Sei perfetto così come sei. >> fece una pausa, guardandomi con tenerezza. << Ma la prossima volta rimani in casa, mh?>> sorrise, appoggiando la sua fronte contro la mia. << Non ci contare >> replicai, arrossendo per le bellissime parole che mi aveva appena regalato. Forse avevo trovato ciò che stavo cercando da tanto tempo, qualcuno che mi sarebbe stato sempre vicino, che mi avrebbe amato per quello che ero. Derek si avvicinò ulteriormente. << Grazie, non solo di avermi aiutato. >> sussurrò, per poi premere le sue labbra contro le mie, abbracciandomi nel modo più rassicurante e dolce possibile. Sapevo di appartenere a quelle braccia, e ci sarei rimasto per tutta la vita.

 


Note dell'autrice:
Salve a tutti! Vi do il benvenuto nella mia prima creazione pubblicata su efp. Naturalmente ho preferito iniziare dando vita ad una storia dedicata completamente alla mia otp formata da Stiles più Derek (che sono la mia ossessione attuale. Andiamo. Come si fa a non amarli.) ed è nata in una mattina piovosa in classe (esattamente, l'ho cominciata a scrivere durante l'ora di matematica) dopo un'illuminazione, o pura ispirazione. Oltre a vederli come coppia, i personaggi di Stiles e Derek sono i miei preferiti in generale, e mi sarebbe piaciuto approfondire le loro personalità, o almeno come io interpreto i loro pensieri, caratteri e punti di vista. In questa fanfiction mi sono concentrata esclusivamente sui pensieri e dubbi di Stiles che vuole dichiararsi a Derek e non sa come fare. Ho voluto aggiungere la parte dei due Alpha per dargli un qualcosa di movimentato, ed è anche causa di questo ciò che Derek dirà a Stiles successivamente. E nulla, spero vivamente che vi sia piaciuta ma spero anche che a qualcuno di voi non sia piaciuta, di modo che possa criticarmi ed aiutarmi a correggere i miei errori (che sono tanti e me ne rendo conto!). Sono una scrittrice emergente e mi piacerebbe potermi migliorare come meglio posso.
Dopo questo immenso papiro di frasi sicuramente inutili, vi ringrazio per aver dedicato il vostro tempo a questa storia, un bacio :*
   
 
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