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Autore: Alechan Black Helsing    28/10/2008    3 recensioni
«Ci stavo pensando sai?»
«A cosa?»
« A noi»
«E cosa pensavi?»
«Che non mi sono mai sentivo vivo prima come da quando sto seduto qui.»
«Davvero?»
«Credi ti direi una bugia?»
«…No»

Due persone e due realtà diverse. Diverse specie
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Different Kind.
Capitolo unico

«Ci stavo pensando sai?»
«A cosa?»
« A noi»
«E cosa pensavi?»
«Che non mi sono mai sentivo vivo prima come da quando sto seduto qui.»
«Davvero?»
«Credi ti direi una bugia?»
«…No»

Le sorrise passandole una mano sui capelli corvini e spostandole la lunga frangia dietro l’orecchio.
Lavoravano entrambi, si erano conosciuti, o meglio scontrati ad un colloquio.
Liz aveva solo diciotto anni, era insicura, perché non aveva mai vissuto senza regole e senza niente da fare, perché, come si ripeteva sempre, la scuola le dava uno scopo, degli impegni, degli orari e delle regole, mentre, dopo il diploma non riusciva a sentirsi a posto.
Aveva smesso di frequentare i suoi compagni perché diceva che erano incompatibili, e lo erano davvero.
Lui invece, d’altro canto, aveva una vita importante, un lavoro remunerativo, una bella fidanzata, una bella macchina, tutto quello che un uomo può desiderare, eppure, continuava a dire di non riuscire a respirare.
Era gennaio quando si videro la prima volta, Liz, nascosta da un grosso cappello di lana gli si era avvicinata per domandare a chi dovesse rivolgersi per lasciare il curriculum, lui la squadrò un lungo istante e se lo fece consegnare per poi gettarlo su una scrivania in mezzo a tutti gli altri.
Si dimenticò di lei, fino a quando non riesaminò i curriculum.
La chiamarono e la misero in prova, e tutti, tutti, si stupirono di quanto quella ragazzina riuscisse a lavorare così precisamente non avendolo mai fatto prima.
Passarono i mesi, e lei venne promossa ad un ruolo meno burbero, ma lui non la considerava nemmeno, così, piccola ed ancora molto insicura.
Ma quella sera di maggio successe qualcosa.

«No tu devi lasciarmi in pace hai capito.»
«Non trattarmi come un tuo impiegato, io sono la tua fidanzata!»
«Non più»
«Mi stai lasciando?!»
«No. Ti ho già lasciata»
«Va all’inferno, avevi una relazione stupenda. Stai buttando la cosa migliore della tua vita.»
Risalì in macchina scrollando i lunghi capelli rossi e partì sgommando.
Liz rimase contro il muro incerta sul da farsi, non voleva dover ammettere di aver assistito alla lite, ma se si fosse mossa lui l’avrebbe certamente notata. Così attese che lui facesse qualcosa. E lo fece; s’accasciò in ginocchio con le mani sul retro del collo, poi abbasso anche quelle sull’asfalto umido, e la testa parve scomparire appoggiata al petto.
«So che sei li»
Liz fece un passo avanti sistemandosi lo zaino sulle spalle.
«…Non…Volevo sentire»
«Penso che l’abbiano sentita fino a New York. Ma sei stata gentile a tacere.»
S’abbassò accanto a lui lasciando che due trecce brune le scivolassero sulle spalle, portò le mani a cingere le ginocchia e spinse lo sguardo verso il suo viso, respirò piano per qualche istante.
«Sa, non sono sicura che lei le abbia detto la verità. Non stà buttando la cosa migliore della sua vita.»
Lui sollevò leggermente il capo senza guardarla portando anch’egli le braccia a cingere le ginocchia:
«E tu come lo sai?»
«Beh, perché non credo che accadrebbe se davvero fosse la cosa migliore. Però, potrei sbagliarmi.» Si sollevò in piedi in quella sua statura ne alta ne bassa, sistemandosi la salopette di jeans un po’ troppo vecchia, e porgendogli poi una mano
«Però so, che stare qui, in questo parcheggio a pensarci di certo non è la cosa migliore»
«Tu dici?»
«…Si»
Lui prese la sua mano, senza però farsi aiutare nel rimettersi in piedi, e, una volta fatto aggiustò gli occhiali sul naso e la squadrò un momento.
«E tu…Liz, cosa faresti ora?»
«Non credo vorrebbe saperlo davvero.»
«Vorrebbe chi? E invece si»
«Vorrebbe le… Davvero, io non credo t’interesserebbe»
«Se così non fosse, non te lo chiederei»
«Niente risate però. So già da me che è patetico, ma funziona allo scopo.»
«Non riderò, ma, cosa stai cercando?»
«La tessera… Del blockbuster.»
«Oh.»

«Non posso credere d’averlo fatto»
«Cosa?»
«Affittare dei film come “Bridget Jones, Daredevil, o 13 Going on 30”»
«Non è così grave.»
Scesero dalla macchina davanti ad una piccola villetta a schiera, il cancello era verde e pulitissimo, l’entrata in ciottolato era illuminata da alti luminari neri, di quelli che si vedono di solito nei parchi, sotto il portico c’erano tavolini, poltroncine e persino un dondolo. Lui tirò fuori le chiavi e le aprì la porta di casa, entrando subito dopo di lei ed accendendo la luce del salotto. L’arredamento era senza dubbio uno dei migliori che Liz avesse mai visto. Senza parlare del televisore che occupava tre quarti di parete. Rimase ferma sulla soglia della porta qualche secondo quando lui appoggiandole una mano sulla spalla la sospinse.
«Non c’è niente che morda in casa. Ma fuori, non potrei giurarci»
Sorrise, e lei lo vide sorridere per la prima volta. Non poteva dire di conoscerlo, ma da quel poco che aveva visto di lui, l’aveva catalogato come persona triste. Perché Liz, categorizzava le persone, e per ognuna aveva un modo di parlare ed esprimersi, ed indovinava sempre.
Avanzò di qualche passo lasciando cadere lo zaino su quella che doveva essere la poltrona più vecchia che la casa contenesse, sembrava quasi fuori posto in mezzo a tutto quello splendore. Sentì un cane abbaiare e s’avvicinò ad una delle ampie vetrate spingendo le mani fino a toccare il fondo delle tasche della salopette, e lo vide mentre riempiva una grossa ciotola di croccantini, un grosso pastore tedesco apparve fuori da una grossa cuccia scodinzolando allegramente al suo padrone, sulla cuccia riusciva ad intravedere il nome “Bambù”.
Rise fra se fino a quando l’altro non tornò in casa, reggeva fra le mani delle lattine di coca, e un paio di pizze, le appoggiò sul basso tavolino di mogano e la guardò:
«Da dove si comincia?»
«13 Going on 30»
Lui fece un cenno d’assenso ed inserì con maestria il dvd nel lettore, mentre lei s’accomodava sul tappeto, lui vedendola attraverso lo schermo piegò leggermente la testa.
«Con tutto il posto che c’è ti siedi a terra?»
«Sembra tutto diverso da qui»
«Questione di posizione?»
«Io la chiamerei prospettiva, funziona per tutte le cose. Ah, comincia»
S’avvicinò al divano e si sedette ai piedi d’esso, aprendo una lattina di coca-cola, bevendone qualche sorso per poi aprire la scatola della pizza.
Lei intanto, lo osservava con la coda dell’occhio memorizzando ogni particolare dei suoi movimenti.

«Mi fa piacere che tu ti senta meglio. Ora però io devo andare»
«Ti accompagno»
«Non serve, abito a 250metri, ma grazie.»
Quando la porta si chiuse alle sue spalle, vi s’appoggiò contro con la testa, premendo contro il legno anche i palmi delle mani, gli occhi chiusi ed il respiro lento, mentre i titoli di coda di Daredevil si susseguivano rumorosi. Gli aveva detto di tornare di la in tempo non appena la canzone finiva, voleva che ascoltasse quella successiva, così, non appena le ultime note scivolarono via, tornò al divano trascinando i piedi ormai scalzi sul parquet. Le note della canzone successiva non tardarono ad arrivare, ma erano le parole che non doveva perdere, e lei era stata così attenta da appuntargliele sul lato pulito della scatola della pizza.
Le seguì attentamente ripetendole un secondo dopo il cantante sottovoce, lasciandole comparire per un secondo sulle labbra per poi scioglierle via.
Rimase poi a fissare la grafia piccola ed ordinata anche dopo che la canzone si concluse riportando il disco al menù principale.
Rimase fermo qualche istante e poi infilandosi le scarpe tolse il dvd dal lettore, lo ripose nella custodia e si diresse al piano di sopra.
Quella notte, per la prima volta dopo tanto tempo prese sonno quasi subito. E sognò, non sapeva dire cosa, ma lo fece.

«La signorina McLain è desiderata in ufficio.»
Posò i cuscini che stava riponendo sullo scaffale e si diresse a passo rapido verso l’ufficio domandandosi frà se cosa mai volessero i capi, non appena arrivò davanti alla porta lo vide sulla soglia serio come sempre. Le fece cenno di entrare e la seguì chiudendo la porta.
«Si?»
«Mi sento un cretino»
«Oh.»
«…Ci sediamo?»
«Preferisco stare in piedi»
«Ok, perfetto. Allora. Io. – strofinò rapidamente le mani respirando lentamente col naso – Voglio uscire con te.»
«Come?»
«…Un appuntamento»
«Ma solo ieri…»
«So cosa è successo ieri. Ma so anche cosa voglio oggi»
«Senz’offesa, ma sei troppo grande»
«…»
«Voglio dire. Ti annoieresti, io non ho una vita molto intensa, lavoro, torno a casa, leggo molto, guardo molti film, vado a molte mostre. Insomma, sono peggio di una vecchietta.»
«Non sono un tipo mondano»
«Potresti avere ragione, ma di certo non sei pronto per questo»
«Questo?»
«Si, per entrare nel mio mondo. Vedi, io bene o male, nel tuo ci sono, perché anche se hai 35 anni, fai le stesse cose che faccio io. Certo, farai anche qualcosa in più. Ma immergersi nel mio mondo è tornare indietro con tutte le esperienze degli anni in più»
«Io voglio farlo»
«Farà male lo sai?»
«Non m’importa voglio farlo»
«Questa sera mi fermo con te a fare chiusura e poi usciamo. Solo una cosa. Non puoi tirarti indietro a metà»
«Ti aspetto qui»

Alle nove in punto si ritrovarono entrambi davanti all’uscita di sicurezza. Lei, sistemò la leggera sciarpa in lino sul collo mentre lui terminava di chiudere la porta. Osservandolo aveva notato che aveva parecchi calli sulle mani, di quelli che dimostrano che uno ha lavorato per arrivare alla posizione che occupa.
«Possiamo andare», disse poi riportandola alla realtà avviandosi verso la macchina, lei con un rapido scatto però lo fermo per poi prenderlo a braccetto avviandosi verso la macchina, lei con un rapido scatto però lo fermo per poi prenderlo a braccetto
«Andiamo a piedi, torneremo dopo qui» Lui annuì piegando il braccio ed infilandosi la mano nella tasca dei jeans in modo da crearle un appiglio vero. Camminarono in direzione del centro del quartiere, dove nel centro anziani locale si stava svolgendo una festa, o così pareva dal brusio. Vi si avviarono, sul volto di lui comparve uno sguardo interrogativo, ma decise che avrebbe aspettato che lei gli desse una spiegazione, non appena entrarono, un gruppo di vecchietti volse lo sguardo ed una signora, dai capelli color miele un po’ sbiaditi s’avvicinò abbracciando Liz:
«Oh, vieni cara, tutti sono ansiosi di sentirti e vederti soprattutto.», la donna volse poi lo sguardo in direzione dell’uomo, poi avvicinandosi all’orecchio della nipote domandò:
«E lui chi è?» Liz volse appena lo sguardo sul volto dell’uomo che aveva uno sguardo dubbioso, poi sorridendogli rispose sottovoce alla nonna:
«La mia anima da salvare».
Poi, facendogli cenno di seguirla s’addentrarono fra anziani signori sorridenti, la nonna fece accomodare lui, mentre Liz s’allontanò verso il palco, strinse la mano al dj e prese il microfono.

«Sei stata grandiosa. Davvero» La sua voce era frizzante e viva come mai prima, la osservava con la luce dei lampioni negli occhi, stringeva il collo di una birra con indice e medio, facendola roteare lentamente, mentre lei terminava di bere il suo thè con la cannuccia che annunciava la fine della bevanda.
«La serata non finisce qui però.» Liz s’alzò improvvisamente avvicinandosi ad un tavolo parecchio affollato seguita da lui, salutò tutti, e riprendendolo a braccetto si allontanarono dal luogo seguiti dagli sguardi interessati dei presenti.
Percorsero tutto il cavalcavia rimanendo in silenzio, lasciando solo che le macchine facessero loro da colonna sonora, non appena arrivarono fuori dal cinema all’aperto presero due biglietti dalla ragazza alla cassa, comprarono anche popcorn e coca, per cercare due posti comodi. Il film era un storia d’amore drammatica.
La visione del film cominciò pochi minuti dopo e nessuno fiatò per tutta la durata del film.
Non appena si conclusero i titoli di coda Liz volse lo sguardo verso di lui:
«Secondo te può esistere un amore del genere?»
«Un amore così grande da ucciderti?»
«Si»
Sospirò un momento, e poi osservando il cielo stellato sopra di loro rispose
«Non lo so sinceramente, mi piacerebbe credere che esista questo amore che dura tutta la vita, forse un tempo esisteva, ma ora, credo proprio sia impossibile.»
«Che dici, andiamo?» Lei, annuì ed insieme tornarono nel loro quartiere quando Liz si fermò di colpo con le mani nella borsa. Mancavano le chiavi, e di certo non poteva andare a svegliare i suoi per quelle di riserva.
«Lo riterrai sconveniente, ma potresti ospitarmi questa notte, sono rimasta chiusa fuori, e non mi va di svegliare i miei per farmi dare la chiave di riserva.» Domandò con un po’ di imbarazzo, lui sorrise mettendole un braccio sulle spalle. «Non c’è problema».

Ormai conosceva il salotto di quella casa. Lui la condusse al piano di sopra dandole un pigiama ed un paio di calzettoni che poteva usare al posto delle ciabatte. La camera degli ospiti era ampia, con arredamento moderno, c’era anche un computer sulla scrivania, le disse che poteva usarlo se desiderava, le diede lenzuola e coperte puliti e la lasciò sola. Lei si cambiò raccogliendo poi i capelli in uno chigon vagamente mosso per via delle trecce tenute nei due giorni precedenti, s’avvicinò alla finestra che dava sul cortile e lo vide in tuta giocare col cane, non era facile notarla visto che aveva già spento la luce, ma prima di vederlo rientrare, le parve di averlo visto guardare nella sua direzione.
Senza indugiare oltre si infilò sotto le coperte sistemando più volte i cuscini, ma il sonno non ne voleva sapere di accoglierla, così decise di andare a sciacquarsi il viso in bagno, ma non appena aprì la porta lo vide appoggiato alla parete opposta, fissandola intensamente negli occhi aprì la bocca senza emettere suono e lei fece un passo avanti proprio sotto l’arco della porta.
«Tienimi con te», Liz sgranò gli occhi un momento, non riusciva a capire cosa volesse dire lui con quella frase, e l’altro, ripetè:
«Tienimi con te» avanzando di quei pochi passi che li separavano, con entrambe le braccia la strinse più forte che potè, riusciva a percepire il battito del cuore di lei sul suo petto, e sentiva il suo respiro caldo attraverso la maglietta; improvvisamente le mani di lei salirono a stringere la maglietta all’altezza delle scapole, le sentiva stringere forse il tessuto quasi come non volendolo far scivolare via.
Rimasero abbracciati sotto lo stipite della porta per più di dieci minuti, senza fiatare e senza spostare di un solo millimetro la porta; Liz premette leggermente sulla schiena di lui ed iniziò ad indietreggiare per poi chiudere distrattamente la porta con la mancina, senza spostare la testa si fece guidare dal lui sul letto dove entrambi si sdraiarono l’uno accanto all’altra, lui girato sul fianco sinistro affondò il viso sul petto di lei tenendo la testa leggermente piegata verso l’esterno, mentre lei gli passo una mano sotto il capo cingendolo lentamente, mentre con l’altra mano gli accarezzava i capelli castani. Le loro gambe si intrecciarono naturalmente, quasi fossero abituate a farlo da una vita.
Lei continuò ad accarezzarlo fino a quando lui non decise di parlare:
«Stò respirando per la prima volta in vita mia» nell’udire quella frase Liz abbassò leggermente il capo e baciò delicatamente la fronte di quell’uomo che si, avrebbe potuto essere suo padre, e che avrebbe potuto proteggerla, ma che invece cercava conforto fra le sue braccia di giovane donna. Lasciò che le sue labbra rimanessero appoggiate alla fronte di lui fino a quando egli stesso non sollevò il capo per baciarla.
Quel bacio, il primo bacio per Liz fu come mai l’aveva immaginato.
Aveva una sapore amaro, ma allo stesso tempo era intriso di una dolcezza che mai aveva sperimentato prima; quel bacio sapeva di sofferenza, di attese, di notti passate ad osservare la pioggia cadere e lavare via il dolore. Sapeva d’amore più di quanto ne avesse sentito in tutta la sua giovane vita.
Quando le loro labbra si separarono capì, che entrambi avevano aspettato quel momento, capì che entrambi sapevano che c’era qualcosa ancora da scoprire.
Lo abbracciò ancora più forte e lui ricambiò la stretta mentre una lieve pioggerellina cominciò a cadere fuori dalle finestre.
«Harry?»
«Mh.»
«Tienimi con te»

«Ci stavo pensando sai?»
«A cosa?»
« A noi»
«E cosa pensavi?»
«Che non mi sono mai sentivo vivo prima come da quando sto seduto qui.»
«Davvero?»
«Credi ti direi una bugia?»
«…No»

  
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