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Autore: PerseoeAndromeda    19/11/2014    2 recensioni
L'esistenza di Alexis non è mai stata felice, il mondo lo ha fatto sentire un diverso e un fallito. Forse, però, ha trovato la persona giusta, la persona che potrà salvarlo.
[Partecipante al contest "I miei luoghi oscuri" organizzato da Graceavery]
[Partecipante al contest "Slash Love Stories" organizzato da LaviBookman]
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Nome utente sul forum e su efp: Perseo e Andromeda
Titolo della storia: Una nuova alba
Introduzione: L'esistenza di Alexis non è mai stata felice, il mondo lo ha fatto sentire un diverso e un fallito. Forse, però, ha trovato la persona giusta, la persona che potrà salvarlo
Rating: Arancione per le tematiche delicate
Genere: Angst, introspettivo, sentimentale, romantico

 

Una nuova alba

 

 

Da un tempo interminabile le dita erano strette intorno all'impugnatura, gli occhi fissi sulla lama. Un baluginio improvviso sulla punta aguzza del coltello provocò un sussulto al ragazzo, lo fece tornare in sé, suggerendogli dove si trovava e con quali intenzioni si era diretto nella cucina, a rovistare nei cassetti, per ritrovarsi in mano proprio quell'oggetto.

La mano tremò e le palpebre si allargarono davanti a ciò che stava per fare; eppure, al tempo stesso, non si stupì.

Si era mosso come un sonnambulo fino a lì, tuttavia la mancanza di lucidità non c'entrava, lui voleva farlo davvero, non aveva altra scelta. Perchè continuare a trascinare un'esistenza che non aveva più senso alcuno?

Sospirò, portò anche l'altra mano sul manico del coltello, illudendosi di poter fermare quel tremore sempre più incontrollabile. Ma non gli fu possibile, perché anche quella mano tremava allo stesso modo.

Come avrebbe potuto compiere un gesto tanto definitivo in quelle condizioni?

Per affondare una lama in un cuore occorreva fermezza...

In cuore o nella gola...

Fu proprio lì che posò la lama quando la sollevò contro se stesso.

Chiuse gli occhi, sentì il contatto della lama con la pelle; era fredda, ma che importava?

Lui stesso era freddo, nelle sue vene scorreva solo ghiaccio, il suo cuore era un pezzo di ghiaccio.

E allora perchè dai suoi occhi sgorgò un fiotto di lacrime?

Lui non provava più niente, non era più niente.

Il tempo passò, la decisione non si trasformava in risoluzione, il coraggio mancava e, dal buio alle sue spalle, si materializzarono due mani, che si serrarono, decise, intorno ai polsi.

Il grido venne subito dopo, mentre il coltello, non saldo nella presa, scivolò tra le dita e colpì il pavimento con un lugubre tintinnio di metallo.

"Cosa cazzo fai?!".

Anton gli girò intorno, gli venne davanti, le sue mani erano una morsa fremente.

"Sei impazzito?!".

La sua espressione era una maschera di rabbia, paura, dolore, gli occhi erano lucidi di lacrime troppo gelate per uscire davvero.

Il ragazzo aprì la bocca, voleva rispondere qualcosa, ma le parole non uscivano.

E poi cosa?

Perdonami, lasciami fare, vattene da qui?

Aveva troppe cose in testa, troppa confusione, non capiva più neanche cosa provava per quell'uomo disperato davanti a lui, che tentava di esserci, tentava di non farlo sentire solo.

Una parola, una sola parola, per fargli capire quanto gli fosse grato.

E invece la lingua era irrigidita, dalle corde vocali si levò, unicamente, un flebile lamento.

Fu Anton a prendere allora in mano la situazione, gli lasciò libere le braccia che ricaddero, molli, lungo i fianchi, le sue mani forti, anche se tremanti e nervose in quel momento, furono sul suo corpo, cercarono reazioni che non giungevano.

"Alexis...".

Un roco richiamo, una supplica per farlo tornare da lui.

Quando ancora non ottenne reazioni riprovò a parlare, a riempire quel nulla che, impietoso, li avvolgeva.
"Come siamo arrivati a questo punto? Come è potuto succedere?".

"Non è colpa tua...".

Ci riuscì finalmente, poche parole appena che ruppero lo strato ghiacciato del suo cuore.

C'era ancora qualcosa in quel cuore.

Certo che c'era...

C'era l'amore, sincero, straziante, lo sentiva affiorare, nonostante tutto, per quella persona lì davanti a lui, l'unica certezza di tutta la sua esistenza era ciò che provava per Anton.

Eppure quella certezza non era stata sufficiente.

L'aveva accantonata, messa da parte, cancellata quando si era svegliato nella notte, sopraffatto dall'angoscia, dall'incubo di avere perso tutto e, come un sonnambulo, era sceso dal letto ed aveva camminato, automa svuotato di ogni consapevolezza, fino alla cucina, passo dopo passo, con un solo chiodo fisso: voleva farla finita, voleva smettere di pensare... pensare... pensare...

Anton l'aveva pregato di concentrarsi su di lui quando i pensieri diventavano ingestibili, ma si era rivelata un'impresa sempre più difficile: le delusioni si erano accumulate le une sulle altre, per anni e anni.

Una prima volta Anton l'aveva tirato fuori dal baratro, quando si erano conosciuti; lo aveva poi fatto altre volte, la sicurezza del loro rapporto si era trasformata nella sua isola di pace.

Ma l'ultimo colpo che aveva ricevuto aveva definitivamente mandato in frantumi il suo equilibrio, da sempre precario.

Le gambe cedettero e neanche quando scivolò a terra Anton lo abbandonò; lo accompagnò nella sua caduta, tentando di renderla meno rovinosa.

Anton era fatto così, si era legato a lui fin dal loro primo incontro e, da allora, era sceso in quel baratro con lui, senza recriminare, apparentemente senza rimpianti, unicamente perché lo amava.

Alexis sgranò gli occhi nel buio, colpito dalla consapevolezza di ciò che stava facendo all'unica persona che si fosse mai realmente interessata a lui.

In ginocchio, avvolto dal suo abbraccio silenzioso, un abbraccio troppo sgomento perché Anton potesse accompagnarlo con parole, Alexis trovò invece, chissà dove, la forza necessaria a muovere le mani.

Le sue dita cercarono il petto nudo del compagno, annasparono sulla pelle levigata che tante volte aveva accolto le sue carezze e i suoi baci.

Le sue orecchie percepirono il sospiro di Anton, l'alito caldo sulla pelle.

Sospiro di sollievo, di esasperazione?

Quanto ci avrebbe messo, ancora, a stancarsi di lui, a lasciarlo, come lo avevano lasciato tutti?

"Scusa".

Soffocò le sillabe contro di lui, l'ultimo frammento della parola esplose in un singhiozzo.

Le mani di Anton furono sul suo volto, lo costrinsero a sollevarlo; lui oppose resistenza, non voleva incontrare i suoi occhi. Anton insistette, le sue dita erano come artigli, gli fecero male e Alexis dovette obbedire all'imposizione.

Era buio, ma gli occhi di Anton erano due fiamme accese, spaventose nella loro furia, nel loro sconvolto tormento.

"Promettimi che non lo farai mai più, promettimi che è stato un colpo di testa che non avrà un seguito!".

Le dita affondarono tra i suoi capelli, Alexis si sentì scuotere.

"Promettimelo!".

Non poteva prometterlo, lui voleva scomparire.

"Sono stanco" esalò, un piccolo gemito e niente più.

"Stupido!".

Si sentì respingere, cadde all'indietro e Anton si levò in piedi, torreggiando su di lui. Appariva maestoso, lo faceva sentire piccolo, eppure il suo volto era basso, trasmetteva l'immagine della sconfitta.

Alexis lo sapeva, anche lui era stanco.

"Non ho il diritto di distruggere la sua vita come sto distruggendo la mia" pensò.

Si mosse, portò il dorso di una mano ad asciugare una lacrima:

"Non dovresti più preoccuparti per me".

"Adesso piantala!".

L'urlo di Anton lo fece sussultare. Perché non capiva?

Gli sarebbe stato sufficiente cacciarlo dalla sua casa, dirgli che doveva andarsene, che doveva uscire dalla sua vita, sarebbe stato meglio... e giusto.

"Me ne andrò...".

E invece lo disse lui, il volto a terra, senza più osare sollevare gli occhi verso quelli di Anton.

"Cosa farai tu?".

Un ruggito.

Anton era la persona più buona del mondo, ma sapeva tramutarsi in una belva feroce se la furia rapiva il suo animo.

Ancora dita d'acciaio si chiusero intorno al suo avambraccio, strattonarono, fu costretto, malamente, a rimettersi in piedi, ma il suo equilibrio era troppo precario e caracollò, ritrovandosi stretto contro il corpo di Anton.

Poi i suoi piedi si sollevarono da terra; Anton lo tirò su, un braccio sotto le ginocchia, l'altro intorno alle spalle.

Ad Alexis venne spontaneo sorreggersi, intrecciando le proprie dita sul collo del compagno che, senza pronunciare altre parole, lo portò così, di peso, fino alla camera che condividevano.

 

 

***

 

Chiuse la porta alle proprie spalle con un calcio e si accostò al letto a due piazze, lasciandovi cadere sopra il suo fardello, come un sacco, senza nessuna delicatezza.

Anton era abituato a trattare con lui: in quei momenti, Alexis non aveva bisogno di delicatezza, doveva essere trascinato su dall'abisso. Non è con la gentilezza che si salva una persona prossima ad affogare.

Ed Alexis stava affogando in se stesso, da tanto, troppo tempo. Il giorno in cui l'aveva conosciuto era raggomitolato come un randagio avvezzo a temere il mondo e gli era venuto spontaneo tendergli una mano.

L'avrebbe fatto con chiunque, ma quel fluido che li avrebbe avvinti per sempre aveva cominciato a scorrere già in quei primi istanti tra di loro.

Gli bastò vedere quegli occhi, così belli e profondi come il medesimo abisso in cui il ragazzo si stava smarrendo, per capire che non l'avrebbe più lasciato andare.

Da allora era stata un alternarsi di ombra e luce, il loro mondo oscillava, in base agli umori di Alexis, verso l'alto o verso il basso, ma mai la risoluzione di Anton era vacillata.

Era la sua missione, non per spirito umanitario, ma per amore, solo per amore.

Lo osservò, mentre si raggomitolava, proprio come quel primo giorno, le gambe raccolte sul petto e le braccia alla ricerca di un cuscino da stringere a sé.

Lo fissò in lunghi istanti sospesi in cui gli fu impossibile trovare parole e Alexis, raggiunto il cuscino, rimase immobile, talmente immobile da lasciar quasi credere che avesse perso ogni soffio vitale, volato via insieme all'anima.

La lampada sul comodino proiettava una luce sporca sulle forme troppo magre del ragazzo; era sempre stato così, camminava in bilico sul filo dell'anoressia, mentre il confine tra serenità e depressione l'aveva già oltrepassato da un pezzo.

Anton fece il giro del letto, si arrampicò dall'altra parte e si sdraiò al suo fianco.

Alexis gli dava le spalle e non reagì, neanche quando Anton gli circondò i fianchi in un abbraccio.

Tuttavia, un segno di vita venne dalla sua voce, quasi priva di ogni sentimento:

"Perché non mi lasci andar via? Potresti salvarti da me, dovresti farlo, io non ti do nulla... solo dolore".

Anton sospirò; l'istinto l'avrebbe portato ad imprecare, a reagire ancora con violenza, ma si trattenne. Forse, in fondo, voleva solo piangere, perché tutta la sofferenza di Alexis avrebbe desiderato prenderla per sé.

Anziché perdere il controllo accentuò la stretta, nascose il naso tra i suoi capelli, assaporandone profumo e consistenza, sempre così morbida, come una nuvola bionda.

"Tu mi dai te stesso... ed è tutto ciò che voglio, piccolo scemo".

La voce venne fuori roca, non era riuscito a trattenere del tutto il pianto.

"Dovresti odiarmi...".

"Io odio il mondo che ti ha trattato così male... ma lo amo anche, perchè alla fine ti ha condotto fino a me".

Lo sentì fremere, lunghi brividi percorsero il corpo di Alexis ed erano così violenti, le sue membra così fragili, che lo abbracciò più forte, temendo che quei tremori l'avrebbero mandato in frantumi.

Era vero che il mondo l'aveva trattato male, Alexis non aveva nessuna colpa, se non quella di non essere mai stato forte, di non essere mai stato in grado di farcela da solo contro tanto odio, tanto rancore, tanti eventi nefasti, tutti quelli che avevano costellato la sua esistenza.

Anton sapeva ogni cosa di lui, Alexis gli aveva concesso il suo cuore e gli aveva affidato la propria vita, fino all'ultima goccia.

"Se solo avessi potuto conoscerti fin da quando eri bambino" gli aveva detto una volta, "se solo avessi potuto cominciare prima a proteggerti...".

Se avessero potuto essere piccoli insieme, avrebbe potuto assumere, per Alexis, il ruolo del fratello maggiore, di spalla su cui piangere, quando sua madre l'aveva lasciato; avrebbe potuto colmare i vuoti di un padre assente e proteggerlo dalle vessazioni subite a scuola, prima a causa della sua diversità intellettuale, successivamente per l'aggiunta di un'altra diversità, che troppo spesso rendeva le persone dei mostri.

Dalla superficiale ignoranza alla cattiveria il passo era breve e Alexis le aveva subite entrambe. In tutti i suoi anni di scuola non gli era mai stato risparmiato il bullismo, che aveva sempre affrontato da solo, perchè il suo carattere chiuso, pauroso, non gli aveva mai permesso, in tutti i suoi anni di vita, di farsi un amico.

Giunto all'università, era pronto a subire il medesimo destino, ma proprio allora Anton l'aveva trovato e l'aveva preso con sé, proprio come si fa con i cuccioli abbandonati.

Il padre di Alexis, il resto della sua famiglia, non avevano mai saputo nulla, né della sua sofferenza, né dei suoi tormenti.

D'altronde, appena gli era stato possibile, Alexis si era trovato un lavoro e un monolocale tutto per sé: la sua fragilità emotiva, il suo poco equilibrio, non gli avevano mai impedito di arrangiarsi, era stato costretto a farlo, per un istinto di sopravvivenza che si alternava al desiderio di scomparire dal mondo.

Anton sospirò un'altra volta, gli passò una mano lungo la curva del fianco e gli posò un bacio su una spalla: l'aria attorno a loro era tiepida, quasi calda, ma la pelle di Alexis era gelida al tocco.

Un impeto di commozione assalì Anton, come ogni volta, sempre come la prima volta in cui aveva potuto vedere quegli occhi.

Si morse le labbra: perché nessun altro, oltre a lui, si rendeva conto di quanto fossero speciali?

"Chi te lo fa fare, Anton?".

Gli venne da sorridere.

Al di là delle tristezza, della pena, nonostante tutto il tormento, quegli occhi, quella voce, riuscivano sempre a strappargli un sorriso.

"L'amore? ".

Alexis arricciò le labbra; quel suo modo di imbronciarsi appariva, spesso, tanto infantile.

"Come può l'amore bastare, con una persona opprimente come me?".

Con un dito, Anton gli solleticò la punta del naso, per prenderlo in giro.

"Non sottovalutare la mie capacità di sopportazione".

Il sorriso non venne ricambiato, e allora anche Anton ritornò serio.

"Tu non sei opprimente, sei solo triste... e non per colpa tua. La tua unica colpa è quella di non riuscire a reagire con la grinta e la rabbia necessarie a dimostrare a questa gente di merda quanto vali".

''Cioè nulla?".

Gli occhi di Alexis fuggirono; era consapevole di avere detto qualcosa che avrebbe fatto infuriare Anton.

Ma Anton non si infuriò; si sentì invece molto triste.

Una parte di lui avrebbe desiderato alzarsi da quel letto, prendere la macchina, guidare come un matto fino all'abitazione del padre di Alexis e prenderlo a pugni fino a fargli sputare sangue, ma cosa avrebbe risolto?

Non avrebbe cancellato ciò che Alexis aveva subito da lui, l'ennesimo schiaffo da un padre che non c'era mai stato, giunto in un momento in cui, dopo tanta fatica, stava davvero cominciando a voltare pagina.

Anton strinse i denti, per soffocare l'ondata di rabbia.

Quell'uomo non si era mai preoccupato realmente di suo figlio, non aveva mai raccolto le sue confidenze, le sue paure, i suoi dubbi, non aveva neanche mai tentato di conoscerlo davvero.

Ma quando Alexis si era deciso, dopo anni, ad aprirgli il proprio cuore, incoraggiato da una fiducia ritrovata, dalla nuova forza che sentiva crescere dentro di sé, si era visto chiudere la porta in faccia. Anziché rammaricarsi per la propria assenza, il padre si era rivelato complice di quel mondo da cui Alexis era sempre stato maltrattato e l'aveva cacciato via, rifiutato come qualcosa di sporco, di cui vergognarsi, gli aveva negato le sue stesse radici e l'aveva condannato ad una nuova caduta, forse la definitiva, perché Anton l'aveva visto toccare davvero il fondo.

E stanotte ho evitato per un soffio l'irreparabile” rifletté, mentre prendeva il volto di Alexis tra le proprie mani.

“Non farmi mai più una cosa del genere, Alexis” mormorò e, questa volta, le lacrime non poté trattenerle, la sua voce uscì roca, in una preghiera che rivelava tutte le sue paure, lo strazio del suo cuore, “non lasciarmi senza di te. Allora sì che mi condanneresti a stare male per sempre”.

“Anton...”.

“Che tu ci creda o no, se io ti ho salvato, lo stesso hai fatto tu con me; se non ti avessi incontrato, la mia esistenza non avrebbe mai avuto un senso. Il senso alla mia vita lo hai dato tu”.

“Ma come ho potuto...”.

Era così difficile convincere un'anima che si riteneva una nullità di quale fosse, invece, il suo reale valore.

Anton affondò le dita nelle sue guance, non certo per fargli male, solo perché sentisse più salda la sua presenza e le sue convinzioni:

“Credi a me, non a tutto il resto, solo a me!”.

“Io... io ti credo”.

Anton scosse il capo, sbuffò:

“Credi solo a quello che ti fa comodo, quando cerco di valorizzare te perdo credibilità alle tue orecchie. Eppure, le cose belle che dico di te sono quelle in cui io maggiormente credo”.

Un braccio di Alexis si mosse. La mano salì, si posò su una di quelle che si attardavano sul suo volto. Gli accarezzò, per un attimo il palmo, quindi le sue dita si intrufolarono tra quelle del compagno.

Anton fremette, il tocco di Alexis era sempre delicato e discreto, si addiceva alle dimensioni delle sue mani, alle sue dita sottili.

Era evidente che cercava di parlare, ma dalle labbra non usciva nessun suono, la sua espressione era ancora troppo sconvolta.

Anton gli accarezzò i capelli, ne assaggiò sotto le dita la consistenza; gli era sempre piaciuto toccarli, era come sfiorare seta preziosa.

“Vuoi vivere per me? Vuoi affidarti a me, una volta per tutte e quando senti che stai crollando, che non ce la fai più, abbracciarmi forte, finché il momento critico non passa?”.

Esitanti, le labbra di Alexis si mossero e, finalmente, alcuni suoni uscirono, tremanti, incerti:

“Io... voglio solo che tu non soffra... e soprattutto non a causa mia”.

“Soffrirei se ti perdessi, scemo”.

Anton un po' rise, un po' pianse nel pronunciare le ultime parole.

Alexis strinse le labbra, ebbe un fremito fortissimo, poi gli si fece più vicino e gli gettò le braccia intorno al collo:

“Perdonami, perdonami, perdonami!”.

Anton sospirò, ricambiò la stretta, attirò il viso del ragazzo fino a nasconderlo contro il proprio petto:

“Impara a perdonarti tu, è il primo passo che devi fare, impara a volerti bene”.

Il giovane si rannicchiò nel suo abbraccio, si fece talmente minuscolo da dare ad Anton la sensazione che sarebbe scomparso. Un brivido corse lungo la sua schiena: se fosse giunto in cucina solo pochi istanti dopo, proprio quello sarebbe accaduto.

La creatura che stringeva a sé gli sembrò, più che mai, fragile ed effimera, consumata da anni di tormenti: sarebbe bastato, ormai, un leggero soffio di vento per spazzarla via definitivamente. Era una prospettiva orribile, troppo spaventosa perchè Anton potesse accettarla con semplice rassegnazione. Affondò il viso tra i capelli di Alexis e soffocò un singhiozzo, provocando un sussulto nel giovane, che si divincolò e si mise carponi sopra di lui.

Dal basso, Anton vide i suoi occhi e si stupì, perché scorse una dignità rara in essi.

“Non farlo, Anton, non piangere per me, non voglio!”.

Scivolò all'indietro, gli diede le spalle e si sedette sul bordo del letto. Rimase per un po' così, Anton rimase a fissare, spiazzato, la sua schiena curva. C'era qualcosa, nell'atteggiamento di Alexis che, di colpo, lo inibiva e irrigidiva le sue membra.

Poi giunse la voce morbida e bassa del ragazzo a sfiorargli le orecchie, un sussurro da quel guscio raccolto su se stesso:

“Non posso permettermi anche questo fallimento”.

Anton aprì le labbra, intenzionato a ribattere, ma preferì che i suoi gesti precedessero ogni parola; si mise in ginocchio, scivolò sul lenzuolo fino a sfiorare il corpo di Alexis e lì si fermò, lasciando ancora che fossero le mani a prendere l'iniziativa, a comunicare vicinanza e dolcezza. Gliele posò sulle spalle e prese a massaggiare, con calma, con tocchi gentili ma sicuri e concreti.

“Non sei tu che hai fallito, ma tutti quelli che ti hanno fatto del male; tu devi solo imparare a camminare tra loro a testa alta e restare al mio fianco, non perchè temi di deludermi, ma perchè è la strada giusta per entrambi”.

La testa bionda si chinò in avanti, in un cenno di assenso talmente convinto che le mani di Anton si bloccarono; era raro scorgere decisione negli atteggiamenti di Alexis, soprattutto riguardo a simili argomenti.

“Lo capirò, farò del mio meglio, perché ho un motivo per vivere”.

Sgusciò via dalle sue mani, camminò nella stanza e si avvicinò alla finestra. Appoggiò una spalla al muro ed incrociò le braccia sul petto; Anton poteva scorgere solo un frammento del suo sguardo, vagamente perso nel vuoto.

“Senti... Anton...”.

Anton si alzò, lo raggiunse, le sue braccia lo avvolsero da dietro, si cullò con lui in un lieve dondolio dei loro corpi.

“Dimmi”.

La testa di Alexis si reclinò all'indietro e si appoggiò contro la spalla del compagno. Alcuni capelli sottili solleticarono le narici di Anton, inebriandolo con il loro profumo.

“Io ci proverò, te lo prometto”.

“E non farai più cazzate come quella di prima?”.

“Se non ti avessi incontrato, probabilmente non sarei più in questo mondo da tempo”.

L'ennesimo sospiro di quella notte infinita scosse il petto di Anton; lo sapeva, eccome, di essere entrato nella vita di Alexis in un momento cruciale. Anche allora, se non lo avesse trovato lui...

“Allora ti eri aggrappato a me, fallo ancora, pensa che vale la pena di vivere, perchè ci permette di stare insieme”.

Alexis si voltò, afferrò le sue mani e se le portò alle labbra, riempiendole di baci.

“Ne vale la pena” mormorò, singhiozzando, tra un bacio e l'altro, “sì, ne vale assolutamente la pena”.

Erano i baci di un assetato che attingeva alla fonte della propria sopravvivenza.

Anton lo lasciò fare e sperava che le cose sarebbero cambiate: se fosse bastata la sua sola esistenza a dare una speranza a quel ragazzo, a spronarlo ad andare avanti, non avrebbe chiesto nulla di più al mondo.

Quando Alexis lasciò libere le sue mani e si abbandonò contro di lui, fiducioso, la commozione ebbe la meglio; lo sollevò delicatamente da terra e, con lui, peso leggero tra le sue braccia, tornò al letto.

Lo posò sul materasso con attenzione e delicatezza questa volta, il momento della durezza era passato e, decisamente, Anton preferiva questo tipo di approcci, odiava quando si sentiva costretto a modi più bruschi, per la necessità di far rinsavire Alexis dalle sue cadute.

Si arrampicò sul letto e si sdraiò sopra di lui; le braccia di Alexis si allargarono, pronte ad accoglierlo e a richiudersi, subito dopo, intorno al suo corpo.

Restarono così, avvinti l'uno all'altro, senza voler fare nulla di più: tutto quel che Anton voleva, in quell'istante, era diventare il suo rifugio e far sì che Alexis lo sentisse, che sapesse di essere al sicuro, di poter correre da lui ogni volta che si sentisse perduto.

“Sei gelato” gli disse, passando le dita tra i suoi capelli.

“Tu sei caldo invece... e sto cominciando a riscaldarmi un po' anche io”.

Anton si smarrì in quel sorriso disarmante e malinconico, stregato come la prima volta che l'aveva visto.

Allo stesso modo in cui era rimasto stregato dagli occhi pieni di lacrime.

Ma preferiva vederlo sorridere.

Si fissarono a lungo, intensamente, senza dire nulla: per loro era ormai facile parlare e capirsi con semplici sguardi.

Non parlarono per un tempo lunghissimo o che sembrò tale: ogni istante del loro personale universo era dilatato.

Anton chiuse gli occhi, attese finché le membra di Alexis non cominciarono a rilassarsi, sempre di più, sotto di lui e anche il cuore andava armonizzandosi con il respiro sempre più calmo.

Sollevò lo sguardo, aspettandosi di trovarlo addormentato.

Invece gli occhi di Alexis erano aperti, il viso rivolto alla finestra, in un'espressione all'apparenza tranquilla; ma i lineamenti del ragazzo trasmettevano malinconia, come sempre. Un filo di luce li accarezzava, accendendo l'oro dei suoi capelli e il pallore naturale della pelle.

Le sue labbra si mossero:

“È l'alba”.

Il corpo di Anton risalì lungo quello del compagno, il contatto con la pelle morbida di Alexis stava risvegliando le sue membra, ma ci sarebbe stato tempo per quello. Fece leva con le mani sul materasso e si sollevò, cercando con il proprio lo sguardo di Alexis.

Attratto dal movimento, dal viso di Anton che gli oscurò la visuale, il ragazzo rispose al richiamo dei suoi occhi e solo allora Anton fece udire la propria voce nel silenzio:

“È l'alba sì, ed è tutta nostra”.

Alexis sbatté le palpebre, schiuse le proprie labbra e, infine, sorrise con un cenno di assenso.

“Solo nostra e chi se ne frega del resto”.

Sentirlo parlare così rese Anton raggiante.

Probabilmente ci sarebbero stati altri crolli, la tristezza di Alexis non poteva essere cacciata così, con un soffio, con un sole che sorgeva e un abbraccio, per quanto intenso e sincero.

Ma quel primo raggio di sole regalò agli occhi di Alexis una luce diversa; forse era suggestione tuttavia, mentre le loro labbra si toccavano passò tra loro, tramite quel bacio, un reciproco messaggio:

“Andrà tutto bene”.

   
 
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