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Autore: _Ester_    21/11/2014    0 recensioni
In un futuro in cui ci sono dei potenti e dei sottomessi, in cui è la tua origine a dire cosa farai e non puoi cambiare in nessun modo! Se sei cittadino di uno dei popoli sottomessi il tuo destino è quello di lavorare per i più ricchi che invece devono subire un lavaggio del cervello che li spinge a non pensare ma a fare quello che fanno tutti. Ma sarà il loro amore a cambiare le cose, un amore insolito, pericoloso. Un amore che minaccia di distruggere un sistema che per anni ha promesso libertà mentre faceva tutto il contrario, un sistema in cui l' unico vincitore è l' artefice di tutto questo teatro di burattini di cui lui è il burattinaio.
Genere: Fantasy, Romantico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Sovrannaturale
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-Monica, dormi?!

Le urlò Nicola scostandole i capelli mori dall' orecchio. Lei fece un salto che le fece sbattere la testa sul finestrino, al quale era appoggiata. Lui si mise a ridere guardandola massaggiarsi la testa ma smise subito quando lei gli posò addosso i suoi enormi occhi neri.

-Sei un idiota!

Disse ridendo e gli diede un cazzotto sulla spalla, e visto che ora erano pari e tutti gli altri ragazzi li stavano guardando cercarono di tornare in silenzio, imbarazzati. Finora quelle fra loro due erano le uniche parole di tutto il viaggio, era come se quel pullman di venticinque ragazzi portasse alla morte. Nessuno di loro sapeva cosa sarebbe successo, sapevano solo quello che dovevano fare e dove stavano andando.

-Tu hai paura?

Disse Nicola rompendo il silenzio, lo chiese incerto, come se si vergognasse. Monica si girò verso di lui sospirando

-Abbiamo tutti paura.

Disse e gli sorrise, poi si girò verso il finestrino.Era impressionante la differenza che c' era fra il cielo azzurro e limpido e quelle strade spoglie, cupe,i lampioni malfunzionanti, i bambini che giocavano a calcio con le pagine di giornale accartocciate, le persiane rotte e la vernice consumata dei portoni. E in mezzo a quel degrado, spiccavano imponenti i grandi schermi che ricordavano i cartelloni pubblicitari di una volta. Ma invece della pubblicità c' era la solita voce femminile, soave e pulita che ripeteva in continuazione

"Voi siete il nostro futuro, contribuite per un mondo miglire, qui troverete subito lavoro senza fatica e anche voi farete la vostra parte!"

e intanto mostrava le immagini di altri ragazzi sorridenti, ognuno con un lavoro, con i propri diritti, tutti con una vita migliore di quella che vivevano lì. A Monica sembrava veramente così anche se la madre le aveva sempre ripetuto che era tutta una finta, che non ti avrebbero mai trattato come i "manichini", loro avevano belle case, erano stramilionari, non avevano bisogno di lavorare! "I manichini" era il soprannome con il quale gli altri paesi, come quello di Monica, chiamavano i cittadini di quel luogo, e il perchè, dicevano, lo avrebbe capito quando li avrebbe conosciuti, dato che appena arrivati, i ragazzi si trasferivano in casa di uno di loro finchè non trovavano lavoro e non guadagnavano abbastanza soldi per pagare l' affitto di un appartamento proprio.

Questo è ciò che dissero a scuola prima di finire le superiori, in cinque anni tutto quello che aveva imparato riguardava quel paese chiamato Stati Uniti d'America,le usanze, la lingua, tutto. E come lei tutti i ragazzi che ora si trovavano in quel pullman. é lì che dovevano andare e questo era tutto quello che sapevano. Anche sua madre fu assegnata agli Stati Uniti, mentre il padre, fu assegnato alla Cina e infatti la sua seconda lingua era il mandarino. Quando si conobbero avevano 35 anni e entrambi erano appena scesi dall' aereo che non avrebbero mai più preso dato che, come tutti,"avevano raggiunto l' età massima per donare un contributo al paese assegnato". Si erano entrambi lamentati per anni della vita che li costringevano a vivere, non erano stupidi, sapevano di essere sfruttati, ma sarebbe stato illegale sottrarre la figlia al suo "destino". Ma Monica non voleva essere fermata, era curiosa di vedere quel posto di cui per anni aveva solo sentito parlare. Quando il pullman si fermò, appena scesero si trovarono davanti all' aeroporto di Fiumicino, una volta entrati, anche se un po' spaesati fecero varie file per il check in, per lasciare i bagagli e infine salirono in aereo. Il suo posto era D7 vicino a Giorgia, una ragazza che veniva in classe con lei.

-Ehi

Le disse e l' altra si limitò ad accennare un sorriso, strano perchè di solito era molto loquace ma ora si vedeva benissimo che era troppo agitata per parlare e Monica non insistette, sistemò la borsa e si sedette in silenzio. Anche in aereo l' unico rumore era quello del motore,  spostò la testa di lato e chiuse gli occhi, ma ad impedirle di dormire era il battito del cuore che aumentava minuto per minuto. Diede uno sguardo ai sedili intorno a lei per cercare Nicola e lo vide qualche posto dietro che dormiva tutto accartocciato sul sedile. Lei sorrise, riusciva a farla ridere anche quando dormiva! Loro due si conoscevano da quando erano nati, erano inseparabili e stranamente non si erano mai innamorati, probabilmente perchè l' amicizia era ancora più forte. E ora non avrebbe più visto neanche Nicola! Entrambi erano diretti in California ma la famiglia che lo ospitava era a Inglewood mentre lei sarebbe andata a Santa Monica. Solo a pensarlo gli occhi iniziarono ad inumidirsi, ma ora non aveva voglia di piangere. Sospirò, chiuse gli occhi e rimase ad ascoltare il motore dell' aereo che tra poco sarebbe atterrato. 

  

-Nicola!

Gli urlò dalla parte opposta della stanza, lui si girò e entrambi si corsero incontro trascinandosi dietro la propria valigia.

-Dov' eri, è un ora che ti cerco!

Disse Monica appena si avvicinarono.

-Ti stavo cercando anch' io, è enorme questo posto!

Rispose lui con il fiatone per la corsa. 

-Tra quanto devi partire?

Chiese lei. Nicola guardò l' orologio.

-Tra mezz' ora.

Rimasero a guardarsi per un po'. Entrambi pensavano la stessa cosa ma non volevano dirla. Avevano solo mezz' ora per stare insieme e poi nessuno sapeva quando si sarebbero rivisti. Alla fine fu Nicola a rompere il silenzio e soffocare quei penseri.

-Ti va di andare un attimo al bar prima di uscire?

Lei annuì e si avviarono al bar più vicino all' uscita dell' aereoporto. Si sedettero su degli odiosi sgabelli che ci voleva una laurea per non scivolare poi Nicola chiese un caffè.

-Tu non prendi niente?

E prese un pezzo di waffle che si trovava in un piattino lì davanti.

-No, non ho fame. Sono umana io, non come te che mangi ogni mezz' ora.

Lui sorrise e con la bocca piena rispose.

-Mi conosci troppo bene!

Poi arrivò il suo caffè. Lui lo prese in mano con una faccia schifata, l' aspetto non era decisamente come quello del caffè che erano abituati a bere in Italia! Ebbe appena il coraggio di bagnarcisi le labbra per poi riposarlo su tavolo.

-Bleah! Nota per me: non ordinare mai più un caffè.

Monica si mise a ridere e disse.

-Se lo bevi tutto te lo pago io, ok?

-Cosa? Neanche se costasse cinque euro! 

-Dai.

Lo incitò lei.

-No. 

-Dai, potrebbe essere la nostra ultima scommessa.

Anche se lo disse come se fosse una battuta, pesarono un po' a tutti e due quelle parole. Nicola sorrise e riprese in mano il bicchiere.

-Sappi che lo faccio perchè ti voglio troppo bene!

Monica rise e si godette la scena mentre lui si avvicinava lentamente il bicchiere alla bocca e piano piano, con la stessa faccia di chi sta bevendo del fango, iniziò a bere. Dopo un po' ripose il bicchiere. Poi prese un altro pezzo di waffle. 

-Contenta?

-Si, abbastanza.

Entrambi sorrisero poi Nicola guardò l' orologio e il sorriso svanì.

-Devo andare.

Anche Monica smise di sorridere, sospirò e scese dallo sgabello poi pagò il caffè.

-Andiamo

Ripresero le valige e uscirono dall' aeroporto. Fuori c' erano un paio di pullman parcheggiati nei quali stavano salendo alcuni ragazzi.Nicola guardò Monica. 

-Ora dovrei dire una delle mie battute ma...

Lei gli sorrise.

-Tranquillo, non serve, ne ho abbastanza delle tue battute!

Disse scherzando. Rimasero a guardarsi per un po', non era possibile che si stessero allontanando. Non avevano mai immaginato una vita l' uno senza l' altra. Gli occhi di Monica iniziarono a farsi lucidi e Nicola vedendola si morse li labbro, lo faceva sempre quando non voleva piangere. E all' improvviso si abbracciarono, Monica iniziò a piangere e soffocò i singhiozzi sulla sua spalla.

-Mi avevi promesso che non avresti pianto.

Disse lui sempre sorridendo ma con la voce tremante.Lei allontanò la faccia dalla sua spalla e con il dorso della mano si asciugò le lacrime. Sospirò e gli sorrise.

-Ti prometto che ti verrò a trovare un giorno!

Disse lui.

-Lo sai che non vogliono che ci spostiamo in altre città se non è per lavoro.

-Ehi, controllare una pazza come te è un lavoro a tempo pieno! non posso lasciare che tu finisca nei guai ... da sola!

Lei sorrise. Si asciugò di nuovo gli occhi poi scherzando, come avevano sempre fatto, con la voce da snob fece

-Guarda, mi hai fatto colare il mascara! 

-E tu mi hai sporcato il giubbetto con il mascara.

Rispose fingendosi arrabbiato. Entrambi si misero a ridere.

-Ora devo andare.

Disse poi lui. Lei lo abbracciò di nuovo.

-Non divertirti troppo senza di me, ok?

Lui le sorrise.

-Good bye, Monica.

-Bye, Nicola.

Prese la valigia e corse verso il pullman. Lei lo seguì con lo sguardo mentre saliva. Poi il pullman partì e sparì dietro una curva mentre usciva dal parcheggio.

Il pullman di Monica arrivò dopo dieci minuti. Trovò un posto verso le ultime file, vicino al finestrino. La città era completamente diversa dalla sua, i palazzi erano altissimi, il sole rifletteva sui vetri facendoli brillare, anche lì c' erano i grandi schermi ma li trasmettevano solo pubblicità, in continuazione. Le strade erano affollatissime, piene di macchine.

Ci misero un po' ad arrivare ma poi finalmente il pullman si fermò. Prima di scendere consegnarono ad ognuno un pezzo di carta con scritta la via della casa nella quale erano ospitati. Una volta scesa, si mise a cercare la via scritta sul suo foglietto, chiedendo indicazioni qua e la. Non ci mise molto a trovarla, era un appartamento al quinto piano, il palazzo era altissimo e per arrivarci dovette usare un ascensore, di cui per anni aveva solo sentito parlare perchè in Italia non ne esistevano più funzionanti! Quando si ritrovò davanti alla porta marrone con il numero 32 scritto sopra, le prese un attimo di panico. Chi avrebbe trovato dietro quella porta? Ma ignorò la sensazione e bussò. Dopo nemmeno 5 secondi la porta si aprì.

-Ed ecco la mia ospite! Benvenuta!

Era un ragazzo che aveva più o meno la sua età. La prima cosa che pensò Monica era che quello era davvero figo! Era alto, i capelli biondi e perfettamente sistemati, gli occhi grandi color verde acqua, la pelle abbronzata. Aveva in mano un telefono, di quelli touch sceen, bianco con una mela morsa stampata dietro, e intuì che quello era il famoso iPhon di cui aveva solo sentito parlare.

-Ciao

Rispose lei.

-Vieni, entra!

Non la smetteva di puntarle addosso quel telefono mentre entrava, poi ci inquadrò se stesso e continò a parlare.

-Allora com è andato il viaggio?

Era sorridente, gentile, forse era diverso dai manichini di cui le parlava sua madre.

-Bhè, è andato bene!

-Me ne racconterai dopo, ok? Ora devo farti vedere la casa.

E con il telefono riprese la stanza principale

-Questa è la sala e questa la cucina.

Monica gli andava dietro mentre riprendeva la stanza da ogni angolazione. C' era un divano con un televisore enorme da una parte e la cucina con un tavolo alto e quattro sgabelli dall' altra.

-E di qua...

continuò correndo verso il corridoio.

-Ci sono il bagno, lo studio e la camera da letto.

In camera c' era un letto grandissimo e perfettamente sistemato.

-Tu dormirai qui e io mi sacrificherò e dormirò sul divano.

Monica rimase a guardare quel letto per un po' poi si girò verso di lui.

-Oh, no, posso dormire io sul divano, non voglio crearti disturbo!

-Ma quale disturbo! Non preoccuparti.

E le sorrise. Aveva un sorriso bellissimo!

-Allora, il tour è finito! Saluta i miei fan Miranda!

E inquadrò lui e Monica nella telecamera. Lei si guardò nello schermo e non capendo cosa stesse facendo si limitò a dire

-Ciao!

Salutando con la mano. Lui smise di registrare e fu come se spegnesse anche il suo sorriso. Guardò Monica con uno sguardo scontroso e disse

-Sia chiaro, tu non dormirai nel mio letto. Vai sul divano.

Lei rimase zitta, ma che problemi aveva quello?

-Ma scusa hai detto...

-Non credere a niente di quello che dico quando registro, non me ne frega niente del tuo appassionante viaggio da... da dove vieni Spagna, India?

-Sono italiana e comunque mi chiamo Monica!

-Ah, interessante ora vattene,e non entrare mai più in questa stanza. Puoi stare sul divano e cucinare se vuoi, puoi usare il bagno e nient' altro, chiaro?

-Chiaro.

Rispose, andò in sala e sistemò la valigia vicino al divano. 

-Che stronzo!

Disse  a bassa voce. Ora capiva perchè la madre li odiava e perchè li chiamavano manichini. Passavano le giornate a fotografarsi e registrarsi fingendo sempre di essere sorridenti e gentili. Dopo un po' gli occhi iniziarono a chiudersi, era stanchissima! Si sdraiò sul divano e dopo neanche 3 secondi si addormentò.

 

 

   
 
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