Uploaded with ImageShack.us
CAPITOLO
26:
Le giornate si
susseguirono velocemente, il signor Williams recuperava in fretta e, dopo una
settimana dal nostro arrivo, venne dimesso.
Constance volle
organizzare una cena tutti insieme visto che, tra l’altro, io e Chris il giorno
successivo saremmo ripartiti per Santa Barbara.
Alla cena invitarono
anche i miei genitori e Shereen che, in pratica, non avevo visto da quando ero
tornata a Phoenix.
Io e Chris eravamo
sempre rimasti a dormire in casa Williams e quelle poche volte che eravamo
andati dai miei genitori, Shereen era sempre fuori. Grazie al cielo, anche
quella sera lei non ci sarebbe stata. Mamma aveva detto che era alla festa di
laurea di una sua vecchia compagna del liceo.
La cena sarebbe stata
davvero imbarazzante se anche mia sorella ne avesse preso parte.
In definitiva però fu
una bella serata. Parlammo del più e del meno e l’atmosfera intorno alla
tavola, fu sempre allegra e spensierata.
Io ero seduta tra
Chris e Jenna e, dall’altro lato della ragazza, c’era Max: il compagno di corso
che avevo incontrato all’ospedale la settimana prima.
Che tra i due ci
fosse qualcosa era palese e ne fui davvero contenta perché Jenna se lo meritava
e Max sembrava davvero un tipo a posto. Era veramente simpatico e non fece
altro che tenere banco con Chris e Adam per tutta la sera.
Verso fine serata mia
madre mi chiese di andare a prendere il dessert che aveva preparato, così mi
avviai in cucina e, dopo qualche istante, Adam mi raggiunse.
«Ehi, mammina!» mi
salutò l’uomo.
Io scossi la testa
divertita e ricambiai il saluto.
«Sai, mi dispiace che
tu e Chris domani ripartirete; ormai mi ero abituato ad avervi tra i piedi».
«Tra i piedi?» gli feci eco fingendomi stizzita.
Lui mi rivolse il suo
solito sorriso strafottente e a me venne voglia di tirargli una fetta di dolce
in faccia.
«Ammettilo che
sentirai tantissimo la nostra mancanza».
«Nah, Chris è un
rompipalle e ce l’ho avuto intorno per tutta la vita, mi mancherete di più tu e
la mia nipotina».
«Ah, certo. Dai,
aiutami con questo, prima che si chiedano se ci stiamo spazzolando noi il dolce
di mia madre».
«Agli ordini, capo».
Risi e poi ci avviammo nuovamente nella sala da pranzo,
dove gli altri continuavano a chiacchierare amabilmente.
Quando ripresi posto,
Chris mi posò un bacio sulla guancia ed io mi voltai a guardarlo.
Lui sorrideva. Aveva
quel sorriso di cui mi ero innamorata all’inizio e che, per troppo tempo, non
avevo più visto sul suo viso. Mio Dio, quanto mi era mancato.
«Cosa c’è, Chris?»
sussurrai nascondendomi dietro la cascata dei miei capelli castani e
guardandolo negli occhi.
«Niente, io… io ti
amo. Ti amo più della mia vita e più di qualsiasi altra cosa al mondo. E anche
mesi fa, quando già ti amavo, non credevo che avrei potuto farlo di più, mentre
ora… mi sembra che l’amore che provo per te aumenti ogni giorno di più,
Chelsea. E non potrei mai rinunciarci, né vivere senza di te. Non voglio mai
più passare un solo giorno lontano da te e da nostra figlia».
Quelle parole mi
lasciarono senza fiato. Avrei voluto baciarlo, anzi… in realtà avrei voluto
fare molto più che baciarlo, ma eravamo seduti ad un tavolo pieno di gente con
le nostre famiglie e forse non era proprio il caso.
Gli sorrisi e gli
accarezzai il volto, cercando di trasmettere, in quel gesto, tutto l’amore che
provavo per lui, ma in realtà non vedevo l’ora di restare da sola con Chris.
Non appena la cena
giunse al termine, i miei genitori e Max
andarono via; Julie, la ragazza di Pete, invece, sarebbe rimasta a
dormire e anche Megan e Jethro ripresero la strada di casa.
Salutai calorosamente
i miei genitori, dato che il giorno dopo saremmo ripartiti, così li strinsi
forte e diedi loro un bacio, promettendo che avrei chiamato non appena saremmo
arrivati a Santa Barbara.
«Ti voglio tanto
bene, tesoro mio… » mi sussurrò mio padre un attimo prima di uscire dalla porta
di casa Williams.
«Anch’io, papà»
sussurrai.
Quando si allontanò
fu come se sentissi un vuoto e, senza che nemmeno me ne potessi rendere conto,
il ricordo del nonno e del suo calore si fece più vivo che mai. Il dolore mi
assalì di nuovo intrappolandomi in una morsa gelida e le immagini di quella
sera mi passarono davanti agli occhi.
Io che lo baciavo
sulla testa e mi avvicinavo a lui, posandogli il viso sul petto senza sentire
il battito del suo cuore. Le mie grida, le braccia di Chris che mi stringevano
forte, cercando di farmi allontanare dal suo guscio vuoto.
Istintivamente,
cercai il ragazzo, gli occhi pieni di lacrime, ma nella stanza non c’era. Avevo
bisogno di lui in quel momento; era l’unico che sarebbe riuscito a calmarmi.
Cercando di non
mostrare il mio viso a Jenna e Pete, poco distanti da me, uscii dalla sala da
pranzo e vidi Chris in cima alle scale che parlava con Adam.
Salii la rampa
cercando di fare il più in fretta possibile, tanto che quando i due ragazzi mi
videro, mi osservarono preoccupati. Non potevano vedere i miei occhi pieni di
lacrime perché stavo guardando in basso, ma Chris mi intimò di non correre
lungo le scale altrimenti potevo rischiare di cadere. Ignorandolo, mi
precipitai tra le sue braccia, stringendomi forte al suo petto.
«Chelsea! Che cosa
succede? Che hai?».
Automaticamente, le
braccia del ragazzo si chiusero attorno a me, restituendomi l’abbraccio in cui
lo avevo intrappolato.
Incastrai la testa
nell’incavo tra la sua spalla e il suo viso, respirando a pieni polmoni il suo
odore che avevo imparato ad amare e che aveva sempre un effetto calmante su di
me.
Chris probabilmente
sentì le mie lacrime sulla sua pelle perché la sua voce si fece spaventata.
«Perché stai
piangendo? Amore, dimmi cosa succede, ti prego!».
In quel momento,
percepii anche le mani di Adam posarsi sulla mia schiena e accarezzarmi,
cercando di tranquillizzarmi.
«Chelsea… per favore,
così ci fai preoccupare… » tentò il maggiore dei fratelli Williams.
«Io… scusatemi,
saranno questi stupidi ormoni della gravidanza… Chris… mi manca il nonno… »
sussurrai disperata.
Sentii il ragazzo
sospirare e mi strinse maggiormente a sé.
«Lo so, amore mio… lo
so. Sai cosa? Manca anche a me… ».
Quelle parole ebbero
l’effetto di bloccare le mie lacrime ed io sollevai timidamente lo sguardo fino
ad incontrare gli occhi azzurri di lui.
«Davvero?».
Chris annuì.
«Sì. Tuo nonno era un
uomo davvero straordinario».
Ora più calma, posai
la testa contro il petto di Chris e ascoltai il suo cuore battere regolarmente,
le mani di Adam ora si erano allontanate ed io chiusi gli occhi mentre il
ragazzo che amavo mi accarezzava i capelli con dolcezza.
«Su, tesoro… andiamo
in camera, hai bisogno di riposare, sarai stanca… ».
«Chris, sono incinta,
non malata».
Anche se non riuscivo
a vederlo, ero certa che lui stesse sorridendo tra i miei capelli.
«Questo vuol dire che
devi riposare il doppio».
Sbuffai, rassegnata, e
dopo aver salutato Adam, mi diressi con Chris nella nostra stanza da letto…
beh… in realtà nella stanza da letto che una volta era stata di Megan.
Mi spogliai,
indossando il pigiama, dopodiché m’infilai sotto le coperte.
«Come mai ti è
tornato in mente tuo nonno, poco fa?» mi chiese Chris, sdraiandosi al mio
fianco e spegnendo la luce dell’abat-jour.
«Non lo so... è stato
quando ho salutato mio padre. Ho sentito come un vuoto e poi ho pensato a lui…
».
«Ci sono qui io,
amore mio. E mi prenderò sempre cura di te, di voi» disse posandomi una mano sul ventre gonfio.
«Lo so. Avrei solo
voluto… avrei voluto che lui potesse conoscerla» risposi, chinando lo sguardo
nel buio della stanza.
«Lui veglierà sempre
sulla nostra bambina. In qualunque posto si trovi adesso, si assicurerà che non
le capiti mai nulla di male».
Le lacrime tornarono
a farsi strada nei miei occhi nel sentire quelle parole, ma stavolta le
respinsi, non permettendo loro di traboccare.
«Ti amo, Chris».
«Anch’io ti amo,
tesoro».
E rassicurata dal
calore del suo corpo accanto al mio, mi addormentai tra le sue braccia.
La mattina seguente
ce la prendemmo comoda, facemmo colazione con calma e salutammo la famiglia di
Chris, poi il ragazzo riprese la sua auto e si mise alla guida.
Chiamai Ryan per dirgli
che saremmo rientrati nel pomeriggio e lui si disse entusiasta del nostro
ritorno, mentre dallo specchietto retrovisore riuscivo ancora a scorgere la
sagoma di Adam sul ciglio della strada.
Mi sarebbe mancato.
Mi sarebbero mancati tutti loro, ma d’altra parte ero anche felice di tornare a
Santa Barbara e riabbracciare Gale e Ryan. I miei amici mi erano mancati
terribilmente.
Il viaggio trascorse
rapido e senza intoppi e nel giro di qualche ora fummo a casa.
Il panorama assolato
e luminoso della California si stendeva familiare e splendido come sempre
davanti ai miei occhi.
Guardai Chris
sorridendo e lui lo fece di rimando, prendendomi una mano e portandola alle sue
labbra, lasciando un lieve bacio.
Arrivammo poco prima
delle tre del pomeriggio e, prima ancora di mettere piede in casa, sentii
dall’altra parte della porta l’abbaiare festoso di Buster.
Feci scattare la
serratura e subito la sagoma scura del mio cane mi si fiondò addosso, ma Chris si
parò subito tra noi perché probabilmente l’impeto del mio amico a quattro zampe
mi avrebbe fatto cadere a terra.
Il ragazzo riuscì a
mantenere l’equilibro e contenne Buster, che allegro gli scodinzolava intorno.
«Buster!» esclamai
felice, chinandomi per accarezzarlo.
«Sembra che qualcuno
qui sia molto contento di rivederti… » commentò Chris.
Proprio in quel
momento udimmo le voci familiari di Ryan e Gale.
«Ehi, ragazzi!».
A turno ci salutammo,
io strinsi forte Ryan.
«Chelsea… sei
raggiante» disse il mio amico, una volta che ci fummo sciolti dal nostro abbraccio.
I due uomini
portarono di sopra le valige mentre io e Gale ci accomodavamo nel salotto,
cominciando a chiacchierare.
Portare mia figlia in
grembo era un sensazione meravigliosa, ma… cielo, mi sentivo così gonfia e
pesante. Ero lenta nei movimenti e quasi sempre stanca, anche se continuavo a
prendere le pastiglie di ferro per combattere l’anemia e cercavo di dare a vedere quella mia stanchezza
il meno possibile.
Gale continuava a
sorridere e aveva una luce negli occhi che la faceva quasi splendere di luce
propria. Le cose con Ryan dovevano andare veramente bene e questo mi riempì di
felicità. Sia lei che il mio amico uscivano da periodi difficili ed ora…
vederli così innamorati faceva battere il cuore anche a me.
Quando Chris e Ryan
tornarono giù si accomodarono al nostro fianco ed io strinsi una mano di Chris,
sorridendo. Gale fece lo stesso con Ryan.
I due si informarono
sulle condizioni di salute del signor Williams e tirarono un sospiro di
sollievo quando confermammo che ormai Traver era quasi completamente guarito.
Mandai un breve
messaggio a mia madre ed uno a Adam, giusto per informarli che eravamo arrivati
a Santa Barbara. Avrei telefonato loro più tardi.
Parlammo molto, tutti
e quattro insieme, ma notai che qualcosa era cambiato. Qualcosa negli sguardi
che si scambiavano Gale e Ryan. Lanciai un’occhiata alla mano sinistra della
mia amica, controllando se avesse qualche nuovo anello che fino a poche settimane
prima non c’era, ma non vidi nulla.
Ad un certo punto
Ryan prese parola.
«Ragazzi… passare le
giornate con voi è bellissimo e sarebbe fantastico stare qui tutti insieme, ma…
credo sia arrivato il momento per me e Gale di trovarci un posto per conto nostro.
In fin dei conti Danielle sta per arrivare e inoltre… » s’interruppe.
«Inoltre cosa?»
incalzò Chris.
Fu allora che capii
ciò che mi sembrava fosse cambiato da quando noi due eravamo andati via e il
mio cuore perse un battito.
Dopotutto… una donna incinta capisce sempre quando
un’altra è nelle sue stesse condizioni.
Fu Gale a prendere
parola.
«Abbiamo scoperto da
pochi giorni di aspettare anche noi un bambino… ».
L’espressione stupita
di Chris fu impagabile, io invece mi aprii in un sorriso ed abbracciai i miei
amici, felici. Mio dio, era una notizia meravigliosa!
Dopo le
congratulazioni generali, fui io a parlare.
«Quando dovrebbe
nascere?».
«A inizio dicembre.
Avrà la stessa età di Danielle, cresceranno insieme, Chelsea!».
Sorrisi, radiosa.
Mi sentii rassicurata
dalla notizia che la mia bambina avrebbe sempre avuto qualcuno accanto. Che si
trattasse di un maschietto o di una bimba, sarebbero stati importanti l’uno per
l’altra proprio come Ryan lo era per me.
A pranzo furono i due
uomini a cucinare. Già il mio amico era apprensivo a livelli quasi
insopportabili ai primi mesi della mia gravidanza, ma ora che si trattava di
Gale era ai limiti dell’oppressivo.
Così, io e la bionda
restammo comodamente sedute sul divano a chiacchierare di tutto e di niente, con
Buster sdraiato ai miei piedi che ogni tanto lanciava occhiate allegre a me e a
lei, ma per lo più sonnecchiava.
A sera telefonai sia
a mia madre che a Adam e li rassicurai sul fatto che il viaggio fosse andato
bene e che io stavo bene.
Quando Chris ed io
entrammo nella nostra camera, trovammo montata vicino al letto la bellissima
culla che avevamo scelto insieme prima di partire per New York.
«Ryan!» chiamai e lui
arrivò dopo pochi istanti.
«Che succede,
Chelsea?».
«Sei stato tu,
vero?».
«Colpevole. Avanti,
prendetelo come un mio regalo per voi. E poi devo esercitarmi, no?».
«Grazie, Ryan»
rispose Chris, con un gran sorriso.
Entrai in camera, il
ragazzo poco dietro di me si richiuse la porta alle spalle.
Mi avvicinai
lentamente alla culla e la sfiorai appena con la punta delle dita, come se
temessi che al minimo tocco avesse potuto rovinarsi.
Non riuscii ad
impedirmi di correre con la fantasia ed immaginai la piccola dolce creatura che
da lì a poco vi avrebbe trascorso le notti, non più dentro di me per quanto
averla sempre nel mio grembo mi rendesse la persona più felice del mondo.
Non vedevo l’ora di
conoscere la mia piccola Danielle e dagli occhi appassionati di Chris, al mio
fianco, compresi che anche lui stava pensando esattamente le stesse cose.
«Sarà la nostra
principessa e l’ameremo con tutto il cuore».
Annuii e mi alzai in
punta di piedi per baciarlo. Lui mi circondò la vita con le braccia e rispose
dapprima dolcemente, poi con più trasporto, esplorando la mia bocca con la
lingua, in un gioco a cui non ci stancavamo mai di giocare.
Quando ci staccammo,
entrambi col respiro affannoso, Chris posò la fronte contro la mia.
«Ti amo, Chelsea. Ti
amo più della mia vita. E amo Danielle più della mia vita».
«Anch’io, Chris».
Lui sorrise e dopo
qualche minuto ci infilammo sotto le coperte, abbracciati l’uno all’altra.
Il tempo trascorse
più velocemente di quanto riuscissi a rendermi conto; io e Chris avevamo sempre
da fare e spendemmo la maggior parte delle nostre giornate in giro per negozi
che vendevano articoli per neonati. Dal momento che per i primi sei mesi io non
avevo praticamente pensato a nulla, ci trovammo a fare all’ultimo ogni cosa.
Ryan e Gale si erano
trasferiti nella casa di lui, mentre il signor Kenyon e Ben si erano trovati un
appartamento più piccolo. Era stato proprio il padre di Ryan ad avanzare quella
proposta, dicendo che a lui ed al figlio minore, tutto quello spazio non
serviva. Ben non si era lamentato e la prospettiva di diventare zio, anche se
aveva appena compiuto solo dodici anni, aveva contribuito ad addolcirlo e a
ridonargli quel sorriso che aveva perso alla morte della madre.
Così, io entrai nel
mio ottavo mese di gravidanza, ormai era il venticinque aprile e la mia bambina
sarebbe dovuta nascere esattamente tra un mese. Avremmo festeggiato il
compleanno in date vicine, dato che il mio era il quindici maggio e la scadenza
della gravidanza era prevista per il venticinque di quel mese, ma a volte la
mia piccola scalciava così tanto che avevo come l’impressione che volesse
uscire prima a tutti i costi.
Chris diceva che una
volta cresciuta avremmo dovuto tenerla d’occhio, prima che si ritrovasse uno
stuolo di corteggiatori che lui e lo zio Adam avrebbero dovuto provvedere a
mandare via a calci.
Ridevo sempre ogni
volta in cui Chris diceva quel genere di cose. Sarebbe stato davvero un papà
apprensivo, ma meraviglioso.
Così, la giornata
passò in fretta. Di comune accordo, avevamo deciso che i primi mesi, la culla
di Danielle sarebbe rimasta nella nostra stanza, ma poi l’avremmo spostata in
quella attigua.
Ormai tutto era pronto, in un solo mese
eravamo riusciti a fare veramente tanto e la casa era a prova di bambino, con
tutto ciò che ci sarebbe servito.
Andammo a letto
stanchi quella sera ed io mi addormentai subito.
Qualche ora dopo, fu
una fitta a svegliarmi. Era da qualche giorno che mi succedeva, ma avevo
evitato di dirlo a Chris per paura che andasse nel panico. Mi posai una mano
sul ventre, ma poi, sentii qualcosa di caldo e viscoso colarmi lungo le gambe
e, improvvisamente, scattai a sedere sul letto, terrorizzata. Accesi la luce
dell’abat-jour e, con orrore, notai la pozza di sangue che andava allargandosi
sempre di più tra le lenzuola.
Il cuore mi balzò in
gola ed io scossi Chris, che, nonostante tutto, aveva continuato a dormire.
«Chris!», lo chiamai,
scrollandogli una spalla.
Lui aprì gli occhi,
ancora mezzo addormentato.
«Chelsea, che cosa
succede?», la sua voce era assonnata, forse non si era reso ancora conto della
situazione.
«C’è qualcosa che non
va con la bambina».
Immediatamente, saltò
fuori dal letto e, vedendo il sangue tra le mie gambe, impallidì.
«Ti porto in ospedale,
d’accordo?», gli feci cenno di sì con la testa, le lacrime cominciarono a
premere contro le palpebre, ma le respinsi.
Dopo un minuto
eravamo già in macchina; Chris sfrecciava veloce lungo la strada deserta; erano
appena le due di mattina.
Io mi tenevo il
ventre, che mandava fitte atroci sempre più spesso.
«Chris… ah! Chris, la
sto perdendo», dissi con la voce rotta dalla paura e dal dolore.
Se possibile, lui
sbiancò ulteriormente e la sua mascella s’irrigidì.
«No. No, amore mio,
cerca di non farti sopraffare e fai dei respiri profondi, ok? Nostra figlia
starà bene, vedrai. Lei è forte… proprio come sua madre».
Annuii pesantemente
e, dopo qualche minuto, Chris entrò nel parcheggio dell’ospedale, dal lato del
pronto soccorso.
Subito, un’équipe ci
venne incontro e mi portarono dentro con una sedia a rotelle.
Ciò che accadde dopo,
fu veloce e confuso.
Riuscii solo a
captare le parole “distacco della placenta” e “cesareo” e ancora, “sala
operatoria”, ma cominciavo a perdere le forze e non ce la feci a mettere
insieme tutto il discorso.
Un medico uscì per
parlare con Chris, il quale dovette rimanere fuori ed io cominciai ad agitarmi
perché lo volevo lì con me.
Quando il dottore
rientrò, fece un cenno affermativo agli altri, così, venni trasportata in quella
che presupponevo essere una sala operatoria.
Avevo le palpebre
pesanti, il dolore al ventre si era attenuato, ma mi sentivo incredibilmente
stanca.
Medici e infermieri
si affannavano intorno a me e, ad un tratto, sentii una puntura al mio braccio,
vidi un’infermiera iniettarmi qualcosa in vena e poi tutto cadde nell’oscurità.
Quando riaprii gli
occhi, l’addome mi faceva un male lancinante e tutto attorno a me era un
intrico di tubi e macchinari.
Non c’era nessun
altro nella stanza.
Suonai il campanello
al mio fianco e, qualche istante dopo, un pallido Ryan, entrò dalla porta.
«Ryan?», chiesi
piuttosto sorpresa di vedere lì il mio amico.
Il suo sguardo era
cupo.
«Ryan… perché hai
quella faccia? Che cosa è successo? Dov’è Chris? Dov’è Danielle?».
Lui mi accarezzò i
capelli e mi diede un bacio sulla fronte.
«Chris è in terapia
intensiva neonatale, con Danielle» quelle parole mi spaventarono a morte e Ryan
lo capì dal mio sguardo, perché aggiunse in fretta: «È piccola, dato che è nata
prematura di un mese, ma in definitiva non ci sono danni, è forte. Dovrà solo
stare nell’incubatrice per un po’, ma Chelsea… è andata bene, lei sta bene. Ce
la farà».
Tirai un respiro di
sollievo e mi lasciai sfuggire qualche lacrima.
«Allora perché hai
quell’espressione?».
«Ti rendi conto che
hai rischiato di morire? Non sapevamo se ti saresti svegliata, Chelsea. Chris
è… è spaventato a morte».
«Allora vai da lui,
Ryan».
«Ma… », m’interruppe
il ragazzo.
«Subito».
Lui annuì.
«Va’ da lui e digli
che mi sono svegliata, per favore».
Ryan uscì e subito
entrò Gale.
«Gale! Ma cosa ci fai
qui?».
La mia voce era
flebile, ero ancora debole e mi portai una mano all’addome dolorante, non più
gonfio come prima. Distrattamente guardai l’orologio. Erano le nove di mattina
del ventisei aprile… e mia figlia era nata.
La mia amica mi venne
subito vicino e, con estrema delicatezza, mi abbracciò.
«Chelsea… eravamo
così preoccupati».
Restituii lievemente
il suo abbraccio, accarezzandole i capelli biondi.
«Grazie per essere
qui, ma adesso devi andare a casa, aspetti un bambino, devi riposare».
«Niente storie, io
sto bene e non mi muovo da qui».
Dopo un istante, la
porta si aprì facendo entrare un pallido Chris, seguito da Ryan. Non appena mi
vide, il ragazzo dapprima chiuse gli occhi, poi si avvicinò a me, baciandomi
prima la fronte, dopo entrambe le guance e infine, lievemente, le labbra.
«Chelsea… » sussurrò
sempre ad occhi chiusi contro i miei capelli.
Gale e Ryan uscirono
dopo un sommesso: «Noi andiamo da Danielle».
Chris li ringraziò,
io annuii. Fu il massimo che riuscii a fare.
Accarezzai i capelli
biondi di Chris e lo guardai negli occhi. Sembrava così stanco.
«Chelsea se ti fosse
successo qualcosa… se fosse successo qualcosa a te o a nostra figlia… ».
«Come sta?» chiesi
preoccupata e vidi Chris rilassarsi leggermente.
«Starà bene. Ora è
così piccola che avrei paura a prenderla in braccio, ma i dottori hanno detto
che è normale nei prematuri, ne capitano spesso e il suo caso non è grave. Eri
tu quella per cui tutti eravamo preoccupati. I medici dicevano che se non ti
fossi svegliata entro due giorni tu… insomma, avresti potuto… » ma le parole
gli morirono in gola ed io gli accarezzai il viso per tranquillizzarlo.
«Sto bene, Chris… sto
bene. Dovevo tornare da te e da nostra figlia».
Gli occhi di Chris si
riempirono di lacrime ed io lo attrassi a me per posargli un bacio sulla
fronte, poi lui respirò a fondo.
«Ho chiamato i tuoi,
un’ora fa. Stanno arrivando».
Annuii.
«E hai avvertito la
tua famiglia?».
«Non ancora».
«Fallo, è giusto che
lo sappiano».
Il ragazzo fece un
cenno di assenso e fu solo quando un medico entrò nella mia stanza per
visitarmi che uscì per chiamare i suoi.
L’uomo disse che non
avevo riportato gravi danni, ma sarei dovuta rimanere in ospedale come minimo
per una settimana, mentre mia figlia nell’incubatrice per un altro mese.
«Posso vederla?»
chiesi speranzosa.
«Mi dispiace,
signorina Gaver… non si può alzare come minimo per tre giorni».
«Ma se mi mettessi su
una sedia a rotelle… ».
«Mi dispiace… »
ripeté di nuovo lui, interrompendomi. «… ora come ora non è possibile, per lei
non è sicuro. Vedremo come starà nei prossimi giorni».
Sospirai, abbattuta.
Non mi avrebbero neanche lasciato vedere mia figlia.
Quando il medico
uscì, Chris rientrò e, vedendomi così triste, fu subito al mio fianco.
«Chelsea, amore, che
cosa succede? Che ha detto il medico?».
«Non mi lasciano
vedere Danielle, Chris. Non mi fanno vedere la mia bambina… ».
Lui mi accarezzò i
capelli, comprensivo.
«Avevo ragione io… ».
Lo osservai, senza
capire, così lui proseguì.
«Ricordi quando
tornai a Santa Barbara, il giorno in cui mi dicesti di aspettarla? La sera ci
mettemmo a fantasticare su come sarebbe stata e… avevo ragione io. È tale e
quale a te. È meravigliosa, piccola e dolce, ma anche forte. Esattamente come
la sua mamma».
Gli strinsi le
braccia attorno al collo, inspirando forte il suo profumo rassicurante.
«Vedrai, tesoro…
andrà tutto bene… » disse accarezzandomi la schiena.
«Presto torneremo a
casa e la nostra bambina starà bene. Staremo tutti bene».
In tarda mattinata
arrivarono i miei genitori, una valanga di preoccupazione e, con mia enorme
sorpresa, con loro c’era anche Shereen. Non vedevo mia sorella da mesi e
adesso… beh, mi fece un certo effetto, soprattutto dal momento in cui venne ad
abbracciare prima me, poi Chris, con sincera preoccupazione.
«Vedi di non farmela
mai più una cosa del genere, d’accordo?» disse mia sorella, con occhi pieni di
ansia.
Le presi una mano tra
le mie e lei la strinse forte con entrambe le sue. Mia madre si era seduta sul
bordo del mio letto dopo avermi tenuta stretta e mio padre era su una sedia
vicina, che continuava ad accarezzarmi i capelli e la schiena.
Dopo un po’ fu Chris
a prendere parola. «Volete conoscere vostra nipote?».
I tre sorrisero e lo
seguirono fuori dalla stanza. Non restai sola per molto però, perché prima che
tornassero, la porta della mia stanza si aprì, facendo entrare mamma e papà
Williams, seguiti a ruota da due esagitati Adam e Jenna.
«Chelsea, tesoro!» mi
abbracciò immediatamente Constance.
A turno ognuno di
loro venne a salutarmi e, brevemente, spiegai loro i fatti di quella notte.
Alle mie parole
impallidirono tutti, ma quello che mi sorprese di più fu Adam, che si nascose
il volto tra le mani.
«Adam…?» lo chiamai,
ma lui non si mosse da quella posizione.
Jenna gli poggiò una
mano sulla spalla e poi puntò i suoi occhi su di me.
«Era solo
preoccupato. Lo eravamo tutti, ha solo bisogno di un momento. Adam, su, andiamo
a conoscere Danielle… » disse la bionda, prendendolo per un braccio.
Quando i due
uscirono, a turno entrò il resto della famiglia Williams per accertarsi delle
mie condizioni.
Cominciavo a sentirmi
stanca e, prima che la mia famiglia e Chris tornassero nella stanza, mi
addormentai con la mano di Constance che mi accarezzava i capelli e quella di
Traver posata sulla mia.
La settimana
trascorse con una lentezza esasperante e fu solo al giorno della dimissione che
mi lasciarono vedere mia figlia. Camminavo tenendo stretto il braccio di Chris
e lui mi sosteneva, solido al mio fianco e sempre pronto a reggermi ad ogni
accenno di incertezza da parte mia.
Ammetto che i miei
movimenti non erano più agili e scattanti come prima, ma dopotutto era normale,
no? Il medico mi aveva assicurato che sarei tornata presto come nuova e io lo
speravo, perché non vedevo l’ora di tenere in braccio la mia piccola e dolce
bambina.
Arrivammo in terapia
intensiva neonatale e non ci fu bisogno che Chris mi indicasse l’incubatrice di
Danielle, perché la riconobbi non appena posai gli occhi su di lei e
dall’emozione quasi mi cedettero le gambe, tanto che Chris si posizionò alle
mie spalle, rafforzando la presa intorno al mio corpo.
«È bellissima»
sussurrai.
«Lo so. Proprio come
sua madre» detto questo mi baciò una tempia.
Guardandomi intorno,
notai come fossimo stati fortunati, perché in terapia intensiva neonatale si
trovavano bambini con problemi ben più gravi, tanto che Danielle sembrava
quella messa meglio, tra tutti. Altre tre settimane e avremmo potuto riportarla
a casa, ci avevano rassicurato i dottori.
Mia figlia sembrava
già più grande rispetto alle foto che Chris mi aveva fatto vedere di lei
all’inizio della settimana precedente e lui, che l’aveva vista con i suoi occhi
fin dall’inizio, me lo confermò.
«Vuoi toccarla?» mi
chiese con un sorriso ed io spalancai gli occhi, sorpresa.
«Posso farlo?».
«Certo, vieni con
me».
Mi condusse in una
stanzetta in cui mi fece indossare un lungo camice rosa sopra ai vestiti e dei
copriscarpe azzurri, poi lui fece lo stesso. Mi disse di legarmi i capelli e poi
entrambi ci lavammo bene le mani, dopodiché, entrammo nel reparto.
C’erano altri
genitori che guardavano i loro figli, che avevano una mano posata
sull’incubatrice e altri che li toccavano attraverso un’apertura a lato di
essa.
Mi sedei accanto alla
mia bambina e, piano, infilai una mano dentro quella apertura circolare.
«Fai pianissimo,
Chelsea… » mi disse Chris, mettendomi una mano sulla spalla.
Guardai da vicino la
mia bambina. Teneva gli occhi chiusi, Chris diceva che non li aveva mai aperti,
ma era vero… lei somigliava a me.
Non appena il mio
dito sfiorò la sua manina semiaperta, la piccola aprì gli occhi, rivelando
quell’azzurro cielo che contemplavo ogni volta che mi guardavo allo specchio.
«Oh, mio Dio!»
esclamai e anche Chris sembrò paralizzato sul posto.
«Ti stava aspettando,
Chelsea… lei stava aspettando solo te. Sa che sei sua madre e che la ami più di
qualsiasi altra cosa al mondo».
Avvertii una leggera
incrinatura nella sua voce.
Alzai la testa fino
ad incontrare i suoi occhi chiari e lui
si chinò a baciarmi.
«Andrà tutto bene…
staremo bene» sussurrò lieve, contro le mie labbra.
Quattro mesi dopo…
Il pianto di Danielle
mi ridestò improvvisamente.
«Chris… » chiamai
debolmente il ragazzo che dormiva al mio fianco.
Lui emise uno strano
verso a metà tra un mugugno e un sospiro.
«Danielle è sveglia»
ripresi.
«Ho sentito… ».
«Non avevi detto che
non avresti voluto perderti neanche un momento della sua vita? Questo è uno di
quei momenti… » dissi ancora assonnata, picchiettandogli la schiena per indurlo
a scendere dal letto.
Chris si alzò
sbadigliando, uscendo dalla stanza. Mi sentivo sempre in colpa svegliandolo, ma
mi ero alzata appena un’ora prima per allattarla e avrei dovuto rifarlo tra due
ore, ero distrutta.
Sentii il pianto della
mia bambina placarsi, Chris le faceva sempre quell’effetto. Era come se
Danielle percepisse l’amore incondizionato che veniva da suo padre e questo
bastava per tranquillizzarla.
Sorrisi senza neanche
rendermene conto e, dopo un momento, risprofondai nel sonno.
Le settimane si
susseguirono velocemente l’una dopo l’altra, da quando era nata mia figlia era come se il tempo scorresse più
velocemente e questo da un lato mi spaventava. Prima che fossi riuscita a
rendermene conto, probabilmente Danielle sarebbe diventata un’esuberante
adolescente piena di corteggiatori proprio come aveva detto Chris. A inizio
settembre ricevemmo una telefonata da Jethro, il marito di Megan, per
informarci che la donna aveva partorito quella notte una bambina che avevano
chiamato Sarah.
Chris andò a
trovarla, ma io non me la sentii di spostare già Danielle per un viaggio di
quattro ore, così restai a casa con la bambina e lui tornò dopo pochi giorni,
portandomi i saluti di tutti e le foto della nuova cuginetta di mia figlia: Sarah
aveva i capelli biondi della madre e gli occhi azzurri del padre.
Una mattina,
risvegliandomi, sentii che c’era qualcosa di diverso, qualcosa che non andava e,
immediatamente, mi rizzai a sedere sul letto.
Silenzio.
«Chris… », ma il mio
compagno si limitò a mugugnare, voltandosi dall’altro lato.
«Chris!» chiamai
allora con più decisione.
«Sono sveglio, sono
sveglio… che succede?» fece peso sui gomiti, alzandosi leggermente e
guardandomi con aria ancora confusa e intontita dal sonno.
«Ascolta… » dissi
allarmata.
Lui lo fece, ma parve
ancora più disorientato di prima.
«Cosa dovrei
ascoltare? Non si sente niente… ».
«Esatto… Danielle non
piange».
Immediatamente, il
ragazzo parve sveglissimo e sgranò gli occhi, un istante dopo eravamo già
balzati giù dal letto, dirigendoci a passo svelto verso la stanza in cui
avevamo sistemato la culla della bambina.
Io indossavo solo una
misera canottiera bianca leggera, data ancora l’alta temperatura californiana e
un paio di culottes dello stesso colore. Chris invece era in boxer.
Fui io la prima ad
arrivare alla culla e, non appena vi guardai dentro credetti che mi sarebbe
venuto un infarto, perché la trovai vuota.
«Chris… » dissi con
voce strozzata, afferrando forte un braccio del ragazzo per non perdere
l’equilibrio.
Lui mi sostenne, ma
un secondo dopo ci eravamo già separati, guardando furiosamente per tutta la
stanza. Ma era impossibile… Danielle non aveva neanche sei mesi e non poteva di
certo essere scesa dalla culla da sola! Non camminava e di sicuro avremmo
sentito il tonfo se fosse caduta.
«Chris, deve essere
entrato qualcuno!» esclamai in preda all’agitazione.
Scendemmo le scale di
corsa, diretti alla porta per vedere se ci fosse qualche segno di effrazione,
ma ciò che trovammo una volta arrivati in salotto fu ben diverso. Adam e Jenna se ne stavano lì,
felici come non mai con nostra figlia tra le braccia, che lanciava gridolini di
gioia alle facce buffe dello zio.
«Ma che diavolo…?!»
tuonò Chris. Sembrava veramente arrabbiato.
«Ehi, fratellino!» lo
salutò Adam.
«Danielle!» esclamai
io, correndo verso mia figlia e prendendola dalle braccia dell’uomo.
«Siete impazziti?!
Entrare così in casa e prendere la bambina! Chelsea ed io abbiamo quasi avuto
un attacco di cuore, stavo per chiamare la polizia! Avreste almeno potuto
avvertirci del vostro arrivo o almeno restare nella sua camera, così vi avremmo
visti subito senza morire di paura!».
Chris mi si avvicinò,
abbracciando me e Danielle, mentre gli altri due Williams avevano un’aria
piuttosto colpevole.
Riempii la mia
bambina di baci; lei sembrava molto divertita dalla situazione, come se il suo
papà stesse giocando a fare il grosso con lo zio.
«Si può sapere come
accidenti avete fatto ad entrare?».
«Oh, quando sono
stato qui per il Ringraziamento, lo scorso anno, Chelsea mi ha fatto vedere
dove stava la chiave di riserva, in giardino».
Chris sbuffò,
osservandomi.
«Ricordami che
dobbiamo cambiare posto».
Non appena le acque
si furono calmate, in fin dei conti fui contenta di rivedere i due, anche se in
quel momento avrei voluto ucciderli. D’altra parte… era da poco dopo la nascita
di mia figlia che non li vedevo.
Solo quando il mio
cervello tornò a ragionare mi resi conto della condizione di semi-nudità in cui
mi trovavo davanti ai miei quasi cognati. E anche Chris si rese conto della
cosa perché, guardando minaccioso il fratello maggiore, esclamò: «Ehi! Smettila
di fissarla con quegli occhi da pesce lesso. Chelsea, vai a metterti qualcosa
addosso, per favore» disse facendomi scudo con il suo corpo.
Lo adoravo quando
faceva il geloso, anche se solo con suo fratello che mai avrebbe fatto qualcosa
per dividerci dopo tutto ciò che c’era voluto per farci stare insieme.
«Sì, fratellino,
anche tu ti prego, altrimenti potresti bloccare la crescita a mia nipote»
rispose prontamente Adam, con il solito ghigno strafottente.
Chris lo fulminò con
un’occhiataccia, ma insieme ci avviammo al piano superiore per vestirci. D’altra parte… la notte appena
trascorsa era stata piuttosto… movimentata sotto le lenzuola e di certo non ci
era passato minimamente per la testa di infilarci il pigiama, subito dopo. Su
una cosa però dovevo dare ragione a Chris: era valsa la pena di aspettare e
fare l’amore con lui adesso era come farlo sempre per la prima volta. Era nuovo
e passionale ed io ero certa che lo avrei amato per tutta la vita, che non
avrei mai avuto abbastanza di lui.
Una volta in camera
da letto, posai Danielle sul materasso e, come se Chris mi avesse letto nel
pensiero, mi osservò con aria… affamata.
In un istante me lo ritrovai addosso, le labbra sulle mie e le mani sotto la
canottiera, mentre accarezzavano la mia pelle con movimenti audaci.
«Chris… non davanti
alla bambina!» cercai di dire, ma quando mi strinse mani intorno al seno, aumentato
di più di una taglia dopo la gravidanza, non riuscii a fare silenzio e gemetti,
inarcandomi contro di lui.
«Chelsea, giuro che
se i miei fratelli adesso non fossero qui ti spoglierei del tutto e ti butterei
sul letto. Dopo aver riportato Danielle nella sua camera ovviamente, perché lei
non può vedere queste cose e di certo non le farà prima di aver compiuto come
minimo trentacinque anni».
Risi, felice.
«Nostra figlia non
avrà certo vita facile con te, vero?».
Proprio in quel
momento, il mio telefono prese a squillare ed io mi staccai dal ragazzo, che
protestò contrariato.
«Ciao, Ryan!» risposi
allegra.
Parlai per qualche
minuto con il mio amico e restammo d’accordo di andare a fare colazione insieme,
avremmo chiesto anche a Jenna e Adam, ovviamente.
Così, dopo un’ora
eravamo tutti presentabili e Danielle aveva appena mangiato, di modo che non si
mettesse a strillare in mezzo alle caotiche strade di Santa Barbara.
Ryan e Gale furono
contenti di rivedere i due fratelli Williams e loro s’informarono sulla
gravidanza della mia amica, la quale avrebbe ormai partorito entro pochi mesi.
E, a tal proposito, era in arrivo un piccolo Kenyon. Sì, un maschietto, che i
due avrebbero chiamato Nicholas: il secondo nome di Ryan.
E lui e Danielle
sarebbero cresciuti insieme e avrebbero avuto quel legame che c’era tra me e
Ryan, ci sarebbero sempre stati l’uno per l’altra.
Fu una bellissima
mattinata, restammo tutti insieme e parlammo di tutto e di niente. Era
meraviglioso stare esattamente nel posto in cui volevo con le persone che più
amavo al mondo.
Guardai Chris e
sorrisi, lui intercettò i miei occhi e mi prese una mano tra le sue.
«Ti amo… » sussurrai
in modo che solo lui potesse sentire.
«Ti amo anch’io,
Chelsea… ».
E andava bene così.
D’ora in poi… tutto sarebbe andato bene.
Note dell’Autrice:
E rieccomi qui… stavolta ho aggiornato prima!
Spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento, come
perfettamente nel mio stile, non poteva non succedere l’ultima disgrazia, ma si
è risolta bene e la piccola Danielle è sana e salva. La scena del brusco
risveglio di Chelsea è stata scritta molti e molti mesi fa ed ora eccola qui.
Ad ogni modo mi auguro di non aver deluso le aspettative di
qualcuno, ormai manca solo l’epilogo, che ho scritto durante tutta questa
settimana. Me la sono presa comoda perché non volevo che ne uscisse una cosa
affrettata e buttata lì.
Diciamo che tutto è andato al suo posto, ma non anticipo
altro.
Con questo, passo e chiudo, lasciando come sempre l’estratto
dal prossimo capitolo e colgo l’occasione per fare tanti tanti tanti tanti
auguri di buon compleanno ad una mia carissima amica che oggi compie gli anni e
che, da quando ci siamo conosciute, ha sempre dato grande supporto a me e alle
mie storie.
Ti ringrazio per tutto ciò che fai e che continui a darmi.
Ok… dopo questo momento catartico, ecco a voi l’estratto dall’epilogo.
A presto!
DALL’EPILOGO:
“Nessuno
mi prestò particolare attenzione ed io presi posto allo sgabello squadrato del
pianoforte e alzai il ripiano che copriva i tasti.
Fu
come tornare indietro nel tempo e in un istante rividi ogni momento: il giorno
in cui mio nonno mi fece sedere sulle sue ginocchia mentre lui, con l’infinita
pazienza che ci vuole per spiegare la musica ad una bambina di cinque anni, mi
indirizzava verso quel mondo magico e meraviglioso.
Rividi
i pomeriggi passati china su quei tasti
suonando dolci melodie di grandi compositori passati. Rividi il mio primo
saggio e nonno Daniel che si alzava in piedi una volta finito il mio pezzo per
applaudire prima ancora dei miei genitori, dicendo a persone estranee sedute vicino
a lui che quella “bambina prodigio”, come amava definirmi, era sua nipote.
Ogni
singolo momento fu come riviverlo in quell’esatto istante ed io fui presa da
un’improvvisa ispirazione”.