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Autore: Clira    21/11/2014    1 recensioni
DAL CAPITOLO 11:
«Hai capito bene, Chelsea. Io… io non lo so. Viviamo sotto lo stesso tetto da tre settimane ormai, ancora un’altra e poi torneremo alle nostre vecchie vite e forse ci lasceremo alle spalle queste assurde vacanze, ma io ricorderò. Io ricorderò ogni singolo istante quando ci incontreremo nei corridoi, in atrio o alla mensa. Ricorderò la tua voce, la musica e la paura. Ricorderò com’è restare senza fiato. Ricorderò il tuo aspetto appena ti svegli la mattina e i tuoi pigiami improponibili. Ricorderò l’odore della tua pelle dopo una doccia e la luce nei tuoi occhi. Ricorderò la ruga che ti si forma sulla fronte mentre ti concentri su qualcosa e il modo buffo che hai di toglierti i capelli dalla faccia soffiandoci sopra. E per me sarà impossibile dimenticare queste settimane. Ma se tu lo vuoi, io farò finta di dimenticare».
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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26  





CAPITOLO 26:

 

Le giornate si susseguirono velocemente, il signor Williams recuperava in fretta e, dopo una settimana dal nostro arrivo, venne dimesso.

Constance volle organizzare una cena tutti insieme visto che, tra l’altro, io e Chris il giorno successivo saremmo ripartiti per Santa Barbara.

Alla cena invitarono anche i miei genitori e Shereen che, in pratica, non avevo visto da quando ero tornata a Phoenix.

Io e Chris eravamo sempre rimasti a dormire in casa Williams e quelle poche volte che eravamo andati dai miei genitori, Shereen era sempre fuori. Grazie al cielo, anche quella sera lei non ci sarebbe stata. Mamma aveva detto che era alla festa di laurea di una sua vecchia compagna del liceo.

La cena sarebbe stata davvero imbarazzante se anche mia sorella ne avesse preso parte.

In definitiva però fu una bella serata. Parlammo del più e del meno e l’atmosfera intorno alla tavola, fu sempre allegra e spensierata.

Io ero seduta tra Chris e Jenna e, dall’altro lato della ragazza, c’era Max: il compagno di corso che avevo incontrato all’ospedale la settimana prima.

Che tra i due ci fosse qualcosa era palese e ne fui davvero contenta perché Jenna se lo meritava e Max sembrava davvero un tipo a posto. Era veramente simpatico e non fece altro che tenere banco con Chris e Adam per tutta la sera.

Verso fine serata mia madre mi chiese di andare a prendere il dessert che aveva preparato, così mi avviai in cucina e, dopo qualche istante, Adam mi raggiunse.

«Ehi, mammina!» mi salutò l’uomo.

Io scossi la testa divertita e ricambiai il saluto.

«Sai, mi dispiace che tu e Chris domani ripartirete; ormai mi ero abituato ad avervi tra i piedi».

«Tra i piedi?» gli feci eco fingendomi stizzita.

Lui mi rivolse il suo solito sorriso strafottente e a me venne voglia di tirargli una fetta di dolce in faccia.

«Ammettilo che sentirai tantissimo la nostra mancanza».

«Nah, Chris è un rompipalle e ce l’ho avuto intorno per tutta la vita, mi mancherete di più tu e la mia nipotina».

«Ah, certo. Dai, aiutami con questo, prima che si chiedano se ci stiamo spazzolando noi il dolce di mia madre».

«Agli ordini, capo».

Risi e poi  ci avviammo nuovamente nella sala da pranzo, dove gli altri continuavano a chiacchierare amabilmente.

Quando ripresi posto, Chris mi posò un bacio sulla guancia ed io mi voltai a guardarlo.

Lui sorrideva. Aveva quel sorriso di cui mi ero innamorata all’inizio e che, per troppo tempo, non avevo più visto sul suo viso. Mio Dio, quanto mi era mancato.

«Cosa c’è, Chris?» sussurrai nascondendomi dietro la cascata dei miei capelli castani e guardandolo negli occhi.

«Niente, io… io ti amo. Ti amo più della mia vita e più di qualsiasi altra cosa al mondo. E anche mesi fa, quando già ti amavo, non credevo che avrei potuto farlo di più, mentre ora… mi sembra che l’amore che provo per te aumenti ogni giorno di più, Chelsea. E non potrei mai rinunciarci, né vivere senza di te. Non voglio mai più passare un solo giorno lontano da te e da nostra figlia».

Quelle parole mi lasciarono senza fiato. Avrei voluto baciarlo, anzi… in realtà avrei voluto fare molto più che baciarlo, ma eravamo seduti ad un tavolo pieno di gente con le nostre famiglie e forse non era proprio il caso.

Gli sorrisi e gli accarezzai il volto, cercando di trasmettere, in quel gesto, tutto l’amore che provavo per lui, ma in realtà non vedevo l’ora di restare da sola con Chris.

Non appena la cena giunse al termine, i miei genitori e Max  andarono via; Julie, la ragazza di Pete, invece, sarebbe rimasta a dormire e anche Megan e Jethro ripresero la strada di casa.

Salutai calorosamente i miei genitori, dato che il giorno dopo saremmo ripartiti, così li strinsi forte e diedi loro un bacio, promettendo che avrei chiamato non appena saremmo arrivati a Santa Barbara.

«Ti voglio tanto bene, tesoro mio… » mi sussurrò mio padre un attimo prima di uscire dalla porta di casa Williams.

«Anch’io, papà» sussurrai.

Quando si allontanò fu come se sentissi un vuoto e, senza che nemmeno me ne potessi rendere conto, il ricordo del nonno e del suo calore si fece più vivo che mai. Il dolore mi assalì di nuovo intrappolandomi in una morsa gelida e le immagini di quella sera mi passarono davanti agli occhi.

Io che lo baciavo sulla testa e mi avvicinavo a lui, posandogli il viso sul petto senza sentire il battito del suo cuore. Le mie grida, le braccia di Chris che mi stringevano forte, cercando di farmi allontanare dal suo guscio vuoto.

Istintivamente, cercai il ragazzo, gli occhi pieni di lacrime, ma nella stanza non c’era. Avevo bisogno di lui in quel momento; era l’unico che sarebbe riuscito a calmarmi.

Cercando di non mostrare il mio viso a Jenna e Pete, poco distanti da me, uscii dalla sala da pranzo e vidi Chris in cima alle scale che parlava con Adam.

Salii la rampa cercando di fare il più in fretta possibile, tanto che quando i due ragazzi mi videro, mi osservarono preoccupati. Non potevano vedere i miei occhi pieni di lacrime perché stavo guardando in basso, ma Chris mi intimò di non correre lungo le scale altrimenti potevo rischiare di cadere. Ignorandolo, mi precipitai tra le sue braccia, stringendomi forte al suo petto.

«Chelsea! Che cosa succede? Che hai?».

Automaticamente, le braccia del ragazzo si chiusero attorno a me, restituendomi l’abbraccio in cui lo avevo intrappolato.

Incastrai la testa nell’incavo tra la sua spalla e il suo viso, respirando a pieni polmoni il suo odore che avevo imparato ad amare e che aveva sempre un effetto calmante su di me.

Chris probabilmente sentì le mie lacrime sulla sua pelle perché la sua voce si fece spaventata.

«Perché stai piangendo? Amore, dimmi cosa succede, ti prego!».

In quel momento, percepii anche le mani di Adam posarsi sulla mia schiena e accarezzarmi, cercando di tranquillizzarmi.

«Chelsea… per favore, così ci fai preoccupare… » tentò il maggiore dei fratelli Williams.

«Io… scusatemi, saranno questi stupidi ormoni della gravidanza… Chris… mi manca il nonno… » sussurrai disperata.

Sentii il ragazzo sospirare e mi strinse maggiormente a sé.

«Lo so, amore mio… lo so. Sai cosa? Manca anche a me… ».

Quelle parole ebbero l’effetto di bloccare le mie lacrime ed io sollevai timidamente lo sguardo fino ad incontrare gli occhi azzurri di lui.

«Davvero?».

Chris annuì.

«Sì. Tuo nonno era un uomo davvero straordinario».

Ora più calma, posai la testa contro il petto di Chris e ascoltai il suo cuore battere regolarmente, le mani di Adam ora si erano allontanate ed io chiusi gli occhi mentre il ragazzo che amavo mi accarezzava i capelli con dolcezza.

«Su, tesoro… andiamo in camera, hai bisogno di riposare, sarai stanca… ».

«Chris, sono incinta, non malata».

Anche se non riuscivo a vederlo, ero certa che lui stesse sorridendo tra i miei capelli.

«Questo vuol dire che devi riposare il doppio».

Sbuffai, rassegnata, e dopo aver salutato Adam, mi diressi con Chris nella nostra stanza da letto… beh… in realtà nella stanza da letto che una volta era stata di Megan.

Mi spogliai, indossando il pigiama, dopodiché m’infilai sotto le coperte.

«Come mai ti è tornato in mente tuo nonno, poco fa?» mi chiese Chris, sdraiandosi al mio fianco e spegnendo la luce dell’abat-jour.

«Non lo so... è stato quando ho salutato mio padre. Ho sentito come un vuoto e poi ho pensato a lui… ».

«Ci sono qui io, amore mio. E mi prenderò sempre cura di te, di voi» disse posandomi una mano sul ventre gonfio.

«Lo so. Avrei solo voluto… avrei voluto che lui potesse conoscerla» risposi, chinando lo sguardo nel buio della stanza.

«Lui veglierà sempre sulla nostra bambina. In qualunque posto si trovi adesso, si assicurerà che non le capiti mai nulla di male».

Le lacrime tornarono a farsi strada nei miei occhi nel sentire quelle parole, ma stavolta le respinsi, non permettendo loro di traboccare.

«Ti amo, Chris».

«Anch’io ti amo, tesoro».

E rassicurata dal calore del suo corpo accanto al mio, mi addormentai tra le sue braccia.

La mattina seguente ce la prendemmo comoda, facemmo colazione con calma e salutammo la famiglia di Chris, poi il ragazzo riprese la sua auto e si mise alla guida.

Chiamai Ryan per dirgli che saremmo rientrati nel pomeriggio e lui si disse entusiasta del nostro ritorno, mentre dallo specchietto retrovisore riuscivo ancora a scorgere la sagoma di Adam sul ciglio della strada.

Mi sarebbe mancato. Mi sarebbero mancati tutti loro, ma d’altra parte ero anche felice di tornare a Santa Barbara e riabbracciare Gale e Ryan. I miei amici mi erano mancati terribilmente.

Il viaggio trascorse rapido e senza intoppi e nel giro di qualche ora fummo a casa.

Il panorama assolato e luminoso della California si stendeva familiare e splendido come sempre davanti ai miei occhi.

Guardai Chris sorridendo e lui lo fece di rimando, prendendomi una mano e portandola alle sue labbra, lasciando un lieve bacio.

Arrivammo poco prima delle tre del pomeriggio e, prima ancora di mettere piede in casa, sentii dall’altra parte della porta l’abbaiare festoso di Buster.

Feci scattare la serratura e subito la sagoma scura del mio cane mi si fiondò addosso, ma Chris si parò subito tra noi perché probabilmente l’impeto del mio amico a quattro zampe mi avrebbe fatto cadere a terra.

Il ragazzo riuscì a mantenere l’equilibro e contenne Buster, che allegro gli scodinzolava intorno.

«Buster!» esclamai felice, chinandomi per accarezzarlo.

«Sembra che qualcuno qui sia molto contento di rivederti… » commentò Chris.

Proprio in quel momento udimmo le voci familiari di Ryan e Gale.

«Ehi, ragazzi!».

A turno ci salutammo, io strinsi forte Ryan.

«Chelsea… sei raggiante» disse il mio amico, una volta che ci fummo sciolti dal nostro abbraccio.

I due uomini portarono di sopra le valige mentre io e Gale ci accomodavamo nel salotto, cominciando a chiacchierare.

Portare mia figlia in grembo era un sensazione meravigliosa, ma… cielo, mi sentivo così gonfia e pesante. Ero lenta nei movimenti e quasi sempre stanca, anche se continuavo a prendere le pastiglie di ferro per combattere l’anemia e  cercavo di dare a vedere quella mia stanchezza il meno possibile.

Gale continuava a sorridere e aveva una luce negli occhi che la faceva quasi splendere di luce propria. Le cose con Ryan dovevano andare veramente bene e questo mi riempì di felicità. Sia lei che il mio amico uscivano da periodi difficili ed ora… vederli così innamorati faceva battere il cuore anche a me.

Quando Chris e Ryan tornarono giù si accomodarono al nostro fianco ed io strinsi una mano di Chris, sorridendo. Gale fece lo stesso con Ryan.

I due si informarono sulle condizioni di salute del signor Williams e tirarono un sospiro di sollievo quando confermammo che ormai Traver era quasi completamente guarito.

Mandai un breve messaggio a mia madre ed uno a Adam, giusto per informarli che eravamo arrivati a Santa Barbara. Avrei telefonato loro più tardi.

Parlammo molto, tutti e quattro insieme, ma notai che qualcosa era cambiato. Qualcosa negli sguardi che si scambiavano Gale e Ryan. Lanciai un’occhiata alla mano sinistra della mia amica, controllando se avesse qualche nuovo anello che fino a poche settimane prima non c’era, ma non vidi nulla.

Ad un certo punto Ryan prese parola.

«Ragazzi… passare le giornate con voi è bellissimo e sarebbe fantastico stare qui tutti insieme, ma… credo sia arrivato il momento per me e Gale di trovarci un posto per conto nostro. In fin dei conti Danielle sta per arrivare e inoltre… » s’interruppe.

«Inoltre cosa?» incalzò Chris.

Fu allora che capii ciò che mi sembrava fosse cambiato da quando noi due eravamo andati via e il mio cuore perse un battito.

Dopotutto… una donna incinta capisce sempre quando un’altra è nelle sue stesse condizioni.

Fu Gale a prendere parola.

«Abbiamo scoperto da pochi giorni di aspettare anche noi un bambino… ».

L’espressione stupita di Chris fu impagabile, io invece mi aprii in un sorriso ed abbracciai i miei amici, felici. Mio dio, era una notizia meravigliosa!

Dopo le congratulazioni generali, fui io a parlare.

«Quando dovrebbe nascere?».

«A inizio dicembre. Avrà la stessa età di Danielle, cresceranno insieme, Chelsea!».

Sorrisi, radiosa.

Mi sentii rassicurata dalla notizia che la mia bambina avrebbe sempre avuto qualcuno accanto. Che si trattasse di un maschietto o di una bimba, sarebbero stati importanti l’uno per l’altra proprio come Ryan lo era per me.

A pranzo furono i due uomini a cucinare. Già il mio amico era apprensivo a livelli quasi insopportabili ai primi mesi della mia gravidanza, ma ora che si trattava di Gale era ai limiti dell’oppressivo.

Così, io e la bionda restammo comodamente sedute sul divano a chiacchierare di tutto e di niente, con Buster sdraiato ai miei piedi che ogni tanto lanciava occhiate allegre a me e a lei, ma per lo più sonnecchiava.

A sera telefonai sia a mia madre che a Adam e li rassicurai sul fatto che il viaggio fosse andato bene e che io stavo bene.

Quando Chris ed io entrammo nella nostra camera, trovammo montata vicino al letto la bellissima culla che avevamo scelto insieme prima di partire per New York.

«Ryan!» chiamai e lui arrivò dopo pochi istanti.

«Che succede, Chelsea?».

«Sei stato tu, vero?».

«Colpevole. Avanti, prendetelo come un mio regalo per voi. E poi devo esercitarmi, no?».

«Grazie, Ryan» rispose Chris, con un gran sorriso.

Entrai in camera, il ragazzo poco dietro di me si richiuse la porta alle spalle.

Mi avvicinai lentamente alla culla e la sfiorai appena con la punta delle dita, come se temessi che al minimo tocco avesse potuto rovinarsi.

Non riuscii ad impedirmi di correre con la fantasia ed immaginai la piccola dolce creatura che da lì a poco vi avrebbe trascorso le notti, non più dentro di me per quanto averla sempre nel mio grembo mi rendesse la persona più felice del mondo.

Non vedevo l’ora di conoscere la mia piccola Danielle e dagli occhi appassionati di Chris, al mio fianco, compresi che anche lui stava pensando esattamente le stesse cose.

«Sarà la nostra principessa e l’ameremo con tutto il cuore».

Annuii e mi alzai in punta di piedi per baciarlo. Lui mi circondò la vita con le braccia e rispose dapprima dolcemente, poi con più trasporto, esplorando la mia bocca con la lingua, in un gioco a cui non ci stancavamo mai di giocare.

Quando ci staccammo, entrambi col respiro affannoso, Chris posò la fronte contro la mia.

«Ti amo, Chelsea. Ti amo più della mia vita. E amo Danielle più della mia vita».

«Anch’io, Chris».

Lui sorrise e dopo qualche minuto ci infilammo sotto le coperte, abbracciati l’uno all’altra.

 

Il tempo trascorse più velocemente di quanto riuscissi a rendermi conto; io e Chris avevamo sempre da fare e spendemmo la maggior parte delle nostre giornate in giro per negozi che vendevano articoli per neonati. Dal momento che per i primi sei mesi io non avevo praticamente pensato a nulla, ci trovammo a fare all’ultimo ogni cosa.

Ryan e Gale si erano trasferiti nella casa di lui, mentre il signor Kenyon e Ben si erano trovati un appartamento più piccolo. Era stato proprio il padre di Ryan ad avanzare quella proposta, dicendo che a lui ed al figlio minore, tutto quello spazio non serviva. Ben non si era lamentato e la prospettiva di diventare zio, anche se aveva appena compiuto solo dodici anni, aveva contribuito ad addolcirlo e a ridonargli quel sorriso che aveva perso alla morte della madre.

Così, io entrai nel mio ottavo mese di gravidanza, ormai era il venticinque aprile e la mia bambina sarebbe dovuta nascere esattamente tra un mese. Avremmo festeggiato il compleanno in date vicine, dato che il mio era il quindici maggio e la scadenza della gravidanza era prevista per il venticinque di quel mese, ma a volte la mia piccola scalciava così tanto che avevo come l’impressione che volesse uscire prima a tutti i costi.

Chris diceva che una volta cresciuta avremmo dovuto tenerla d’occhio, prima che si ritrovasse uno stuolo di corteggiatori che lui e lo zio Adam avrebbero dovuto provvedere a mandare via a calci.

Ridevo sempre ogni volta in cui Chris diceva quel genere di cose. Sarebbe stato davvero un papà apprensivo, ma meraviglioso.

Così, la giornata passò in fretta. Di comune accordo, avevamo deciso che i primi mesi, la culla di Danielle sarebbe rimasta nella nostra stanza, ma poi l’avremmo spostata in quella attigua.

 Ormai tutto era pronto, in un solo mese eravamo riusciti a fare veramente tanto e la casa era a prova di bambino, con tutto ciò che ci sarebbe servito.

Andammo a letto stanchi quella sera ed io mi addormentai subito.

 

Qualche ora dopo, fu una fitta a svegliarmi. Era da qualche giorno che mi succedeva, ma avevo evitato di dirlo a Chris per paura che andasse nel panico. Mi posai una mano sul ventre, ma poi, sentii qualcosa di caldo e viscoso colarmi lungo le gambe e, improvvisamente, scattai a sedere sul letto, terrorizzata. Accesi la luce dell’abat-jour e, con orrore, notai la pozza di sangue che andava allargandosi sempre di più tra le lenzuola.

Il cuore mi balzò in gola ed io scossi Chris, che, nonostante tutto, aveva continuato a dormire.

«Chris!», lo chiamai, scrollandogli una spalla.

Lui aprì gli occhi, ancora mezzo addormentato.

«Chelsea, che cosa succede?», la sua voce era assonnata, forse non si era reso ancora conto della situazione.

«C’è qualcosa che non va con la bambina».

Immediatamente, saltò fuori dal letto e, vedendo il sangue tra le mie gambe, impallidì.

«Ti porto in ospedale, d’accordo?», gli feci cenno di sì con la testa, le lacrime cominciarono a premere contro le palpebre, ma le respinsi.

Dopo un minuto eravamo già in macchina; Chris sfrecciava veloce lungo la strada deserta; erano appena le due di mattina.

Io mi tenevo il ventre, che mandava fitte atroci sempre più spesso.

«Chris… ah! Chris, la sto perdendo», dissi con la voce rotta dalla paura e dal dolore.

Se possibile, lui sbiancò ulteriormente e la sua mascella s’irrigidì.

«No. No, amore mio, cerca di non farti sopraffare e fai dei respiri profondi, ok? Nostra figlia starà bene, vedrai. Lei è forte… proprio come sua madre».

Annuii pesantemente e, dopo qualche minuto, Chris entrò nel parcheggio dell’ospedale, dal lato del pronto soccorso.

Subito, un’équipe ci venne incontro e mi portarono dentro con una sedia a rotelle.

Ciò che accadde dopo, fu veloce e confuso.

Riuscii solo a captare le parole “distacco della placenta” e “cesareo” e ancora, “sala operatoria”, ma cominciavo a perdere le forze e non ce la feci a mettere insieme tutto il discorso.

Un medico uscì per parlare con Chris, il quale dovette rimanere fuori ed io cominciai ad agitarmi perché lo volevo lì con me.

Quando il dottore rientrò, fece un cenno affermativo agli altri, così, venni trasportata in quella che presupponevo essere una sala operatoria.

Avevo le palpebre pesanti, il dolore al ventre si era attenuato, ma mi sentivo incredibilmente stanca.

Medici e infermieri si affannavano intorno a me e, ad un tratto, sentii una puntura al mio braccio, vidi un’infermiera iniettarmi qualcosa in vena e poi tutto cadde nell’oscurità.

 

Quando riaprii gli occhi, l’addome mi faceva un male lancinante e tutto attorno a me era un intrico di tubi e macchinari.

Non c’era nessun altro nella stanza.

Suonai il campanello al mio fianco e, qualche istante dopo, un pallido Ryan, entrò dalla porta.

«Ryan?», chiesi piuttosto sorpresa di vedere lì il mio amico.

Il suo sguardo era cupo.

«Ryan… perché hai quella faccia? Che cosa è successo? Dov’è Chris? Dov’è Danielle?».

Lui mi accarezzò i capelli e mi diede un bacio sulla fronte.

«Chris è in terapia intensiva neonatale, con Danielle» quelle parole mi spaventarono a morte e Ryan lo capì dal mio sguardo, perché aggiunse in fretta: «È piccola, dato che è nata prematura di un mese, ma in definitiva non ci sono danni, è forte. Dovrà solo stare nell’incubatrice per un po’, ma Chelsea… è andata bene, lei sta bene. Ce la farà».

Tirai un respiro di sollievo e mi lasciai sfuggire qualche lacrima.

«Allora perché hai quell’espressione?».

«Ti rendi conto che hai rischiato di morire? Non sapevamo se ti saresti svegliata, Chelsea. Chris è… è spaventato a morte».

«Allora vai da lui, Ryan».

«Ma… », m’interruppe il ragazzo.

«Subito».

Lui annuì.

«Va’ da lui e digli che mi sono svegliata, per favore».

Ryan uscì e subito entrò Gale.

«Gale! Ma cosa ci fai qui?».

La mia voce era flebile, ero ancora debole e mi portai una mano all’addome dolorante, non più gonfio come prima. Distrattamente guardai l’orologio. Erano le nove di mattina del ventisei aprile… e mia figlia era nata.

La mia amica mi venne subito vicino e, con estrema delicatezza, mi abbracciò.

«Chelsea… eravamo così preoccupati».

Restituii lievemente il suo abbraccio, accarezzandole i capelli biondi.

«Grazie per essere qui, ma adesso devi andare a casa, aspetti un bambino, devi riposare».

«Niente storie, io sto bene e non mi muovo da qui».

Dopo un istante, la porta si aprì facendo entrare un pallido Chris, seguito da Ryan. Non appena mi vide, il ragazzo dapprima chiuse gli occhi, poi si avvicinò a me, baciandomi prima la fronte, dopo entrambe le guance e infine, lievemente, le labbra.

«Chelsea… » sussurrò sempre ad occhi chiusi contro i miei capelli.

Gale e Ryan uscirono dopo un sommesso: «Noi andiamo da Danielle».

Chris li ringraziò, io annuii. Fu il massimo che riuscii a fare.

Accarezzai i capelli biondi di Chris e lo guardai negli occhi. Sembrava così stanco.

«Chelsea se ti fosse successo qualcosa… se fosse successo qualcosa a te o a nostra figlia… ».

«Come sta?» chiesi preoccupata e vidi Chris rilassarsi leggermente.

«Starà bene. Ora è così piccola che avrei paura a prenderla in braccio, ma i dottori hanno detto che è normale nei prematuri, ne capitano spesso e il suo caso non è grave. Eri tu quella per cui tutti eravamo preoccupati. I medici dicevano che se non ti fossi svegliata entro due giorni tu… insomma, avresti potuto… » ma le parole gli morirono in gola ed io gli accarezzai il viso per tranquillizzarlo.

«Sto bene, Chris… sto bene. Dovevo tornare da te e da nostra figlia».

Gli occhi di Chris si riempirono di lacrime ed io lo attrassi a me per posargli un bacio sulla fronte, poi lui respirò a fondo.

«Ho chiamato i tuoi, un’ora fa. Stanno arrivando».

Annuii.

«E hai avvertito la tua famiglia?».

«Non ancora».

«Fallo, è giusto che lo sappiano».

Il ragazzo fece un cenno di assenso e fu solo quando un medico entrò nella mia stanza per visitarmi che uscì per chiamare i suoi.

L’uomo disse che non avevo riportato gravi danni, ma sarei dovuta rimanere in ospedale come minimo per una settimana, mentre mia figlia nell’incubatrice per un altro mese.

«Posso vederla?» chiesi speranzosa.

«Mi dispiace, signorina Gaver… non si può alzare come minimo per tre giorni».

«Ma se mi mettessi su una sedia a rotelle… ».

«Mi dispiace… » ripeté di nuovo lui, interrompendomi. «… ora come ora non è possibile, per lei non è sicuro. Vedremo come starà nei prossimi giorni».

Sospirai, abbattuta. Non mi avrebbero neanche lasciato vedere mia figlia.

Quando il medico uscì, Chris rientrò e, vedendomi così triste, fu subito al mio fianco.

«Chelsea, amore, che cosa succede? Che ha detto il medico?».

«Non mi lasciano vedere Danielle, Chris. Non mi fanno vedere la mia bambina… ».

Lui mi accarezzò i capelli, comprensivo.

«Avevo ragione io… ».

Lo osservai, senza capire, così lui proseguì.

«Ricordi quando tornai a Santa Barbara, il giorno in cui mi dicesti di aspettarla? La sera ci mettemmo a fantasticare su come sarebbe stata e… avevo ragione io. È tale e quale a te. È meravigliosa, piccola e dolce, ma anche forte. Esattamente come la sua mamma».

Gli strinsi le braccia attorno al collo, inspirando forte il suo profumo rassicurante.

«Vedrai, tesoro… andrà tutto bene… » disse accarezzandomi la schiena.

«Presto torneremo a casa e la nostra bambina starà bene. Staremo tutti bene».

In tarda mattinata arrivarono i miei genitori, una valanga di preoccupazione e, con mia enorme sorpresa, con loro c’era anche Shereen. Non vedevo mia sorella da mesi e adesso… beh, mi fece un certo effetto, soprattutto dal momento in cui venne ad abbracciare prima me, poi Chris, con sincera preoccupazione.

«Vedi di non farmela mai più una cosa del genere, d’accordo?» disse mia sorella, con occhi pieni di ansia.

Le presi una mano tra le mie e lei la strinse forte con entrambe le sue. Mia madre si era seduta sul bordo del mio letto dopo avermi tenuta stretta e mio padre era su una sedia vicina, che continuava ad accarezzarmi i capelli e la schiena.

Dopo un po’ fu Chris a prendere parola. «Volete conoscere vostra nipote?».

I tre sorrisero e lo seguirono fuori dalla stanza. Non restai sola per molto però, perché prima che tornassero, la porta della mia stanza si aprì, facendo entrare mamma e papà Williams, seguiti a ruota da due esagitati Adam e Jenna.

«Chelsea, tesoro!» mi abbracciò immediatamente Constance.

A turno ognuno di loro venne a salutarmi e, brevemente, spiegai loro i fatti di quella notte.

Alle mie parole impallidirono tutti, ma quello che mi sorprese di più fu Adam, che si nascose il volto tra le mani.

«Adam…?» lo chiamai, ma lui non si mosse da quella posizione.

Jenna gli poggiò una mano sulla spalla e poi puntò i suoi occhi su di me.

«Era solo preoccupato. Lo eravamo tutti, ha solo bisogno di un momento. Adam, su, andiamo a conoscere Danielle… » disse la bionda, prendendolo per un braccio.

Quando i due uscirono, a turno entrò il resto della famiglia Williams per accertarsi delle mie condizioni.

Cominciavo a sentirmi stanca e, prima che la mia famiglia e Chris tornassero nella stanza, mi addormentai con la mano di Constance che mi accarezzava i capelli e quella di Traver posata sulla mia.

 

La settimana trascorse con una lentezza esasperante e fu solo al giorno della dimissione che mi lasciarono vedere mia figlia. Camminavo tenendo stretto il braccio di Chris e lui mi sosteneva, solido al mio fianco e sempre pronto a reggermi ad ogni accenno di incertezza da parte mia.

Ammetto che i miei movimenti non erano più agili e scattanti come prima, ma dopotutto era normale, no? Il medico mi aveva assicurato che sarei tornata presto come nuova e io lo speravo, perché non vedevo l’ora di tenere in braccio la mia piccola e dolce bambina.

Arrivammo in terapia intensiva neonatale e non ci fu bisogno che Chris mi indicasse l’incubatrice di Danielle, perché la riconobbi non appena posai gli occhi su di lei e dall’emozione quasi mi cedettero le gambe, tanto che Chris si posizionò alle mie spalle, rafforzando la presa intorno al mio corpo.

«È bellissima» sussurrai.

«Lo so. Proprio come sua madre» detto questo mi baciò una tempia.

Guardandomi intorno, notai come fossimo stati fortunati, perché in terapia intensiva neonatale si trovavano bambini con problemi ben più gravi, tanto che Danielle sembrava quella messa meglio, tra tutti. Altre tre settimane e avremmo potuto riportarla a casa, ci avevano rassicurato i dottori.

Mia figlia sembrava già più grande rispetto alle foto che Chris mi aveva fatto vedere di lei all’inizio della settimana precedente e lui, che l’aveva vista con i suoi occhi fin dall’inizio, me lo confermò.

«Vuoi toccarla?» mi chiese con un sorriso ed io spalancai gli occhi, sorpresa.

«Posso farlo?».

«Certo, vieni con me».

Mi condusse in una stanzetta in cui mi fece indossare un lungo camice rosa sopra ai vestiti e dei copriscarpe azzurri, poi lui fece lo stesso. Mi disse di legarmi i capelli e poi entrambi ci lavammo bene le mani, dopodiché, entrammo nel reparto.

C’erano altri genitori che guardavano i loro figli, che avevano una mano posata sull’incubatrice e altri che li toccavano attraverso un’apertura a lato di essa.

Mi sedei accanto alla mia bambina e, piano, infilai una mano dentro quella apertura circolare.

«Fai pianissimo, Chelsea… » mi disse Chris, mettendomi una mano sulla spalla.

Guardai da vicino la mia bambina. Teneva gli occhi chiusi, Chris diceva che non li aveva mai aperti, ma era vero… lei somigliava a me.

Non appena il mio dito sfiorò la sua manina semiaperta, la piccola aprì gli occhi, rivelando quell’azzurro cielo che contemplavo ogni volta che mi guardavo allo specchio.

«Oh, mio Dio!» esclamai e anche Chris sembrò paralizzato sul posto.

«Ti stava aspettando, Chelsea… lei stava aspettando solo te. Sa che sei sua madre e che la ami più di qualsiasi altra cosa al mondo».

Avvertii una leggera incrinatura nella sua voce.

Alzai la testa fino ad incontrare i suoi occhi chiari e  lui si chinò a baciarmi.

«Andrà tutto bene… staremo bene» sussurrò lieve, contro le mie labbra.

 

Quattro mesi dopo…

Il pianto di Danielle mi ridestò improvvisamente.

«Chris… » chiamai debolmente il ragazzo che dormiva al mio fianco.

Lui emise uno strano verso a metà tra un mugugno e un sospiro.

«Danielle è sveglia» ripresi.

«Ho sentito… ».

«Non avevi detto che non avresti voluto perderti neanche un momento della sua vita? Questo è uno di quei momenti… » dissi ancora assonnata, picchiettandogli la schiena per indurlo a scendere dal letto.

Chris si alzò sbadigliando, uscendo dalla stanza. Mi sentivo sempre in colpa svegliandolo, ma mi ero alzata appena un’ora prima per allattarla e avrei dovuto rifarlo tra due ore, ero distrutta.

Sentii il pianto della mia bambina placarsi, Chris le faceva sempre quell’effetto. Era come se Danielle percepisse l’amore incondizionato che veniva da suo padre e questo bastava per tranquillizzarla.

Sorrisi senza neanche rendermene conto e, dopo un momento, risprofondai nel sonno.

 

Le settimane si susseguirono velocemente l’una dopo l’altra, da quando era nata  mia figlia era come se il tempo scorresse più velocemente e questo da un lato mi spaventava. Prima che fossi riuscita a rendermene conto, probabilmente Danielle sarebbe diventata un’esuberante adolescente piena di corteggiatori proprio come aveva detto Chris. A inizio settembre ricevemmo una telefonata da Jethro, il marito di Megan, per informarci che la donna aveva partorito quella notte una bambina che avevano chiamato Sarah.

Chris andò a trovarla, ma io non me la sentii di spostare già Danielle per un viaggio di quattro ore, così restai a casa con la bambina e lui tornò dopo pochi giorni, portandomi i saluti di tutti e le foto della nuova cuginetta di mia figlia: Sarah aveva i capelli biondi della madre e gli occhi azzurri del padre.

 

Una mattina, risvegliandomi, sentii che c’era qualcosa di diverso, qualcosa che non andava e, immediatamente, mi rizzai a sedere sul letto.

Silenzio.

«Chris… », ma il mio compagno si limitò a mugugnare, voltandosi dall’altro lato.

«Chris!» chiamai allora con più decisione.

«Sono sveglio, sono sveglio… che succede?» fece peso sui gomiti, alzandosi leggermente e guardandomi con aria ancora confusa e intontita dal sonno.

«Ascolta… » dissi allarmata.

Lui lo fece, ma parve ancora più disorientato di prima.

«Cosa dovrei ascoltare? Non si sente niente… ».

«Esatto… Danielle non piange».

Immediatamente, il ragazzo parve sveglissimo e sgranò gli occhi, un istante dopo eravamo già balzati giù dal letto, dirigendoci a passo svelto verso la stanza in cui avevamo sistemato la culla della bambina.

Io indossavo solo una misera canottiera bianca leggera, data ancora l’alta temperatura californiana e un paio di culottes dello stesso colore. Chris invece era in boxer.

Fui io la prima ad arrivare alla culla e, non appena vi guardai dentro credetti che mi sarebbe venuto un infarto, perché la trovai vuota.

«Chris… » dissi con voce strozzata, afferrando forte un braccio del ragazzo per non perdere l’equilibrio.

Lui mi sostenne, ma un secondo dopo ci eravamo già separati, guardando furiosamente per tutta la stanza. Ma era impossibile… Danielle non aveva neanche sei mesi e non poteva di certo essere scesa dalla culla da sola! Non camminava e di sicuro avremmo sentito il tonfo se fosse caduta.

«Chris, deve essere entrato qualcuno!» esclamai in preda all’agitazione.

Scendemmo le scale di corsa, diretti alla porta per vedere se ci fosse qualche segno di effrazione, ma ciò che trovammo una volta arrivati in salotto fu ben  diverso. Adam e Jenna se ne stavano lì, felici come non mai con nostra figlia tra le braccia, che lanciava gridolini di gioia alle facce buffe dello zio.

«Ma che diavolo…?!» tuonò Chris. Sembrava veramente arrabbiato.

«Ehi, fratellino!» lo salutò Adam.

«Danielle!» esclamai io, correndo verso mia figlia e prendendola dalle braccia dell’uomo.

«Siete impazziti?! Entrare così in casa e prendere la bambina! Chelsea ed io abbiamo quasi avuto un attacco di cuore, stavo per chiamare la polizia! Avreste almeno potuto avvertirci del vostro arrivo o almeno restare nella sua camera, così vi avremmo visti subito senza morire di paura!».

Chris mi si avvicinò, abbracciando me e Danielle, mentre gli altri due Williams avevano un’aria piuttosto colpevole.

Riempii la mia bambina di baci; lei sembrava molto divertita dalla situazione, come se il suo papà stesse giocando a fare il grosso con lo zio.

«Si può sapere come accidenti avete fatto ad entrare?».

«Oh, quando sono stato qui per il Ringraziamento, lo scorso anno, Chelsea mi ha fatto vedere dove stava la chiave di riserva, in giardino».

Chris sbuffò, osservandomi.

«Ricordami che dobbiamo cambiare posto».

Non appena le acque si furono calmate, in fin dei conti fui contenta di rivedere i due, anche se in quel momento avrei voluto ucciderli. D’altra parte… era da poco dopo la nascita di mia figlia che non li vedevo.

Solo quando il mio cervello tornò a ragionare mi resi conto della condizione di semi-nudità in cui mi trovavo davanti ai miei quasi cognati. E anche Chris si rese conto della cosa perché, guardando minaccioso il fratello maggiore, esclamò: «Ehi! Smettila di fissarla con quegli occhi da pesce lesso. Chelsea, vai a metterti qualcosa addosso, per favore» disse facendomi scudo con il suo corpo.

Lo adoravo quando faceva il geloso, anche se solo con suo fratello che mai avrebbe fatto qualcosa per dividerci dopo tutto ciò che c’era voluto per farci stare insieme.

«Sì, fratellino, anche tu ti prego, altrimenti potresti bloccare la crescita a mia nipote» rispose prontamente Adam, con il solito ghigno strafottente.

Chris lo fulminò con un’occhiataccia, ma insieme ci avviammo al piano superiore per  vestirci. D’altra parte… la notte appena trascorsa era stata piuttosto… movimentata sotto le lenzuola e di certo non ci era passato minimamente per la testa di infilarci il pigiama, subito dopo. Su una cosa però dovevo dare ragione a Chris: era valsa la pena di aspettare e fare l’amore con lui adesso era come farlo sempre per la prima volta. Era nuovo e passionale ed io ero certa che lo avrei amato per tutta la vita, che non avrei mai avuto abbastanza di lui.

Una volta in camera da letto, posai Danielle sul materasso e, come se Chris mi avesse letto nel pensiero, mi osservò con aria… affamata. In un istante me lo ritrovai addosso, le labbra sulle mie e le mani sotto la canottiera, mentre accarezzavano la mia pelle con movimenti audaci.

«Chris… non davanti alla bambina!» cercai di dire, ma quando mi strinse mani intorno al seno, aumentato di più di una taglia dopo la gravidanza, non riuscii a fare silenzio e gemetti, inarcandomi contro di lui.

«Chelsea, giuro che se i miei fratelli adesso non fossero qui ti spoglierei del tutto e ti butterei sul letto. Dopo aver riportato Danielle nella sua camera ovviamente, perché lei non può vedere queste cose e di certo non le farà prima di aver compiuto come minimo trentacinque anni».

Risi, felice.

«Nostra figlia non avrà certo vita facile con te, vero?».

Proprio in quel momento, il mio telefono prese a squillare ed io mi staccai dal ragazzo, che protestò contrariato.

«Ciao, Ryan!» risposi allegra.

Parlai per qualche minuto con il mio amico e restammo d’accordo di andare a fare colazione insieme, avremmo chiesto anche a Jenna e Adam, ovviamente.

Così, dopo un’ora eravamo tutti presentabili e Danielle aveva appena mangiato, di modo che non si mettesse a strillare in mezzo alle caotiche strade di Santa Barbara.

Ryan e Gale furono contenti di rivedere i due fratelli Williams e loro s’informarono sulla gravidanza della mia amica, la quale avrebbe ormai partorito entro pochi mesi. E, a tal proposito, era in arrivo un piccolo Kenyon. Sì, un maschietto, che i due avrebbero chiamato Nicholas: il secondo nome di Ryan.

E lui e Danielle sarebbero cresciuti insieme e avrebbero avuto quel legame che c’era tra me e Ryan, ci sarebbero sempre stati l’uno per l’altra.

Fu una bellissima mattinata, restammo tutti insieme e parlammo di tutto e di niente. Era meraviglioso stare esattamente nel posto in cui volevo con le persone che più amavo al mondo.

Guardai Chris e sorrisi, lui intercettò i miei occhi e mi prese una mano tra le sue.

«Ti amo… » sussurrai in modo che solo lui potesse sentire.

«Ti amo anch’io, Chelsea… ».

E andava bene così. D’ora in poi… tutto sarebbe andato bene.

 

Note dell’Autrice:

E rieccomi qui… stavolta ho aggiornato prima!

Spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento, come perfettamente nel mio stile, non poteva non succedere l’ultima disgrazia, ma si è risolta bene e la piccola Danielle è sana e salva. La scena del brusco risveglio di Chelsea è stata scritta molti e molti mesi fa ed ora eccola qui.

Ad ogni modo mi auguro di non aver deluso le aspettative di qualcuno, ormai manca solo l’epilogo, che ho scritto durante tutta questa settimana. Me la sono presa comoda perché non volevo che ne uscisse una cosa affrettata e buttata lì.

Diciamo che tutto è andato al suo posto, ma non anticipo altro.

Con questo, passo e chiudo, lasciando come sempre l’estratto dal prossimo capitolo e colgo l’occasione per fare tanti tanti tanti tanti auguri di buon compleanno ad una mia carissima amica che oggi compie gli anni e che, da quando ci siamo conosciute, ha sempre dato grande supporto a me e alle mie storie.

Ti ringrazio per tutto ciò che fai e che continui a darmi.

Ok… dopo questo momento catartico, ecco a voi l’estratto dall’epilogo.

A presto!

 

DALL’EPILOGO:

“Nessuno mi prestò particolare attenzione ed io presi posto allo sgabello squadrato del pianoforte e alzai il ripiano che copriva i tasti.

Fu come tornare indietro nel tempo e in un istante rividi ogni momento: il giorno in cui mio nonno mi fece sedere sulle sue ginocchia mentre lui, con l’infinita pazienza che ci vuole per spiegare la musica ad una bambina di cinque anni, mi indirizzava verso quel mondo magico e meraviglioso.

Rividi i pomeriggi passati  china su quei tasti suonando dolci melodie di grandi compositori passati. Rividi il mio primo saggio e nonno Daniel che si alzava in piedi una volta finito il mio pezzo per applaudire prima ancora dei miei genitori, dicendo a persone estranee sedute vicino a lui che quella “bambina prodigio”, come amava definirmi, era sua nipote.

Ogni singolo momento fu come riviverlo in quell’esatto istante ed io fui presa da un’improvvisa ispirazione”.

  
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