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Autore: Naki94    22/11/2014    1 recensioni
A seguito di un terremoto il protagonista, la cui casa è dichiarata inagibile, si trasferisce da un suo generoso amico d'infanzia. Gelidi e reali sono gli incubi che ogni notte gli impediscono di dormire fintanto che non si accorge che la linea della percezione realtà-sogno si è da tempo spezzata. CONSIGLIO di rileggere la storia una volta scoperto il finale per poter capire meglio ciò che è realmente accaduto.
Genere: Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A seguito di un terribile terremoto che colpì il mio paese qualche tempo fa l'appartamento, ove dimoravo da solo ormai da parecchi anni, fu classificato inagibile. Presi dunque alloggio presso un mio carissimo amico, la cui casa non aveva subito alcun danno grave. Egli abitava fuori città sulla strada che conduceva all'aperta campagna e fui lieto di conoscerlo e di essergli amico e che egli mi aiutasse in quel terribile momento di disagio. La prima notte la passai insonne sul duro divano del salotto e il giorno seguente, pur scevro di forze, lo aiutai a mettere in ordine la cameretta di sua sorella minore, anni prima scivolata per sbaglio nelle grinfie d'un pozzo e mai più ritrovata. Ovviamente gli mostrai la mia apprensione nel sconsacrare quel luogo, giacché si trattava della stanza della sua piccola sorellina morta, ma il mio amico insistette a tal punto da convincermi che io, seppur un po' imbarazzato, accettai.

La seconda notte la passai tra le calde e pulite lenzuola di un letto comodo col volto appoggiato su di un morbido cuscino, tuttavia faticai comunque a prendere sonno poiché il letto in questione era adiacente a una delle pareti della stanza e su di essa, proprio sulla traiettoria del mio sguardo, v'erano disegnati, col carboncino, due occhi stilizzati dalla mano incerta di un bambino. Essi destarono in me immagini orribili e alla mattina mi levai dal letto col tremore e il volto pallido e madido di sudore, poiché durante la notte sognai di uccidere e sventrare un uomo in...Street e il sogno fu così reale e cruento che il giorno seguente avevo in viso i segni reali del dolore e un gravissimo senso di colpa mi aggrediva continuamente alle spalle.

Seduti sul prato tra profumatissimi coriandoli ed umida lucente matricaria, all'ombra dei viridi fogliami, confessai l'orrendo sogno al mio amico ed egli ascoltò quel macabro racconto finché non mi informò che alla radio, quella stessa mattina, avevano annunciato la scomparsa di un uomo in paese. La notizia e la tremenda analogia mi attaccarono ripetutamente il petto, tuttavia non feci trasparire nulla, tentando d'accettare quella casuale coincidenza.

Intanto anche la notte successiva fu perseguitata da quegli orribili occhi sulla parete e, anche se mi voltavo dandogli le spalle, essi mi perforavano la nuca entrandomi puntigliosi nel cervello. Quella notte sognai di raggruppare i pezzi del cadavere in un sacco che inserivo ad incastro nel baule di una macchina che andavo a posteggiare nel garage della fattoria del mio amico.

Quest'ultimo sogno fu così sincero che dovetti all'alba giungere di fretta al garage per assicurami che nel baule della mia auto non vi fosse alcun corpo mutilato. Con sommo piacere mi acquietai non appena fui certo di aver controllato. Il mio giovane amico comprese quel mio malessere ritenendo che esso derivava dal forte stress dovuto in seguito al terremoto. Dunque egli mi tranquillizzò con la sua compagnia per quasi tutto il pomeriggio, tuttavia quegli occhi sul muro mi apparivano spesso e all'improvviso come immagine muta e fissa simile ad un feroce folgore di luce nella mente e, in quel brevissimo istante, l'invisibile terrore mi abbracciava col sapore freddo della morte. Intanto alla radio non parlavano d'altro che della scomparsa di uomo e di alcune tracce di sangue ritrovate nei pressi di un parcheggio.

Oramai temevo la notte e con ferocia grattai con le unghie l'intonaco ove erano impressi gli occhi, ma essi continuavano a riapparire come se il muro avesse assorbito il colore e il male che essi arrecavano. Distanziai allora il letto dal muro, ma in quella posizione, circa al centro della stanza, la parete che mi lasciavo alle spalle rifletteva la propria immagine attraverso lo specchio accanto alla scrivania ed io non potevo impedire agli stilizzati occhi d'osservarmi. Quella notte sognai ancora il cadavere dentro al baule ed io che, a piccoli bocconi, mi cibavo della sua carne oramai in evidente stato di putrefazione. Mentre il sapore della pelle e del sangue coagulato si univa al puzzo di marcescenza invadendo la mia bocca e i miei polmoni mi resi conto che tutto ciò mi eccitava e mi piaceva. Non racconto in che modo mi svegliai e dell'aspetto che aveva il mio volto al ritorno dal mondo degli incubi poiché risulterebbe inesprimibile a parole anche per un abile scrittore. Quel giorno il mio amico aveva da sbrigare un importante impegno e dunque dovetti urgentemente chiamarlo al telefono per potermi sentire più tranquillo. Gli rammentai i sogni di cui già a lui avevo parlato nei giorni precedenti, tuttavia egli si mostrò, con mio raccapricciante terrore, ignaro di ciò che gli andavo dicendo sostenendo d'essere fuori casa da parecchi giorni e che da molto tempo non sentiva la mia voce. Credetti ovviamente d'essere burlato e, infastidito da quell'orribile scherzo, dichiarai con ira che se egli non avesse smesso di prendersi giuoco di me in quel modo, avrei considerato la nostra amicizia conclusa. Quando notai dal suo tono la profonda serietà di chi non mente, allora qualche cosa scattò rapida nella mia testa e subito andai al garage. Quel che vi trovai penso che nemmeno il demonio avrebbe avuto coraggio di attuare. Un abisso di follia mi invase e attonito di fronte a quello spettacolo attesi la chiusura del sipario con la mortale sensazione che una lama poco affilata di un bisturi tentasse di lacerare lentamente la corteccia del cervello mentre un rigurgito spontaneo, alla vista di tutto quel tessuto umano, mi fece per poco svenire.

Successivamente acquisii lucidità e allora assemblai i tasselli del puzzle ricostruendo ciò che era successo: l'universo di cui facevo parte s'era capovolto, sicché il sogno era la realtà e la realtà il sogno.

 

 

   
 
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