N/A Lara Pink, in kimono bianco e katana, è pronta
per la tenzone. Dinnanzi a lei, sulla neve, in tutina gialla bordata di nero e
bazooka, Cartoonpeeker sogghigna.
La fanciulla
aveva lanciato la seguente sfida: un What
if di “The Croaking”. Questo è quello che ho buttato giù stanotte. A te,
mia cara! (E tieni presente che se farai un piccolo capolavoro come quello
dell’altra volta non ti mando più lo zio Kurtis ma un’automobile affamata).
Un bacio a
tutti. Enjoy!
Era
arancione, come la sua maschera. Il cerchio di fuoco che si rifletteva tremolante
sull’acqua delle pozzanghere, per infrangersi in un’esplosione di scaglie
quando una rana ha lasciato il suo riposo, disturbata dai passi leggeri del
ninja.
In parecchie
di queste pozze che, grandi e piccole, si irradiavano intorno al laghetto, minuscoli
girini neri nuotavano irrequieti.
Michelangelo
si è accosciato, ha poggiato il bastone con il fagotto di stoffa al suo fianco,
ed ha immerso una mano nell’acqua.
I girini
hanno iniziato a turbinare, galvanizzati ed inafferrabili, tra le grosse dita
verdi. Ha tentato, senza troppa convinzione, di acchiapparne un paio, piegando
la mano a coppa; ma questi sono scivolati nell’acqua, in un plop.
La tartaruga
ha sollevato la mano, aggrottando la fronte per un improvviso pensiero. Forse, doveva
catturarli tutti, e trasportarli nel lago. Il sole nei prossimi giorni avrebbe
potuto seccare le pozzanghere, uccidendo i giovani occupanti.
Ma ci
avrebbe messo delle ore, solo per una pozza.
Si è
rialzato in piedi, guardandosi in giro. Vi erano, vicino al laghetto, centinaia
di queste buche d’acqua stagnante, lì dove l’erba degradava fino a diventare
solo terra e pietre e fanghiglia.
Il giovane
mutante ha stretto gli occhi, ed ha scosso la testa.
Non era
possibile, salvarli tutti. Bisognava solo sperare nella pioggia, o sperare che
le creature si sviluppassero prima che fosse troppo tardi. Il suo cuore era
pesante al pensiero che delle piccole vite potessero morire; lui si è reso
conto che non avrebbe potuto farci niente. Per l’ennesima volta in quei
difficili quattro mesi, Michelangelo diventava consapevole che nella vita non
esisteva sempre una soluzione, non era possibile sempre risolvere ciò che non
andava bene.
Quando non
si può far nulla, si può solo sperare.
Sperare che sia ancora vivo.
Michelangelo
ha ripreso il pacchetto da terra, si è accostato al laghetto. È salito su un
grosso tronco, che dal ciglio del bagnasciuga si immergeva parzialmente
nell’acqua. Ha fatto qualche passo sul legno e si è seduto, con i piedi a lambire
lo specchio.
Il riflesso
del sole, nel lago, stava diventando più intenso.
Ancora vivo.
Certo, certo
che lo era. Lo aveva detto anche a Raph, di non preoccuparsi.
È un maestro ninja. Ce la farà.
Allora
perché, anche questa volta, ha sentito un pizzicare agli angoli degli occhi?
Perché questa strana sensazione nel petto, proprio sotto il carapace, a premere
sul respiro?
Ogni qual
volta il pensiero tornava, nelle settimane passate, il verde dei prati perdeva un po’ del suo colore, la pizza
surgelata un po’ del suo sapore, la puntata di Crognard The Barbarian diveniva improvvisamente noiosa. Ed adesso
che aveva smesso di fissare il soffitto, la notte, chiedendosi se quella
successiva sarebbe stata la mattina in cui suo fratello si sarebbe finalmente
svegliato, adesso sentiva di aver ancora bisogno di sperare un po’ più forte,
di desiderare un po’ più intensamente.
Sentiva che
avrebbe dato tutto, per un altro suo abbraccio. E che, sì, avrebbe dato tutto
anche per avere un’altra botta in testa col suo bastone, perché quella lezione,
no, non riusciva a prenderla sul serio; o per vederlo passare vicino a lui
mentre era intento a giocare alla consolle, e fermarsi e prestargli attenzione,
guardandolo con un sorriso bonario, facendolo sbagliare perché la
concentrazione si era persa nell’ansia gioiosa di avere lui come pubblico delle
sue ludiche imprese.
L’acqua del
laghetto era gelida, quando l’ha sfiorata con la punta del piede, increspandola
in minuscoli cerchi. Si è passato una mano sul braccio, a scorrere sulla pelle intorpidita.
L’aria diaccia della notte, nel bosco, lo aveva nelle ultime ore intirizzito
fino alle ossa. Adesso, l’alba dorata, che si sdraiava sulle punte degli
alberi, portava la promessa di un po’ di calore.
Mi manca.
Anche per
questo, aveva avuto ieri sera quell’improvvisa voglia di tornare in città. La
rabbia verso i suoi fratelli che lo avevano trattato troppo duramente, il
risentimento verso Raph, erano stati solo la scusa che si era dato lui stesso
in quel momento. Adesso, evaporato il piccolo rancore nel freddo dei boschi,
era rimasta solo l’incertezza, e la stanchezza dopo tutte quelle ore di
cammino.
Dove credeva
di andare? Non era neanche del tutto sicuro che quella fosse la direzione per
arrivare a New York… E poi, cosa avrebbe fatto una volta arrivato? Come avrebbe
potuto fare, da solo? Forse, sarebbe stato più intelligente tornare indietro.
Sopportare la ramanzina di Leo, lo sguardo deluso di Donnie e qualche scapaccione
di Raph, chiedere scusa per essersi comportato per l’ennesima volta come un
bambino, ed aspettare che Leo si rimettesse pienamente in sesto per poterci
tornare tutti insieme, in città, prendere a calci i Kraang e cercare Splinter.
Sì, sarebbe stata la cosa migliore da fare… Cosa gli era venuto in mente, di
scappare in quel modo? Sicuramente adesso lo stavano cercando, preoccupati… Deciso.
Si sarebbe riposato un po’ e poi avrebbe ripreso la strada verso la fattoria.
Tempo di rilassarsi un’oretta…
Ha sbadigliato,
stirando le braccia, e si è sdraiato sul legno, ancora umido per la rugiada
della notte. Poi, girato di fianco, si è alzato su un gomito, ed ha sciolto il
nodo al fagotto che aveva riposto accanto a sé: ha tirato fuori dalla stoffa
blu dell’involucro il suo orsetto di peluche, si è nuovamente sdraiato,
stringendolo al piastrone.
Ha tracciato
con le dita le linee del nastro isolante grigio che ricopriva il tronco del
pupazzo dal giorno che lo aveva lacerato Leatherhead. Alla memoria è tornato,
morbido e caldo, il ricordo di quando, da bambino, suo padre gli aveva regalato
quest’orsetto. La vita allora era una giostra, e lui era così sicuro, accanto
al suo papà…
Si può solo sperare.
I raggi del
sole iniziavano a carezzare la pelle col loro tiepido tocco; Michelangelo ha
chiuso gli occhi, sorridendo alle meraviglie di una vita. E nei sogni, sono
giunte, caotiche e allegre, triste e sibilanti, le immagini di paure e ricordi,
di fatti avvenuti e desideri cullati; e Leo dormiva il suo sonno dentro la
vasca mentre un droide Kraang, seduto sulla sedia in bagno, lo guardava con i
suoi stupidi e vuoti occhi meccanici, e Donnie vestito come la madre di April teneva
in grembo Ice Cream Kitty che si scioglieva piano piano mentre Raph, avvolto di
viticci, mormorava qualcosa a proposito sull’essere ninja od essere un inutile
fardello…
…
Ha aperto
gli occhi, improvvisamente sveglio, sfiorato dalla sensazione di essere
osservato. Il sole, adesso alto nel cielo, luccicava abbagliante sull’acqua,
dove, da una foglia di ninfea un po’ più grande delle altre, una grossa rana lo
stava fissando con le sue pupille rosse, sbattendo le palpebre, impettita ed
altera come un re; sulla pelle salvia una costellazione di macchie oliva
bordate di bianco. L’anfibio, lucente, si è stiracchiato, pigro, ed è balzato
nel lago. Poco distante, un piccolo stormo di uccelli bianchi ha preso il volo,
verso l’azzurro del cielo e dell’acqua.
Qualcuno si
stava avvicinando.
L’adolescente
mutante si è alzato a sedere, e si è voltato, in allarme, pronto a nascondersi,
le mani per istinto poggiate sui nunchaku. Lì, in lontananza, una forma scura
stava uscendo dalla foresta, camminando verso di lui.
Michelangelo
si è rilassato, si è voltato completamente, ha incrociato le gambe sul tronco,
si è schermato dal sole con una mano, ed ha sorriso. Suo fratello Raph lo
indicava con un dito, mentre parlava eccitato al T-phone.
La tartaruga
mascherata in rosso ha percorso velocemente, a passi lunghi e pesanti
sull’erba, la distanza tra di loro. Riposto il T-phone, adesso le braccia che
sbattevano a tempo della marcia tradivano la sua rabbia. Michelangelo l’ha
visto fermarsi a pochi passi da lui, ed ha iniziato a preparare i suoi fori
auricolari alle immancabili urla e la sua testa all’inevitabile botta che
sarebbe giunta presto.
Raffaello
l’ha guardato, fuoco verde le sue pupille. Ha aperto la bocca per parlare, ma
l’ha richiusa subito. Ha stretto gli occhi, prendendo un profondo respiro.
Quando li ha riaperti, Michelangelo avrebbe giurato di averli visti brillare,
un po’ troppo umidi.
“Idiota.”
“Raph, io…”
“Non farlo
mai più. Mai più.”
La rana, dal
lago, vedeva le due figure sul bordo; quella con la maschera rossa ha assestato
un piccolo scappellotto in testa a quella in arancione, prima di avvolgerla in
un abbraccio, forte, alzandola un po’ da terra. L’anfibio ha iniziato a
gracidare, ritmico palpito la bianca gola, gonfia e sgonfia dell’aria umida e
odorosa, tra i tremiti d luce poggiati sull’acqua.
I due
fratelli si sono allontanati insieme.