Libri > Il fantasma dell'Opera
Ricorda la storia  |      
Autore: Alle898    23/11/2014    2 recensioni
Voglio premettere che è la prima volta che scrivo una fanfiction sul "Fantasma dell'Opera", perciò siate clementi. In realtà io mi sono ispirata al film del 1990, con Charles Dance. Devo dire che è diventato uno dei miei film preferiti in assoluto. Non sopportavo l'idea che Erik morisse, allora ho deciso di scrivere un sequel.
Naturalmente il Visconte Raoul de Chagny, nel film, si chiama Philippe.
Perdonatemi se la troverete un pò troppo melensa. E comunque io ho sempre fatto il tifo per la coppia Christine/Erik. Philippe lo odio da morire.
Che altro dire? Buona lettura.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Dimmi che tu mi amerai per sempre, dimmi che mai più mi lascerai… Se tu colmi il vuoto mio d’incanto. Dove andrò, io voglio che ci sia tu…  Christine, nient’altro chiedo di più

 

Erano passati quattro anni dalla morte di Erik, il Fantasma dell’Opera. Dal quel maledetto giorno Christine aveva smesso di sorridere e di cantare. Si era ritirata dalle scene e non aveva mai più messo piede nell’Opéra. Se ne stava tutto il giorno chiusa in camera a piangere e a pensare al suo “Angelo della Musica". Rifiutava persino di mangiare. La notte dormiva pochissimo e il più delle volte si svegliava madida di sudore, con le lacrime che le rigavano le guance. Sognava sempre Erik. Ogni volta il cuore le batteva come un tamburo impazzito. Aveva incubi terribili: il suo amato Erik era riverso a terra, agonizzante, con la maschera imbrattata di sangue. Era immobile, morto. Ormai Parigi era diventata una città piena di ricordi che, pian piano, la stavano soffocando. Voleva andare via, lontano da tutto e da tutti. A volte usciva per prendere una boccata d’aria fresca, ma subito dopo rientrava. Si buttava sul letto e ricominciava a singhiozzare. Erik le mancava troppo. Ogni cosa le parlava di lui o glielo faceva ricordare. Era un dolore troppo grande da sostenere. Quanto aveva amato il suo Maestro, ma aveva preferito Philippe. Avrebbe voluto rivedere il suo volto, anche se sfigurato. Avrebbe voluto baciarlo e stringerlo a sé. Ormai era troppo tardi. Solamente la terra fredda e umida lo avrebbe accolto.

Tutti erano addolorati per la piccola e cara Christine, specialmente il Visconte Philippe De Chagny. Ogni giorno bussava incessantemente, alla sua porta, ma lei rifiutava categoricamente di vederlo. Non voleva vedere nessuno. Voleva piangere silenziosamente il suo dolore e il suo amore perduto. Philippe, però, non si perdeva d’animo e le mandava continuamente mazzi di rose rosse e lettere d’amore struggenti, che Christine non apriva nemmeno. Li accantonava sul suo comodino e lì rimanevano per giorni interi.

Si arrivò ad una drastica soluzione: allontanarsi per un po’ da Parigi e cambiare aria. Solo così Christine si sarebbe ripresa del tutto. Andare in un paese sconosciuto, in mezzo a gente nuova, avrebbe giovato alla sua salute. Ormai la ragazza era diventata pelle e ossa.

Una sera di fine novembre, Gerard Carriere, il padre dell’ormai defunto Erik, bussò alla porta di Christine. Nessuno gli rispose. Mise la mano sulla maniglia ed entrò. Ciò che vide lo fece vacillare. La fanciulla stava di fronte allo specchio e si pettinava accuratamente i suoi lunghi capelli biondi e ondulati. Canticchiava una nenia tristissima e i suoi occhi erano gonfi di lacrime. La sua magrezza faceva paura. La sua faccia era scavata e pallida, ma non aveva perso la sua bellezza. Fece un respiro di dolore. Non sopportava di vederla così. Se avesse saputo la verità, allora la sua tristezza sarebbe tramutata in gioia. Le gote avrebbero ripreso colore e avrebbe intonato una melodia di giubilo. Sapeva l’amore che Christine aveva per suo figlio. Ma avrebbe taciuto per il bene di tutti.

Si sedette di fianco a lei e le carezzò una guancia. Lei smise di spazzolarsi, si girò verso di lui e gli fece un piccolo sorriso forzato. Poi, con impeto, lo abbracciò, ricominciando a singhiozzare. Gerard non resistette a tutto quel dolore e la strinse forte, cullandola dolcemente. Quante volte lo aveva fatto con Erik, quando era ancora bambino. E lo aveva fatto anche quella sera, quando gli aveva sparato per “salvarlo” dall’ispettore Ledoux. Che gesto atroce aveva commesso. Un gesto di cui si era pentito un attimo dopo.

Si staccò da lei, le prese le mani tra le sue, le scostò i capelli dal viso e le diede la grande notizia. Philippe l’avrebbe portata via, lontano. Più precisamente in Italia, a Milano. Sarebbero partiti il mattino seguente, di buon’ora. Christine fece una faccia disgustata. Eppure era sempre stata lei a desiderarlo. Fece cenno di si con la testa. Sarebbe scappata da Parigi, ma non dai ricordi.

La sera stessa, dopo aver parlato un’ora abbondante con Gerard, aveva cominciato a fare la valigia e a prendere il necessario. Aveva digiunato ancora. Non le entrava nulla e se lo avesse fatto, avrebbe sicuramente vomitato.

-Erik… Mio amato Erik… Me ne vado da qui, ma tornerò presto. Sai che andrò a Milano? E’ in Italia. Sono sicura che sarà un posto meraviglioso. Ci andrò con Philippe. Tuo padre ed io sentiamo molto la tua mancanza… Sono passati quattro anni, ma sembra solamente ieri quando ci siamo incontrati per la prima volta… Mi sei apparso senza fare rumore. Mi hai detto che eri un musicista. La prima cosa che mi colpì di te, fu la maschera. Se solamente fossi vivo…

Le capitava quasi sempre di parlare ad Erik, di raccontargli cosa aveva fatto durante la giornata. Solo così lo poteva sentire ancora vicino. Era sicura, che da lassù, lui la potesse sentire. Ricominciò a singhiozzare. Avrebbe voluto andare nei sotterranei e rivedere l’abitazione di Erik, ma si era ripromessa di non farlo. Avrebbe sofferto più del dovuto. Si avviò verso il letto, senza nemmeno spogliarsi. La testa le doleva. Si sdraiò e subito gli occhi le si chiusero. Sognò nuovamente il suo “Angelo della Musica”, riverso a terra, pieno di sangue.

Furono le prime luci dell’alba a risvegliarla da quell’incubo persecutore. Aprì pian piano gli occhi. Era nella sua stanza e qualcuno la stava chiamando. Si alzò di scatto e andò ad aprire, credendo di aver sentito la voce del suo caro Erik. Invece sulla soglia di camera sua c’era Philippe, che la salutò e le diede un bacio in fronte. La delusione comparve sulla sua faccia. Si rattristò ancora di più, ma cercò di non darlo a vedere. Doveva comportarsi normalmente con Philippe, o l’avrebbe insospettito.

Il Visconte le annunciò che la carrozza era pronta e che mancava solamente lei all’appello. Christine si vestì in pochi minuti. Indossò un abito sfarzoso, lungo fino ai piedi di colore rosso. Philippe le diede il braccio e insieme si avviarono verso la carrozza.

Il cocchiere si levò il capello e li salutò cortesemente. Philippe e Christine salirono in carrozza. Il cocchiere spronò i cavalli a partire. Durante tutto il tragitto, fino al porto, nessuno dei due giovani aveva proferito parola. Christine si era chiusa nel suo silenzio e guardava fuori dal finestrino, pensando ad Erik e Philippe, di tanto in tanto, alzava la testa e l’osservava. Si chiedeva quali pensieri potessero sfiorare la mente della sua giovane fidanzata. Sicuramente centrava qualcosa il Fantasma. Doveva controllarsi. Presto sarebbero arrivati a Milano e lei lo avrebbe certamente dimenticato.

Presero la nave, diretta in Italia. Durante la permanenza sulla nave, Christine si era ammalata. Delirava e tremava. Invocava il nome di Erik. Le sembrava di poterlo toccare, di potergli parlare, di poterlo baciare, di poterlo stringere. Ma con il sole, tutto questo scompariva. Le lasciava un sapore amaro in fondo al cuore.

Finalmente, dopo due settimane di viaggio, toccarono il suolo italiano.

 

Christine! Christine! Christine!

Quella voce l’avrebbe riconosciuta tra mille. La voce di Erik era inconfondibile. Corse a perdifiato, fino a quando non lo vide. Era in piedi, vestito di nero, con il mantello dietro la schiena e l’inconfondibile maschera bianca calata sul volto. Il cuore perse un battito. Sentiva le farfalle nello stomaco. Gli occhi le si erano inzuppati di lacrime. Erik aveva aperto le braccia e gliele stava tendendo. Lei ci si era tuffata dentro senza pensarci due volte. Improvvisamente la figura di Erik si era dileguata nel nulla, lasciandola completamente sola. Si era guardata a destra e a sinistra, lo aveva chiamato incessantemente, ma non aveva avuto risposta. Aveva ricominciato a correre, a cercarlo. Davanti a lei comparve una porta bianca. Forse Erik si trovava lì dentro. La raggiunse e l’aprì. La scena che vide, però, fu davvero terrificante. Erik era riverso a terra, in una pozza di sangue. Urlò dallo spavento.

 

-Erik!- si svegliò madida di sudore e con il fiato corto. Ancora un altro incubo. Quanto ancora avrebbe dovuto soffrire? Guardò verso la finestra. Doveva ancora essere buio, perché non si sentiva alcun rumore. Né carrozze, né mormorii, né il vociare della gente. Tutto era ancora avvolto nel silenzio e nell’oscurità. Di fianco a lei dormiva tranquillamente Philippe. Russava leggermente. Lei non amava quell’uomo. Aveva creduto di amarlo perché le dava sicurezza e la faceva sentire a proprio agio. Nulla di più. Chi amava davvero era Erik. Lo amava con tutto il suo cuore e tutta la sua anima. Philippe era un caro amico d’infanzia. Almeno fino a quando nella sua vita non era apparso il suo “Angelo della Musica”. Lui le aveva insegnato a migliore la sua voce da soprano, l’aveva aiutata a debuttare come protagonista, l’aveva difesa dalle cattiverie di Carlotta. E poi era arrivato l’amore come un fulmine a ciel sereno. Un amore che non era ancora finito e che mai si sarebbe estinto. Le lacrime le punsero gli occhi. Fece di tutto per ricacciarle indietro, ma fu inutile. Le rigavano le guance e finivano sopra le lenzuola. Tirò su col naso, cercando di non fare troppo rumore. Le mani le tremavano. Si alzò da letto e si mise una vesticciola rosa, di lana. Forse un po’ di musica lirica l’avrebbe calmata, assieme a un po’ di thé. La musica inondò la stanza: era la “Traviata” di Giuseppe Verdi. Il brano “Libiamo ne’ lieti calici”. Era la storia di due amanti: Violetta, malata di tisi e Alfredo, l’uomo che l’ama alla follia. Lei, per amore, lascia le feste sfarzose e galanti e va ad abitare con lui in campagna. Si mette di mezzo il padre del giovane, Giorgio Germont, che chiede alla sfortunata fanciulla un grosso sacrificio: lasciare definitivamente Alfredo. Violetta all’inizio non vuole dargliela vinta, ma poi si arrende. Alfredo, arrabbiato, dopo aver scoperto tutto ciò, decide di andare a casa di Flora, un’amica di Violetta, e di fargliela pagare. Le getta addosso, pieno di disprezzo, i soldi vinti giocando contro il barone. Poi la ragazza, ormai in fin di vita, prega per Alfredo. Annina, la cameriera, le porta una bella notizia: Alfredo è tornato e le chiede umilmente perdono così come farà il padre del ragazzo dopo averla rivista. Violetta spira tra le braccia di Alfredo.

Un’opera carica di forti emozioni. Cominciò a canticchiare il brano, a bassa voce. Si immaginò di essere Violetta ed Erik il suo amato Alfredo. Parlano d’amore, del loro futuro assieme. Stavolta non era la protagonista a morire, ma il suo amato. Altre lacrime le punsero gli occhi. Le cacciò via con il palmo della mano. Il thé era ormai pronto. Prese un tazza media e ci versò dentro il contenuto, ancora bollente. Stette attenta a non scottarsi. Fermò la musica e si sedette al tavolo. Aspettò che il liquido diventasse tiepido, dopo di che lo mandò giù, sentendo il corpo riscaldarsi. Sbadigliò. Era davvero a pezzi. Non dormiva da un’infinità di tempo. Tornò a letto e si addormentò quasi subito. Stavolta non ebbe nessun tipo di incubo e riposò serenamente.

 

Si alzò faticosamente. Si stropicciò gli occhi e sbadigliò. Si guardò intorno, cercando Philippe, ma non lo trovò. Doveva essere già uscito da un pezzo. Fece spallucce. Si stiracchiò un’ultima volta e poi si avviò verso il bagno. Aprì il rubinetto dell’acqua fredda e si lavò la faccia. Si guardò allo specchio e notò i capelli arruffati. Era ancora mezza addormentata. Aveva lo stomaco sottosopra e una gran nausea, ma non ci diede troppo peso. Tornò in camera, aprì l’armadio e optò per un vestito di trine e pizzi color rosa. Si pettinò i capelli e si fece un piccolo chignon. Adesso era veramente pronta. Sorrise. Dove sarebbe potuta andare? Milano era una città enorme. Le venne un’idea. Sarebbe andata alla Scala. Ne aveva sempre sentito parlare bene e voleva confrontarla con l’Opéra di Parigi. Prese la sua borsetta e il suo ombrellino di pizzo e si avviò verso la porta. Scese le scale con un lembo del vestito nella mano destra e con l’altra si teneva salda alla ringhiera.

La giornata non era delle migliori: il cielo era grigio e uggioso. Questo non aveva impedito alle persone di uscire e di godersi un po’ di libertà. L’aria era fresca e pungente. C’era un gran viavai di gente. C’era chi guardava estasiato le vetrine de negozi, chi faceva colazione al bar e chi salutava cortesemente le persone che incrociava lungo la via. Uno strillone girava per le vie del centro sventolando i giornali. Doveva avere non più di dieci anni. Christine lo fermò, gli diede una moneta e comprò il giornale. Poi continuò la sua passeggiata mattutina.

Una decina di minuti dopo si trovò di fronte un edificio alto e possente. Doveva essere la Scala, non c’erano dubbi. Entrò senza indugi. Dentro la sala era enorme. Le poltrone erano di colore nero. Il palco, con le tende rosse abbassate, assomigliava molto a quello di Parigi. Chissà se anche lì, nei sotterranei, abitava un Fantasma. Rise a quel pensiero. E chissà chi sarebbe stata la fortunata che lo avrebbe incontrato. Lei era stata molto fortunata.

Improvvisamente i tendoni rossi si alzarono e le luci si spensero. In sala c’era solamente lei. Si accomodò nelle poltrone più lontane. Avrebbe visto un’opera alla Scala. Era tutta eccitata.

In scena entrarono due giovani cantanti lirici. Lei era vestita con un abito bianco e i capelli neri a boccoli  fermati dietro la nuca. Lui vestito tutto di nero, con i guanti bianchi. Christine riconobbe l’opera: la Traviata. Ascoltò attentamente le voci dei due ragazzi. La voce della fanciulla era fresca e soave. Le provocò un sacco di emozioni. Quella di lui profonda e delicata.

Alla fine delle prove, quando le luci si riaccesero, Christine uscì dalla Scala. Fuori il tempo era peggiorato: pioveva a dirotto. Fece una gran corsa per non bagnarsi.

Rientrò in casa, si spogliò e aspettò il ritorno di Philippe che arrivò poco dopo, ubriaco marcio. L’alito gli puzzava di alcool. Christine dovette tapparsi il naso. L’odore era fetido e nauseabondo. Sentiva i conati salirle in gola. Cercò di spostarsi, ma il giovane la prese per le braccia e la inchiodò al muro. Non stava nemmeno in piedi, barcollava. Cercò di baciarla, ma lei lo respinse. Che razza di persona era diventata? Ubriacarsi in pieno giorno. Gli diede uno schiaffo. La rabbia di Philippe crebbe a dismisura. Non avrebbe accettato un rifiuto. Cominciò anche a molestarla.

-Lasciami stare Philippe! Mi fai ribrezzo!

L’ultima frase lo fece sbottare. La prese per i capelli e la buttò sul letto. La schiaffeggiò più e più volte. Christine avrebbe voluto urlare, ma la voce non le usciva. Tremò violentemente. Gli uomini ubriachi erano davvero pericolosi. Con una mano le tappò la bocca e con l’altra le strappò via i vestiti. Fu questione di un attimo e il giovane fu sopra di lei e la violentò.

6 MESI DOPO

 

Christine abitava in un piccolo appartamento di fronte alla Scala. Era scappata da Philippe e dalla sua crudeltà. Da allora non aveva mai più avuto sue notizie. Si toccò dolcemente il pancione. Aveva scoperto di essere incinta due mesi dopo l’accaduto. Non avrebbe mai abortito. Avrebbe fatto nascere il piccolo e lo avrebbe allevato da sola. Non aveva paura, ma i soldi cominciavano a scarseggiare. Ogni tanto pensava alla sua amata Parigi e a monsieur Carriere, che per lei era diventato come un secondo padre. Sarebbe partita presto. Ormai erano mesi che risiedeva a Milano. Non aveva più nulla che la trattenesse. Si buttò sul letto, stanca e stremata, e si addormentò. Sognò Parigi e l’Opéra.

Si svegliò qualche ora dopo, con delle fitte alla pancia. Corse in bagno a vomitare. Le nausee erano aumentate nell’ultimo periodo. Andò al lavandino e si pulì la bocca. Respirava a fatica. Si sentiva pesante e goffa. Quella sera non mangiò nulla. Rimase ore ed ore a contemplare il soffitto. Che ne sarebbe stato di lei?  Monsieur Carriere l’avrebbe aiutata? Philippe avrebbe saputo del bimbo? E se si, sarebbe tornato a reclamarlo? Avrebbe preteso di unirsi in matrimonio con lei anche contro la sua volontà? Scacciò via quei pensieri che già da tempo la stavano tormentando. Quello che era certo, è che il mattino seguente sarebbe tornata a Parigi. Non voleva aspettare oltre. A chi avrebbe chiesto ospitalità? Quante domande senza risposta. Si rigirò nel letto. Il sonno tardò ad arrivare, ma con le prime luci dell’alba, anche i suoi occhi si chiusero.

A svegliarla furono le sirene della polizia. La testa le pulsava. Aveva dormito tre o quattro ore. Si sentì la bocca completamente asciutta. Andò in cucina, riempì il bicchiere fino all’orlo e bevve tutto d’un fiato. Finì di sistemare le ultime cose e poi uscì, dando l’ultimo addio a Milano.

Prese l’ultima nave della mattina. Christine tirò un sospiro di sollievo. Adesso era veramente al sicuro. Nessuno le avrebbe più fatto del male. Sarebbe tornata alla sua cara Parigi. Era lì la sua casa e non altrove. Il Porto di Milano stava diventando sempre più lontano. Poi diventò solamente un puntino e infine non si vide più.

Il viaggio fu travagliato: le nausee non accennavano a diminuire. Se ne stava quasi sempre in cabina a sonnecchiare. Non pensava minimamente ad uscire. I mal di testa si facevano sempre più frequenti. Stava a malapena in piedi e le  era venuta diverse volte la febbre.

Finalmente la nave attraccò al porto di Parigi. Christine, con passo incerto, mise il piede sul suolo natio. Era ancora pallida, ma felice di essere nuovamente a casa. La prima cosa che fece, fu avviarsi verso l’Opéra. A quell’ora doveva essere vuota, deserta e il direttore impegnato tra le sue scartoffie. Sorrise. Forse poteva esserci solamente monsieur Carriere. Sicuramente sarebbe stato felice di vederla. Perché lei lo era sicuramente. Aveva aspettato questo giorno da troppo tempo. L’ultimo tragitto lo fece correndo. Il cuore le batteva nel petto. Finalmente fu davanti al portone d’ingresso. Non c’era nessuno nei paraggi. Il portone si aprì cigolando. Salì i gradini che conducevano dentro il teatro. Si stupì che in tutti quei mesi nulla fosse cambiato. Era tutto come lo aveva lasciato. Guardò verso il palco. Un’ ombra di tristezza la pervase. Su quel palco lei aveva duettato assieme ad Erik. Lei era stata Marguerite nel “Faust”. Lui era sul palco numero cinque. La sua voce le era sembrata melodiosa. Cantava con passione, solo per lei. Sospirò. Lui non si sarebbe affacciato ad ascoltarla, mai più. Il pensiero la fece stare male. Doveva accettare la cosa. Smetterla di dannarsi l’anima. Di sperare in un suo ritorno.

Il cuore le suggerì di tornare nei sotterranei. Era tutto ciò che ancora la legava ad Erik. Stava per infrangere la sua promessa. Avrebbe sofferto, si, ma era l’unica cosa sensata da fare. Conosceva molto bene la strada. Si avviò verso il suo camerino, attenta a non farsi beccare. Notò, con piacere, che nemmeno lì nulla era cambiato. Di fronte a lei c’era uno specchio che rifletteva la sua immagine. Sapeva bene che dietro ad essa c’era la strada che conduceva alla casa di Erik. Bisognava premere solamente un bottone e lo specchio si sarebbe aperto. Lo cercò, lo trovò e lo premette. Subito si aprì il passaggio segreto. Entrò con il cuore in gola. Il passaggio, poi, si richiuse automaticamente. Scese delle scale ripide, senza mai voltarsi all’indietro. Era tutto quanto buio. Si vedeva a malapena. Una barca stava in mezzo al fiume. Corse verso di essa, salendoci sopra. Prese il remo e la barca cominciò ad avanzare. Quel posto non le faceva affatto paura. C’erano tanti flambeaux alle pareti che le illuminavano la via. L’acqua si rifletteva sugli scorci dei sotterranei. Riuscì anche a passare tutti i cunicoli. Finalmente giunse a destinazione. Attraccò la barca e scese, stando attenta a non inciampare. Salì qualche gradino e infine entrò nell’abitazione di Erik. Nulla era stato spostato. Tutto era al proprio posto. Riconobbe il letto dove il Fantasma, quattro anni prima, l’aveva adagiata. C’erano ancora le tende. Non erano più candide, ma sporche e nere. Quella volta le aveva cantato una dolce nenia e lei si era addormentata serenamente. Era intatto anche il ritratto della madre di Erik. Come le assomigliava: erano identiche, due gocce d’acqua. Trovò anche la porta che conduceva verso  il bosco. Il bosco con animali impagliati. In quel posto lei gli aveva chiesto, insistentemente, di togliersi la maschera. Lui aveva indugiato, ma alla fine l’aveva accontentata. In quel momento lei aveva visto la sua bruttezza. Il suo vero volto. Ed era svenuta. Un nodo alla gola le bloccò il respiro. Come aveva potuto essere così crudele? Lui si era fidato e le aveva mostrato il suo vero “io”. Cominciò a piangere. Si sdraiò su quell’erba fresca e si addormentò.

Come in un sogno, aveva sentito due mani carezzarle la faccia e due labbra morbide posarsi sulle sue.

Si svegliò di soprassalto. Si guardò intorno. Era ancora nei sotterranei, in casa di Erik. Perché stava dentro il letto? Qualche ora prima si trovava nel bosco. Vide, con grande sorpresa, che davanti a lei c’era una rosa rossa. Se la rigirò tra le mani. Com’era bella e profumata. Chi poteva essere il mittente? In giro non vide nessuno. Carezzò i piccoli petali. Notò che la rosa non aveva spine.

Un’ombra nera si stagliò sulla soglia della porta.

-Christine!

La fanciulla riconobbe quella voce e quel portamento.  Le cadde la rosa dalle mani. Non poteva essere che un sogno. Perché Erik continuava a perseguitarla anche lì? Si mise una mano sulla bocca, soffocando i singhiozzi. Tremava più dall’emozione che dalla paura. Si sentì mancare. Prima che cadesse a terra, Erik la prese prontamente tra le braccia. La mise sul letto  e la guardò. Notò quanto fosse cambiata. Era diventata più matura e più bella. Tutti questi anni, lontano da lei, lo avevano fatto soffrire terribilmente. Ora che l’aveva ritrovata, non l’avrebbe lasciata mai più. Prese le piccole mani di Christine tra le sue e gliele baciò.

Christine rinvenne poco dopo. Una faccia, coperta da una maschera bianca, le sorrise. La ragazza scese prontamente dal letto e si allontanò. Allora non si era trattato di un sogno. Un sogno che poco prima le era sembrato così reale, così vivido. Lui era lì, di fronte a lei, in carne ed ossa. Poteva vederlo chiaramente. Un singhiozzo, involontario, le uscì dalla bocca. Vacillò di nuovo, ma riuscì comunque a reggersi in piedi.

-Mia piccola e dolce Christine- Erik avanzò verso la fanciulla, allungò una mano per carezzarle la guancia, ma lei si sottrasse.

-Tu non puoi essere vivo! Ti ho visto morire con i miei occhi quattro anni fa!- detto questo, scappò via, inseguita da Erik.

Si ritrovò in un corridoio buio e sporco. I suoi passi rimbombavano dappertutto. Era scappata da lui anche un’altra volta. In quell’istante ebbe un dolore atroce al ventre. Quel dolore non l’avrebbe fermata. Si rifugiò dietro una colonna, sperando di non essere vista da Erik che la stava ancora cercando. Sentì dei passi avvicinarsi. Man mano si facevano sempre più forti. Ebbe paura. Rimase immobile, dimenticandosi perfino di respirare. Guardò verso le scale, la sua unica via di salvezza.

Erik la cercò dappertutto, ma invano. Tornò indietro affranto e deluso. Christine, con le ultime forze che le rimanevano, riuscì ad arrivare all’uscita.

Il dolore era aumentato a dismisura. Tutto intorno a lei aveva cominciato a girare vorticosamente. Le gambe non la reggevano più e la testa era diventata pesante. Svenne.

La sera si riprese del tutto. Vicino a lei stava monsieur Gerard con una catinella d’acqua. Il ventre non le provocava più dolori. Si alzò faticosamente. Si sentiva spossata e priva di forze.

-Rimani sdraiata, mia cara. Sei così pallida ed emaciata. Ti ho trovata per terra, svenuta. Sei incinta, vero?

Christine sgranò gli occhi. Come faceva monsieur Gerard a saperlo? Il vestito che indossava nascondeva il rigonfiamento. Non era questo che le interessava. Voleva chiedergli di Erik. Come se le avesse letto nel pensiero, Gerard rispose alla sua silenziosa domanda.

-Hai visto mio figlio Erik, vero? Sei andata nei sotterranei. Ebbene si, cara Christine, Erik, il Fantasma dell’Opera, è ancora vivo. Ricordi quattro anni fa, quando gli ho sparato per salvargli la vita? Tutti credevano che fosse morto. Invece era ferito gravemente. Lo portai nuovamente nei sotterranei e cercai di curarlo con le mie mani. Io non sono un medico e la situazione peggiorava di minuto in minuto. Decisi, allora, di chiamare un chirurgo. Gli tamponai la ferita, ma il sangue non smetteva di uscire. Era pallidissimo, bianco come un lenzuolo. Tremava dalla testa ai piedi. Lottava incessantemente tra la vita e la morte. Come padre, ero impotente. Pregai Dio perché continuasse a lasciarlo vivo. Piansi e piansi. Non volevo perdere mio figlio.  Finalmente il chirurgo arrivò. Reputò la situazione abbastanza grave. Mi propose di condurlo all’ospedale. Lo avrebbe curato lui personalmente. Accettai senza pensarci troppo. La vita di mio figlio era troppo importante. Il chirurgo fece un miracolo: riuscì a salvare Erik. Si ristabilì pian piano. Non volle mai abbandonare i sotterranei. Tu, Christine, eri sempre nei suoi pensieri. Non faceva che parlare di te. A volte lo vedevo piangere. Lui ti ama profondamente

Christine sentì un dolore al cuore. Le lacrime le sgorgarono dagli occhi come un fiume in piena. Lo aveva ferito nuovamente. Era scappata da lui. Si coprì la faccia con le mani e singhiozzò. Non faceva altro che provocare dolore a chiunque. Si odiava per questo. Prima ancora, aveva ferito profondamente Philippe. Gli aveva dato false speranze. Aveva pensato che stando assieme a lui, sarebbe riuscita a sotterrare il suo dolore. Che razza di persona era? Non era degna di essere amata né dall’uno, né dall’altro.

Gerard le mise una mano sulla spalla destra. Capiva bene il dolore di Christine, perché anche lui, da giovane, ci era passato. Però aveva amato una persona sola: quella che aveva messo al mondo suo figlio Erik.

-Mio figlio ti ama Christine e qualunque cosa sia successa tra voi due, si risolverà. Erik non porta rancore ed è capace di perdonare. Vai da lui senza timore. Aspetta solo te.

Christine non se lo fece ripetere due volte. Si alzò da letto, si asciugò le lacrime e corse verso i sotterranei, ma non lo trovò. Si sentì delusa. Era stata lei a respingerlo. Erik aveva tutto il diritto di non volerla più vedere. Abbassò il capo e sospirò. Per consolarsi, canticchiò una canzone. Gerard si era sbagliato. Erik non l’avrebbe mai perdonata, nemmeno se gli avesse chiesto scusa in ginocchio.

L’unica cosa che le piaceva fare, quando si sentiva a terra, o depressa, era andare nel punto più alto dell’Opéra e guardare tutta la città illuminata. Era anche il posto in cui Erik era stato ferito da suo padre. Quel posto la faceva stare subito meglio. Ci andava anche per pensare. Era un posto silenzioso.

Tornò in superficie e avanzò verso la parte superiore. Arrivò in cima affannata. Si fermò per riprendere fiato. Adesso che era in dolce attesa, tutto quanto era faticoso. Soprattutto le scale. Un soffio di vento le scompigliò i capelli.

Anche Erik aveva avuto la sua stessa idea. Se ne stava in piedi, contemplando il panorama, assorto nei suoi pensieri. Christine sentì le farfalle nello stomaco. Doveva correre da lui, abbracciarlo e chiedergli perdono. Lo desiderava più di ogni altra cosa al mondo. Aveva aspettato questo momento da troppo tempo.

-Erik! Erik!- L’uomo si girò di scatto. Non fece in tempo a dirle nulla che se la ritrovò tra le braccia. Riabbracciare la donna desiderata, lo rianimò- Perdonami, amore mio. Perdonami

La strinse a sé con tenerezza infinita. Le baciò la fronte, il naso, le guance, il mento e per ultime le labbra. Quattro anni gli erano parsi lunghi ed eterni senza di lei. Aveva temuto di non rivederla più.

-Christine…- la ragazza si strinse di più a lui. Gli posò la testa sul petto. Erik le prese il mento tra il pollice e l’indice e la costrinse a guardarlo. Appoggiò, nuovamente, le sue labbra su quelle della sua amata. Non si sarebbe mai saziato dei suoi baci.

Christine lo prese per mano e lo condusse alla sua abitazione. Nessuno, prima di allora, c’era mai stato. Cercarono di non farsi notare troppo. L’unico che incrociarono fu Gerard. L’uomo diede una piccola pacca affettuosa ad Erik e strizzò l’occhio a Christine, facendola leggermente arrossire. Era felice per quei due ragazzi. Finalmente si erano ritrovati.

Appena dentro, Erik si buttò sul letto e chiamò a sé il suo piccolo angelo. Christine si sdraiò accanto a lui, tenendolo stretto. Respirò il suo profumo. Ancora non poteva crederci. Nessuno dei due osò parlare, per non rovinare l’atmosfera.

-Ti prego Erik, togliti la maschera- furono le parole di Christine a rompere il silenzio tra loro. L’uomo si irrigidì. Quando l’aveva fatto, Christine aveva cominciato a tremare. Aveva visto il terrore nei suoi occhi. Era svenuta. Non voleva provocarle lo stesso effetto. Lui era orrendo, spaventoso. Ecco perché viveva nei sotterranei. Con la maschera, almeno, poteva essere al sicuro.

-Non posso Christine. Finirei col disgustarti ancora di più…- A Christine questo non importava. L’aveva già visto senza maschera. Aveva imparato a non giudicare una persona dall’aspetto. Lo amava e questo era abbastanza. Si alzò dal letto e con grande sicurezza, gli sfilò la maschera. Il viso era deturpato, ma ciò non le causò alcun problema. Anzi, si chinò su di lui e lo baciò.

-Non mi disgusti affatto Erik. Io ti amo. Questi anni lontana da te, mi hanno fatta star male. Ti pensavo in continuazione. Ti ho creduto morto…- un nodo alla gola le impedì di continuare. Stavolta fu Erik a baciarla.

-Non piangere dolce angelo. Adesso sono qui. Dormi e non pensare a nulla. Veglierò io su di te- Erik intonò nuovamente quella dolce nenia. Le carezzò le guance, cullandola. Christine ritrovò la calma e la serenità di un tempo. Si addormentò quasi subito e per quella notte non ebbe né sogni, né incubi.

Si svegliò alle prime luci dell’alba. Erik, però, non era più accanto a lei. Si sentì persa. Il Fantasma arrivò poco dopo, già tutto vestito. Indossava anche la maschera. Christine si rilassò e gli buttò le braccia al collo. Si scambiarono un tenero bacio.

-Ho pensato che mi avessi abbandonata nuovamente…- ricordò l’incubo fatto sei mesi prima.

-Improvvisamente ti sei fatta pallida, amore mio. Cosa ti turba?- Erik era seriamente preoccupato per la sua amata Christine. La prese tra le braccia e la tenne stretta- Qualunque sia il problema, adesso è passato. Ciò che conta è il nostro presente. Io ci sono e ci sarò sempre per te. Non devi temere nulla- Christine fece cenno di si col capo. Quando stava con Erik, si sentiva al sicuro, lontana da ogni problema. Con lui sarebbe andata anche in capo al mondo.

-Erik tu hai mai pensato di cantare sul palco dell’Opéra? Tu sei un tenore e hai una voce molto potente. Potresti fare la parte del protagonista di qualche celebre opera

-Non si è mai visto un uomo mascherato cantare l’opera. E comunque non fa per me. Io preferisco ascoltare la tua bellissima voce

Qualcuno bussò alla porta di Christine. La ragazza aprì e vide il direttore del teatro: era affannato e con le mani nei capelli. Gli occhi fuori dalle orbite. Sudava copiosamente. Era agitatissimo. Le sopracciglia aggrottate. Quando la vide, sembrò calmarsi un attimo. Cominciò, invece, a girare avanti e indietro.

-Che vi succede monsieur Cholet? Perché siete così agitato?

-Un guaio, Christine! Un guaio! Sono rovinato! Stasera all’Opéra andrà in scena “La Traviata”. Abbiamo fatto il tutto esaurito. Però madame Carlotta è impossibilitata a cantare e il tenore che doveva impersonare Alfredo, è malato, inchiodato a letto con la febbre alta. Sono disperato! Vi prego Christine, sostituite Carlotta. Avete una voce meravigliosa, un dono del cielo. Chi mai potrà sostituire il nostro tenore più bravo? Mi cacceranno via!

-Non dica così monsieur. Io posso aiutarvi. Voi conoscete Erik, il figlio di monsieur Carriere?

-Il Fantasma dell’Opera? Impossibile mademoiselle,  è morto quattro anni fa. Fu l’ispettore Ledoux a raccontarmelo

-E se invece le dicessi che è ancora vivo?- Cholet strabuzzò gli occhi. Il Fantasma dell’Opera era ancora vivo? Possibile? Christine lo fece accomodare. Davanti a sé vide un uomo alto, slanciato, con i capelli biondi e una maschera sul viso. Trattenne un gridolino. Quello era il famoso Fantasma? Colui che gli aveva procurato un sacco di grattacapi? Colui che gli aveva scritto un sacco di lettere minatorie? Però aveva sentito la sua voce e ne era rimasto folgorato.

-Monsieur Erik, per cantare dovreste togliervi la maschera

-Non mi toglierò la maschera e non canterò- Erik era risoluto a non cedere. Ma monsieur Cholet insistette. Il fantasma guardò Christine e vide il desiderio nei suoi occhi. Lo stavano implorando. Alla fine cedette per il bene della sua amata, ma a una condizione: non si sarebbe tolto la maschera. Monsieur Cholet non insistette. Se quell’uomo desiderava cantare con la maschera, allora gli andava più che bene. Uscì dalla porta tutto felice e soddisfatto. Christine ed Erik risero divertiti.

Il momento di cantare si avvicinava sempre di più e Christine si sentiva tesa e nervosa. E se avesse fallito? La gente si aspettava molto da lei. Sbuffò e si contorse le mani. Non cantava più da molto tempo. Si vestì. Uscì dal camerino, camminando rigida. Monsieur Cholet l’aveva incoraggiata. Erik l’aveva abbracciata e baciata.

Guardò dietro il tendone: una marea di gente, vestita sontuosamente, aveva preso posto e aspettava pazientemente che l’opera cominciasse.

Poco dopo il tendone si aprì. Christine cercò di controllare il suo nervosismo. Assieme a lei c’era Erik. Chiuse un attimo gli occhi e fece un respiro profondo. Entrò in scena. Uno scroscio d’applausi la investì. Su uno di quei palchi era seduto anche il Visconte Philippe De Chagny. Il suo viso non faceva trapelare nessuna emozione. Era composto. Tra le mani aveva un bastone da passeggio.

Christine ed Erik cominciarono a cantare. Le loro voci, melodiose e armonizzanti, fecero rimanere senza parole il pubblico. Tutto filò liscio. Il pubblico osannava quei due cantanti. Gli applausi si facevano man mano sempre più forti. Nessuno si era chiesto perché il protagonista portasse una maschera sul viso. Forse faceva parte della sceneggiatura. L’ultimo atto, quello conclusivo, vedeva i due protagonisti intenti a parlare d’amore. Erik teneva Christine tra le braccia. L’uomo si accorse del pallore di Christine. Lei teneva una mano sulla bocca, trattenendo un conato di vomito. Fortunatamente non successe nulla.

Alla fine, tutti i presenti si alzarono in piedi, applaudendo. Tutti erano rimasti soddisfatti. Christine venne applaudita più di tutti. Uomini e donne le gettavano rose rosse, che lei prendeva e ringraziava.

Un conato di vomito le uscì dalla bocca. Monsieur Cholet, Carlotta e molti altri le prestarono soccorso. Una ballerina fu incaricata di prendere una bacinella. Tornò qualche secondo più tardi. Christine vomitò anche al’anima. Era pallidissima. Cholet pensò che il vomito fosse dovuto alla tensione che pian piano stava scaricando.

Christine incontrò gli occhi preoccupati di Erik, ma li abbassò quasi subito. Quando vennero lasciati soli, Christine cercò un modo per evitarlo. Ma Erik fu più veloce di lei e la prese per un polso, impedendole di scappare.

-Sei incinta, vero? Sei sempre così pallida e spossata

-Si…- tanto valeva dirgli la verità

-E di chi è questo bambino?

-Lasciami andare Erik…

-Non prima di avermi detto di chi è questo bambino. Ho il diritto di saperlo!

Monsieur Gerard passò di lì e Christine colse la palla al balzo. Si divincolò dalla stretta di Erik e gli andò incontro. Più lontano stava da Erik e meglio era per lei. Non voleva che scoprisse che il bambino, in realtà, era di Philippe. Nato da una relazione non voluta e violenta.

-Monsieur Gerard, ho bisogno di parlarle- Gerard le fece cenno di seguirla. Sarebbero andati in un posto dove nessuno li avrebbe potuti ascoltare. Scelsero la camera di Christine. Erik, insospettito, li aveva seguiti. La porta non si era chiusa del tutto e l’uomo poté ascoltare la conversazione senza essere visto.

-Dimmi tutto cara. Ti ascolto- la voce di monsieur Gerard riuscì a rasserenarla

-Si ricorda quando mi disse che secondo lei ero incinta? E’ vero, lo sono. Sono al quarto mese di gravidanza. Il padre del bambino è Philippe. A Milano mi ha violentata. Era ubriaco fradicio. Lo ha fatto per ripicca. Sapeva che ero ancora innamorata di Erik e ne era geloso. Non accettava il fatto che pensassi in continuazione a suo figlio. E’ stato orrendo. Non potevo urlare o gridare aiuto. Ho sentito un dolore atroce al ventre…

Monsieur Gerard ed Erik rimasero inorriditi. Come aveva potuto quel bastardo fare del male alla sua Christine? Gliel’avrebbe fatta pagare molto cara. Aveva sentito abbastanza. Si avviò nuovamente verso il palcoscenico. Perché Christine gliel’aveva tenuto nascosto? Sapeva che Philippe era ancora dentro l’Opéra. Lo aveva visto, ma non lo aveva accennato a Christine.

-So che sei qui! Vieni fuori!- urlò pieno di rabbia.

Davanti a lui comparve Philippe, con una rivoltella in mano.

-Ci rivediamo Fantasma dell’Opera. O forse dovrei chiamarti Erik. Allora non sei morto. Vorrà dire che ti ucciderò con le mie mani

-Provaci maledetto bastardo! Ti farò pentire delle tue azioni! Ha violato una creatura pura e senza peccato! Hai osato toccare Christine con quelle tue luride manacce! Per di più ubriaco!

-Lei non faceva che pensare a te! Parlava di te, viveva per te! Non ha mai accettato la tua morte! Io le sono sempre stata vicino, ma lei non mi ha mai degnato di uno sguardo! Mai una parola gentile! Era sempre fredda e distaccata!- Sparò un colpo dalla rivoltella, che Erik riuscì a scansare appena in tempo.

Quel rumore rimbombò per tutta l’Opéra. Christine e Gerard accorsero per vedere chi avesse sparato. Christine riconobbe Philippe. Come aveva sempre temuto, lui era tornato per lei.

-Smettila Philippe!

-No, finché non avrò ucciso il Fantasma! Lui ti ha portata via da me!

-Non è vero! Sono io che non potevo stare senza di lui. Erik, ti prego, cessa di combattere contro di lui. Non macchiarti di sangue- Erik diede ascolto a quelle parole così dolci e soavi. Si avviò verso Christine. Philippe, invece, gli mise i bastoni tra le ruote. Lo attaccò da dietro e lo fece scivolare. Fortunatamente Erik riuscì a difendersi, mandandolo al tappeto con un gancio destro. Philippe, tutto ammaccato, non accettò la sconfitta subita. Prese la rivoltella e la puntò su Erik. Christine lo vide e intimò Erik a stare attento, a guardarsi le spalle. Una pallottola uscì dalla pistola, diretto a Erik. Christine gli fece scudo col suo corpo. Erik, sentì il terrore, invadergli il corpo e la mente. La ragazza chiuse gli occhi, spaventata. Cadde per un attimo svenuta, tra le braccia di Erik. Lui l’afferrò saldamente. Poco dopo rinvenne. Non si era fatta nulla. Era incolume. Il proiettile aveva colpito monsieur Gerard dritto al petto e si era conficcato in profondità. La ragazza urlò disperata. Philippe cadde carponi, attonito e confuso.

-Monsieur Gerard! Monsieur Gerard! La prego, non muoia…- Christine singhiozzò. Gerard aveva protetto lei ed Erik col suo corpo.

-Christine… non piangere piccola cara… non abbandonerò né te, né Erik…- tossì. Un rivolo di sangue gli imbrattò l’angolo della bocca. Adesso la situazione si era capovolta. Erik teneva tra le braccia il padre agonizzante. Il sangue non smetteva di uscire. L’uomo pianse per la prima volta, dopo tanti anni. Strinse a sé il padre- Erik… perdonami figlio mio…- Erik scosse la testa. Era lui che doveva chiedere perdono a suo padre e ringraziarlo per tutto quello che aveva sempre fatto per lui.

Christine corse verso Philippe, gli diede uno schiaffo e afferrò la pistola. La puntò sul giovane. Era piena di rabbia e di rancore. Stava per premere il grilletto, ma due mani le afferrarono i polsi, impedendole di sparare. La ragazza si agitò così tanto, che sparò un colpo. La pallottola sfiorò Philippe di striscio, ferendolo leggermente alla spalla. Erik le prese la pistola dalle mani e la buttò a terra. Poi la strinse a sé, cercando in tutti i modi di calmarla. Christine singhiozzò.

-Perché mi hai fermata Erik? Perché? Quel bastardo ha ucciso tuo padre a sangue freddo! Come puoi rimanere così calmo?

-Calmati Christine e ascoltami-le prese le mani tra le sue e gliele appoggiò al cuore- mio padre non avrebbe voluto che io commettessi un atroce omicidio. La violenza porta solamente dolore. Tu stavi per uccidere l’uomo che tempo prima ti ha amata profondamente. In questi casi, l’unica vendetta esistente, è il perdono. Grazie a te, io sono cambiato. Ho scoperto l’amore. Prima di conoscerti, ero solamente un uomo affranto dal dolore e dalla solitudine. Tu e mio padre mi siete stati vicini e mi avete aiutato. Non vi ringrazierò mai abbastanza. D’ora in avanti non potrò più dire “ti voglio bene”  o “grazie” a mio padre, ma potrò dirlo a te

Christine si commosse profondamente a quelle parole. Si avvicinò ad Erik e gli posò le labbra sulle sue.

-Ti amo Erik e ti amerò sempre

Monsieur Cholet, dopo aver ascoltato la versione di Erik e Christine riguardo l’accaduto, chiamò l’ispettore Ledoux. Philippe venne messo in carcere. Si uccise poche settimane dopo, impiccandosi e facendola finita. Questa notizia addolorò moltissimo Christine.

Il funerale di Gerard Carriere venne celebrato due giorni dopo. L’Opéra venne chiusa per quel giorno. Al funerale partecipò molta gente. Erik buttò una rosa rossa sulla cassa del padre, dandogli il suo ultimo e silenzioso addio. Fu Christine a parlare per lui.

-Gerard Carriere è stata una di quelle persone benvolute all’Opéra. Era sempre gentile e disponibile con tutti. Sorrideva e incoraggiava chiunque avesse un problema. Per me è stato come un secondo padre. Gli ho voluto davvero molto bene e continuerò a volergliene. Penso che mancherà a molti di voi. Rimarrà sempre nei nostri cuori.

Quando Christine finì di parlare, tutti rimasero in silenzio. Nessuno si azzardò a parlare.

La ragazza si accorse che Erik non era più accanto a lei. Aspettò che il prete finisse di pregare per l’anima di monsieur Gerard, si fece un piccolo segno di croce e andò a cercarlo. Lo trovò nei sotterranei, intento a suonare il violino. La melodia era triste e commovente. Aspettò che finisse di suonare, poi gli andò incontro, abbracciandolo. Notò che gli occhi di Erik erano completamente asciutti, ma dentro di sé stava soffrendo moltissimo. Aveva perso la persona più importante della sua vita, il suo punto di riferimento. D’ora in poi non avrebbe più dovuto soffrire. Lei ci sarebbe stata.

-Christine partiamo. Voglio smetterla di vivere in questi sotterranei e vedere finalmente la luce del sole. Voglio girare il mondo. Voglio vivere come una persona normale. Questa maschera però farà sempre parte di me. Voglio che tu sia sempre con me

-Farò sempre parte di te, almeno fino a quando lo vorrai

-Per tutta la vita, amore mio- la baciò dolcemente

 

2 ANNI DOPO

 

Christine stringeva tra le braccia la piccola Adèle, figlia dell’ormai defunto Visconte Philippe de Chagny. Era diventata una donna completamente felice, anche grazie alla vicinanza del suo amato Erik. L’uomo considerava la bambina sua figlia. Era dolce e premuroso. La piccola somigliava moltissimo a Christine.

La ragazza pensò a monsieur Gerard. Sarebbe stato felicissimo di poter avere una nipotina così vivace e allegra. Sicuramente l’avrebbe viziata. Sospirò. Due braccia forti le cinsero la vita.

-A che pensi Christine?

-A tuo padre… Ormai sono due anni che è morto. Non ha potuto vedere nemmeno la piccola Adèle. Sicuramente sarebbe stato un nonno fantastico

-Lui è sempre con noi. Le parleremo sempre di suo nonno e del grande sacrificio che ha compiuto per permetterci di stare ancora uniti. Spero che Adèle possa diventare una bravissima cantate lirica, proprio come sua madre

Christine sorrise. Erik diede un bacio sulle labbra della sua amata e uno alla sua piccola Adèle.

-Ti amo mia piccola e dolce Christine

ncolla qui il testo.

  
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Il fantasma dell'Opera / Vai alla pagina dell'autore: Alle898