I’ll get you
Capitolo 28: “All you need is love”
Quando era piccolo, le vacanze di Natale passavano fin
troppo velocemente, e altrettanto velocemente ricominciava la scuola.
Paul odiava con quanta fretta scorresse il tempo. Gli
piaceva non doversi alzare la mattina presto per andare a scuola, godere ancora
del tepore delle coperte del suo letto, stare a casa e guardare dalla finestra
mentre fuori nevicava... Uh, sembrava facesse così freddo.
Sì. Quando era piccolo, sembrava davvero che un giorno iniziassero
le vacanze e quello dopo iniziasse già la scuola. Forse perché Paul aspettava
con ansia le vacanze di Natale dalla ripresa delle lezioni a settembre.
Ora, però, era diverso.
Ora il tempo scorreva lentamente. Troppo
lentamente.
E il motivo era che Paul non stava aspettando le vacanze
di Natale.
Aspettava qualcos'altro, qualcosa che sarebbe accaduto
dopo Natale, dopo Capodanno...
Aspettava John.
Controllò l'orologio: mancavano esattamente due giorni al
ritorno di John, e sarebbe andato proprio lui a prenderlo in stazione, come
promesso.
Solo che... Dio, sembrava ancora così lontano quel
giorno. Era possibile che il tempo stesse scorrendo più lentamente. No, vero?
No, figuriamoci, era solo un’impressione, una sensazione
dovuta a sciocche supposizioni del suo altrettanto sciocco cuore innamorato.
Certo, la lontananza da John non stava aiutando a farlo
ragionare con lucidità, ma ormai si trattava di resistere solo per altri due
giorni. Cos’erano due giorni in confronto alle tre settimane che li avevano
separati?
Inoltre, non poteva dire di essersi totalmente annoiato.
Aveva approfittato di quei giorni per cercare di riallacciare il rapporto con
Jim. Non era facile, c’era una sorta di imbarazzo e timidezza che guidava le
loro azioni, ma Paul era convinto di ciò che stava facendo. Era giusto nei
confronti di un uomo che era stato costretto a sbagliare, pur sapendo che
avrebbe arrecato sofferenza ai suoi cari; era giusto nei confronti di sua
madre, era giusto nei confronti di se stesso e di Mike. Non avrebbero dovuto
continuare a portare tutto quel rancore per il padre. Sarebbe stato deleterio e
controproducente, soprattutto per Paul che ora aveva deciso di restare a
Londra.
Suo padre, in fondo, era un persona interessante, lo era
sempre stato. Paul ricordava bene quando aveva cominciato a istruirlo con la
sua cultura musicale: lo prendeva per mano, lo portava in salotto e gli faceva
ascoltare uno dei suoi vecchi dischi in vinile. Altrettanto chiari come ricordi
erano le lezioni di chitarra, quando Jim gli aveva insegnato accordi che in
seguito Paul aveva scoperto essere errati per una chitarra. Erano, in effetti,
più adatti a un banjo. Questo spiegava perché anche John, quando aveva
conosciuto Paul, usasse quel tipo di accordi per suonare la chitarra. Solo che
in quel momento per Paul pensare ad un collegamento tra John e suo padre era
pressoché impossibile.
Paul ricordò i suoi primi giorni a Londra. Era un uomo
completamente diverso allora. Pur avendo molti difetti, come l'eccessiva
sicurezza, un po' di arroganza e soprattutto la mancanza di fiducia verso gli
altri, Paul doveva ammettere che quella versione di se stesso gli piaceva
ancora. Insomma, se non fosse stato così, come sarebbe cambiato il suo futuro?
Avrebbe frequentato John? Si sarebbe innamorato comunque di lui?
Di certo non l'avrebbe mai saputo, ma era contento di
come fossero andate le cose.
Sospirò, mentre era sdraiato sul pavimento di casa sua,
di fronte al caminetto. Stava ascoltando il cd che gli aveva regalato John,
provando a ingannare l'attesa lasciandosi prendere e sopraffare dalla sua voce
che cantava per lui, e nel frattempo leggeva un libro, con Pepper accoccolato
sulla sua pancia e Elvis accanto a lui.
John aveva lasciato a George il compito di occuparsi del
suo gatto, ma Paul decise di prendersene cura personalmente, mentre il padrone
era via. Aveva di sicuro più tempo libero da dedicare al piccolo esserino.
Inoltre, pensava fosse una buona idea portarlo a casa sua: avrebbe potuto
familiarizzare e giocare con Pepper. Così era stato. Era divertente vederli
giocare insieme, rincorrersi sul pavimento e poi aggrovigliarsi davanti al
camino, mordicchiandosi le orecchie a vicenda e facendosi le coccole.
Uno bianco e uno nero, tanto diversi erano, ma avevano
legato subito.
In qualche modo ricordavano a Paul se stesso e John.
Diversi, sì, eppure così compatibili, perfetti, come se fossero in qualche modo
destinati l’uno all’altro, come se fossero due anime gemelle.
Il pensiero fece sorridere Paul fra sé, mentre
accarezzava distrattamente la testolina del suo gatto, e il giovane uomo si
chiese poi cosa ne sarebbe stato della sua vita d'ora in avanti.
Della sua carriera, soprattutto.
Tornare in polizia era fuori discussione. Era un lavoro
che amava. In fondo, era stato un sogno che si era avverato. Tuttavia, ora,
qualcosa si era incrinato. Sentiva che non avrebbe più provato lo stesso
entusiasmo. Lavorare in una qualunque stazione di polizia di Londra come
ispettore non era fattibile. Paul aveva provato a parlarne con l'ispettore
capo, quando gli aveva comunicato la sua decisione di non prendere servizio a Shrewsbury.
Un modo c'era, gli aveva detto Richard, ed era
l'abbassamento di grado.
Paul non poteva accettarlo. Dopotutto, aveva speso forze
ed energie per arrivare al grado di ispettore. Non poteva tornare indietro.
Così alla fine, aveva preferito uscire di scena con il suo vero grado,
piuttosto che accettare quella soluzione.
E fu con molta sorpresa che ricevette un'offerta di
lavoro, qualche giorno dopo il colloquio con l'ispettore Starkey, proprio
grazie a suo padre.
Un paio di persone tra i suoi amici e vicini di casa
cercavano da tempo qualcuno disposto a dare lezioni di chitarra ai propri figli
e Jim aveva dato il suo nome, conscio del buon lavoro che Paul aveva fatto con
John.
Paul all’inizio fu riluttante ad accettare, non tanto per
il tipo di lavoro, uno che aveva a che fare con la musica, ancora;
quanto piuttosto per le prospettive che offriva. Sì, era pur sempre un lavoro,
e avrebbe guadagnato qualcosina, ma non tanto da viverci. E comunque, fino a
quando avrebbe tenuto quelle lezioni? Una volta che i ragazzi avessero imparato
tutto quello che c’era da imparare, beh, non avrebbero più avuto bisogno di
Paul. A quel punto cosa ne sarebbe stato di lui?
Avrebbe tanto voluto parlarne con John, chiedere il suo
consiglio, ma era un argomento che avrebbero potuto affrontare al suo ritorno.
Così, per il momento, Paul aveva deciso di accettare l'offerta.
Le sue giornate senza John quindi trascorrevano tra una
visita a George al negozio di musica, qualche lezione nel primo pomeriggio e un
tè alle cinque a casa di suo padre.
Nei giorni di festa come Natale e Capodanno, Paul era
stato invitato a casa di George e Pattie insieme a Jim.
Suo fratello Mike aveva preferito non raggiungerlo a
Londra con moglie e figlia, e Paul accolse favorevolmente la sua decisione.
Aveva comunicato al fratello di aver ritrovato il padre. Si era inventato un
qualche tipo di indagine personale che Paul aveva intrapreso per conto suo per
cercarlo. Mike non era sembrato particolarmente entusiasta, e anche se Paul
aveva spiegato tutto il racconto di Jim, lui aveva bisogno di tempo per
accettare la realtà dei fatti e magari prendere la stessa decisione di Paul.
Ecco perché Mike non aveva trascorso con loro quelle festività. Era piuttosto
sconvolto.
Per questo motivo Paul aveva deciso di non parlargli di
John e del rapporto che intercorreva fra loro.
Una notizia bomba alla volta, Paul, si
era detto.
Era però curioso di sapere come avrebbe reagito Mike. Il
suo sesto senso gli diceva che sarebbe andato tutto bene. John gli era già
piaciuto una volta, gli sarebbe piaciuto ancor di più ora che era diventata
l'unica persona in grado di rendere felice Paul.
Il giovane uomo sorrise, voltandosi sul fianco, con
grande disappunto di Pepper che si svegliò dal suo pisolino e raggiunse Elvis
sul pavimento.
Guardò il focolare nel camino, rendendosi conto che ci
dovesse essere all’incirca la stessa temperatura nel suo cuore, al pensiero del
futuro che stava aspettando lui e John
Al pensiero di John.
Controllò l'orologio ancora una volta. Mancavano cinque
minuti in meno rispetto a poco tempo prima. Beh, era pur sempre un aspetto
positivo.
Un giorno, ventitré ore e cinquantacinque minuti e poi
avrebbe potuto ritrovare tutto ciò che stesse aspettando.
Tutto ciò di cui avesse bisogno.
John, l'amore.
****
C’era quasi.
Dopo un’ora di viaggio, circa, il treno era entrato a
Londra e finalmente cominciò a rallentare. John poteva vedere dal finestrino le
case della periferia trasformarsi pian piano negli edifici del centro di
Londra.
E mentre il treno rallentava, il suo cuore accelerava i
battiti nel suo petto. Batteva rapidamente, sì, ma anche con intensità. Ogni
battito scuoteva il suo petto e faceva fremere la sua pelle.
C'era anche una piacevole leggerezza che John percepiva
nella sua pancia e un lieve formicolio alle mani. Tutto questo per la persona
che lo stava aspettando sul binario, lì dove si erano visti l'ultima volta.
Tutto questo per Paul.
Dio. Paul sarebbe stato lì per lui.
John faceva ancora fatica a crederci. Le tre settimane di
lontananza sembravano aver reso la corsa di Paul in stazione solo il più
effimero dei ricordi.
Eppure John sentiva che sarebbe andata così. Avrebbe
ritrovato Paul e questa volta per sempre.
Stava morendo dalla voglia di vederlo, toccarlo, sentire
la sua voce...
Era strano da capire, perché in fondo si erano
rappacificati, ma John e Paul non si erano mai telefonati durante quei giorni.
Gli ultimi ricordi di John della voce di Paul erano bellissime parole di
speranza.
Poi il nulla. Non che non si fossero più parlati, sia
chiaro. I messaggi, quelli sì che erano stati abbondanti. Solo che nessuno dei
due aveva mai pensato di fare una telefonata all'altro. In realtà John non
pensava che fosse dovuto a una mancanza di volontà sua o di Paul. Era piuttosto
una sorta di imbarazzo che l'aveva trattenuto dal telefonare a Paul almeno una
volta.
Il semplice messaggio offriva la protezione di uno
schermo. La telefonata no. John sarebbe stato esposto. Se la sua voce avesse
traballato, Paul l'avrebbe sentito. Se non avesse saputo cosa dire, Paul
l'avrebbe sentito. Se, ancora peggio, avesse detto qualcosa di inappropriato,
Paul l'avrebbe sentito.
E John non voleva. Aveva paura di rovinare tutto. Quel
rapporto con Paul era delicato, come i cocci di un vaso appena incollati
insieme. John sentiva di essere ancora in grado di rompere quel vaso. Non che
volesse fare del male a Paul di proposito, ma John era un tale disastro.
Sarebbe bastato un niente per rompere definitivamente con Paul, e John era
molto bravo anche a trovare e realizzare quel fottuto niente.
Ecco perché non l'aveva chiamato, e pensò che anche Paul
temesse la stessa cosa. Forse sapeva come si stesse sentendo John e stava solo
aiutandolo a non combinare guai nel loro ritrovato rapporto.
Il solo pensiero fece gonfiare il cuore di John con
amore. Con un po' d'attenzione e con l'aiuto di Paul, sarebbe andato tutto
bene.
Un movimento lieve richiamò la sua attenzione, così John
abbassò lo sguardo verso la testolina di Julian appoggiata sulle sue gambe. Il
bambino dormiva profondamente e John sorrise alla visione, mentre gli
accarezzava i capelli d'angelo.
Il piccolo si era divertito molto nelle vacanze trascorse
con la mamma e dal canto suo, John era felice che il rapporto tra Cynthia e suo
figlio si stesse ricostruendo lentamente. Lei era molto più tranquilla ora, più
sicura di se stessa, così diversa da come la ricordava lui e questo fece star
meglio anche lui. Dopotutto non aveva mai desiderato che lei sparisse dalle
loro vite e continuasse a soffrire. Non era giusto, era pur sempre la madre di
Julian e una persona importante della vita di John. Voleva che lei fosse
felice, tutto qua.
Aveva anche trovato un nuovo compagno, un dottore della
clinica dove era stata ricoverata. Quando era stato presentato a John, questi
aveva avuto sicuramente una buona impressione su di lui. Sembrava proprio
perfetto per Cynthia, a differenza di John.
Tuttavia non era qualcosa per cui John potesse crucciarsi, perché sapeva ora di
essere perfetto per un’altra persona.
Il fischio del treno lo fece sussultare nello stesso
momento in cui la sua mente formò il nome di quella persona.
Paul.
Paul che era lì, da qualche parte, ad aspettarlo.
John cercò di sbirciare dal finestrino alla ricerca di
Paul sulla piattaforma, mentre il treno si fermava, ma non lo vide. C'era molta
gente ad aspettare le persone appena arrivate ed era anche vero che John fosse
terribilmente ansioso, e lo sanno tutti che l'ansia gioca brutti scherzi.
Eppure non l'aveva visto, e il suo cuore, che stava impazzendo disperato nel
petto, ne era la conferma.
Non lo vide neanche qualche minuto dopo, quando John
scese dal treno con Julian ancora un po' assonnato, e si fece strada in mezzo
alla folla che salutava i nuovi arrivati.
"Papà, voglio andare a casa." mormorò Julian,
stropicciandosi gli occhi.
"Lo so, amore, ma dobbiamo aspettare Paul. Viene a
prenderci lui."
E mentre Julian si appoggiava alla sua gamba, lasciandosi
scappare un piccolo sbadiglio, John prese il cellulare e controllò di aver riferito
l'orario giusto a Paul. Poi, una volta appurato che non vi fossero errori nelle
informazioni che gli aveva riferito, prese Julian in braccio, facendogli
appoggiare la testolina sulla spalla.
Nel frattempo diede un'occhiata in giro per provare a
scorgere una testa familiare, cercando di ignorare le mille domande che si
affollarono prepotenti nella sua mente.
E se Paul non fosse venuto?
E se fosse stato tutto un trucco?
O peggio, se avesse cambiato idea?
Tuttavia John non ebbe il tempo di disperarsi per tali
orribili scenari, perché pochi secondi dopo sentì due dita puntate sulla
schiena e una dolce voce sfiorare le sue orecchie.
"Mani in alto. Ti dichiaro in arresto in nome di Sua
Maestà."
John sorrise fra sé, riconoscendo quella voce che poteva
appartenere a un solo uomo.
"Con quale accusa, signore?"
"Latitanza."
"Oh, sembra terribile."
"Lo è." rispose Paul, mentre John decideva
infine di voltarsi.
Quando finalmente si ritrovò di fronte a
Paul, il suo Paul, tutto intorno a lui divenne ovattato. La stazione, i treni,
i fischi delle locomotive, le voci delle persone… tutto sembrò sparire
nell’esatto momento in cui i suoi occhi incrociarono quelli di Paul,
nell’esatto momento in cui John tornò a essere completo. E quando uno è
completo, quando non sente la mancanza di nulla che cosa può dire?
Non aveva desideri o particolari richieste da
esprimere a parole, perché tutto ciò di cui avesse bisogno era di fronte a lui.
Perciò, ritenendo sconveniente continuare a guardare Paul
senza proferire parola, John si decise a far scivolare lo sguardo sulla mano di
Paul che voleva solo simulare una pistola.
"Un po' innocua come arma."
Paul si limitò ad alzare le spalle, "Sono stato
costretto a improvvisare. Ero in ritardo. Londra è sempre così trafficata a
quest’ora.”
“L'importante è che tu sia qui ora.” commentò John,
divertito.
"No." disse Paul, prendendo la valigia di John
e chinandosi solo un po' verso di lui, "L'importante è che tu sia
qui."
E poi sorrise. Quel sorriso caloroso e dolce che John
aveva sognato ogni notte da quando era partito.
Quel sorriso che voleva solo dirgli...
"Bentornato a casa, John."
****
Una volta arrivati a casa, Paul li lasciò a sistemarsi,
mentre andava a recuperare qualcosa da mangiare per tutti e tre.
Fu grato di aver avuto quel piccolo momento per prendere
fiato. Pensò di averlo trattenuto da quando aveva intravisto il dolce viso di
Julian in stazione, in braccio a un uomo che doveva essere sicuramente John.
Ecco, quel momento era stato magico. Paul era arrivato a King’s cross con il fiatone e il cuore impazzito per la
corsa che aveva fatto, visto che era in ritardo, ma quando aveva notato John,
tutto era diventato cento volte più intenso e sconvolgente, come se non potesse
più tornare a respirare normalmente.
Era stata solo un’impressione, ovviamente, ma Paul
l’aveva percepita molto bene con tutto il corpo e in qualche modo era riuscito
ad andare avanti, raggiungere John, parlare con lui, guardarlo, sfiorarlo… fare
tutte quelle cose che aveva solo sognato nelle ultime settimane. Era una
sensazione deliziosa, sapere di poter fare ora tutto quello che voleva.
Solo che non era così facile. Non lo era affatto.
C’era troppo in Paul, troppa agitazione, troppo amore,
non avrebbe potuto fare molto in quelle condizioni.
Ecco perché accolse con gioia questo momento di
solitudine. Aveva aspettato così tanto il potersi trovare faccia a faccia con
John, e ora che era sicuro di trovarlo a casa, poteva concentrarsi solo su cosa
dire o fare.
Perciò cercò con calma i panini da mangiare quella sera,
e subito dopo recuperò Elvis dal suo appartamento. Poi facendosi coraggio,
tornò a casa Lennon.
Il piccolo padroncino di Elvis fu felicissimo di rivedere
il suo gatto e iniziò subito a giocare con lui, mentre John e Paul preparavano
la cena.
Di tanto in tanto John gli lanciava uno sguardo furtivo,
quando apparecchiarono la tavola, o mentre mangiavano, oppure lo fissava senza
accorgersi di farlo, mentre Paul gli spiegava del lavoretto che gli aveva
procurato suo padre...
E Paul doveva trattenersi ogni volta dal ridere. Ora
sentiva di essere più sicuro, di avere più controllo di se stesso. Tuttavia sembrava
che John ancora non credesse di essere lì con lui. Era come se stesse morendo
dalla voglia di allungare una mano solo per sfiorarlo e assicurarsi che fosse
vero, che Paul fosse proprio lì con lui, che nonostante tutto, che dopotutto
fossero ancora insieme.
In qualche stranissimo modo.
Eppure era così, constatò John quando per l'ennesima
volta Paul intercettò il suo sguardo, facendolo di conseguenza arrossire. Non
capiva perché facesse fatica a crederci. I battiti folli del suo cuore erano
più reali che mai, e come sempre erano causati da Paul.
Forse era solo un po' di paura. Dopo aver aspettato per
tanto tempo quel momento, ora che finalmente era giunto, John temeva il
confronto che sarebbe seguito per la sua dannata insicurezza, e non perché
sarebbe stato qualcosa che avrebbe rovinato il loro rapporto, anzi. Si
supponeva dovessero chiarire una volta per tutte e ricominciare da capo.
Si supponeva, anche, che John avesse così tante cose da
dirgli che non sapeva da dove cominciare; ma fintanto che Julian fosse stato
con loro, attirando tutte le attenzioni di Paul mentre John sparecchiava la tavola,
era impossibile parlarne con calma.
Perciò, fu con sollievo e un leggero senso di paura che
John capì quando arrivò il momento di portare a letto il bambino. Il piccolo aveva
cominciato a sbadigliare sonoramente e stropicciarsi gli occhi, mentre giocava
con Paul, e John decise, infine, di portarlo nella sua camera. Prese tra le braccia
il bambino che Paul gli porse con attenzione.
"Torno subito." gli disse.
Paul annuì, sorridendo rassicurante, quasi volesse dirgli
senza fiatare che l’avrebbe aspettato a qualunque costo.
Pochi istanti dopo John aiutava il figlio a infilare il pigiama.
Julian non era molto collaborativo, la testa praticamente ciondolava dal sonno.
John pensò che non avrebbe impiegato molto tempo a metterlo a letto. Difatti
quando il bambino si ritrovò sotto le coperte e John iniziò a cantargli una
ninna nanna, Julian si addormentò all'istante.
Ma John era ancora spaventato di ritrovarsi da solo con Paul.
Era strano come un desiderio così agognato potesse infine
essere anche tanto temuto.
Perse un po' di tempo per finire la ninna nanna e accarezzare
i capelli di Julian, sperando che il suo cuore potesse almeno calmare i suoi
battiti. John era quasi convinto che Paul al piano di sotto avrebbe potuto
percepirli.
Poi, quando pensò di essere pronto per affrontare Paul,
John spense l'abat-jour e uscì dalla camera.
Quando si voltò, trovò Paul di fronte a sé, appoggiato
allo stipite della camera di John. E tutto il suo lavoro di pochi minuti prima
andò in frantumi.
"Si è addormentato?" domandò Paul, interessato.
John annuì, il suo cuore era di nuovo impazzito. Sentiva di
avere la gola secca; se avesse provato a parlare, forse non sarebbe uscito
alcun suono. Ma doveva provarci a qualunque costo.
"Sì.” rispose, avvicinandosi con passo incerto
all’altro uomo, “È crollato ancor prima che finisse la ninna nanna."
Paul rise dolcemente all'immagine creatasi nella sua
mente: John che cantava una nenia al piccolo Julian.
"La prossima volta posso sbirciare?"
John non era sicuro cosa fosse stato ora a farlo
rilassare in un istante. Se fosse stata la risata di Paul, oppure il suo
atteggiamento molto tranquillo, o ancora il suo sguardo dolce che non riusciva
ad allontanarsi da John. Pensò che fosse la stessa sensazione che aveva provato
la sera del suo compleanno. Anche in quel caso Paul l’aveva aspettato, anche in
quel caso avevano avuto molte cose di cui parlare.
E ora John conosceva le parole giuste da rivolgergli.
"Non lo so."
Paul aggrottò la fronte, lievemente preso in contropiede
dalla risposta di John, "Perché?"
"Dipende."
"Da cosa?"
"Devi accettare le mie scuse per quello che è
successo." disse John, causando un piccolo sorriso sulle labbra di Paul.
Ecco, quella era una questione che Paul si aspettava.
"Non ce n'è bisogno, John."
"Sì, invece.” ribatté John, avvicinandosi
ulteriormente all’uomo, “Hai perso il tuo lavoro per colpa mia."
"Ho deciso io
di restare qui."
"Ma se non avessi creato tutta questa gran
confusione, non saresti stato costretto a prendere questa decisione. Avresti
ancora il tuo lavoro."
"E se tu non avessi deciso di diventare Hermes, io
non sarei venuto qui e forse non ci saremmo mai incontrati, John." gli
fece notare Paul, "Allora, cosa credi sia peggio?"
John sussultò all’ipotesi suggerita da Paul. Una vita
senza Paul era proprio ciò che l’aveva tormentato, quando doveva decidere se
consegnarsi a lui oppure no. Certo, se doveva vederla in quell’ottica, allora
era ovvio quale fosse la risposta.
Paul sembrò leggergli nel pensiero perché, senza
aspettare che John rispondesse, si sporse verso di lui, facendolo tremare
visibilmente, per stringere tra le dita la sua camicia e attirarlo a sé.
"Paul..."
"Io preferisco che tu sia diventato Hermes, così ho
potuto conoscerti e finalmente, prenderti."
John rise più rilassato, e si fece coraggio per far
scivolare le braccia ancora intimorite intorno alla vita di Paul.
"Pensavo fossi stato io a prenderti." ribatté,
arricciando le labbra.
"No, ti sbagli. Sono stato io.” insistette Paul,
scuotendo il capo, prima di puntare un dito sul suo petto, “E ora devi promettere
che non mi scapperai più."
"Non voglio più scappare, non da te." mormorò
John, "Ma devi accettare comunque le mie scuse."
"Se ti fa stare meglio..." sospirò Paul,
lasciando che la sua bocca si strofinasse contro la guancia dell'altro uomo,
"Scuse accettate."
John rabbrividì visibilmente, percependo dopo tanto tempo
le labbra di Paul ancora una volta sulla sua pelle. Gli era mancato tutto di
lui. Dal semplice sguardo, alle mani calde, alla soffice bocca, alla-
"E ora finalmente posso dirtelo."
Alla sua voce dolce che sapeva trovare sempre
le parole migliori per far impazzire John.
"Ti amo, John."
John chiuse gli occhi, stringendo le mani sui fianchi di
Paul quando quel lieve sussurro sfiorò il suo orecchio. La testa improvvisamente
vorticò come se fosse una giostra che John adorava, ma a cui non riusciva a
stare dietro. Aveva bisogno di aggrapparsi a qualcosa per non perdere
l'equilibrio e franare a terra. Tuttavia, desiderò che questa giostra non
finisse mai di vorticare perché... Beh, il motivo era la cosa più semplice e
insieme più complicata del mondo, era la cosa più banale, scontata, la cosa più
popolare ma anche unica per ogni persona sulla faccia della Terra, la cosa più
importante...
Era...
"Ti amo anch'io, Paul.”
John non lo vide, perché Paul era ancora rivolto verso un
lato del suo viso, ma fu sicuro che l’avesse fatto sorridere dal modo in cui
trattenne appena il respiro.
Incoraggiato, decise di continuare. Aveva molto altro da
dire.
“E non hai idea di quanto sia felice che tu sia qui con
me."
"Penso di poterlo immaginare, sai, vagamente."
scherzò Paul, ridendo sommessamente.
“Ma cosa farai, ora che non hai più il lavoro?” domandò
John, cercando di guardarlo negli occhi.
Era, in fondo, un argomento molto serio di cui parlare,
qualcosa che forse avrebbe tormentato John per sempre con il rimorso e la
colpa.
Tuttavia l’espressione di Paul non era seria. Era
tutt’altro, in effetti.
“Dobbiamo parlarne adesso?” domandò, mordendosi il
labbro.
"Pensavo volessi parlare con me..."
"Ed è così.” si affrettò a rispondere Paul, prima di
appoggiare tutto il palmo della sua mano sul petto caldo di John, “Ma sai,
pensavo di fare altro proprio in questo momento..."
La frase lasciata in sospeso e la mano forte di Paul sul
proprio cuore, fecero provare a John un brivido insieme caldo e freddo.
"Del tipo?" domandò, la voce quasi strozzata da
una sensazione leggera nella sua pancia.
Paul sorrise malizioso, prima di attirarlo a sé e poi
dentro la camera, con la mano che si strinse sulla camicia.
Quando John si scontrò con la sua bocca, capì quale fosse
il piano di Paul per quella sera e pensando che non gli dispiacesse affatto
sottostare al volere di Paul, fece chiudere la porta della sua camera dietro di
sé, con un piccolo colpo di tacco.
E ancora, mentre Paul lo stringeva e lo baciava, e John
lo conduceva verso il suo letto, capì che quella porta aveva chiuso una volta
per tutte il loro turbolento passato fuori dalle loro vite.
Perché ora non contava più.
Perché ora contavano solo l'uno per l'altro.
Perché ora, proprio ora, c'era solo amore.
Note
dell’autrice: buuuuu, lo so, non
è granché. Non mi convince proprio e non ho neanche idea del perché. ç_ç
Se voi l’avete, per favore, fatemelo notare, così sistemo
e mi metto l’anima in pace.
Comunque siamo arrivati alla fine. Manca solo l’epilogo
che avrà come titolo “All together
now”. J
I ringraziamenti li teniamo tutti per la fine. Per adesso grazie a kiki per la correzione.
Nel frattempo linko questa os
che ho scritto a quattro mani con SillyLoveSongs. Ci farebbe
piacere sapere il vostro parere. ^_^
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2910197&i=1
Buona serata e a presto.
Kia85