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Autore: Kia85    25/11/2014    4 recensioni
Se c’è una cosa che l’ispettore McCartney odia, quella sono i ladri.
Quando gli affidano il caso dell’anno, il caso di Hermes, il ladro melomane, Paul sa che farà di tutto per acciuffarlo.
Ma gli imprevisti nella vita possono celarsi dove meno te lo aspetti.
Anche nel negozio di musica davanti casa, gestito da un certo John Lennon...
Genere: Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: George Harrison, John Lennon, Paul McCartney, Ringo Starr
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'I'll get you'
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I’ll get you

 

Capitolo 28: “All you need is love”

 

Quando era piccolo, le vacanze di Natale passavano fin troppo velocemente, e altrettanto velocemente ricominciava la scuola.

Paul odiava con quanta fretta scorresse il tempo. Gli piaceva non doversi alzare la mattina presto per andare a scuola, godere ancora del tepore delle coperte del suo letto, stare a casa e guardare dalla finestra mentre fuori nevicava... Uh, sembrava facesse così freddo.

Sì. Quando era piccolo, sembrava davvero che un giorno iniziassero le vacanze e quello dopo iniziasse già la scuola. Forse perché Paul aspettava con ansia le vacanze di Natale dalla ripresa delle lezioni a settembre.

Ora, però, era diverso.

Ora il tempo scorreva lentamente. Troppo lentamente.

E il motivo era che Paul non stava aspettando le vacanze di Natale.

Aspettava qualcos'altro, qualcosa che sarebbe accaduto dopo Natale, dopo Capodanno...

Aspettava John.

Controllò l'orologio: mancavano esattamente due giorni al ritorno di John, e sarebbe andato proprio lui a prenderlo in stazione, come promesso.

Solo che... Dio, sembrava ancora così lontano quel giorno. Era possibile che il tempo stesse scorrendo più lentamente. No, vero?

No, figuriamoci, era solo un’impressione, una sensazione dovuta a sciocche supposizioni del suo altrettanto sciocco cuore innamorato.

Certo, la lontananza da John non stava aiutando a farlo ragionare con lucidità, ma ormai si trattava di resistere solo per altri due giorni. Cos’erano due giorni in confronto alle tre settimane che li avevano separati?

Inoltre, non poteva dire di essersi totalmente annoiato. Aveva approfittato di quei giorni per cercare di riallacciare il rapporto con Jim. Non era facile, c’era una sorta di imbarazzo e timidezza che guidava le loro azioni, ma Paul era convinto di ciò che stava facendo. Era giusto nei confronti di un uomo che era stato costretto a sbagliare, pur sapendo che avrebbe arrecato sofferenza ai suoi cari; era giusto nei confronti di sua madre, era giusto nei confronti di se stesso e di Mike. Non avrebbero dovuto continuare a portare tutto quel rancore per il padre. Sarebbe stato deleterio e controproducente, soprattutto per Paul che ora aveva deciso di restare a Londra.

Suo padre, in fondo, era un persona interessante, lo era sempre stato. Paul ricordava bene quando aveva cominciato a istruirlo con la sua cultura musicale: lo prendeva per mano, lo portava in salotto e gli faceva ascoltare uno dei suoi vecchi dischi in vinile. Altrettanto chiari come ricordi erano le lezioni di chitarra, quando Jim gli aveva insegnato accordi che in seguito Paul aveva scoperto essere errati per una chitarra. Erano, in effetti, più adatti a un banjo. Questo spiegava perché anche John, quando aveva conosciuto Paul, usasse quel tipo di accordi per suonare la chitarra. Solo che in quel momento per Paul pensare ad un collegamento tra John e suo padre era pressoché impossibile.

Paul ricordò i suoi primi giorni a Londra. Era un uomo completamente diverso allora. Pur avendo molti difetti, come l'eccessiva sicurezza, un po' di arroganza e soprattutto la mancanza di fiducia verso gli altri, Paul doveva ammettere che quella versione di se stesso gli piaceva ancora. Insomma, se non fosse stato così, come sarebbe cambiato il suo futuro? Avrebbe frequentato John? Si sarebbe innamorato comunque di lui?

Di certo non l'avrebbe mai saputo, ma era contento di come fossero andate le cose.

Sospirò, mentre era sdraiato sul pavimento di casa sua, di fronte al caminetto. Stava ascoltando il cd che gli aveva regalato John, provando a ingannare l'attesa lasciandosi prendere e sopraffare dalla sua voce che cantava per lui, e nel frattempo leggeva un libro, con Pepper accoccolato sulla sua pancia e Elvis accanto a lui.

John aveva lasciato a George il compito di occuparsi del suo gatto, ma Paul decise di prendersene cura personalmente, mentre il padrone era via. Aveva di sicuro più tempo libero da dedicare al piccolo esserino. Inoltre, pensava fosse una buona idea portarlo a casa sua: avrebbe potuto familiarizzare e giocare con Pepper. Così era stato. Era divertente vederli giocare insieme, rincorrersi sul pavimento e poi aggrovigliarsi davanti al camino, mordicchiandosi le orecchie a vicenda e facendosi le coccole.

Uno bianco e uno nero, tanto diversi erano, ma avevano legato subito.

In qualche modo ricordavano a Paul se stesso e John. Diversi, sì, eppure così compatibili, perfetti, come se fossero in qualche modo destinati l’uno all’altro, come se fossero due anime gemelle.

Il pensiero fece sorridere Paul fra sé, mentre accarezzava distrattamente la testolina del suo gatto, e il giovane uomo si chiese poi cosa ne sarebbe stato della sua vita d'ora in avanti.

Della sua carriera, soprattutto.

Tornare in polizia era fuori discussione. Era un lavoro che amava. In fondo, era stato un sogno che si era avverato. Tuttavia, ora, qualcosa si era incrinato. Sentiva che non avrebbe più provato lo stesso entusiasmo. Lavorare in una qualunque stazione di polizia di Londra come ispettore non era fattibile. Paul aveva provato a parlarne con l'ispettore capo, quando gli aveva comunicato la sua decisione di non prendere servizio a Shrewsbury.

Un modo c'era, gli aveva detto Richard, ed era l'abbassamento di grado.

Paul non poteva accettarlo. Dopotutto, aveva speso forze ed energie per arrivare al grado di ispettore. Non poteva tornare indietro. Così alla fine, aveva preferito uscire di scena con il suo vero grado, piuttosto che accettare quella soluzione.

E fu con molta sorpresa che ricevette un'offerta di lavoro, qualche giorno dopo il colloquio con l'ispettore Starkey, proprio grazie a suo padre.

Un paio di persone tra i suoi amici e vicini di casa cercavano da tempo qualcuno disposto a dare lezioni di chitarra ai propri figli e Jim aveva dato il suo nome, conscio del buon lavoro che Paul aveva fatto con John.

Paul all’inizio fu riluttante ad accettare, non tanto per il tipo di lavoro, uno che aveva a che fare con la musica, ancora; quanto piuttosto per le prospettive che offriva. Sì, era pur sempre un lavoro, e avrebbe guadagnato qualcosina, ma non tanto da viverci. E comunque, fino a quando avrebbe tenuto quelle lezioni? Una volta che i ragazzi avessero imparato tutto quello che c’era da imparare, beh, non avrebbero più avuto bisogno di Paul. A quel punto cosa ne sarebbe stato di lui?

Avrebbe tanto voluto parlarne con John, chiedere il suo consiglio, ma era un argomento che avrebbero potuto affrontare al suo ritorno. Così, per il momento, Paul aveva deciso di accettare l'offerta.

Le sue giornate senza John quindi trascorrevano tra una visita a George al negozio di musica, qualche lezione nel primo pomeriggio e un tè alle cinque a casa di suo padre.

Nei giorni di festa come Natale e Capodanno, Paul era stato invitato a casa di George e Pattie insieme a Jim.

Suo fratello Mike aveva preferito non raggiungerlo a Londra con moglie e figlia, e Paul accolse favorevolmente la sua decisione. Aveva comunicato al fratello di aver ritrovato il padre. Si era inventato un qualche tipo di indagine personale che Paul aveva intrapreso per conto suo per cercarlo. Mike non era sembrato particolarmente entusiasta, e anche se Paul aveva spiegato tutto il racconto di Jim, lui aveva bisogno di tempo per accettare la realtà dei fatti e magari prendere la stessa decisione di Paul. Ecco perché Mike non aveva trascorso con loro quelle festività. Era piuttosto sconvolto.

Per questo motivo Paul aveva deciso di non parlargli di John e del rapporto che intercorreva fra loro.

Una notizia bomba alla volta, Paul, si era detto.

Era però curioso di sapere come avrebbe reagito Mike. Il suo sesto senso gli diceva che sarebbe andato tutto bene. John gli era già piaciuto una volta, gli sarebbe piaciuto ancor di più ora che era diventata l'unica persona in grado di rendere felice Paul.

Il giovane uomo sorrise, voltandosi sul fianco, con grande disappunto di Pepper che si svegliò dal suo pisolino e raggiunse Elvis sul pavimento.

Guardò il focolare nel camino, rendendosi conto che ci dovesse essere all’incirca la stessa temperatura nel suo cuore, al pensiero del futuro che stava aspettando lui e John

Al pensiero di John.

Controllò l'orologio ancora una volta. Mancavano cinque minuti in meno rispetto a poco tempo prima. Beh, era pur sempre un aspetto positivo.

Un giorno, ventitré ore e cinquantacinque minuti e poi avrebbe potuto ritrovare tutto ciò che stesse aspettando.

Tutto ciò di cui avesse bisogno.

John, l'amore.

****

C’era quasi.

Dopo un’ora di viaggio, circa, il treno era entrato a Londra e finalmente cominciò a rallentare. John poteva vedere dal finestrino le case della periferia trasformarsi pian piano negli edifici del centro di Londra.

E mentre il treno rallentava, il suo cuore accelerava i battiti nel suo petto. Batteva rapidamente, sì, ma anche con intensità. Ogni battito scuoteva il suo petto e faceva fremere la sua pelle.

C'era anche una piacevole leggerezza che John percepiva nella sua pancia e un lieve formicolio alle mani. Tutto questo per la persona che lo stava aspettando sul binario, lì dove si erano visti l'ultima volta.

Tutto questo per Paul.

Dio. Paul sarebbe stato lì per lui.

John faceva ancora fatica a crederci. Le tre settimane di lontananza sembravano aver reso la corsa di Paul in stazione solo il più effimero dei ricordi.

Eppure John sentiva che sarebbe andata così. Avrebbe ritrovato Paul e questa volta per sempre.

Stava morendo dalla voglia di vederlo, toccarlo, sentire la sua voce...

Era strano da capire, perché in fondo si erano rappacificati, ma John e Paul non si erano mai telefonati durante quei giorni. Gli ultimi ricordi di John della voce di Paul erano bellissime parole di speranza.

Poi il nulla. Non che non si fossero più parlati, sia chiaro. I messaggi, quelli sì che erano stati abbondanti. Solo che nessuno dei due aveva mai pensato di fare una telefonata all'altro. In realtà John non pensava che fosse dovuto a una mancanza di volontà sua o di Paul. Era piuttosto una sorta di imbarazzo che l'aveva trattenuto dal telefonare a Paul almeno una volta.

Il semplice messaggio offriva la protezione di uno schermo. La telefonata no. John sarebbe stato esposto. Se la sua voce avesse traballato, Paul l'avrebbe sentito. Se non avesse saputo cosa dire, Paul l'avrebbe sentito. Se, ancora peggio, avesse detto qualcosa di inappropriato, Paul l'avrebbe sentito.

E John non voleva. Aveva paura di rovinare tutto. Quel rapporto con Paul era delicato, come i cocci di un vaso appena incollati insieme. John sentiva di essere ancora in grado di rompere quel vaso. Non che volesse fare del male a Paul di proposito, ma John era un tale disastro. Sarebbe bastato un niente per rompere definitivamente con Paul, e John era molto bravo anche a trovare e realizzare quel fottuto niente.

Ecco perché non l'aveva chiamato, e pensò che anche Paul temesse la stessa cosa. Forse sapeva come si stesse sentendo John e stava solo aiutandolo a non combinare guai nel loro ritrovato rapporto.

Il solo pensiero fece gonfiare il cuore di John con amore. Con un po' d'attenzione e con l'aiuto di Paul, sarebbe andato tutto bene.

Un movimento lieve richiamò la sua attenzione, così John abbassò lo sguardo verso la testolina di Julian appoggiata sulle sue gambe. Il bambino dormiva profondamente e John sorrise alla visione, mentre gli accarezzava i capelli d'angelo.

Il piccolo si era divertito molto nelle vacanze trascorse con la mamma e dal canto suo, John era felice che il rapporto tra Cynthia e suo figlio si stesse ricostruendo lentamente. Lei era molto più tranquilla ora, più sicura di se stessa, così diversa da come la ricordava lui e questo fece star meglio anche lui. Dopotutto non aveva mai desiderato che lei sparisse dalle loro vite e continuasse a soffrire. Non era giusto, era pur sempre la madre di Julian e una persona importante della vita di John. Voleva che lei fosse felice, tutto qua.

Aveva anche trovato un nuovo compagno, un dottore della clinica dove era stata ricoverata. Quando era stato presentato a John, questi aveva avuto sicuramente una buona impressione su di lui. Sembrava proprio perfetto per Cynthia, a differenza di John.

Tuttavia non era qualcosa per cui John  potesse crucciarsi, perché sapeva ora di essere perfetto per un’altra persona.

Il fischio del treno lo fece sussultare nello stesso momento in cui la sua mente formò il nome di quella persona.

Paul.

Paul che era lì, da qualche parte, ad aspettarlo.

John cercò di sbirciare dal finestrino alla ricerca di Paul sulla piattaforma, mentre il treno si fermava, ma non lo vide. C'era molta gente ad aspettare le persone appena arrivate ed era anche vero che John fosse terribilmente ansioso, e lo sanno tutti che l'ansia gioca brutti scherzi. Eppure non l'aveva visto, e il suo cuore, che stava impazzendo disperato nel petto, ne era la conferma.

Non lo vide neanche qualche minuto dopo, quando John scese dal treno con Julian ancora un po' assonnato, e si fece strada in mezzo alla folla che salutava i nuovi arrivati.

"Papà, voglio andare a casa." mormorò Julian, stropicciandosi gli occhi.

"Lo so, amore, ma dobbiamo aspettare Paul. Viene a prenderci lui."

E mentre Julian si appoggiava alla sua gamba, lasciandosi scappare un piccolo sbadiglio, John prese il cellulare e controllò di aver riferito l'orario giusto a Paul. Poi, una volta appurato che non vi fossero errori nelle informazioni che gli aveva riferito, prese Julian in braccio, facendogli appoggiare la testolina sulla spalla.

Nel frattempo diede un'occhiata in giro per provare a scorgere una testa familiare, cercando di ignorare le mille domande che si affollarono prepotenti nella sua mente.

E se Paul non fosse venuto?

E se fosse stato tutto un trucco?

O peggio, se avesse cambiato idea?

Tuttavia John non ebbe il tempo di disperarsi per tali orribili scenari, perché pochi secondi dopo sentì due dita puntate sulla schiena e una dolce voce sfiorare le sue orecchie.

"Mani in alto. Ti dichiaro in arresto in nome di Sua Maestà."

John sorrise fra sé, riconoscendo quella voce che poteva appartenere a un solo uomo.

"Con quale accusa, signore?"

"Latitanza."

"Oh, sembra terribile."

"Lo è." rispose Paul, mentre John decideva infine di voltarsi.

Quando finalmente si ritrovò di fronte a Paul, il suo Paul, tutto intorno a lui divenne ovattato. La stazione, i treni, i fischi delle locomotive, le voci delle persone… tutto sembrò sparire nell’esatto momento in cui i suoi occhi incrociarono quelli di Paul, nell’esatto momento in cui John tornò a essere completo. E quando uno è completo, quando non sente la mancanza di nulla che cosa può dire?

Non aveva desideri o particolari richieste da esprimere a parole, perché tutto ciò di cui avesse bisogno era di fronte a lui.

Perciò, ritenendo sconveniente continuare a guardare Paul senza proferire parola, John si decise a far scivolare lo sguardo sulla mano di Paul che voleva solo simulare una pistola.

"Un po' innocua come arma."

Paul si limitò ad alzare le spalle, "Sono stato costretto a improvvisare. Ero in ritardo. Londra è sempre così trafficata a quest’ora.”

“L'importante è che tu sia qui ora.” commentò John, divertito.

"No." disse Paul, prendendo la valigia di John e chinandosi solo un po' verso di lui, "L'importante è che tu sia qui."

E poi sorrise. Quel sorriso caloroso e dolce che John aveva sognato ogni notte da quando era partito.

Quel sorriso che voleva solo dirgli...

"Bentornato a casa, John."

****

Una volta arrivati a casa, Paul li lasciò a sistemarsi, mentre andava a recuperare qualcosa da mangiare per tutti e tre.

Fu grato di aver avuto quel piccolo momento per prendere fiato. Pensò di averlo trattenuto da quando aveva intravisto il dolce viso di Julian in stazione, in braccio a un uomo che doveva essere sicuramente John.

Ecco, quel momento era stato magico. Paul era arrivato a King’s cross con il fiatone e il cuore impazzito per la corsa che aveva fatto, visto che era in ritardo, ma quando aveva notato John, tutto era diventato cento volte più intenso e sconvolgente, come se non potesse più tornare a respirare normalmente.

Era stata solo un’impressione, ovviamente, ma Paul l’aveva percepita molto bene con tutto il corpo e in qualche modo era riuscito ad andare avanti, raggiungere John, parlare con lui, guardarlo, sfiorarlo… fare tutte quelle cose che aveva solo sognato nelle ultime settimane. Era una sensazione deliziosa, sapere di poter fare ora tutto quello che voleva.

Solo che non era così facile. Non lo era affatto.

C’era troppo in Paul, troppa agitazione, troppo amore, non avrebbe potuto fare molto in quelle condizioni.

Ecco perché accolse con gioia questo momento di solitudine. Aveva aspettato così tanto il potersi trovare faccia a faccia con John, e ora che era sicuro di trovarlo a casa, poteva concentrarsi solo su cosa dire o fare.

Perciò cercò con calma i panini da mangiare quella sera, e subito dopo recuperò Elvis dal suo appartamento. Poi facendosi coraggio, tornò a casa Lennon.

Il piccolo padroncino di Elvis fu felicissimo di rivedere il suo gatto e iniziò subito a giocare con lui, mentre John e Paul preparavano la cena.

Di tanto in tanto John gli lanciava uno sguardo furtivo, quando apparecchiarono la tavola, o mentre mangiavano, oppure lo fissava senza accorgersi di farlo, mentre Paul gli spiegava del lavoretto che gli aveva procurato suo padre...

E Paul doveva trattenersi ogni volta dal ridere. Ora sentiva di essere più sicuro, di avere più controllo di se stesso. Tuttavia sembrava che John ancora non credesse di essere lì con lui. Era come se stesse morendo dalla voglia di allungare una mano solo per sfiorarlo e assicurarsi che fosse vero, che Paul fosse proprio lì con lui, che nonostante tutto, che dopotutto fossero ancora insieme.

In qualche stranissimo modo.

Eppure era così, constatò John quando per l'ennesima volta Paul intercettò il suo sguardo, facendolo di conseguenza arrossire. Non capiva perché facesse fatica a crederci. I battiti folli del suo cuore erano più reali che mai, e come sempre erano causati da Paul.

Forse era solo un po' di paura. Dopo aver aspettato per tanto tempo quel momento, ora che finalmente era giunto, John temeva il confronto che sarebbe seguito per la sua dannata insicurezza, e non perché sarebbe stato qualcosa che avrebbe rovinato il loro rapporto, anzi. Si supponeva dovessero chiarire una volta per tutte e ricominciare da capo.

Si supponeva, anche, che John avesse così tante cose da dirgli che non sapeva da dove cominciare; ma fintanto che Julian fosse stato con loro, attirando tutte le attenzioni di Paul mentre John sparecchiava la tavola, era impossibile parlarne con calma.

Perciò, fu con sollievo e un leggero senso di paura che John capì quando arrivò il momento di portare a letto il bambino. Il piccolo aveva cominciato a sbadigliare sonoramente e stropicciarsi gli occhi, mentre giocava con Paul, e John decise, infine, di portarlo nella sua camera. Prese tra le braccia il bambino che Paul gli porse con attenzione.

"Torno subito." gli disse.

Paul annuì, sorridendo rassicurante, quasi volesse dirgli senza fiatare che l’avrebbe aspettato a qualunque costo.

Pochi istanti dopo John aiutava il figlio a infilare il pigiama. Julian non era molto collaborativo, la testa praticamente ciondolava dal sonno. John pensò che non avrebbe impiegato molto tempo a metterlo a letto. Difatti quando il bambino si ritrovò sotto le coperte e John iniziò a cantargli una ninna nanna, Julian si addormentò all'istante.

Ma John era ancora spaventato di ritrovarsi da solo con Paul.

Era strano come un desiderio così agognato potesse infine essere anche tanto temuto.

Perse un po' di tempo per finire la ninna nanna e accarezzare i capelli di Julian, sperando che il suo cuore potesse almeno calmare i suoi battiti. John era quasi convinto che Paul al piano di sotto avrebbe potuto percepirli.

Poi, quando pensò di essere pronto per affrontare Paul, John spense l'abat-jour e uscì dalla camera.

Quando si voltò, trovò Paul di fronte a sé, appoggiato allo stipite della camera di John. E tutto il suo lavoro di pochi minuti prima andò in frantumi.

"Si è addormentato?" domandò Paul, interessato.

John annuì, il suo cuore era di nuovo impazzito. Sentiva di avere la gola secca; se avesse provato a parlare, forse non sarebbe uscito alcun suono. Ma doveva provarci a qualunque costo.

"Sì.” rispose, avvicinandosi con passo incerto all’altro uomo, “È crollato ancor prima che finisse la ninna nanna."

Paul rise dolcemente all'immagine creatasi nella sua mente: John che cantava una nenia al piccolo Julian.

"La prossima volta posso sbirciare?"

John non era sicuro cosa fosse stato ora a farlo rilassare in un istante. Se fosse stata la risata di Paul, oppure il suo atteggiamento molto tranquillo, o ancora il suo sguardo dolce che non riusciva ad allontanarsi da John. Pensò che fosse la stessa sensazione che aveva provato la sera del suo compleanno. Anche in quel caso Paul l’aveva aspettato, anche in quel caso avevano avuto molte cose di cui parlare.

E ora John conosceva le parole giuste da rivolgergli.

"Non lo so."

Paul aggrottò la fronte, lievemente preso in contropiede dalla risposta di John, "Perché?"

"Dipende."

"Da cosa?"

"Devi accettare le mie scuse per quello che è successo." disse John, causando un piccolo sorriso sulle labbra di Paul.

Ecco, quella era una questione che Paul si aspettava.

"Non ce n'è bisogno, John."

"Sì, invece.” ribatté John, avvicinandosi ulteriormente all’uomo, “Hai perso il tuo lavoro per colpa mia."

"Ho deciso io di restare qui."

"Ma se non avessi creato tutta questa gran confusione, non saresti stato costretto a prendere questa decisione. Avresti ancora il tuo lavoro."

"E se tu non avessi deciso di diventare Hermes, io non sarei venuto qui e forse non ci saremmo mai incontrati, John." gli fece notare Paul, "Allora, cosa credi sia peggio?"

John sussultò all’ipotesi suggerita da Paul. Una vita senza Paul era proprio ciò che l’aveva tormentato, quando doveva decidere se consegnarsi a lui oppure no. Certo, se doveva vederla in quell’ottica, allora era ovvio quale fosse la risposta.

Paul sembrò leggergli nel pensiero perché, senza aspettare che John rispondesse, si sporse verso di lui, facendolo tremare visibilmente, per stringere tra le dita la sua camicia e attirarlo a sé.

"Paul..."

"Io preferisco che tu sia diventato Hermes, così ho potuto conoscerti e finalmente, prenderti."

John rise più rilassato, e si fece coraggio per far scivolare le braccia ancora intimorite intorno alla vita di Paul.

"Pensavo fossi stato io a prenderti." ribatté, arricciando le labbra.

"No, ti sbagli. Sono stato io.” insistette Paul, scuotendo il capo, prima di puntare un dito sul suo petto, “E ora devi promettere che non mi scapperai più."

"Non voglio più scappare, non da te." mormorò John, "Ma devi accettare comunque le mie scuse."

"Se ti fa stare meglio..." sospirò Paul, lasciando che la sua bocca si strofinasse contro la guancia dell'altro uomo, "Scuse accettate."

John rabbrividì visibilmente, percependo dopo tanto tempo le labbra di Paul ancora una volta sulla sua pelle. Gli era mancato tutto di lui. Dal semplice sguardo, alle mani calde, alla soffice bocca, alla-

"E ora finalmente posso dirtelo."

Alla sua voce dolce che sapeva trovare sempre le parole migliori per far impazzire John.

"Ti amo, John."

John chiuse gli occhi, stringendo le mani sui fianchi di Paul quando quel lieve sussurro sfiorò il suo orecchio. La testa improvvisamente vorticò come se fosse una giostra che John adorava, ma a cui non riusciva a stare dietro. Aveva bisogno di aggrapparsi a qualcosa per non perdere l'equilibrio e franare a terra. Tuttavia, desiderò che questa giostra non finisse mai di vorticare perché... Beh, il motivo era la cosa più semplice e insieme più complicata del mondo, era la cosa più banale, scontata, la cosa più popolare ma anche unica per ogni persona sulla faccia della Terra, la cosa più importante...

Era...

"Ti amo anch'io, Paul.”

John non lo vide, perché Paul era ancora rivolto verso un lato del suo viso, ma fu sicuro che l’avesse fatto sorridere dal modo in cui trattenne appena il respiro.

Incoraggiato, decise di continuare. Aveva molto altro da dire.

“E non hai idea di quanto sia felice che tu sia qui con me."

"Penso di poterlo immaginare, sai, vagamente." scherzò Paul, ridendo sommessamente.

“Ma cosa farai, ora che non hai più il lavoro?” domandò John, cercando di guardarlo negli occhi.

Era, in fondo, un argomento molto serio di cui parlare, qualcosa che forse avrebbe tormentato John per sempre con il rimorso e la colpa.

Tuttavia l’espressione di Paul non era seria. Era tutt’altro, in effetti.

“Dobbiamo parlarne adesso?” domandò, mordendosi il labbro.

"Pensavo volessi parlare con me..."

"Ed è così.” si affrettò a rispondere Paul, prima di appoggiare tutto il palmo della sua mano sul petto caldo di John, “Ma sai, pensavo di fare altro proprio in questo momento..."

La frase lasciata in sospeso e la mano forte di Paul sul proprio cuore, fecero provare a John un brivido insieme caldo e freddo.

"Del tipo?" domandò, la voce quasi strozzata da una sensazione leggera nella sua pancia.

Paul sorrise malizioso, prima di attirarlo a sé e poi dentro la camera, con la mano che si strinse sulla camicia.

Quando John si scontrò con la sua bocca, capì quale fosse il piano di Paul per quella sera e pensando che non gli dispiacesse affatto sottostare al volere di Paul, fece chiudere la porta della sua camera dietro di sé, con un piccolo colpo di tacco.

E ancora, mentre Paul lo stringeva e lo baciava, e John lo conduceva verso il suo letto, capì che quella porta aveva chiuso una volta per tutte il loro turbolento passato fuori dalle loro vite.

Perché ora non contava più.

Perché ora contavano solo l'uno per l'altro.

Perché ora, proprio ora, c'era solo amore.

 

Note dell’autrice: buuuuu, lo so, non è granché. Non mi convince proprio e non ho neanche idea del perché. ç_ç

Se voi l’avete, per favore, fatemelo notare, così sistemo e mi metto l’anima in pace.

Comunque siamo arrivati alla fine. Manca solo l’epilogo che avrà come titolo “All together now”. J

I ringraziamenti li teniamo tutti per la fine. Per adesso grazie a kiki per la correzione.

Nel frattempo linko questa os che ho scritto a quattro mani con SillyLoveSongs. Ci farebbe piacere sapere il vostro parere. ^_^

http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2910197&i=1

Buona serata e a presto.

Kia85

 

   
 
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