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Autore: Porrima Noctuam Tacet433    25/11/2014    1 recensioni
Sempre Geoffrey Martewall, ma attraverso occhi diversi.
Hector- "...aveva capito che c’erano ancora troppe ferite che il suo animo indomito tentava di sanare ogni giorno, troppa voglia di liberarsi da qualcosa."
Brianna-" Lo aveva visto dalle finestre e non aveva capito subito perché la paura l’avesse attaccata a tradimento, così all’improvviso. Poi la verità le si era rivelata in un modo così evidente che Brianna non aveva potuto continuare ad ignorarla."
Gant-"« Dovete sentirvi molto solo, sir. » gli aveva sputato addosso Gant, con una calma solo apparente.
Martewall aveva fermato il suo passo ma non si era voltato.
Jerome-"E sapeva anche che non avrebbe ascoltato il suo ordine.
Sembrava nato per essere diverso dagli altri, e, di conseguenza, per essere allo stesso tempo dannatamente irritante e dannatamente insostituibile."
Etienne-"Erano state poche le volte in cui aveva provato ad immaginare cosa pensasse.
Forse perché se c’era una cosa che Etienne detestava, era fallire. E da quel punto di vista, Martewall rappresentava un fallimento continuo."
Guillaume-" « Cercate solo… » disse, senza più voltarsi « Di non fare per orgoglio o paura la mia stessa fine. » "
...
Genere: Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Geoffrey Martewall, Un po' tutti | Coppie: Geoffrey/Brianna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Guillaume de Ponthieau

Comprensioni

L’aria, solo qualche istante prima vibrante di suoni, sembrò farsi muta. La calma era quasi irreale. Si respirava l’eccitazione degli uomini con un brivido di paura che nemmeno i veterani dell’esercito riuscivano sempre a sopire.

L’alba era vicina. Il cielo si faceva sempre più chiaro e le nubi si dissipavano. Ma anche se così non fosse stato, avrebbero combattuto ugualmente. I francesi lo sapevano fin troppo bene: gli inglesi erano troppo abituati ai loro temporali e al loro fango per farsi frenare da qualche goccia di pioggia e da un po’ di terra instabile.

Guillaume respirò a fondo, senza fretta. Aspettava, come tutti. Ma con più lucidità.

Aveva tenuto conto di tutto. Le forze dell’avversario, il campo di battaglia, la strategia che avrebbe adottato era di certo la migliore che potesse scegliere. Tra gli inglesi questa volta c’era stata una fuga di notizie. I feudatari d’oltremanica impegnati in quella battaglia in campo aperto sarebbero stati solo due, gli unici che non erano impegnati su altri fronti, non molto esperti e ancora abbastanza giovani. Re Giovanni contava di nuovo sulla superiorità numerica degli eserciti. Ma non sempre era un vantaggio, Guillaume lo sapeva e biasimava quel re indegno che non sapeva nemmeno imparare dai propri errori. Un esercito di mercenari troppo grande era difficile da controllare, domare, dirigere....soprattutto per dei ragazzini senza esperienza. Un sorriso scaltro gli attraversò il volto. Il nemico non andava mai sottovalutato, ma Guillaume doveva ammettere che quella volta la fortuna era a loro favore.

Anche se…

Guardò astioso alla sua sinistra, fino ad individuare Dammartin, che lo avrebbe accompagnato in quella battaglia. Non riusciva a fare a meno di provare un certo disprezzo per lui… era pieno di sé e con scarsi precetti morali. Avrebbe di certo preferito avere qualcun altro al suo fianco, ma non avrebbe potuto cambiare la volontà del re.

Col petto fremente ma l’espressione ferma e sicura, oltrepassò i suoi uomini e si pose davanti a tutti loro, presto imitato da Dammartin.

« Nervoso, Ponthieau?»  gli chiese Dammartin, con un sorriso irritante.

Guillaume decise di passare sopra al modo in cui Dammartin osava rivolgersi a lui, almeno per il momento.

« Sarei uno stolto se non lo fossi, anche se è una battaglia che abbiamo buone probabilità di vincere. Niente deve andare storto. »

Dammartin scosse le spalle con noncuranza. « non c’è nulla di cui preoccuparsi. Re Giovanni pensa di poterci sopraffare numericamente, ma siamo più di quanti immagina, quasi quanto la parte di esercito che ha messo su in tutta fretta per non farci avanzare. Un esercito guidato da due ragazzini, da immolare nell’attesa che i grandi siano liberi di venire fin qui. Oggi ci prenderemo questa vittoria e questa fetta di terra fiamminga a cui tanto tiene. »

Guillaume riteneva che Dammartin fosse fin troppo tranquillo, ma dovette ammettere che le cose che aveva detto erano vere.

Re Giovanni sembrava davvero aver fatto male i suoi conti.

Il conte fece girare il destriero e le parole che rivolse al suo esercito furono accolte con grida e clangore di spade contro scudi. Erano parole incoraggianti, ma che richiamavano l’attenzione sulla disciplina e sulla prudenza. Non potevano comunque permettersi di sottovalutare il nemico, e Guillaume sperò che questo concetto fosse ben chiaro a tutti, anche se il discorso di Dammartin era stato più canzonatorio e spensierato.

Guillaume serrò la mascella dal fastidio e ritornò tra le sue fila.

Tra i francesi tornò presto il silenzio, e cominciò a sentirsi il rumore sordo della marcia degli inglesi ancora invisibili ai loro occhi. Il conte sentì il consueto nodo alla gola e il suo sguardo si fece più deciso e scuro. Strinse le redini. I minuti che lo separavano dall’impatto col nemico erano pochi, sempre meno. E si sentiva pronto e lucido, nonostante i denti continuassero a mordere le labbra.

Gli inglesi apparvero in direzione dell’alba cupa e dalla luce opaca. Erano sagome nere sull’orizzonte, avanzavano senza esitazioni, marciando compatti, le lance verso l’alto. Un esercito di figure ancora indefinibili, con l’elegante fascino di tutte le cose inquietanti.

Guillaume assottigliò lo sguardo con impazienza, fino a che le figure non furono abbastanza vicine da poterle vedere più nitidamente. Un cavaliere avanzava in testa, la lancia puntata verso l’alto e l’elmo già calato sul viso.

Il conte sgranò gli occhi per un istante e senza volerlo trattenne il respiro.

« Dammartine! » chiamò, senza però tradire un’ ombra di paura, mentre una sensazione spiacevole gli strisciava sotto pelle.

L’altro feudatario ghignò da lontano nella sua direzione. « Cosa c’è ancora, Ponthieau?»

Anche gli uomini del conte Guillaume si stavano accorgendo di qualcosa e cominciarono a bisbigliare tra loro, confusi e nervosi.

« Silenzio! » li riprese Guillaume, furente. Poi si rivolse di nuovo a Dammartine e gli indicò il nemico col mento. Il feudatario assottigliò lo sguardo e un lampo di comprensione e timore passò nei suoi occhi. Non osò più guardare in faccia Guillaume. Le spie che avevano scoperto i piani degli inglesi non erano di Ponthieau, erano le sue.

Il cavaliere che capeggiava l’esercito nemico sembrava studiarli da sotto l’elmo, e forse aveva intuito la sorpresa dei francesi. Dietro di lui, gli stendardi erano neri con un leone d’oro sormontato dal fregio rosso dei cadetti e non avevano niente a che vedere con quelli di cui le spie francesi avevano ricevuto notizia.  Fece loro un segno di saluto con la lancia, quasi sarcastico quanto agghiacciante. I suoi sembrarono prenderlo come un segnale e suonò una tromba, gli arcieri tirarono in alto gli archi.

 

 

La Fiandra avrebbe dovuto attendere nuovamente l’arrivo dei francesi. Guillaume ricordava quella sconfitta, era una ferita che ancora bruciava nel suo orgoglio.

L’esercito francese si era battuto bene, ma era stato respinto senza remore, solo per fortuna la ritirata era riuscita e non c’erano stati prigionieri importanti. Ma re Filippo non era rimasto soddisfatto, soprattutto perché… le notizie che erano arrivate dalle spie, il presunto errore degli inglesi… era stato tutto falso.

Almeno Guillaume aveva potuto giustificarsi da questo punto di vista, mentre Dammartine probabilmente aveva architettato proprio allora il suo voltafaccia, il tradimento verso la corona.

La seconda volta che Guillaume vide quel blasone, fu il giorno del torneo di Bearne. Aveva potuto rivedere il blasone che aveva reso vana la sua strategia.

Francois de Bearne lo aveva guardato di sottecchi.

« Lo conosci?» gli aveva chiesto, incrociando le braccia al petto e guardando da lontano il barone che, in sella, si preparava ad affrontare la sfida.

« Non bene quanto vorrei. L’ho incontrato una sola volta sul campo di battaglia. »

Francois annuì tetro,  ricordando, forse, quell’avvenimento di due anni prima.

« Non preoccuparti. Non sempre chi è temibile in guerra lo è anche in torneo. »

« Lui sì. » lo smentì Guillaume, sicuro. Guardò negli occhi l’amico e poi accennò con un gesto secco della mano ad un’altra figura bionda e vestita di rosso che stava raggiungendo il barone.

« Altrimenti lui non lo avrebbe scelto. »

Poi lo aveva visto gareggiare nella giostra. E ancora non sapeva che faccia avesse, ma poco gli importava. Era molto più concentrato su Derangale in quel momento.

Uno dei motivi  per cui Guillaume de Ponthieu, in seguito, non riuscì subito a non provare diffidenza per Geoffrey Martewall, fu che nell’occasione del torneo non aveva potuto fare a meno di pensare che lui e Derangale fossero una coppia temibile e… e unita.

E come poteva biasimare la rabbia di Etienne de Sancerre? Jean era quasi morto per colpa di Derangale ed era poi stato fatto prigioniero da Martewall.

L’inglese non meritava alcun tipo di perdono.

Guillaume incrociò le dita davanti alla bocca, grato del  fatto che presto Martewall se ne sarebbe tornato in Inghilterra e con un po’ di fortuna non lo avrebbe più rivisto. Gli inglesi avevano interferito anche troppo nella vita della sua famiglia.

 

 

Era stato strano vederlo così.

Era strano vedere il barone di Dunchester che aveva gareggiato al torneo intimorendo così tanto i cavalieri francesi stare al suo cospetto a dargli spiegazioni. E aveva qualcosa di piacevole, anche.

Eppure Geoffrey Martewall non era sembrava cambiato dal giorno del torneo. Non aveva mai portato l’elmo per nascondere il suo viso, perché la fierezza dei suoi occhi era la stessa della sua postura in sella, di ciò che traspariva dalla sua abilità, dalla sicurezza del suo passo, dall’orgoglio inflessibile in ogni gesto.

Guillaume si era reso conto che vederlo in faccia non lo aiutava a carpire i suoi pensieri.

Ma di una cosa era certo: Geoffrey Martewall aveva coraggio.

Si era comportato da bandito, ricercando la vendetta e forse non era diverso da Jerome Derangale. Che elementi aveva Guillaume per pensare il contrario, d’altronde? Ma Martewall aveva coraggio.

E lo sapeva usare in tutti i modi possibili.

Sapeva cosa voleva dire schierarsi in prima linea in guerra, mettere tutto in gioco e rischiare la vita senza esitazioni. Aveva saputo affrontare il fato che gli spettava, la sua posizione d’ostaggio, aveva tenuto faticosamente la testa alta in quel gioco di intrighi.

E Guillaume sospettava che avesse anche avuto il coraggio di sbagliare volontariamente, per combattere ancora una volta contro il destino.  Aveva avuto il coraggio di fare un salto nel vuoto e abbandonare la sua casa nelle mani del nemico.

Doveva essere stata dura. Ma Guillaume queste considerazioni le fece solo in seguito. In quel preciso istante si sarebbe limitato a studiarlo con attenzione, certo che nemmeno con tutta la razionalità di cui disponeva sarebbe riuscito a giustificarlo.

Difficilmente chi era dal principio suo nemico non restava tale.

Probabilmente Geoffrey Martewall non avrebbe mai avuto una consapevolezza chiara di quanto, effettivamente, fosse riuscito a stupire il conte di Ponthieau.

 

 

 

Lo scudiero tentò persino di darsi un contegno mentre lo salutava con la testa ciondolante dalla stanchezza.

Guillaume inarcò un sopracciglio nel guardarlo. I capelli rossi di Beau Foxworth sembravano persino più scompigliati del solito, le guance erano color porpora e il dorso della mano correva spesso a sfregare gli occhi stanchi.  Guillaume lasciò che il ragazzino lo oltrepassasse, tentando di tenere le spalle ritte e di non strusciare i piedi a terra, e non poté fare a meno di notare quanto il ragazzino, nonostante la stanchezza, fosse raggiante.  Poi, seguì il percorso da cui lo aveva visto arrivare.

Trovò esattamente ciò che si era aspettato.

La figura di Martewall gli dava le spalle, indossava braghe in pelle nera, cinturone e camicia larga con le maniche arrotolate. Aveva ancora la spada da allenamento in mano, ma presto la posò sul tavolino della sala d’arme per allacciarsi la sua in cintura. Non mostrava alcun segno di affaticamento.

« Il ragazzo migliora? » chiese Guillaume all’improvviso. L’altro però non sembrò sorpreso, probabilmente lo aveva sentito arrivare e aspettava solo che il conte si mostrasse, o, se non ne avesse avuto voglia, se ne andasse.

Si voltò, poggiando una mano sul legno del tavolino.

« Sì. Il suo esercizio costante sta dando i suoi frutti. »

Guillaume annuì, lo sguardo attento. Non sapeva esattamente perché si trovasse lì, e questo lo irritava. Forse voleva semplicemente conoscere più a fondo quell’uomo che rimaneva per molti aspetti imperscrutabile perfino ai suoi occhi. Come se dietro quegli occhi chiarissimi vi fossero abissi a cui la sua ferrea logica non poteva arrivare. Non ci furono saluti, tra loro. Sicuramente Martewall si chiedeva il motivo di quella visita, forse non era del tutto certo che Guillaume si fidasse completamente di lui, o che la sua compagnia potesse risultargli anche solo poco piacevole.

Guillaume provava un profondo senso di rispetto per Geoffrey Martewall, e, ora che aveva salvato la vita a colui che oramai considerava veramente suo fratello, anche gratitudine. Quella punta di sottile perplessità da parte sua che, lo sapeva, Martewall sentiva sulla pelle anche se oramai tra loro non vi era più alcuna traccia di rancore, era dovuta solo alla profonda contraddizione che l’inglese rappresentava per Guillaume.

Prima aveva aiutato l’amico di sempre, Derangale, a coronare i suoi sogni di gloria, aveva preso prigioniero Jean per vendicare la sua morte. Poi si era rivelato essere una persona completamente diversa da come ci si sarebbe aspettati, diventando amico di colui che era stato l’origine della sua bruciante rabbia vendicativa. 

Guillaume non pretendeva di violare la sua interiorità senza ritegno, razionalmente, ma era deciso ad avere una risposta, una curiosità soddisfatta che, come ogni curiosità, avrebbe potuto avere una valenza politica.

Martewall lo osservò ancora per qualche istante, poi afferrò il mantello e la casacca nera. Guillaume lo stava ancora studiando quando Beau entrò di nuovo, di corsa,  nella sala, inchinandosi e salutando rispettosamente al cospetto dei due feudatari. Guillaume però sospettava che se fosse stato solo con Martewall non sarebbe stato così formale.

« Sir Martewall, Sir Jean ha detto che posso avere la giornata libera. Potremmo continuare? » chiese, gli occhi pieni di aspettative.

« Credevo fossi stanco. » lo provocò Martewall, il tono incolore. Guillaume però non si stupì di notare ancora una volta l’ombra di un affetto nascosto molto bene dall’inglese verso il ragazzino. Era un dettaglio che aveva notato più volte, come una certa affinità tra loro, una sorta di comprensione che passava anche attraverso la severità del barone.

« No!» si affrettò ad esclamare il ragazzino. « Ho ripreso fiato in questo tempo, signore!»

« Troppo tempo. » affermò il cavaliere, asciutto. « Ti sei battuto con un solo uomo ed eri sfinito, i tuoi tempi di ripresa sono troppo lenti. Se ci fossero stati più nemici, cosa avresti fatto? Un cavaliere non riprende fiato, lo conserva. » e gli lanciò una spada che, anche se a stento perché troppo sorpreso, il ragazzino prese al volo. Dopo lo sbalordimento e il dispiacere misto alla soggezione che la freddezza di Martewall incuteva, il suo volto venne atteggiato a un’espressione determinata e orgogliosa.

Guillaume assisteva alla scena con un certo divertimento. Martewall sembrava soddisfatto del suo allievo in erba solo quando questo non era presente. Per il resto pareva molto critico e incontentabile.

« Signore, ho interrotto la vostra conversazione? Se è così, vi prego di scusarmi… » mormorò poi Beau, rivolto al conte. Guillaume lo tranquillizzò con un gesto della mano.

« No, non preoccuparti. Ero solo venuto a salutare sir Martewall e a ringraziarlo di nuovo per ciò che ha fatto. » mentì, perché sebbene si sentisse davvero grato nei suoi confronti, le sue gambe lo avevano portato lì senza uno scopo preciso. Ponthieau non era un uomo che agiva senza un motivo, per cui aveva subito iniziato a studiare di nuovo l’inglese dall’anima tanto insondabile.

Martewall chinò appena il capo senza troppa attenzione, signorilmente.

« Come sta? » chiese, dopo un attimo di silenzio, riferendosi chiaramente al Falco.

« L’avete curato bene. Si sta riprendendo. La Provvidenza non finisce mai di stupirmi. »

« Sir Martewall ha combattuto come un vero Leone! Non pensavo che si potesse fare! » esclamò Beau, ammirato, mentre lo sguardo di Martewall si incupiva.

Guillaume fece un segno d’assenso. Lo aveva già visto agire in guerra, quindi sapeva di cos’era capace.

« Se volete, mio fratello ora è sveglio, nelle sue stanze, salite le scale… »

Martewall però scosse lievemente la testa. Guillaume immaginava che ritenesse di aver già avuto anche troppi ringraziamenti, o forse aveva solo bisogno di solitudine, quel bisogno che ogni tanto si faceva strada nelle sue iridi.

« L’ho visto anche troppo in questi giorni. Le scale me le risparmio. »

Guillaume raddrizzò la schiena, pronto a lasciare la stanza. Prima però, osservò ancora il barone inglese, la sua espressione fredda e indecifrabile, la mano poggiata alla spada con noncuranza, come se oramai questa fosse parte del suo corpo, gli occhi profondi che celavano una tempesta di pensieri ed emozioni mai esternati.

Ricordò il suo dolore, la sua fiera, e ancora più straziante proprio per questo, sofferenza. Il vuoto dei suoi occhi quando aveva scoperto la morte del padre. Ricordò lo sguardo indomato ma pronto ad accettare anche il fato più meschino, quando aveva parlato con lui la prima volta. Ricordava il modo in cui aveva sorretto Jerome Derangale, l’amico ad un passo dalla morte.

« Ammetto di non avervi mai capito del tutto, sir Martewall. Ma ora so cosa siete disposto a fare per un amico. Avrete sempre il mio rispetto. » affermò il conte, col solito sguardo neutro e il tono incolore.

Martewall non distolse mai lo sguardo dal suo, ma evidentemente non era d’accordo. E Guillaume sapeva che aveva compreso il senso più profondo delle sue parole, a differenza di Beau che aveva un’espressione perplessa.

Anche il Leone lui pensava a quello che aveva fatto per Derangale.

Il conte raggiunse l’uscita a grandi passi, pensando se avesse dovuto mettere in chiaro che non provava più alcun tipo di rancore nei suoi confronti. Poi ricordò il suo odio, la sua furia distruttrice, la sua rabbia devastante.

Si fermò di colpo in mezzo al corridoio, stringendo appena i pugni, divorato dall’indecisione che pensava di aver superato, oramai.

Aveva già detto a Martewall tutto ciò che realmente pensava. Non c’era nulla da chiarire.

 

 

L’arrivo dell’inglese era stato annunciato ormai da diversi minuti. Guillaume non si era ancora mosso dalle sue stanze, e non aveva alcuna intenzione di farlo. Il tempo trascorreva senza che lui se ne rendesse conto. Forse nemmeno gli importava di ciò che accadeva intorno a lui.

Il mondo era solo rabbia, adesso. E solo dolore.

Era straziante, più di quanto avesse mai potuto immaginare o ammettere con se stesso. Era straziante ma non era sconosciuto. Lui aveva già provato il dolore causato dal tradimento di un fratello. Quante volte ancora il fato lo avrebbe costretto a provare queste emozioni?

Mai più, giurò a se stesso con tutta l’anima.

Mai più.

Essere solo lo addolorava, così come la profonda sensazione che ogni cosa fosse vuota e senza senso, ma con tutto se stesso Guillaume cercava di sommergere tutto ciò che lo soffocava ogni secondo con la rabbia, nella convinzione di essere nel giusto.

Era il solo modo che aveva per combattere contro la sua anima ferita, dilaniata, forse insanabile.

Versò altro vino nel bicchiere e sentì appena i passi che salivano le scale per fermarsi davanti alla sua porta, che dopo pochi istanti si aprì improvvisamente.

« Monsieur! » esclamò il servo, e Guillaume, anche senza il bisogno di girarsi, capì che non si stava rivolgendo a lui, ma all’uomo che aveva accompagnato fino a lì e che aveva aperto senza bussare.

Non aveva alcuna voglia di parlare, né di pensare. Ma niente era cambiato per il mondo esterno, e lui restava sempre il conte Guillaume de Ponthieau. Aveva degli obblighi, dei doveri, e aveva ancora il suo onore e il suo orgoglio. Non lo avrebbe rinnegato in quel modo. Non avrebbe ceduto a questa debolezza.

« Puoi andare, Pierre. » disse, senza voltarsi, congedando il servo con un gesto della mano. Mentre Pierre si inchinava, salutava e se ne andava, Geoffrey Martewall fece un passo avanti.

« Cosa volete? » chiese Ponthieau, lanciando a Martewall un’occhiata bruciante. Un sorriso amaro e terribile gli attraversò il viso. « Vi manda lui? È arrivato a questi punti? » 

Martewall non mutò la sua espressione fredda, ma Guillaume aveva l’impressione che i suoi occhi potessero arrivare a scoprire i luoghi più oscuri e nascosti della sua anima.

« Io ho una guerra da combattere, sir. E non voglio immischiarvi nei vostri affari. » affermò, la voce incolore ma forse più cupa, come le ombre delle sue iridi. Guillaume si chiese cosa avesse visto in lui che lo aveva tanto turbato. Ma in fondo… non gli importava neanche questo.

« Allora togliete il disturbo. » ordinò, furente ma sempre controllato.

 « Tra poco. » annuì Martewall, avvicinandosi di un altro passo. Guillaume riportò gli occhi sulla finestra.

« Prima voglio parlarvi di Beau Foxworth. »

Il viso del conte si trasformò in una maschera rigida e sprezzante, folle di rabbia. « meriterebbe di morire sul patibolo. » rispose tra i denti.

Lo sguardo di Martewall lampeggiò per un istante, come il riflesso del sole su una spada.

« Lo porterò con me in Inghilterra. E con lui sua madre. »

Guillaume strinse le dita intorno al bracciolo della sedia fino a farsi male. Il suo petto fremeva di collera repressa, tanto che non riconobbe più se stesso quando dalla sua gola proruppe una breve risata amara, fredda, terribile.

« è così che chiedete il mio permesso, inglese? »

« Non ho mai detto di voler chiedere il vostro permesso. »  

Guillaume si voltò completamente a sfidarlo con lo sguardo. Nella mente germogliavano cattiverie nate dal dolore e dall’ira verso tutto ciò che lo circondava, dal bisogno di trovare qualcuno con cui prendersela, su cui far valere il proprio potere. Germogliavano come piante infestanti, impossibili da estirpare.

« Voi inglesi siete tutti uguali. Giovanni Senza Terra, I baroni, William Lungaspada, anche Gant, sebbene lo sia solo per metà…. Beau Foxworth, Jerome Derangale… voi, Geoffrey Martewall… » il suo sorriso si allargò, agghiacciante quanto sarcastico e meschino.« avete tutti un’inclinazione naturale al tradimento.»

Geoffrey non fece un gesto, nulla cambiò sul suo volto. Guillaume rimase per un secondo interdetto. Non si era aspettato quella reazione, non si era aspettato di poter offendere l’onore di Martewall rimanendo impunito. E allora… perché lo aveva fatto?

Ora che la reazione che si aspettava, da cui a sua volta sarebbe stato offeso, non era avvenuta, provava vergogna per ciò che aveva detto.

Martewall continuava a soppesare la sua figura. Guillaume sapeva che non stava provando rabbia. Vi era nei suoi occhi una strana comprensione, una consapevolezza inquieta, una solitudine audace ed elegante.

« Il ragazzo è stato, invece, molto fedele al suo padrone. Per questo adesso devo portarlo in Inghilterra. »

« Se questa è la vostra idea di fedeltà, potete anche ritornare in Inghilterra e non fare più ritorno. Qui non siete i benvenuti. » sbottò Ponthieau, alzando il mento con orgoglio.

« E per questo porto anche sua madre. Credo che oramai sia chiaro che ho il vostro permesso, non è vero? » rispose Martewall, tagliente ma calmo e pacato come la fredda nebbia delle foreste inglesi.

« Non fingiate che vi importi. »

 « Non lo farei mai. » si limitò a rispondere il barone, con un gesto vago. Ma prima ancora che potesse finire la frase, Guillaume lo interruppe, indolente:

« Ditemi una cosa, Leone di Dunchester. Chi pensate che possa essere Jean Marc de Ponthieau? Cosa volevate che diventasse per voi? Ha mai tradito qualche vostra aspettativa? È riuscito ad essere un amico migliore di colui che ha ucciso, alla fine? Si è fatto perdonare per questa sua colpa? »

Ad ogni domanda il suo cuore pulsava più forte nelle orecchie, la sua voce diveniva più arcigna.

Martewall per un attimo sembrò preso in contropiede. Perché il nome di Jerome Derangale un segno dentro di lui lo lasciava ancora. Poi il suo sguardo per un momento si abbassò e tornò a guardare dritto in faccia Guillaume dopo un altro istante, più forte di prima.

« Anche io ho perso un amico. Anche io mi sento tradito da lui. » ammise, stringendo i pugni. Guillaume parve risvegliarsi da un incubo, capì quanto ingiusto fosse stato, non si riconosceva e si sentiva terribilmente infantile.

« Mi dispiace. » si scusò, seppellendo l’orgoglio in un angolo del suo cuore dove non lo avrebbe fatto sentire un idiota. « ho riaperto per rabbia vecchie ferite. »

Geoffrey non gli aveva lanciato sguardi accusatori o irati per tutto quel tempo, neanche quando Guillaume lo aveva offeso. Solo ora, inaspettatamente, i suoi occhi erano duri e severi come mai li aveva visti prima.

« Non c’è nulla di “vecchio” nelle mie ferite. » sibilò, la voce profonda vibrante di rabbia. « Sapete cosa rimpiango di più di Jerome, Ponthieau? »

Guillaume scosse la testa lentamente, gli occhi appena dilatati sotto la maschera di falsa impassibilità.

« Rimpiango il non poter sentire come si sarebbe giustificato. Rimpiango la sua occasione perduta di spiegarmi tutto, il perdono che non gli avrei dato, ma che avrei sempre potuto pensare di dargli. E non era mio fratello… »

Guillaume era paralizzato dalla sorpresa. E fu come se dita gelide gli stessero stringendo lo stomaco.

Geoffrey si girò e si allontanò da lui, mise una mano sul pomello della porta.

« Cercate solo… » disse,  senza più voltarsi « Di non fare per orgoglio o paura la mia stessa fine. »

 

 

Taratatàààà….

Ci ho messo anche poco, no? Per essere Guillaume de Ponthieau…

Sono stata affetta da un’improvvisa ispirazione ed è uscito questo, e presto dovrò riscattarmi con il conte perché forse il capitolo non gli rende giustizia. Ho fatto del mio meglio e ho deciso che prima o poi tornerò a sperimentare su di lui, dato che più tento di descriverlo più lo capisco.

Se qualcosa non vi piace ditelo tranquillamente! Soprattutto nella parte finale che è stato un po’ un azzardo da parte mia…

*Ma non è mia la colpa! È tua, Jerome! Trovi sempre il modo di intrometterti! Ti ho detto che non scriverò di te e Geoff insieme per un po’, ok?!*

Non è d’accordo…   : \

Ringrazio moltissimo anche solo chi legge… poi Beau Foxworth per la sua partecipazione e la carissima Wrong_And_Right  che:

1 ha suggerito Guillaume de Ponthieu tramando alle mie spalle.

2 recensisce ogni singolo capitolo (e le sarò eternamente grata ; )

3 trama anche alle spalle di Brianna…

 

  
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