*\* Credevi me ne sarei dimenticata, vero? Invece, Giulia... Tanti auguri di buon compleannoooooo!
Ok, dopo la dedica iniziale - si è capito che la fic è dedicata a lei? ò.ò -, vi lascio a questo...sclero-lavoro? ò.ò Beh, più o meno è una cavolata.
...
Ok, tolgo il "più o meno". E' una cavolata, ma... Ma lo sappiamo che sono in crisi d'ispirazione, no? ... -.-
Beh, spero che piaccia a qualcuno. E spero la commenterete!!! ^^ Bacioni, alla prossima*/*
Serrò
le
labbra, prima di circondare i lunghi capelli neri con le dita,
abbozzando una
coda di cavallo immaginaria.
No.
Non
andava bene.
Il
collo
restava eccessivamente scoperto, e per un vampiro
non era certo motivo di vanto. Le avrebbero tutti – senza
eccezione alcuna –
riso dietro, e lei si sarebbe rintanata in un angolo della sala, come
sempre.
Magari
in
compagnia di Sango – come sempre.
E,
magari,
avrebbe disquisito di mille e più argomenti intellettuali
– anche questo come sempre.
Kami,
ma era
così prevedibile?
Sì.
Era
eccessivamente
prevedibile.
Facendo
una
mezza piroetta su se stessa, lasciò che l’ampia
gonna nera si aprisse,
vorticando frenetica intorno alle gambe, fasciate in dei collant neri.
Li aveva
comprati per l’occasione, insieme ad un’enorme
giacca del medesimo colore ed ad
una trousse – l’acquisto più difficile.
Per chi il trucco lo considera un’arma
batteriologica che attacca le cellule
celebrali rendendo ogni singolo individuo un automa, comprare
quella roba era quasi impossibile.
Per
fortuna
che c’è Sango, si era ripetuta tutto il giorno.
Per
fortuna
che Sango non mi lascia mai sola, aveva aggiunto, tentando di calmarsi.
Era
in ansia – ringraziava il
cielo che le
crisi nervose si erano date una regolata, lasciandole la serata libera. Le avrebbe sicuramente riviste
il giorno dopo, con il loro carico di incapacità di
respirare e il loro
doloroso mal-di-testa-cronico.
Kami.
Era
la regina della sfiga!
Prese
il rossetto tra le dita, e lo
passò sulle
labbra con poca convinzione.
Aveva
appuntamento con Sango alle otto, ma, ne
era certa, la sua amica non sarebbe arrivata in orario. Tanto
valeva
prepararsi con calma e parsimonia, e tentare di non sembrare un clown.
Anzi,
non doveva sembrare un clown.
Sarebbe
stata la fine.
Secchiona.
Maschiaccio.
E
clown.
Wow,
la gente
avrebbe fatto a gara, per stare con lei!
“Kacchan!”.
Sobbalzò,
mentre lo sguardo, in automatico, si spostò
sull’orologio digitale – la scritta
in rosso, imperiosa, segnalava le nove.
Aveva
totalmente perso la cognizione del tempo, e Sango aveva realmente
tardato.
“Arrivo!”,
urlò a mezza voce, afferrando la giacca ed aprendo la porta
– questa scattò con
un debole clic di protesta, prima
di
cozzare contro la parete. Era totalmente graffiata, a causa della furia della sua padrona.
Si
fiondò
lungo la rampa di scale al pari di un centometrista, rischiando
però di
scivolare sull’ultimo gradino, ed inciampando nel tappeto non
appena mise piede
all’interno del soggiorno.
Sango,
comodamente
seduta su di una poltrona, indossava un lungo vestito rosso.
Kagome
batté
le palpebre. “Ehi, cosa dovresti essere?”,
domandò distratta, tirandosi su e scrollando il vestito.
“Un
diavolo”, rispose Sango
pacata,
sollevando un forcone e toccando un cerchietto su cui, preventivamente,
erano
state incollate delle lunga corna rosse.
“Tralasciando
il fatto che non ho mai sentito di diavoli in lunghi vestiti da
sera”, iniziò
la ragazza “Mi spieghi perché tu
dovresti sembrare una diavolessa?”.
“Perché?”.
“Già.
Perché?”.
Dopo
essere
debolmente arrossita – Kagome la scrutava inespressiva,
incapace di capire
cos’avesse –, la ragazza scosse i lunghi capelli
castani, ed indossò il cerchietto.
“È Halloween, Kacchan! Tutti
possono essere quel che vogliono”.
“Ne
sei
sicura?”, continuò, indicando con
l’indice il suo vestiario.
Era inusuale,
per lei.
Sango
annuì –
“Come sono sicura che Talete credeva che
l’archè fosse nel fuoco”.
“Nell’acqua…”,
sussurrò Kagome. Iniziava a sentir scemare la sua voglia di
andare a ballare, e continuava a
chiedersi il
motivo per cui aveva accettato. Kami, lei odiava le discoteche!
Sospirò
quando si rese conto che la sua amica
– sentiva venir meno persino il suo desiderio di considerarla
tale – si stava
divertendo. E si trovò costretta a correre, quando la diavolessa si lanciò dietro ad
un taxi, colpevole di non essersi
fermato dopo che la mora l’aveva ripetutamente chiamato.
Quando
giunsero al locale, Kagome si
reggeva
a stento sui tacchi a spillo neri, e continuava a borbottare a bassa
voce.
Erano entrambe fradice, e i capelli
della mora si erano attaccati al collo, conferendole un’aria
più spettrale che da
vampiro.
Continuando a seguire
l’abito rosso di Sango,
la ragazza si ritrovò all’interno.
Da
sola.
L’amica
era
scomparsa in un vortice di persone.
Sola.
Quanto
odiava
quella sensazione?
Quanto
odiava
essere fissata, e sentire voci unanimi concordare che era una sfigata?
Lo
sapeva da
sola, detestava quelle risatine soffocate sul palmo della mano, e ancor
di più
quelle occhiate bieche. Odiava il prossimo, molto semplicemente.
No.
No,
non era
corretto.
Lei
era terrorizzata dal prossimo.
Sogghignò,
lasciandosi sedere su di uno sgabello, innanzi al bancone.
C’erano tante coppiette. Troppe coppiette.
Sentì
un
raptus nervoso, e si sbracciò, richiamando
l’attenzione del barman – “Un
alcolico. Uno a caso”, mormorò, sentendosi
totalmente stupida.
Ubriacarsi
non era proprio un’idea saggia…
Poggiò
le
mani sul marmo del bancone, e si spinse indietro, mormorando qualche
roca
parola di scusa all’indirizzo di chi le stava preparando da
bere, perché non ne
aveva più voglia.
Si
lasciò
scivolare nella folla, osservando i vari volti, sconosciuti e non, che
la
circondavano – sorrise, scorgendo quella miriade di maschere
colorate. “La
festa delle streghe”,
biascicò,
notando una ragazza indossante quell’abito chiaramente
intenzionata ad attirare
su di sé gli sguardi maschili. “E degli youkai”,
soggiunse.
In
effetti, i
demoni riempivano la sala, beandosi della compagnia di yasha e ningen
con ampi
sorrisi sul volto. Erano così normali,
in tutto quel contesto!
Fece
una
lenta giravolta, consentendo ai capelli neri di volteggiare
nell’aria,
confondendosi tra le ragnatele purpuree che ricoprivano il soffitto, e
le
deliziose zucche arancio che spuntavano un po’ ovunque.
Era
sempre
stata una ballerina abbastanza capace, e si gongolò di quei
passi aggraziati e
appena abbozzati in cui si destreggiava, leggera e sorridente. Nessuno
le
staccava gli occhi di dosso.
Era
un maschiaccio…
…
ma pur sempre una donna.
Tutti lo riconoscevano.
Si
fermò solo
quando le parve di scorgere Sango, e si mischiò a coloro che
ancora danzavano,
tentando di non urtarli. Molti le rivolgevano occhiate stupite, o
divertite. Lo
spirito di Halloween sembrava
già
stare mietendo vittime, dato che tutti
sorridevano a tutti.
Persino
lei
si sentiva allegra.
E
decisa.
Stasera
sarà tutto diverso.
Sarò
diversa anch’io…
Ghignò
del
suo proposito, scattando di lato per evitare una brusca collisione con
un licantropo in crisi ormonale
intento a
corteggiare una fatina.
“Eh?”.
Si
voltò,
presa alla sprovvista, e inciampò in un lungo mantello nero.
La
sua mente
già si preparava psicologicamente al duro impatto con il
suolo – stranamente confortante
– quando qualcosa la afferrò –
“Mocciosa, cos’hai fatto al mio
mantello?”, sbraitò duramente una voce
maschile.
La
ragazza
aggrottò un sopracciglio: chiunque lui fosse, non le
sembrava carino urlarle contro. Non
dopo che era quasi
caduta al suolo, rischiando una qualche frattura.
…
A causa di un inutile mantello per bambini.
Gli
occhi che
la inchiodarono erano di un dolcissimo miele, pieni di striature color
dell’oro.
Si incastonavano perfettamente in un volto mediamente abbronzato.
E
in due zanne come quelle che gli
sporgevano dalla bocca.
Era
dunque un
hanyou?
Kagome
lo
osservò. Beh, le orecchie canine e i capelli
d’argento lasciavano presupporre
che la sua ipotesi non era poi così campata in aria. Ma era
l’abbigliamento
– così poco consono in una
discoteca! – che la lasciava di stucco: pantaloni di velluto,
neri, camicia
bianca, leggermente sbottonata sul davanti e quel dannato
mantello.
“Vampiro?”,
chiese a bassa voce, limitandosi e giocherellare con un lembo della
giacca –
non le era mai parsa così antiquata. E non era propriamente
un bene, in quel
momento.
Quel
tipo era carino…
Anche
troppo, per i suoi gusti.
Viziato.
Lui
la
osservò qualche attimo, prima di parlare. “No,
guarda, sono la nonna di
Cappuccetto Rosso…”, sbuffò, alzando
gli occhi al cielo.
Spiritoso.
“Tanto
piacere, nonna!”, fu la divertita risposta della ragazza,
mentre lo sguardo
dell’hanyou tornava a posarsi – questa volta
incredulo – sul volto della
ragazza. “Non pensavo che avrei mai incontrato un personaggio
fiabesco come lei!”.
“…
Sei
stupida?”, domandò lui soprappensiero.
“No, riduttivo. Forse hai dei problemi
mentali, o qualche difetto che non ti consente di capire la battute.
Perché, cara mia, non
sono la nonna di
Cappuccetto Rosso”.
Banale.
Ridendo,
Kagome gli voltò le spalle.
Qualche
idiota doveva aver voluto giocare a
tutti un brutto tiro, perché la macchina per la nebbia finta aveva iniziato ad emetterne
in massa, lasciando tutta
la sala in una precaria visuale.
Gli
occhi
della ningen luccicavano nel mare
d’ombra,
creando un bel contrasto.
Comico.
Continuando
a
ridere, prese ad ondeggiare, provando ad accennare qualche passo di
danza – “Perché
non balli?”.
“Io?
Ballare?”.
Il ragazzo scosse il capo, un’evidente dose di ironia in ogni
gesto. “Neppure a
pagamento”.
“Perché?”.
“Perché
ballare è per le donnicciole”.
“Dai,
su, non
farti pregare!”. Kagome afferrò le mani del
giovane – erano piacevolmente
tiepide, diversamente dalle sue, ormai più simili a blocchi
di ghiaccio che a
parti del corpo. “Non è normale che un ragazzo
stia così in disparte, su!”.
Dai…
Lasciandosi
trascinare, arrivò nella pista, ridendo –
“Mocciosa, mi spieghi perché dovrei
ballare con un’estranea?”, chiese a un tratto con
un pizzico di malizia,
carezzandole il collo con gli artigli – il contatto era
appena accennato, ma
lei prese ugualmente una sfumatura porpora.
“Perché
potresti divertirti…”, biascicò lei,
incapace di formulare un discorso corretto.
Non
era giusto.
Quel
baka
le mandava in pappa il cervello.
Incredibile.
“Divertirmi?”,
continuò lui scettico. Quella ragazzina era… tsk, non sapeva neppure se definirla
irritante o ingenua.
Ma
gli piaceva, dopotutto.
“Sì”,
gli
assicurò, ridendo, mentre lui si lasciava andare e posava i
palmi sui suoi
fianchi, sogghignando.
Era
la serata delle streghe.
Degli
youkai.
Degli
hanyou.
E
dei ningen.
Era
una serata da trascorrere insieme,
no?
No.
Sì.
Ma
tanto non gli importava.
Non
importava a lei, come non importava a
lui.
“Come
ti chiami, ragazzina?”.
Sfrontato.
“Eh?
… Mi chiamo Kagome”.
Sciocca.
“Piacere,
Kagome. Io sono Inu-Yasha”.
Stupido.
“Piacere
mio, Inu-Yasha…”.
Ingenua.
Quella
serata
era per divertirsi.
E
mentre si abbracciavano, ridendo…
…
era quello il loro unico pensiero.