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Autore: roro    30/10/2008    7 recensioni
Ghignò del suo proposito, scattando di lato per evitare una brusca collisione con un licantropo in crisi ormonale intento a corteggiare una fatina.
Eh?”.
Si voltò, presa alla sprovvista, e inciampò in un lungo mantello nero.

Halloween, che strana festa!
Happy Birthday, Giulia!
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Inuyasha, Kagome
Note: Alternate Universe (AU), OOC | Avvertimenti: nessuno
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Shot Halloween
Halloween



*\* Credevi me ne sarei dimenticata, vero? Invece, Giulia... Tanti auguri di buon compleannoooooo!
Ok, dopo la dedica iniziale - si è capito che la fic è dedicata a lei? ò.ò -, vi lascio a questo...sclero-lavoro? ò.ò Beh, più o meno è una cavolata.
...
Ok, tolgo il "più o meno". E' una cavolata, ma... Ma lo sappiamo che sono in crisi d'ispirazione, no? ... -.-
Beh, spero che piaccia a qualcuno. E spero la commenterete!!! ^^ Bacioni, alla prossi
ma*/*




Serrò le labbra, prima di circondare i lunghi capelli neri con le dita, abbozzando una coda di cavallo immaginaria.

No. Non andava bene.

Il collo restava eccessivamente scoperto, e per un vampiro non era certo motivo di vanto. Le avrebbero tutti – senza eccezione alcuna – riso dietro, e lei si sarebbe rintanata in un angolo della sala, come sempre.

Magari in compagnia di Sango – come sempre.

E, magari, avrebbe disquisito di mille e più argomenti intellettuali – anche questo come sempre.

Kami, ma era così prevedibile?

Sì.

Era eccessivamente prevedibile.

Facendo una mezza piroetta su se stessa, lasciò che l’ampia gonna nera si aprisse, vorticando frenetica intorno alle gambe, fasciate in dei collant neri. Li aveva comprati per l’occasione, insieme ad un’enorme giacca del medesimo colore ed ad una trousse – l’acquisto più difficile. Per chi il trucco lo considera un’arma batteriologica che attacca le cellule celebrali rendendo ogni singolo individuo un automa, comprare quella roba era quasi impossibile.

Per fortuna che c’è Sango, si era ripetuta tutto il giorno.

Per fortuna che Sango non mi lascia mai sola, aveva aggiunto, tentando di calmarsi.

Era in ansia – ringraziava il cielo che le crisi nervose si erano date una regolata, lasciandole la serata libera. Le avrebbe sicuramente riviste il giorno dopo, con il loro carico di incapacità di respirare e il loro doloroso mal-di-testa-cronico.

Kami.

Era la regina della sfiga!

Prese il rossetto tra le dita, e lo passò sulle labbra con poca convinzione.

Aveva appuntamento con Sango alle otto, ma, ne era certa, la sua amica non sarebbe arrivata in orario. Tanto valeva prepararsi con calma e parsimonia, e tentare di non sembrare un clown.

Anzi, non doveva sembrare un clown. Sarebbe stata la fine.

Secchiona.

Maschiaccio.

E clown.

Wow, la gente avrebbe fatto a gara, per stare con lei!

“Kacchan!”.

Sobbalzò, mentre lo sguardo, in automatico, si spostò sull’orologio digitale – la scritta in rosso, imperiosa, segnalava le nove.

Aveva totalmente perso la cognizione del tempo, e Sango aveva realmente tardato.

“Arrivo!”, urlò a mezza voce, afferrando la giacca ed aprendo la porta – questa scattò con un debole clic di protesta, prima di cozzare contro la parete. Era totalmente graffiata, a causa della furia della sua padrona.

Si fiondò lungo la rampa di scale al pari di un centometrista, rischiando però di scivolare sull’ultimo gradino, ed inciampando nel tappeto non appena mise piede all’interno del soggiorno.

Sango, comodamente seduta su di una poltrona, indossava un lungo vestito rosso.

Kagome batté le palpebre. “Ehi, cosa dovresti essere?”, domandò distratta, tirandosi su e scrollando il vestito.

“Un diavolo”, rispose Sango pacata, sollevando un forcone e toccando un cerchietto su cui, preventivamente, erano state incollate delle lunga corna rosse.

“Tralasciando il fatto che non ho mai sentito di diavoli in lunghi vestiti da sera”, iniziò la ragazza “Mi spieghi perché tu dovresti sembrare una diavolessa?”.

“Perché?”.

“Già. Perché?”.

Dopo essere debolmente arrossita – Kagome la scrutava inespressiva, incapace di capire cos’avesse –, la ragazza scosse i lunghi capelli castani, ed indossò il cerchietto. “È Halloween, Kacchan! Tutti possono essere quel che vogliono”.

“Ne sei sicura?”, continuò, indicando con l’indice il suo vestiario. Era inusuale, per lei.

Sango annuì – “Come sono sicura che Talete credeva che l’archè fosse nel fuoco”.

“Nell’acqua…”, sussurrò Kagome. Iniziava a sentir scemare la sua voglia di andare a ballare, e continuava a chiedersi il motivo per cui aveva accettato. Kami, lei odiava le discoteche!

Sospirò quando si rese conto che la sua amica – sentiva venir meno persino il suo desiderio di considerarla tale – si stava divertendo. E si trovò costretta a correre, quando la diavolessa si lanciò dietro ad un taxi, colpevole di non essersi fermato dopo che la mora l’aveva ripetutamente chiamato.

Quando giunsero al locale, Kagome si reggeva a stento sui tacchi a spillo neri, e continuava a borbottare a bassa voce. Erano entrambe fradice, e i capelli della mora si erano attaccati al collo, conferendole un’aria più spettrale che da vampiro.

Continuando a seguire l’abito rosso di Sango, la ragazza si ritrovò all’interno.

Da sola.

L’amica era scomparsa in un vortice di persone.

Sola.

Quanto odiava quella sensazione?

Quanto odiava essere fissata, e sentire voci unanimi concordare che era una sfigata?

Lo sapeva da sola, detestava quelle risatine soffocate sul palmo della mano, e ancor di più quelle occhiate bieche. Odiava il prossimo, molto semplicemente.

No.

No, non era corretto.

Lei era terrorizzata dal prossimo.

Sogghignò, lasciandosi sedere su di uno sgabello, innanzi al bancone. C’erano tante coppiette. Troppe coppiette.

Sentì un raptus nervoso, e si sbracciò, richiamando l’attenzione del barman – “Un alcolico. Uno a caso”, mormorò, sentendosi totalmente stupida.

Ubriacarsi non era proprio un’idea saggia…

Poggiò le mani sul marmo del bancone, e si spinse indietro, mormorando qualche roca parola di scusa all’indirizzo di chi le stava preparando da bere, perché non ne aveva più voglia.

Si lasciò scivolare nella folla, osservando i vari volti, sconosciuti e non, che la circondavano – sorrise, scorgendo quella miriade di maschere colorate. “La festa delle streghe”, biascicò, notando una ragazza indossante quell’abito chiaramente intenzionata ad attirare su di sé gli sguardi maschili. “E degli youkai”, soggiunse.

In effetti, i demoni riempivano la sala, beandosi della compagnia di yasha e ningen con ampi sorrisi sul volto. Erano così normali, in tutto quel contesto!

Fece una lenta giravolta, consentendo ai capelli neri di volteggiare nell’aria, confondendosi tra le ragnatele purpuree che ricoprivano il soffitto, e le deliziose zucche arancio che spuntavano un po’ ovunque.

Era sempre stata una ballerina abbastanza capace, e si gongolò di quei passi aggraziati e appena abbozzati in cui si destreggiava, leggera e sorridente. Nessuno le staccava gli occhi di dosso.

Era un maschiaccio…

… ma pur sempre una donna.

Tutti lo riconoscevano.

Si fermò solo quando le parve di scorgere Sango, e si mischiò a coloro che ancora danzavano, tentando di non urtarli. Molti le rivolgevano occhiate stupite, o divertite. Lo spirito di Halloween sembrava già stare mietendo vittime, dato che tutti sorridevano a tutti.

Persino lei si sentiva allegra.

E decisa.

Stasera sarà tutto diverso.

Sarò diversa anch’io

Ghignò del suo proposito, scattando di lato per evitare una brusca collisione con un licantropo in crisi ormonale intento a corteggiare una fatina.

“Eh?”.

Si voltò, presa alla sprovvista, e inciampò in un lungo mantello nero.

La sua mente già si preparava psicologicamente al duro impatto con il suolo – stranamente confortante – quando qualcosa la afferrò – “Mocciosa, cos’hai fatto al mio mantello?”, sbraitò duramente una voce maschile.

La ragazza aggrottò un sopracciglio: chiunque lui fosse, non le sembrava carino urlarle contro. Non dopo che era quasi caduta al suolo, rischiando una qualche frattura.

… A causa di un inutile mantello per bambini.

Gli occhi che la inchiodarono erano di un dolcissimo miele, pieni di striature color dell’oro. Si incastonavano perfettamente in un volto mediamente abbronzato.

E in due zanne come quelle che gli sporgevano dalla bocca.

Era dunque un hanyou?

Kagome lo osservò. Beh, le orecchie canine e i capelli d’argento lasciavano presupporre che la sua ipotesi non era poi così campata in aria. Ma era l’abbigliamento – così poco consono in una discoteca! – che la lasciava di stucco: pantaloni di velluto, neri, camicia bianca, leggermente sbottonata sul davanti e quel dannato mantello.

“Vampiro?”, chiese a bassa voce, limitandosi e giocherellare con un lembo della giacca – non le era mai parsa così antiquata. E non era propriamente un bene, in quel momento.

Quel tipo era carino

Anche troppo, per i suoi gusti.

Viziato.

Lui la osservò qualche attimo, prima di parlare. “No, guarda, sono la nonna di Cappuccetto Rosso…”, sbuffò, alzando gli occhi al cielo.

Spiritoso.

“Tanto piacere, nonna!”, fu la divertita risposta della ragazza, mentre lo sguardo dell’hanyou tornava a posarsi – questa volta incredulo – sul volto della ragazza. “Non pensavo che avrei mai incontrato un personaggio fiabesco come lei!”.

“… Sei stupida?”, domandò lui soprappensiero. “No, riduttivo. Forse hai dei problemi mentali, o qualche difetto che non ti consente di capire la battute. Perché, cara mia, non sono la nonna di Cappuccetto Rosso”.

Banale.

Ridendo, Kagome gli voltò le spalle.

Qualche idiota doveva aver voluto giocare a tutti un brutto tiro, perché la macchina per la nebbia finta aveva iniziato ad emetterne in massa, lasciando tutta la sala in una precaria visuale.

Gli occhi della ningen luccicavano nel mare d’ombra, creando un bel contrasto.

Comico.

Continuando a ridere, prese ad ondeggiare, provando ad accennare qualche passo di danza – “Perché non balli?”.

“Io? Ballare?”. Il ragazzo scosse il capo, un’evidente dose di ironia in ogni gesto. “Neppure a pagamento”.

“Perché?”.

“Perché ballare è per le donnicciole”.

“Dai, su, non farti pregare!”. Kagome afferrò le mani del giovane – erano piacevolmente tiepide, diversamente dalle sue, ormai più simili a blocchi di ghiaccio che a parti del corpo. “Non è normale che un ragazzo stia così in disparte, su!”.

Dai

Lasciandosi trascinare, arrivò nella pista, ridendo – “Mocciosa, mi spieghi perché dovrei ballare con un’estranea?”, chiese a un tratto con un pizzico di malizia, carezzandole il collo con gli artigli – il contatto era appena accennato, ma lei prese ugualmente una sfumatura porpora.

“Perché potresti divertirti…”, biascicò lei, incapace di formulare un discorso corretto.

Non era giusto.

Quel baka le mandava in pappa il cervello.

Incredibile.

“Divertirmi?”, continuò lui scettico. Quella ragazzina era… tsk, non sapeva neppure se definirla irritante o ingenua.

Ma gli piaceva, dopotutto.

“Sì”, gli assicurò, ridendo, mentre lui si lasciava andare e posava i palmi sui suoi fianchi, sogghignando.

Era la serata delle streghe.

Degli youkai.

Degli hanyou.

E dei ningen.

Era una serata da trascorrere insieme, no?

No.

Sì.

Ma tanto non gli importava.

Non importava a lei, come non importava a lui.

“Come ti chiami, ragazzina?”.

Sfrontato.

“Eh? … Mi chiamo Kagome”.

Sciocca.

“Piacere, Kagome. Io sono Inu-Yasha”.

Stupido.

“Piacere mio, Inu-Yasha…”.

Ingenua.

Quella serata era per divertirsi.

E mentre si abbracciavano, ridendo…

… era quello il loro unico pensiero.

   
 
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