Libri > Fiabe
Ricorda la storia  |      
Autore: Nimel17    25/11/2014    3 recensioni
Quarta classificata al contest "Bad Obsession" di Aturiel
Rivisitazione personale della storia del Lago dei Cigni, molto influenzata dall’avversione della sottoscritta per i Principi Azzurri e dalla predilezione per i villains di tutto rispetto. Incentrata sull’ossessione del mago Von Rothbart per la vendetta e Odette… nella versione originale, il motivo della vendetta era un torto fattogli dalla madre della principessa, ma visto che cambia di libro in libro, di balletto in balletto ecc…, l’ho cambiato leggermente anch’io.
Genere: Angst, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Titolo: “Like fire, hellfire, this fire in my skin” di Nimel17
Genere: Angst, Romantico, Sovrannaturale.
Rating: Giallo
Fandom: Fiabe
Avvertimenti: What if? (Il finale non coincide con le altre versioni note della storia)
Introduzione:    Rivisitazione personale della storia del Lago dei Cigni, molto influenzata
                         dall’avversione della sottoscritta per i Principi Azzurri e dalla predilezione per i
                         villains di tutto rispetto. Incentrata sull’ossessione del mago Von Rothbart per la
                         vendetta e Odette… nella versione originale, il motivo della vendetta era un torto
                         fattogli dalla madre della principessa, ma visto che cambia di libro in libro, di
                         balletto in balletto ecc…, l’ho cambiato leggermente anch’io.
Note: Nessuna.
 
 
You look in my eye
I’m stripped of my pride
And my soul surrenders
And you bring my heart
To its knees
 
And it’s killing me when you’re away
And I wouldn’t leave and I wouldn’t stay
I’m so confused, so hard to choose
Between the pleasure and the pain
And I know it’s wrong and I know it’s right
Even if I try to win the fight
My heart would overwhelm my mind
And I’m not strong enough to stay away
 
 
 
 
 
Era così buio, che le stelle sembravano soffocate dal nero del cielo.
Una pioggia gelida e leggera completava la desolazione di quella notte.
Era il genere di atmosfera che il mago Von Rothbart preferiva per i suoi voli notturni sotto forma di un corvo: le piume fradice erano un modico prezzo da pagare per la vista dall’alto dei risultati della sua maledizione.
La foresta, una volta verde e lussureggiante, era ora formata da rovi, alberi contorti e foglie violacee, malate; non c’erano più cervi, conigli e fiori selvatici, ma lupi famelici, serpi e frutti velenosi.
Al centro esatto del bosco, dove prima c’era la radura, si ergeva il suo castello, semi in rovina e spaventoso a vedersi.
Tutto perfettamente adeguato all’oscurità che dimorava dentro di lui.
Eccolo lì, il palazzo reale. L’ultimo ostacolo alla sua vendetta.
Doveva solo portare pazienza: presto, il suo sortilegio avrebbe colpito anche il sovrano e la sua famiglia, portandoli tutti a diventare schiavi della magia nera.
O cadaveri.
“Principessa! Rientrate, vi prego, o vi bagnerete!”
Rothbart si appollaiò sul ramo di un albero, cercando di scorgere la fanciulla: il re era estremamente protettivo verso la sua unica erede, tanto da presentarla raramente in pubblico.
Nemmeno lei, per quanto potesse essere tenuta al sicuro, sarebbe sfuggita alla rovina.
Un lampo illuminò per un istante un terrazzino poco distante da lui e, con esso, anche la figura che vi stava ritta in piedi.
La principessa non doveva avere più di sedici anni, di corporatura esile, aveva lunghi capelli castano chiari, ora più scuri perché bagnati dalla pioggia, le cui gocce creavano come piccoli diamanti tra le ciocche ondulate. La pelle era candida, probabilmente raramente toccata dai caldi raggi del sole, ma la cosa più notevole erano i suoi occhi, grigi e limpidi, innocenti.
Solo il rumore di una finestra che veniva chiusa bruscamente riscosse il mago dal suo torpore, facendogli capire che la fanciulla doveva essersi ritirata.
Gli occhi rossi del corvo fissavano il punto dove l’aveva scorta pochi minuti prima, la mente che la ritraeva lì come l’aveva vista: bellissima, quasi parte della furia degli elementi.
In quel momento, Rothbart decise che la principessa non avrebbe seguito la sorte degli altri reali.
Per lei, avrebbe riservato qualcosa di speciale.
 
 
“Oh, principessa, oggi è il gran giorno! Cosa ci fate ancora a letto?”
Odette seppellì la testa sotto il cuscino, sbuffando e ignorando la voce stridula della sua cameriera.
“Il principe Siegfried sarà qui a momenti e voi non siete ancora vestita!”
“Non lo voglio vedere, Hilda! Riferisci pure ai miei genitori che mi sono presa un’influenza contagiosa.”
“Una piccola lite tra innamorati?”
La principessa si alzò di scatto a sedere, le guance arrossate dall’irritazione.
“Non solo non lo amo, Hilda, nemmeno lo sopporto.”
“Ma se è così bello!”
La fanciulla andò alla finestra per sentire l’aria fresca mattutina pizzicarle il viso, pensando ironicamente che, con tutte le probabilità, Siegfried avrebbe sposato il suo riflesso come prima scelta.
Un corvo gracchiò, volando verso di lei. Odette gli permise di appollaiarsi sul davanzale, inquieta: aveva la sensazione di avere già visto quel corvo, ma era impossibile. Non era certo l’unico esemplare del regno.
“Sciò, bestiaccia, sciò!”
Hilda scacciò il volatile con uno straccio e la principessa si ritirò all’interno della stanza, malinconica.
“Povero uccellino.”
“Quello è un brutto presagio, signorina, credetemi.”
Odette sperò che significasse una ferita per il principe durante la battuta di caccia che si sarebbe svolta di lì a poco, poi si sentì in colpa. Per quanto lo detestasse, non aveva motivo di auguragli una cosa così malvagia.
Si lasciò dunque lavare, vestire e acconciare i capelli senza protestare, consapevole del fatto che era suo dovere portare a termine quel matrimonio combinato. Molte donne l’avrebbero invidiata per avere uno sposo tanto avvenente, ma a lei importava poco del suo bell’aspetto. Si riteneva troppo giovane, a diciannove anni, per sposarsi e avrebbe aspettato volentieri ancora qualche anno.
Eppure, eccola là ad attendere il suo promesso con i genitori sulla soglia del palazzo, come una domestica con il padrone in procinto di tornare da un viaggio di lavoro.
Finalmente, le trombe annunciarono l’arrivo di Siegfried.
Il principe aveva solo un anno in più di lei, un volto marcato incorniciato da folti capelli dorati e due occhi straordinariamente azzurri; inoltre, cavalcava un destriero bianco.
Un vero erede coronato delle fiabe, che però le faceva solo venire voglia di scappare nella biblioteca del castello (dove sapeva con certezza che lui non vi si sarebbe mai avventurato) e nascondersi per tutto il tempo della sua visita.
“Principe, vi diamo il benvenuto in quella che ormai dovete considerare come casa vostra.”
“Grazie, sire.”
Odette sapeva di dover farsi avanti, ma riuscì solo a tenere ferme le gambe per non indietreggiare.
“Siegfried.”
“Principessa, siete sempre più bella. I nostri figli saranno meravigliosi, senza dubbio.”
Lei deglutì e sperò di non aver lasciato trapelare la smorfia sprezzante e inorridita che avrebbe certamente manifestato, se fosse stata da sola.
“L’intelligenza e una buona educazione sono prioritarie, tuttavia, non trovate?”
“A cosa serve allora un consiglio di saggi che aiuti il sovrano?”
Si udì un verso schiamazzante, che le ricordò una risata beffarda.
“Parteciperete alla caccia, Odette?”
“No. Lo trovo un passatempo cruento e deplorevole.”
Siegfried rise apertamente, facendola segretamente infuriare.
“Ecco perché è riservata agli uomini, voi donne avete il cuore troppo tenero.”
La fanciulla non ce la fece più. Se fosse rimasta un secondo di più l’avrebbe preso a schiaffi, così alzò i tacchi e lo superò, dirigendosi verso la foresta per calmarsi.
Ignorò i richiami agitati della madre e quelli seccati del padre, prendendo un sentiero che aveva scoperto l’anno precedente e conosciuto a lei sola. Conduceva a un vecchio castello diroccato e, nonostante il bosco sembrasse desolato e spaventoso, lei non si era mai persa e nessuna belva feroce aveva mai tentato di attaccarla. Circolavano voci su una maledizione gettata sul suo regno da un mago malvagio, ma erano solo pettegolezzi e Odette non ci aveva mai creduto completamente.
Dopo un po’ di tempo, la ragazza si voltò frettolosamente per vedere se era stata seguita dai genitori o da Siegfried e si fermò di colpo, sbalordita: alle sue spalle non c’era più il sentiero, ma una serie di ceppi dalle radici singolarmente lunghe e contorte. Non era possibile, aveva camminato sempre in linea retta…
Si girò, assalita da un sospetto nauseante: anche lo scenario che prima le stava davanti era mutato, sostituito da un esteso lago circondato da giunchi e salici piangenti.
Poco più avanti, c’era il castello in rovina.
Com’era arrivata fino a lì in così breve durata? Non aveva percorso così tanta strada e non aveva neppure seguito fino in fondo il sentiero giusto.
Era come se il bosco avesse fretta di farla arrivare lì.
Rabbrividì, sentendosi osservata. Scrutò gli alberi circostanti, ma non c’era nessuno che la spiasse da dietro i tronchi, nascosto nell’ombra.
Il sole era scomparso e il cielo aveva assunto una tonalità grigio acciaio, gettando un’atmosfera minacciosa sull’intero luogo; un corvo le volò vicino, facendola sussultare.
“Ancora tu?”
L’uccello la fissò, sbattendo velocemente le palpebre.
“Lo so che sei lo stesso corvo di stamane. E anche delle scorse settimane.”
Odette arretrò progressivamente, spaventata dal vedere che l’animale seguiva zampettando i suoi passi. Era certa che quello non fosse un normale uccello, era palese che la stava tenendo d’occhio da tempo…
Ma per conto di chi?
“Chi è il tuo padrone?”
Un vento piuttosto forte le coprì gli occhi con i capelli per qualche secondo, la gonna che si impigliava nelle caviglie come se volesse trascinarla in avanti. Quando riuscì finalmente a domare le ciocche e a tenerle ferme con le mani, riacquistando la vista, il corvo non c’era più.
Non c’era più nemmeno un filo d’aria e la ragazza si strinse le braccia, inquieta per quei cambiamenti improvvisi.
Inoltre, era certa di non essere sola. Si voltò lentamente, temendo quello che poteva vedere.
Una fiera? Un mostro?
Invece, intravide solo un uomo che la guardava inespressivo.
Era molto alto e magro, con i capelli neri e gli occhi verde scuro; la luce creava una strana illusione ottica, facendo sembrare le iridi orlate di rosso.
Era vestito di nero, con un mantello fatto di quelle che sembravano piume di corvo.
“Voi… voi siete il mago, vero? Siete reale…”
“Chiaramente.”
Odette si sentì una stupida, ma si rifiutò di abbassare lo sguardo.
“Per quale motivo mi avete spiata tanto a lungo?”
Il mago chinò la testa di lato.
“Se i vostri genitori fossero stati osservatori la metà di voi, non sarei mai riuscito a portare a termine i miei progetti. Anche se, devo riconoscerlo, è anche merito vostro se ci troviamo qui.”
“Mio?”
“Non avete mai parlato a nessuno di questo sentiero seminascosto, o di esservi recata in questo punto del bosco. Sapevo che non l’avreste fatto, sapevo che non avreste rinunciato al vostro unico angolo in cui stare interamente da sola.”
“Come facevate ad esserne certo? Avrei potuto…”
“Sono tre anni che vi seguo da vicino, principessa Odette, come corvo o come ombra. So cosa desiderate, più di ogni altra cosa al mondo.”
“Non è vero. State mentendo.”
“La libertà. Volete essere libera di assecondare la vostra natura avventurosa, di viaggiare per il mondo.”
Lei si voltò e iniziò a correre, terrorizzata dall’essere stata messa così a nudo. Fece ben poca strada, comunque, perché dopo un paio di minuti tornò al punto di partenza, da quell’uomo odioso che non la perdeva di vista un istante.
“Mi avete fatto girare in tondo!”
“Nessuno vi ha detto di scappare. Vi avrei informato io tra breve sul fatto che posso mutare la fisionomia della mia foresta.”
La prese gentilmente per il braccio e la condusse verso il castello, tenendola abbastanza saldamente da impedirle di divincolarsi.
Solo quando la ragazza sentì la porta massiccia chiudersi alle sue spalle, si rese conto d’essere effettivamente dentro un grande salone dall’aspetto antico ma ben tenuto. Come aveva fatto quell’essere ad annullare i suoi sensi senza nemmeno un incantesimo?
La fece sedere su una sedia davanti ad un caminetto acceso e rimase dietro di lei, l’ombra che si stagliava innaturalmente lunga sul pavimento, alla luce del fuoco.
“Cosa volete da me? Qual è il vostro nome?”
“Potete chiamarmi Von Rothbart. La vostra scomparsa sarà la prima delle molte sventure che capiteranno al regno per mia mano.”
La voce suadente del mago rendeva ancora più terribile quella minaccia e Odette rimpianse di essersi allontanata dal palazzo.
“Perché volete causare tanta rovina?”
“Tuo padre deve a me solo la posizione che ora occupa ora. Eppure, mi fece esiliare come un criminale.”
“La magia nera è proibita.”
“Lui la proibì dopo che la usai per farlo salire sul trono. Stringemmo un accordo e tuo padre non rispettò la sua parte.”
“Può avere sbagliato, ma sono passati molti anni e ora lui o Siegfried vi daranno la caccia.”
“Possono provare.”
“E io non ho intenzione di restare prigioniera a lungo.”
Odette sentì il fantasma di un dito sul collo e dovette farsi forza per non sussultare.
“Siate ragionevole. Se anche riusciste a uscire dal castello, non supererete mai la foresta.”
La fanciulla si alzò, agitata. Sentiva gli occhi del mago seguire i suoi passi come un cacciatore in procinto di attaccare.
Uno spifferò d’aria fredda entrò attraverso una finestra semiaperta, facendole cadere alcune ciocche sulle spalle.
“Avete me, ora. Mio padre ne sarà annientato. Non fategli ulteriormente del male e io non tenterò la fuga.”
“Non è abbastanza. Ho dedicato metà della mia vita a disfare ciò che lui ha costruito. Ho maledetto il suo regno, condannerò i suoi abitanti all’oscurità e presto strapperò al vostro caro genitore la corona che non si è mai guadagnato.”
La principessa lo fronteggiò. Nonostante fosse impallidita, la sua voce non tremava e la sua testa rimase alta e fiera.
“Tutto questo perché Von Rothbart vuole un trono, dunque.”
Lui rise; la sua era una risata a metà tra il divertito e l’amareggiato.
“Quello che voglio è la vendetta. Tutto il resto è superfluo… quasi tutto, almeno.”
“Non avete tenuto conto del mio promesso. Combatterà contro mille uomini, se necessario, per salvarmi.”
Il volto del mago tradì per un istante una furia cieca, per poi ricomporsi nella sua fredda maschera. Solo i suoi occhi, notò con sgomento Odette, recavano ancora i segni di quell’ira.
Erano diventati rossi.
“Non ci riuscirà, principessa. Non è altro che un bamboccio cui piace giocare con le sue spade giocattolo.”
Le si avvicinò, sorridendo sprezzante.
“E lo pensate anche voi, non negatelo. Vi conosco troppo bene.”
Lei avrebbe voluto ritrarsi da quelle dita che le scostavano i capelli dal volto, ma gli arti non le obbedivano, raggelati da quella profonda conoscenza che il maledetto sembrava possedere per ciò che la riguardava.
“Vi accompagno nella vostra camera. Nel pomeriggio, se lo desiderate, vi farò vedere il castello.”
Odette lo seguì quasi meccanicamente, la sua mente già impegnata ad elaborare possibili piani di fuga. Rothbart le camminava davanti: avrebbe potuto facilmente prendere una delle torce appese alla parete e colpirlo alla nuca, ma l’istinto le diceva che doveva esserci un motivo se lui le dava le spalle con tanta disinvoltura.
Salirono due piani di scale e la fanciulla si chiese se avrebbe trovato abbastanza lenzuola e coperte da farne una fune in grado di calarla fino a terra.
Il mago le indicò con un inchino beffardo una porta, su cui era infissa una targa d’ottone con il suo nome inciso a lettere d’oro.
“Vi aspetto per pranzo. Non tardate.”
Non appena fu lasciata sola, Odette guardò allibita la stanza: era una replica perfetta di quella che aveva a palazzo.
Lo stesso copriletto di velluto blu, gli stessi dipinti ad acquerello che le aveva regalato la madre per il suo diciassettesimo compleanno, la sua piccola scrivania sotto la finestra, fornita di carta e inchiostro, i suoi libri preferiti impilati ordinatamente sul comodino accanto al letto.
Aprì le ante dell’armadio con le mani tremanti: sospirò di sollievo quando vide che i vestiti, perlomeno, non erano suoi. Erano abiti piuttosto eleganti, ma di taglio semplice e ce n’erano molti argentati, verdi e pervinca.
I suoi colori preferiti… ed erano assenti capi bianchi, che lei considerava adatti solo ai matrimoni.
Arretrò lentamente, lasciando correre lo sguardo sui fiori contenuti in bellissimi vasi di ceramica: giacinti e rose rosse.
C’era qualcosa di ben aldilà della semplice considerazione per una prigioniera vittima delle circostanze, della preoccupazione (già anomala di per sé) per una sua eventuale nostalgia di casa.
Si avvicinò al letto e tolse il cuscino, gettandolo a terra: sotto c’era un rametto di foglie di menta, come quello che metteva lei ogni sera per sentirne vicino il profumo.
Si lasciò cadere sulla sedia della scrivania, guardando fuori per riflettere; era in territorio nemico, il suo regno era in pericolo ed era suo dovere fare qualcosa per portare la situazione a suo favore.
Tutto le indicava che non era indifferente al mago, ma era difficile leggere quel volto inespressivo o anche immaginare che potesse provare sentimenti umani.
Tuttavia, doveva tentare: avrebbe usato tutte le armi che aveva a disposizione per vincere.
Si sarebbe vestita e pettinata come si addiceva al suo rango, l’avrebbe affrontato cercando d’individuare i suoi punti deboli e, giurò a se stessa, avrebbe liberato il padre da quell’empia vendetta, in un modo o nell’altro.
Se necessario, sarebbe stata capace di uccidere un uomo?
Scelse un vestito d’argento, pensierosa. La sua magia l’avrebbe probabilmente protetto, ma era anche lui un uomo, dopotutto, fatto di carne e sangue. Se sanguinava, poteva essere ucciso.
Improvvisamente, le lacrime iniziarono a bagnarle le guance e la fanciulla si strinse le braccia per frenare i brividi. Non era lei quella che covava quei pensieri malvagi, era l’influenza malefica di quel luogo… doveva esserlo!
Si raccolse i capelli in una treccia lasciata sciolta sulla schiena e aprì un cofanetto d’ebano, seminascosto sul tavolo da toeletta: dentro c’erano bellissimi gioielli preziosi, ma lei richiuse subito il portagioie con un colpo secco, assalita dalla nausea.
Non dovette attendere molto, prima di sentire la chiave girare nella toppa. Respirò profondamente e uscì dalla stanza, preparandosi per la battaglia di voleri che si sarebbe svolta di lì a poco.
Fuori non c’era nessuno, così scese le scale fino a raggiungere la sala di quella mattina.
La tavola era imbandita con pietanze degne dei banchetti reali che organizzava la madre, ma Odette la degnò appena di un’occhiata, concentrandosi piuttosto sulla figura di spalle davanti al caminetto.
La paura le serrò la gola. Il coraggio che l’aveva sostenuta in precedenza era scomparso. I minuti successivi sarebbero stati determinanti e lei non voleva affrontarli, voleva fuggire senza voltarsi indietro.
Forse l’avrebbe fatto, se il mago non avesse notato in quel momento la sua presenza. I suoi occhi verde scuro la fecero quasi arretrare per la loro intensità, ma riuscì a restare ben salda sulle gambe, pur abbassando lo sguardo.
Continuò a guardare a terra anche quando lo sentì raggiungerla e le sue dita alzarle il mento.
“Avete paura. E avete pianto.”
La lasciò andare, come se scottasse.
“Non ne avete motivo.”
Lei avrebbe voluto ridere e rinfacciargli la sua situazione, ma Rothbart l’aveva già condotta ad una sedia a capotavola.
“Mangiate. Dopo potrete farmi tutte le domande che vorrete.”
Odette ingoiò a fatica qualche boccone di carne e bevve qualche sorso d’acqua, ma in pochissimo tempo la tensione le aveva stretto lo stomaco come la più salda delle corde. Appoggiò le posate e intrecciò le mani sul grembo, cercando di apparire calma e ragionevole.
“Le mie preghiere saranno vane, dunque? Non posso appellarmi a nulla per convincervi a desistere?”
Lui non rispose e, per la prima volta da quando era entrata in quel cupo castello, la fanciulla sentì nascere in sé la speranza.
“Vi prego. Vi offro la mia vita, in cambio della tranquillità dei miei genitori e del regno. Avrete lo stesso la vostra vendetta…”
Odette vide il mago scagliare con forza il calice contro il muro, provocando un fragore che risuonò per tutta la stanza. I lineamenti dell’uomo erano stravolti in un’espressione terrificante.
“Non parlate di cose che non sapete!”
Rimasero in silenzio per qualche secondo, poi la principessa si alzò e fece per tornare ben decisa nella sua stanza, ma venne fermata da una mano gelida sulla spalla.
“No, restate. Mi dispiace di avervi spaventata.”
Lei rimase ferma, senza parlare o voltarsi verso di lui.
“Un modo c’è, per ottenere entrambi quello che vogliamo.”
La fanciulla sospirò; non era una sprovveduta fino in fondo. Alla fine, le tessere del mosaico s’incastravano, perfettamente combacianti. La sorveglianza, la sua camera…
“Sposarci. Con questo sistema, risparmierete mio padre e, alla sua morte, il reame sarà legalmente vostro.”
“Non solo il regno.”
No, anche lei gli sarebbe appartenuta. In altre circostanze, l’avrebbe preferito probabilmente a Siegfried, perché era carismatico e intelligente.
Tuttavia, conosceva bene suo padre: quel compromesso avrebbe significato sconfitta. Si sarebbe visto crollare il sogno di vedere unite le due corone in lei e il principe, senza contare il fatto che non avrebbe mai accettato il matrimonio tra lei e il mago, neppure per salvarsi la vita.
L’avrebbe disprezzata per avere ceduto.
“Sono tre anni che aspetto questo momento, Odette. Datemi pace, vi prego. O sareste crudele quanto bella?”
Eppure, avrebbe ottenuto così tanto con un gesto così piccolo…
“Allora?”
D’altra parte neppure Von Rothbart, con tutta la sua magia, poteva tenere testa a due eserciti, o avrebbe sicuramente fatto prima la sua mossa.
“No. Potete provare a prendere me e il reame con la forza, ma incontrerete resistenza in entrambi i casi.”
Le mani di lui scesero sugli avambracci, stringendoli tanto da lasciarvi le impronte delle dita.
“Potrei spezzarvi. Pensateci bene.”
“In un modo o nell’altro, non otterrete quello che volete.”
Nel giro di pochi secondi, Odette si sentì trascinare fuori dal castello, con il vento che fischiava forte e i tuoni che ruggivano in lontananza. Il mago la gettò sull’erba, ma lei non voleva guardarlo, né tantomeno darsi l’occasione di tornare sui suoi passi.
“Cosa state…?”
Fu più forte di lei. Chiuse gli occhi non appena vide una nube verde avvolgerla.
Tutto il corpo le faceva male, come se qualcuno lo stesse tirando: il collo, la schiena, le gambe…
Che le stava accadendo? Rothbart aveva, dopotutto, deciso di ucciderla? Istintivamente, alzò le braccia per proteggersi il volto.
Quando sentì ancora l’aria pura accarezzarle la pelle, aprì gli occhi, abbassando le braccia.
Solo che non aveva più braccia, ma due magnifiche ali candide. Al posto della bocca, un becco lungo e duro, i piedi erano diventati piatti e il collo era molto più lungo del normale.
Fissò con aria accusatrice il mago, ma lo sguardo dell’uomo era gelido, nonostante le iridi scarlatte.
“Vi ho maledetta, principessa. Cigno di giorno e umana di notte, così potrò avere ancora il piacere della vostra compagnia. E così continuerà, fino a quando qualcuno non mi ucciderà o non dichiarerà un sincero amore eterno per voi.”
Odette cercò di camminare con il suo nuovo corpo, ma Rothbart la anticipò, inginocchiandosi ad accarezzarle le piume morbide.
“E io non ho più intenzione di farlo. Sarete solo mia, perché se anche riusciste a volare lontano, sarete costretta comunque a tornare. Solamente le acque del lago che vedete davanti a voi potranno ritrasformarvi in una giovane donna. Inoltre, se vi allontanate troppo, correrete il rischio di essere uccisa da quello sciocco del vostro promesso.”
Il mago si rialzò, impassibile, mentre la principessa abbassava il capo in segno di sconfitta.
 
 
“Sono passati decenni, Rothbart. I miei genitori, Siegfried… sono tutti morti.”
Il mago le sorrise, ma Odette lo ignorò e guardò le acque del lago che le lambivano la veste.
“Dovreste essere contenta. Sono morti di morte naturale.”
Lei  tacque, portandosi una lunga ciocca di capelli davanti a sé per sciogliere i nodi bagnati.
“Anche se non lo meritavano. Quel principe ha scelto un’altra meno di un anno dopo ed è stato nominato da tuo padre come erede.”
Odette nascose il suo sguardo ferito guardando i loro riflessi nell’acqua.
“Ormai è passato. Non ce l’ho con loro.”
“No. Voi siete buona.”
“Non ce l’ho nemmeno con voi per questa maledizione. Non più, anche se avreste potuto spezzarla anni fa.”
“Avrei potuto, è vero. Potrei anche adesso. Ma le parole, anche se non vengono dette, non hanno per questo meno valore.”
La fanciulla finse che lui gliele avesse rivolte, come ogni notte.
  
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Fiabe / Vai alla pagina dell'autore: Nimel17