Eh già, a furia di aaaaawwwwww ce l’abbiamo fatta a
metterci d’accordo e a far soffrire un po’ i nostri cari Jonas insieme!
Muhuahuahua!!!!!! Non vi anticipo niente, leggete per scoprire! E commentate!
Dedico questa storia a Raissa, ovviamente…e Minako sa
perché.
Naturalmente, i Jonas Brothers non ci appartengono e non
vogliamo in alcun modo rappresentare la loro vera vita.
Temperance
Oddio, sono un po' emozionata... Questa è la mia prima
collaborazione. E che collaborazione!** Non potevo sperare di meglio. Tantopiù
che ho trovato nella cara Tempe una eccellente dose di sadismo che ben si
combina con la mia!XD Quei tre poveri ragazzi sono capitati male stavolta. A
dediche e raccomandazioni varie ci ha già pensato la mia socia, quindi non
perdo altro tempo utile che vi servirà per leggere e commentare questo primo
capitolo. A voi, sperando che piaccia tanto quanto "Gabrielle" e
"Hanno rapito i JoBros" insieme!x3
(Ok, i Jonas non ci appartengono, ma se Kevin fosse d'accordo, io lui me lo
prenderei volentieri!<3)
Minako
-Capitolo Uno-
- Prego, accomodatevi pure in sala d'attesa. -
Un'infermiera piuttosto grassottella spuntò il suo nome dalla lista che aveva
in mano, indicando il fondo del corridoio con la matita mangiucchiata.
Anja seguì sua madre fin nella stanza d'ospedale più
asettica che avesse mai visto.
E, in vita sua, ne aveva viste davvero, davvero tante.
Strinse la cartellina blu che aveva in mano, sedendosi
sull'unica poltroncina rimasta libera, proprio accanto alla finestra. C'era
davvero troppa gente lì dentro... Una piatta sequela di facce tutte uguali,
senza la minima luce nello sguardo.
Vinti in partenza.
Uomini, donne e perfino qualche bambino. Il dolore non
aveva mai rispetto o pietà per nessuno.
- Anja, tesoro, vuoi che apra un po'? - Domandò premurosa
Florence, scostando la tenda di tessuto anallergico.
- No, mamma, sto bene. - Dopo anni di "pratica",
era riuscita ad assuefarsi perfino a quell'insopportabile odore di
disinfettante. Tanto che quasi non lo avvertiva più.
Sbuffò. Che soddisfazione... Ma era giusto quello che si
poteva permettere.
- Magari qualcosa da bere. Così poi ci passano le prossime
due ore di attesa, sparlando della pessima qualità del caffè negli ospedali...!
- Scherzò la donna, riuscendo a strappare un sorriso alla figlia.
- Ci sto. - Rispose, battendole un cinque. Poi la guardò
allontanarsi, scrollando le spalle.
Si erano trasferiti in America, perchè un vecchio amico di
sua madre, qualcosa come un ex-compagno di college, aveva raccontato storie
fantasmagoriche sui grandi specialisti e le cure innovative che il suo paese
poteva promettere a chi era condannato ad una vita fuori e dentro gli ospedali.
"In & Out" come amava definirla Anja. Se su
certe cose non si scherza un po', è la fine... Una buona filosofia di pensiero,
che la ragazza aveva adottato per riuscire a convivere con il suo flagello
personale.
Peccato che il caro Paul avesse tralasciato tutta la parte
che riguardava l'assicurazione medica da usura e le code chilometriche.
Che poi... Che gli americani fossero un "popolo
malato", in realtà, non aveva mai avuto dubbi.
Ridacchiò fra sè e sè, nascondendosi dietro le mani aperte.
Non sapeva quanti, fra i presenti, avrebbero gradito il suono cristallino della
sua risata, in una circostanza come quella.
Fece un altro giro di sguardi lungo il perimetro della
stanza, passando rapidamente da una fronte stempiata ad un naso spruzzato di
lentiggini, fino a che qualcosa di veramente interessante non la bloccò,
attirando la sua attenzione. Esattamente di fronte a lei, accanto ad una bella
signora dai lunghi capelli neri, era seduto un ragazzo. Probabilmente di
qualche anno più giovane rispetto a lei. Una folta zazzera di ricci e due
profondi occhi scuri.
Carino, senz'ombra di dubbio.
Ma non era la prestanza fisica, che la attirava, quanto più
il suo sguardo. Non era apatico, come quello degli altri "pazienti".
Gli leggeva dentro la determinazione. La voglia di
lottare... contro qualunque cosa lo stesse attaccando.
Lo guardò sfogliare con aria curiosa una rivista di musica.
Divorava le pagine una dopo l'altra, voltandole febbrilmente. Al quinto foglio,
forse sentendosi osservato, lui alzò lo sguardo.
Ad Anja per poco non venne un accidente. Abbassò gli occhi
di scatto, fingendo di aver trovato qualcosa di assolutamente interessantissimo
da guardare... sulla punta della sua scarpa.
Le ci vollero cinque minuti buoni per trovare il coraggio
di sollevare di nuovo la testa. Quando lo fece, con suo leggero disappunto, il
ragazzo non c'era più. Si ritrovò a fissare un sedile rivestito di tessuto dal
colore discutibile.
Non fece in tempo a chiedersi dove fosse finito, che sua
madre risbucò dal corridoio, con in mano due bicchierini di plastica.
- Ecco, piccola. Ci ho messo parecchio zucchero, come piace
a te. - Gliene passò uno, munito di bastoncino per mescolare il tutto.
Riuscì giusto a prendere il primo sorso, prima che una voce
squillante chiamasse il suo nome da dentro lo studio medico. Abbandonò senza
troppi rimorsi quella sottospecie di intruglio su uno dei tavolini e sparì
oltre la porta assegnata al dottor Walsh.
Fu decisamente sorpresa, quando, entrando nella stanza
insieme a sua madre, si trovò davanti il misterioso ricciolino di poco prima.
- Avanti, avanti. - Un giovanotto con dei buffi occhialetti
rotondi si fece loro incontro, invitandole ad accomodarsi. - Il nostro Nick sta
solamente aspettando i suoi referti, noi intanto possiamo procedere con la
visita a questa bella signorina. - Anja arricciò il naso, cercando di
trattenere il moto di fastidio che l'essere chiamata "bella
signorina" da un perfetto sconosciuto le aveva provocato. Sfoggiò un ottimo
sorriso di cortesia, sedendosi sulla sedia vuota accanto a quella del ragazzo,
che la stava osservando con aria piuttosto incuriosita.
- Siamo qui per un esame del sangue. - Cominciò sua madre,
aprendo la cartellina. Frugò tra i mille documenti che vi aveva accuratamente
riposto, per cercare quello che le serviva.
- Oh no, lasci, non serve. - Sorrise il medico, agitando le
mani. - Possiamo passare direttamente al prelievo. - Si avvicinò alla ragazza,
che si sfilò il maglione che aveva addosso e allungò il braccio destro con fare
titubante. Non riuscì ad impedirsi di lanciare uno sguardo preoccupato verso i
due insoliti "ospiti".
- Non preoccuparti, cara. - A parlare, questa volta, fu la
donna dai capelli neri. - E' una cosa che anche Nick ha fatto milioni di volte.
- Anja sorrise sempre più riluttante.
Rimasero tutti in religioso silenzio, mentre il dottor
Walsh le infilzava la siringa nella vena e prelevava due provette di sangue.
- Ecco fatto. - Tappò anche l'ultima e le applicò un
batuffolo di bambagia sulla ferita. - Se avete un po' di pazienza, vi posso
dare i risultati già oggi. Per questo genere di malattie c'è... una corsia preferenziale, diciamo! -
Strizzò l'occhio, sparendo oltre la porta.
Dopo qualche minuto di tesissimo silenzio, Florence si alzò
e cominciò a chiacchierare sommessamente con l'altra donna. Denise Jonas, si
era presentata.
Quanto ci sarebbe voluto perchè lei e sua madre
cominciassero a scambiarsi lacrimevoli testimonianze sui poveri figli malati?
Anja prese a giocherellare con il cotone, spiluccandolo qua
e là. Era completamente immersa nei suoi pensieri, quando Nick decise
finalmente di rivolgerle la parola.
- A cosa ti serve l'analisi del sangue? - Domandò, con lo
stesso tono che avrebbe usato per parlarle dell'ultimo film uscito al cinema.
Lei sollevò lo sguardo, piuttosto stupita.
- Conta dei bianchi.
- Snocciolò, senza preoccuparsi di spiegarsi meglio. Dava per scontato che
anche lui avesse una certa dimestichezza col gergo ospedaliero. Bianchi uguale globuli bianchi,
leucociti. Non era difficile.
- Glicemia. Io e gli zuccheri non andiamo molto d'accordo.
- Rispose Nick, spingendo la sedia più vicino a quella di lei.
- A-ah. Bella rottura. Che cos'hai? - Le piaceva quel
ragazzino, era forse il primo che avesse incontrato, capace di sdrammatizzare.
Dote assai pregevole.
- Diabete di primo tipo. - La fissò, aspettando la sua
reazione.
- Ah, allora vinco io. - Rispose lei con aria trionfante. -
Leucemia. - Nick stava per ribattere qualcosa, ma venne interrotto dal dottore,
che rientrò con due grandi buste marroncine. Ne diede una a Florence e l'altra
a Denise.
- Bene. - Cominciò, aprendo una vecchia agenda con la
copertina consumata. - Direi che con Nick ci vediamo tra una settimana, signora
Jonas. E anche con Anja, se pensate che possa andare come data. - Florence
annuì, sistemando la busta nella cartellina. - Alla nostra principessina, però,
prescriviamo anche un paio di pilloline, eh? - Ina, ine... ma non era capace di
parlare normalmente quell'uomo?
Si morsicò la lingua, per evitare di trascendere in
risposte poco educate.
Aspettò che sua madre ritirasse anche le due ricette e poi
la seguì nel corridoio. Denise e Nick le stavano aspettando appena fuori dallo
studio.
- Sembra che ci rivedremo presto. - Cominciò lui, cercando
di sovrastare il rumorio provocato dalle chiacchiere febbricitanti delle due
donne. - E poi mia madre già adora la tua... Non ci crede, di aver finalmente
trovato qualcuno con cui condividere le sue tragiche esperienze. - Anja si
lasciò scappare un'altra risatina.
- Non me lo dire... - Si infilò le mani in tasca,
scrollando le spalle.
Florence strinse la mano della sua nuova compagna di
sfortune, le baciò gentilmente entrambe le guance e poi appoggiò una mano sulla
spalla della figlia, facendole cenno di seguirla.
- Ci si vede, allora. - Lo salutò con un sorriso. - Ah,
comunque io sono Anja. - Gli tese la mano, prima di voltarsi per lasciarselo
alle spalle. -
- Nick. Ma l'avrai anche intuito. - Scherzò lui,
stringendola con delicatezza.
Si guardarono silenziosamente negli occhi per un secondo,
poi lei si sciolse dalla sua stretta e seguì la madre verso l'uscita.
I was tired of hurting.
So tired of searching,
till you walked into my life…
(You’re My Best Friend - Tim McGraw)