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Autore: Antys    26/11/2014    7 recensioni
«I tuoi occhi», pronunciò devastato il minore, spostando il pollice e lasciandolo sospeso nell’aria.
Le vide oscurarsi quelle iridi ambrate, ferite da un tradimento imminente e già avvenuto, per vederle impregnarsi di dolore e smarrimento, spostandosi tremanti da una parte all’altra per osservare meglio le proprie e Derek non si era mai sentito prima così impotente.
Il lupo mannaro trattenne il respiro, come se con un minimo movimento avesse potuto spezzare la situazione appena creatasi e distruggere quel momento di rivelazione, commettendo un crimine.
«Derek», proferì senza fiato, intrappolato in un mondo a sé stante. «I tuoi occhi sono così diversi», annunciò a se stesso, circondandogli con le mani e con delicatezza il viso, poggiando i pollici proprio sopra le borse degli occhi. «Così buoni», soffiò in una rivelazione assordante, specchiandosi completamente.
Genere: Sentimentale, Slice of life, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Titolo:  The Air is Fading

Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski

Pairing: DerekxStiles [Sterek]

Rating: Giallo

Genere: Slice of  life, Sentimentale, Suspence

Avviso: One Shot, Slash, What if?, Missing Moments

Note: Ambientata durante la 3B, a cavallo tra la 3x14 e la 3x16.

 

 

 

 

 

 

 

 

The Air is Fading

 

 

 

 

 

Rosso, violenza e tradimento.

Questo era tutto quello che popolava quel sogno agitato e crudele che prendeva vita nelle notti più oscure, quando perfino la luna sembrava spegnersi e integrarsi con l’immensità del cielo privato di ogni sua stella.

Il respiro accelerato, il fiatone ingiustificato che si impadroniva della stanza, prendendo possesso delle ansie radicate nel cuore e quelle sensazioni di panico e orrore vigili nella testa, espanse in tutto il corpo; paralizzandolo.

Le vedeva lì quelle immagini, così vivide e così dolorose. E non riusciva in nessun modo a liberarsene, perché era tutto così reale da portarlo a crederci davvero e il suo cuore si stringeva, costringendolo a respirare con fatica, con quel muscolo involontario che accelerava con troppa violenza, facendo ribollire il sangue nelle vene e girare la testa.

E Stiles non respirava. Non respirava più.

Ed accadeva davvero, perché il corpo non riusciva a gestire tutto quello e il suo cuore sembrava non reggere quelle emozioni di vera angoscia e tradimento che si impossessavano di lui.

E tutto si fermava. Improvvisamente.

E nulla sembrava risvegliarlo o riportarlo alla vita.

In quel momento, proprio quello, quando il cuore smetteva di battere e il respiro rimaneva intrappolato in gola, qualcuno lo svegliava; un qualcuno che sembrava vivere al capezzale del suo letto, ai suoi piedi.

Stiles si svegliava di soprassalto, in un bagno di sudore, con il fiatone, le gote arrossate, il battito incredibilmente accelerato e le pupille eccessivamente dilatate.

Gli occhi vagavano per la stanza spaesati con un urlo in fondo alla cavità orale che non prendeva mai vita e con quell’agitazione premente che gravava sul petto, svuotandogli lo stomaco.

Incontrava i suoi occhi, i suoi occhi chiari e Stiles riprendeva a respirare, soffocando quell’unico singhiozzo che riusciva a scappare dalle proprie labbra, stringendo il cuscino e lasciandovi ricadere il viso con le lacrime imprigionate tra le ciglia.

Ma quella notte tutto appariva quintuplicato e molteplice, talmente devastante da lasciarlo inerme ed era tutto così agitato da non avere alcuna percezione di ciò che accadeva.

Fu svegliato ancora prima che il respiro gli venisse sottratto e quelle sensazioni di tradimento e terrore si impadronirono di lui senza apparente motivazione.

E quando vide le sue iridi di smeraldo colme di preoccupazione e dubbio – e davvero, quello non era propriamente da lui – e con la mano tesa verso la propria figura, si scansò, quasi scappando e con il rischio di cadere giù dal letto.

Ed erano lì quegli occhi colmi di malvagità, sovrapposti ai suoi e Stiles non riusciva a sopportarli, tremando ogni volta alla loro vista, senza riuscire a distinguerli.

Stiles si rannicchiò su se stesso, alla punta del letto più vicina alla finestra, con il panico negli occhi e Derek fu costretto a tornare su suoi passi, lasciandogli tutto lo spazio di cui avesse bisogno.

«Mi dispiace, Derek», pronunciò il ragazzo tra spalmi continui, stringendo le ginocchia al petto. «Non dovrei trattarti in questo modo».

«Non c’è problema», proferì il moro dall’alto della sua posizione con una compostezza inumata.

«Derek», lo chiamò in un’esclamazione come a rimproverare entrambi.

«Va bene così», lo ammonì impassibile l’altro.

«Non va bene, non va affatto bene», continuò imperterrito il castano, guardandolo dritto nelle sue iridi chiare. «Sei qui per me e io ti respingo».

Il lupo mannaro gli si avvicinò in un momento e Stiles se lo ritrovò a pochi centimetri dal corpo, seduto sul letto, senza aver prodotto un solo spostamento d’aria. «Non lo fai sempre», precisò beffardo con una leggera nota di certezza che arrivò dritta alle orecchie del ragazzo.

Il giocatore di Lacrosse lo guardò con attenzione, issando leggermente le spalle e osservandolo come se fosse il soggetto più interessante che gli fosse capitato di studiare.

E le vide lì, tutte quelle volte in cui il Beta lo salvava da quegli incubi così reali da sottrargli, notte dopo notte, una parte della propria anima, accorciandogli la vita a ogni nuova boccata di ossigeno presa con fatica immane.

Stiles lo sapeva che tutto quello non rappresentava la normalità, perfino per i loro canoni e quando quell’ipotetica porta mentale fu chiusa – proprio quella che era stata creata da un sacrificio folle –, e tutti sembravano rasserenati, i suoi incubi continuarono. Più deleteri dei precedenti, più cruenti e distruttivi, così fedeli alle sue peggiori paure.

Non aveva detto nulla a nessuno, conservando quel segreto per se stesso, sperando che tutto sfumasse e svanisse, proprio lì, nell’oscurità del suo cuore, dove aleggiava quel vortice nero a circondarlo e Stiles ne era certo: lui non avvertiva l’oscurità del mondo. Ne faceva parte.

Soltanto quando entrò in possesso di quella rivelazione, Derek tornò e bussò alla sua finestra – che da quel giorno teneva sempre con uno spiraglio aperto, giusto per dare all’altro la possibilità di aprirla ed entrare quando più desiderava –, ma non ne seppe mai il motivo e smise di fare domande subito dopo, quando perse la capacità di svegliarsi autonomamente.

Fu proprio dopo quel ritorno – e non sapeva mai se prenderlo come un segno – che l’ossigeno cominciò a venirgli sottratto ogni notte con gli organi interni che cessavano le loro funzioni di colpo, senza preavviso, lasciandolo in balia dei suoi peggiori incubi.

Stiles doveva ringraziare mentalmente, ogni volta, il lupo mannaro per la sua tempestività.

Ma vi si specchiava ogni notte nella perplessità e preoccupazione dell’altro. E nella sua impotenza.

«Non riesco a sopportarlo», dichiarò adirato il minore, portandosi le mani tra i capelli e chinando la testa affranto.

Derek sembrò cogliere il segnale e senza esitazione lo prese per un polso, tirandolo verso di sé e mettendoselo sopra le gambe distese, mentre lui poggiava la schiena al muro.

Stiles non tentennò neppure per un istante, lasciandosi guidare da quei gesti così abituali che entravano, pian piano, a far parte della loro nuova quotidianità e in un attimo si ritrovò a contatto con il suo calore.

«Supererai anche questa», lo illuminò il moro, perché di certo il grande e grosso lupo cattivo non poteva certo rassicurarlo.

«E se non ce la facessi?», domandò in un sussurro, chinando il capo, posizionandosi meglio tra le sue gambe.

«Ce la farai», lo ammonì il più grande con convinzione.

Stiles si chiese sinceramente come avrebbe potuto tradire la fiducia che il Beta aveva in lui, proprio lui che non riusciva a resistere ed a combattere tutto quello, quando rivedeva quelle immagini terrificanti nei propri occhi.

Si vedeva lì, succube di una violenza inaudita, posseduto nel peggiore dei modi, sottomesso contro la propria volontà. Squarciato e lacerato.

Nulla a circondarlo, se non immense pareti bianche ed infinite.

Nessun oggetto con cui proteggersi o nascondersi, nessun tessuto a cui potersi aggrappare.

Lenzuola e materassi assenti.

Nessuna base ad accoglierlo se non un pavimento incolore, freddo e duro.

Era tutto talmente liscio e pulito a specchio da non poter evitare in nessun modo di riflettersi e vedere tutto quello che gli accadeva intorno.

Era spettatore egli stesso dello scenario raccapricciante di cui era protagonista.

I suoi occhi fermi e malvagi su di lui, mentre lo violava con malignità e ferocia, incurante del dolore che gli trasmetteva e delle ferite che gli procurava e che immancabilmente traboccavano di sangue rigoglioso e fluido.

Straripava quel sangue che prendeva vita in ogni parte del corpo che gli toccava anche accidentalmente e Stiles gridava il suo dolore muto, privato della sua vocalità e della sua capacità di reagire – sempre così forte e dominante, da schiacciare tutte le altre –, perché non poteva opporsi a quel tradimento immotivato, senza spiegazione alcuna, da parte sua ed a tutta quella sofferenza che riusciva a provare; la stretta micidiale sul cuore, il respiro intrappolato tra i polmoni, le costole incrinate e le spinte incessanti che non annunciavano la loro intenzione a volersi fermare o rallentare.

Poteva quasi giurare che quegli occhi così chiari, pieni di bramosia e oscurità latente, si tingessero di rosso ad ogni spinta, come se potesse prendere quel potere proprio dal suo corpo, impossessandosene fino allo sfinimento e prosciugandolo, impadronendosi della sua linfa vitale e facendola propria. Privandolo di tutta la sua forza combattiva, godendo nel vederlo spegnersi e crucciarsi nel trovare una motivazione che lo aveva portato a quella slealtà.

Perfino in momenti tanto drastici, dove ogni suo credo e certezza venivano annullati, Stiles doveva trovare una spiegazione per giustificarlo e questo non portava altro che soddisfazione nel suo carnefice, che stringeva con prepotenza sui suoi fianchi, assestandogli le ultime spinte a lacerargli una volta del tutto il corpo, strappandogli il primo e vero urlo straziato, colmo di tutto il dolore e il tradimento che riusciva a trasmettere, per poi ricominciare e ricominciare, ancora una volta.

Il respiro si fece più affannato, il cuore prese a battere più velocemente e violentemente, l’ansia si insinuò nelle ossa e il panico prese il sopravvento. «Derek», chiamò in allarme con un singhiozzo tra i denti, il fiato intrappolato in gola e il terrore che gli lasciava rabbrividire il corpo.

«Sono qui», pronunciò con fermezza il lupo, issando la schiena, ma si pentì subito dopo di aver pronunciato proprio quelle parole quando incrociò le sue iridi pietrificate dallo sgomento e capì quanto fosse quello il problema.

L’umano si portò una mano al petto, premendo forte sullo sterno, sentendosi scoppiare dentro e soffocare.

Impallidì e percepì perfettamente il cuore pronto a uscirgli dalla gabbia toracica, premutogli contro e pronto per essere estirpato.

Ansimava con troppa frequenza e il respiro gli veniva strappato da artigli invisibili, trafiggendolo e sconvolgendolo. «Derek».

«Va tutto bene, Stiles», proferì il mannaro cercando di far trapelare tutta la sicurezza possibile. «Segui il suono della mia voce e respira».

Stiles boccheggiò e per un momento l’ossigeno sembrò tornare a popolargli i polmoni, premendo dentro e pizzicandogli la gola, dandogli un leggero sollievo.

Ma quel momento passò in fretta e Stiles ricominciò ad annaspare e Derek non aveva alcuna idea di come aiutarlo.

Si sporse in avanti, avvicinandosi e poggiò i palmi delle mani sui suoi fianchi, stringendo con una presa lieve, toccandogli la carne scoperta, per ricordargli che il mondo a cui apparteneva era proprio quello e non la realtà che gli si presentava nella mente.

Stiles sussultò e si ritrasse nell’attimo in cui sentì il suo calore avvicinarsi ulteriormente al proprio e nell’istante in cui percepì la presa dell’altro, si tirò indietro, saltando sulle sue gambe e colpendolo con una manata accidentale, graffiandogli il viso, sotto l’occhio destro.

Il mannaro ritirò le mani, sbalordito da quel gesto istintivo ed avventato.

«Derek», lo chiamò allarmato il giovane studente, guardandolo con i suoi occhi timorosi e smarriti. «Derek, mi dispiace così tanto», proferì in una cantilena afflitta con il senso di colpa premente, avvicinando le dita affusolate al graffio procurato, toccandolo appena.

«Non fa niente, Stiles. Sta già guarendo», lo rassicurò senza alcuna sfumatura nella voce.

Stiles lo accarezzò con delicatezza, respirandovi sopra. «Non dovrei fare questo a te», mormorò con pentimento, perso nei propri pensieri.

«Sono un lupo mannaro, non puoi ferirmi indelebilmente», lo illuminò ammonendolo il più grande, come se potesse dimenticalo, stando ben attento a non toccarlo.

«Ѐ il gesto che conta, qualsiasi cosa tu sia», dichiarò il diciassettenne in una rivelazione rumorosa, poggiando il pollice sulla ferità che si stava già cicatrizzando sotto il proprio tocco e guardandolo dritto nelle perle chiare. 

E fu proprio allora che, per la milionesima volta, il respiro gli si bloccò alla base della gola.

Le pupille si dilatarono e il tocco delicato vacillò, e Derek poteva vederlo e sentirlo concretamente.

«I tuoi occhi», pronunciò devastato il minore, spostando il pollice e lasciandolo sospeso nell’aria.

Le vide oscurarsi quelle iridi ambrate, ferite da un tradimento imminente e già avvenuto, per vederle impregnarsi di dolore e smarrimento, spostandosi tremanti da una parte all’altra per osservare meglio le proprie e Derek non si era mai sentito prima così impotente.

Il lupo mannaro trattenne il respiro, come se con un minimo movimento avesse potuto spezzare la situazione appena creatasi e distruggere quel momento di rivelazione, commettendo un crimine.

«Derek», proferì senza fiato, intrappolato in un mondo a sé stante. «I tuoi occhi sono così diversi», annunciò a se stesso, circondandogli con le mani e con delicatezza il viso, poggiando i pollici proprio sopra le borse degli occhi. «Così buoni», soffiò in una rivelazione assordante, specchiandosi completamente.

Derek si sentì stranamente paralizzato e destabilizzato da quella confessione, intuendo di striscio la motivazione a quelle parole e si rese conto di non potersi muovere, liberarsi da quella stretta e da quel peso, perché Stiles aveva bisogno di quel momento fondamentale.

«Non mi toccheresti mai, vero, Derek?», domandò ad un tratto, come risvegliato e riportato alla realtà.

Derek esitò un attimo, atterrito dalla domanda postagli.

Lo guardò dritto nelle perle di ambrosia, con le mani ancora sospese nel vuoto, senza sapere bene dove metterle e quanto potesse sporsi, ma dopo quella dichiarazione il dubbio aumentò, sentendole prudergli, incapaci di trovare un senso. E solamente allora capì quanto desiderasse toccarlo, toccarlo davvero.

Ed era davvero egoistico da parte sua, perché era certo che le parole del ragazzo alludessero a ben altro, qualcosa che aveva la capacità di spezzarlo e distruggerlo e che in qualche modo avesse a che fare con lui. «Non ti toccherei in nessun modo tu non voglia essere toccato».

Le labbra del diciassettenne si curvarono appena e si lasciò andare in un respiro profondo. «Non dovrei mai dubitare di te. Non in questa realtà».

«Ѐ questa l’unica realtà, Stiles», rivelò con sicurezza il più grande, mettendo da parte l’incertezza, come se improvvisamente sapesse benissimo quando potesse osare, prendendogli le mani fra le proprie, allontanandole dal viso.

Stiles le osservò per attimi interminabili, così legate tra loro da fargli girare la testa e davvero, lui non capiva cosa volesse dire tutto quello e perché fossero strette in quel modo.

Si lasciò andare in un sospiro sofferto ed indugiò ancora un momento su quell’immagine prima di chinare il capo e nascondersi agli occhi dell’altro, sciogliendo la stretta. «Sono innamorato di te, Derek».

La bomba era stata lanciata e probabilmente il mondo avrebbe etichettato quel momento come il più inopportuno possibile, ma Stiles aveva bisogno di dar vita a quella confessione, liberando il sentimento più vero e puro che riuscisse a provare, come se potesse esserci ancora speranza per lui e come se potesse spiegare tutte le sue azioni e parole, continuando a cercare piccoli barlumi che potessero portarlo a continuare a combattere. Ancora e ancora.

«Lo so», annunciò in risposta il moro senza scomporsi.

Stiles abbozzò un sorriso affabile, osservandosi le dita. «Ovviamente», proferì con certezza, aprendo e chiudendo una mano, in un gesto nervoso: una via di fuga. «Al grande lupo cattivo non poteva sfuggire una cosa così lampante».

«Non è mai stato un problema», dichiarò risoluto l’uomo.

«No, prima non lo era», mormorò il ragazzo, chinando maggiormente il capo.

«Cos’è cambiato?», domandò il Beta con tono moderato e una piccola nota di apprensione.

Il silenzio si impossessò dell’ambiente a circondarli, premendo sul loro petto.

«Stiles», chiamò con voce chiara e dominante, alzandogli con un dito il viso.

L’umano esitò ancora un momento, vedendosi riflesso sulle sue iridi chiare e calme, così opposte a quelle sue. «Non posso sopportarlo. Non posso sopportare che questa cosa venga usata contro di me», dichiarò con astio e risentimento, stringendo tra le dita la maglietta logora.

«Puoi combatterlo», lo spronò il lupo, travolgendolo con i suoi occhi.

«Derek», esclamò tra i denti in un lamento funesto. «Sono innamorato di te e qualcuno, qualcosa, me lo sta ritorcendo contro ed io non posso sopportarlo», dichiarò con tutta la diplomazia di cui era in possesso in quel momento, ammonendo la rabbia che gli viveva dentro.

«Derek, non posso sopportarlo», ripeté ancora sull’orlo di una crisi, mordendosi le labbra con prepotenza. «Ѐ la cosa più preziosa che possiedo».

«Va bene, lo affronteremo insieme», disse il lupo mannaro, fermando le dita troppo frenetiche dell’altro.

«Insieme?», chiese in un sussurro interdetto, inclinando leggermente la testa, specchiandosi nelle sue perle di giada.

«Sì, Stiles. Perché credi sia qui?», domandò con un cipiglio innalzato.

«Perché soffri della sindrome di abbandono?», chiese retorico il minore, smorzando quella situazione irrespirabile.

Derek trattenne uno sbuffo di risa, lasciando incontrare le loro fronti, abbandonandosi. «Perché dovrei, se esiste una persona come te ad amarmi così tanto?».

Stiles trasalì e arretrò di scatto, rompendo il loro legame e tirandosi il più lontano possibile, sgranando gli occhi e guardandolo allibito. «Non ho mai detto di amarti».

«Non ho bisogno di sentirmelo dire per sapere che è vero», dichiarò il moro con sconvolgente sicurezza, pietrificandolo con lo sguardo.

«Questo è scorretto», affermò con voce incrinata il diciassettenne, issandosi sulla schiena, aumentando il divario tra loro due. «Ѐ davvero scorretto da parte tua».

Derek tornò ad appoggiare la colonna vertebrale al muro, soffocando un sospiro. «Cosa volevi che facessi?».

«Qualunque cosa, qualunque cosa fosse in tuo potere», dichiarò allucinato, sgranando gli occhi e cominciando a gesticolare. «Derek, non puoi venire qui e buttarmi una cosa del genere in faccia».

«Ma è la verità», affermò con convinzione ed a Stiles parve come uno di quei bambini che non capivano la motivazione per cui dovessero scusarsi per aver dato voce a delle ovvietà.

«Dio, Derek. Non riesci proprio a capirlo», disse sconsolato, scuotendo la testa con fare negativo.

«So per certo che faresti qualunque cosa per preservare ciò che provi per me», affermò con certezza imbarazzante, assordandolo.

«Sì, Derek. E non lo nego, ma questo non ti da il diritto di buttare in faccia alle persone i sentimenti che custodiscono gelosamente e che non sono stati espressi», pronunciò con tutta la calma di cui era disposto, spiegandosi nel modo più semplice possibile.

«Ma me lo dimostri ogni volta, in ogni gesto e parola. E ogni tuo battito parla per te; non è forse espresso in questo modo?», proferì in una cantilena che offuscò i sensi dell’altro.

«Derek», sibilò in un sussurro sorpreso, fermandosi improvvisamente e guardandolo fisso. «Tu mi ascolti».

Il lupo si irrigidì improvvisamente, scattando con la testa verso l’alto, incontrando due gemme ambrate attonite scrutarlo con vile interesse e Derek sapeva perfettamente che non possedeva alcuna capacità per sottrarsi a quello sguardo che prendeva sempre più consapevolezza. «Ѐ capitato», disse con finta noncuranza, come se quello giustificasse ogni cosa.

Stiles sorrise raggiante e trionfante, avvicinandosi a lui e nascondendo il capo sotto il collo dell’altro, incastrandovisi perfettamente. «Comincerò a pensare di piacerti».

Derek si lasciò accarezzare la pelle dal suo respiro caldo e bollente. «Abbassa la cresta».

L’umano curvò le labbra contro la sua epidermide, lasciandosi scappare uno sbuffo contrariato. «Non farlo mai più, Derek». Proferì poco dopo con voce priva di qualsiasi forma di rimprovero, senza l’utilizzo di alcun soggetto. «Nemmeno se fosse talmente evidente da far male».

Derek espirò piano sulla sua spalla, poggiando la nuca al muro e trascinandoselo con sé.

«Devi solo aspettare». Soffiò candido e con una piccola nota morbida il diciassettenne.

«Non fremo dalla voglia di sentirmelo dire», lo smentì il lupo mannaro quasi infastidito e Stiles poteva immaginarselo benissimo quel broncio indispettito disegnarsi sul volto dell’altro, che non riusciva a nascondere nella penombra della camera.

Stiles trattenne una risatina isterica, ispirando dal naso, separandosi dal suo antro caldo. «Oh Derek, è proprio questo il problema», annunciò con cipiglio divertito, specchiandosi nei suoi occhi limpidi. «Muori dalla voglia di sentirtelo dire», dichiarò senza riserve, prendendogli il viso tra le mani e soffiandogli sulle labbra. «Tu vuoi sentirmelo dire».

Derek lo guardò fermo nelle iridi color ambrosia, senza pronunciare alcuna parola e respirando piano ed il tempo sembrò immobilizzarsi, come se appartenesse ad un universo parallelo e fosse impossibile accedervi. «E sarei io l’insensibile?».

«Mi dispiace, Derek», disse, poggiando la fronte sulla sua come a scusarsi, attutendo il colpo con quel contatto fisico. «Ma sappiamo entrambi quanto ne hai bisogno».

Il lupo sospirò, lasciandosi avvolgere dal calore corporeo del ragazzo, poggiando una mano tra i suoi capelli, stringendo tra le dita le ciocche con possesso.

«Non permetterai che mi portino via da te», e non suonava come una domanda, ma come una certezza fondata; come se non ci fossero altre alternative e loro fossero legati in modo indissolubile, ma la cosa più strana e quasi spaventosa per Derek, era che sembravano saperlo entrambi, senza tentennare.

«Hai riacquistato la tua fiducia?», domandò l’uomo con vile ironia, spezzando quell’aria fin troppo seriosa e carica di troppe promesse impronunciate. 

«So che quando tornerò dai miei incubi, saprò cosa è reale e cosa no», affermò il castano, beandosi delle sue premure.

«E cosa lo è?», chiese di rimando, riconoscendo l’importanza di quella risposta.

«Il vero Derek», asserì con fermezza, allontanandosi dalla sua fronte per osservarlo meglio.

«E come ne avrai la certezza?», sembrava quasi che cercasse di stilare una lista, punto per punto, da seguire nei momenti di panico e dubbio; una lista mentale che avrebbe potuto salvarlo.

«Non mi turberesti mai più del dovuto. A modo tuo mi rispetti, figuriamoci se potresti mai-», si interruppe di colpo, destabilizzato dalla piega che quella conversazione stava assumendo, rievocandogli tutti gli orrori che viveva ogni notte, separato ed annientato dalle proprie certezze.

Derek si sporse in avanti, senza invadere il suo spazio personale, chiamato in allarme. «Non ti toccherei mai senza la tua approvazione», ed era certo di aver già affrontato quella questione, ma era evidente quanto fosse fondamentale evidenziarlo e sottolinearlo ancora una volta.

Stiles lo guardò stralunato, con gli occhi fuori dalle orbite e con la pelle che sbiancava a ogni battito di ciglia. «Lo sai».

Il lupo si sentì stranamente in colpa, come se avesse violato i segreti più intimi ed oscuri dell’altro, che non avevano nulla a che vedere con l’amore incondizionato che provava per la propria persona. E se ne vergognò. «Urli il mio nome ogni notte e non è mai un suono piacevole».

«Ѐ per questo che la prima volta sei venuto qui?», domandò quasi retorico, come se i pezzi di quel puzzle, che aveva ignorato per settimane, si stessero ricomponendo, posizionandosi al loro posto designato.

Derek annuì semplicemente e l’umano venne attraversato da una nuova consapevolezza. «Da quanto tempo mi ascolti?».

«Non potevo evitarlo, Stiles. C’era un dolore talmente atroce nella tua voce, come se non riuscissi a superare il tradimento subito e fossi sottoposto alle peggiori torture», confessò infine il moro, moderando le parole e sorprendendosi del fiume che gli pizzicava la lingua.

«Hai solo unito i pezzi», soffiò stremato, curvando la schiena. «Quando hai imparato a leggermi così bene?».

«Ho sbagliato?», domandò senza realmente capire cosa fare ed era una situazione del tutto nuova per lui, ma era tutto così delicato e precario che non sapeva come muoversi senza urtarlo più del dovuto.

Stiles lo guardò per un momento, come se dovesse assimilare le informazioni appena apprese e dovesse rielaborarle, dandogli un senso.

E sembrò averlo trovato.

L’umano sorrise languido, scuotendo la testa con fare negativo. «Puoi irrompere nella mia vita tutte le volte che desideri».

«In che guaio ti stai cacciando?», chiese retorico il lupo, senza collegarsi troppo alle loro conversazioni precedenti, parlando fra sé e sé.

Stiles gli si avvicinò di soppiatto, portandosi il più vicino possibile all’altezza dell’altro, come se volesse facilitargli chissà quale movimento e cercando le sue perle di giada. «Sono innamorato di te e non ti poni alcun problema».

«Perché dovrei?», domandò l’uomo con divertimento celato, abbozzando un sorriso furbo.

Stiles rispose curvando le labbra scaltro, avvicinandosi ad un palmo dal suo viso. «Perché ti amo».

Fu proprio in quel momento che l’aria rarefatta venne inghiottita dall’oscurità, lasciandoli con il fiato spezzato.

Derek per la prima volta dubitò delle proprie capacità uditive e tutto gli apparve improvvisamente ovattato e privo di spiegazione. Eppure le vedeva lì ferme, quelle perle ambrate così spaventosamente sincere come solo loro potevano esserlo e lui non poteva dubitarne in nessun modo.

Quasi non riuscì a trattenere gli impulsi avventati e con un movimento frenetico ed aggraziato, se lo strinse al petto, nascondendolo alla vista del mondo, serrando una mano tra i suoi capelli chiari, immergendo le dita tra le ciocche e tirandole con leggerezza, spingendolo sempre più verso di sé.

Sentì perfettamente il calore avvolgerli, il respiro accarezzargli il collo e il corpo rispondere al proprio.

Perché quello doveva essere reale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Onestamente, mi chiedo ancora come sia arrivata fin qui.

Non avrei mai immaginato che un giorno avrei lavorato su un fandom del genere ed è accaduto così in fretta da non rendermene conto.

Ma Teen Wolf e la Sterek sono subentrati ed è stata la fine.

Ed è tutto così pittoresco perché avevo appeso la tastiera al muro e non avevo idea di quando l’avrei ripresa in mano.

Vorrei dire di non aver molte parole per questi due e per questa cosa, ma in verità sono tantissime e tutte superflue.

Bisogna prenderla così, come un’incognita, in cui non potremo fare altro che immaginare cosa accadrà in futuro.

Anche se la mia Beta (EarthquakeMG) ha il dono incredibile di tartassami di domande, perché la sua curiosità, anche se non vuole ammetterlo, è immensa.

E quindi niente, la ringrazio sempre, perché siamo entrambe un po’ arrugginite ed anche ispirate e le mie lamentele ed incertezze non mancano mai di farsi sentire.

Alla prossima,

Antys.

   
 
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