Sono fottutamente in ritardo; almeno ne sono consapevole. Non è possibile che la metro faccia così tante fermate, è colpa di questa merda di trasporti pubblici se sono costantemente in ritardo! Guardo l’orologio, lo riguardo un’altra volta. È mezzogiorno meno un quarto, stavolta Stacie mi ammazza sul serio. Dovrei incominciare il turno tra un quarto d’ora, ma secondo il regolamento del negozio è opportuno essere lì almeno dieci minuti prima. Io invece sono ancora a venti minuti di metro. Fantastico, come minimo mi licenzieranno. Batto il piede contro il pavimento lurido della metro, dandomi il tempo di non so quale canzone. Un ragazzo seduto di fronte a me mi guarda. È carino, con i suoi capelli castani e gli occhi da cucciolo, ma non ho tempo per lui. Mi sorride; cerco di distogliere lo sguardo. Cazzo, non posso perdere il lavoro! All’improvviso “What are you waiting for” di Gwen Stefani risuona. Cazzo, è la mia suoneria per Amelia.
- Pronto? – rispondo affannata cercando di non rovesciare il caffè addosso alla signora che si sta incipriando sul sedile di fianco al mio.
- Tesoro! – risponde squillante Amelia – ti devo raccontare tutto di ieri sera!
- Cos’hai fatto ieri sera? – chiedo io, confusa. È difficile restare al passo con Amelia, con le sue storie.
- Come cos’ho fatto?! Sono uscita con quel tipo pazzesco! Quello che lavora nel ristorante dei miei.
- Giusto, scusa piccola dimenticanza – in verità non mi ricordo ancora nulla di questo tipo.
- Non mi chiedi com’è andata?
- Com’è andata ? – forse sto parlando un po’ troppo forte al telefono, il ragazzo di fronte mi sta guardando male.
- Un bomba! Abbiamo mangiato cinese in un ristorante vicino a casa sua e poi siamo andati a berci un paio di shot. E poi… beh siamo andati a casa sua
- E? – chiedo, incuriosita ormai non può raccontarmi solo metà della storia.
- Abbiamo parlato. È un attore, si paga da vivere facendo il cameriere per ora, mentre cerca qualche audizione.
- Perché questa storiella non mi sembra nuova.
- E stai zitta, corvaccio! Mi ha detto che ho degli occhi stupendi.
- Non voglio sapere il modo in cui lo hai ringraziato
- E invece l’ho fatto! Anche le donne devono fare la loro parte
- Solo se ricambiate
- Devo andare al lavoro, tesoro, ti devo lasciare.
- Ok! Ricorda che stasera passo da te alle 9 in punto! Fatti carina
- Come al solito
- Credici…
Appena la metro si ferma mi butto giù e comincio a correre verso l’uscita. La borsa, il caffè, il giubottino di jeans; si, ho tutto con me. Cazzo, cazzo, cazzo. L’orologio della fermata segnala le 11 e 59. Con tutta la mia forza continuo a correre.
Alle 12.03 precise entro in negozio, affannata, sussurro un “mi dispiace” a Stacie e corro negli spogliatoi. Infilo in fretta l’uniforme e mi do una controllata alla specchio. Ho un fottuto brufolo sul mento e i miei capelli sono totalmente impazziti. Cerca di domarli in una coda e ritorno in negozio.
- Scusa, la metro era intasata ed in ritardo – dico a Stacie, appena la raggiungo alle casse.
- Per oggi va bene – sospira lei – però, ti prego, cerca di essere in orario la prossima volta
- Grazie, grazie, grazie – mandò baci in aria nella sua direzione e lei sorride, scuotendo la testa
- Vai dai camerini con Nicole per favore.
- Certo capo! – esclamo facendo qualcosa che assomiglia ad un saluto militare
- Ciao Nikki – la salutò, sghignazzando alle spalle della signora. Avere a che fare con certi clienti è davvero terribile.
- Insomma Jude, hai due sorelle. Lo shopping è il tuo destino – dice una bella ragazza che si dirige verso di me insieme ad un ragazzo e ad una ragazzina più giovane
- Quanti pezzi ha? - le chiedo io, cordiale.
- Tessa! – mi saluta lei con un sorriso all’improvviso.
- C-ciao – balbetto io. Come fa questa a conoscere il mio nome?
- Sono Louise – si presenta lei, capendo che non ho la più pallida idea di chi sia – e loro sono Jude e Grace – indica gli altri due – Siamo i figli di Rose.
Mio padre, Ronald, e mia madre, Katelyn, si sono lasciati quando io avevo due anni. In verità non credo fossero neanche sposati. Quando avevo cinque anni mia madre si è risposata con Jack, l’uomo che considero davvero mio padre, colui che mi ha cresciuta. Jack, purtroppo, è morto quando avevo quattordici anni, in un incidente d’auto. È stato uno momento davvero triste, credevo che senza di lui la vita non sarebbe più continuata. Ma siamo andate avanti, io e mia madre, con le nostre sole forze. Ronald, invece, dopo un anno aveva già trovato un’altra famiglia. Si è sposato con Rose, una donna che conosceva sin dai tempi del liceo e che aveva già due figli, avuti da un precedente matrimonio. Questi due figli si chiamano Louise, che ha cinque anni in più di me, e Jude, che ne ha tre in più. Poi, quando io avevo cinque anni, Rose è rimasta incinta di mio padre e ha partorito una bambina, Grace, anch’essa di fronte a me in questo momento.
Non ho mai voluto avere particolari legami con la famiglia di mio padre, è un’altra famiglia per me. Ho passato un paio di Natali a casa sua e una volta sono andata in vacanza con loro a Miami, ma è stata terribile. La mia famiglia era composta da Jack e mia madre, nessun altro. Ogni tanto mio padre passa da casa mia giusto per un saluto veloce, al massimo per una cena. Ma la sua famiglia la vedo molto raramente, probabilmente l’ultima volta che li ho visti è stato alla festa del diploma di Jude, una cosa talmente noiosa che mi ha fatto venir voglia di andarmene dopo neanche dieci minuti. Naturalmente non ho neanche preso in considerazione di invitarli alla mia festa di diploma. L’unica tra loro di cui potrebbe importarmi è la piccola Grace, ormai non più così piccola visto che sfoggia un paio di lunghe e magrissime gambe di cui io, purtroppo, sono rimasta sprovvista. Insomma, in teoria lei è mia sorella. Ma può mai essere considerata una sorella qualcuno con cui non vivi e con cui non hai un minimo di rapporto? Qualche volta mi ha inviato delle mail ( non ha mai avuto il mio numero di cellulare), ma non ho mai inviato le mie risposte. Mia madre e mio padre sono rimasti in buoni rapporti, anche troppo buoni per i miei gusti. È lei che lo invita a cena e che cerca di convincermi a passare del tempo con lui. Ma perché dovrei passare del tempo con qualcuno che non è nessuno per me?
E ora i miei “fratellastri”, diciamo, sono qui, davanti ai miei occhi, splendidi come non mai. Louise è seriamente deliziosa con le sue fossette e i suoi capelli mossi e il suo abitino blu. Jude è meglio di come me lo ricordavo, anche lui con le fossette ( caratteristica ereditata dalla madre da tutti e tre), i capelli biondo scuro un po’ spettinati e un delizioso cardigan bianco. Ma quella che mi colpisce più di tutti è Grace. Cerco di trovare in lei qualcosa di me, ma non vi trovo nulla. È semplicemente un’estranea dai lunghi capelli castano chiaro e gli occhi marroni.
- Ei – è l’unica cosa che riesco a dire, pietrificata.
- Come stai? - chiede Louise
- B-bene. Quanti pezzi avete ? – le richiedo.
- Io tre e Grace quattro. La sto portando a fare shopping.
- Ottimo – annuisco consegnandole il gettone con su scritto tre – Questo è per te – Grace afferma il gettone 4 con un’occhiata timida
- Grazie
- Puoi sederti lì- gli indico una poltrona; non mi piace averlo vicino.
- Grazie – risponde lui sedendosi.
- Tutto bene? – mi chiede- ti vedo scossa
- Tutto a posto – le rispondo – sono solo affamata
Louise e Grace escono dal camerino e chiedono a Jude la sua opinione. Louise indossa una camicetta veramente carina, che avevo già puntato una settimana fa. Naturalmente a lei sta molto meglio che a me. Grace, invece, ha indossato un cardigan nero che sembra morbidissimo e sorride insieme ai due fratelli. Sembrano davvero uniti. Non devo guardarli, non devo guardarli. Carrie, un’altra mia collega si avvicina.
- Nikki, sei in pausa. Ti devo dare il cambio.
- Grazie! – le risponde la bionda – a dopo. Appena torno puoi andare a mangiare tu – mi dice con un sorriso.
- Come stai dolcezza? – mi chiede Carrie
- Tutto bene – le rispondo schiva.
Jude si è girato verso di noi. Sta sicuramente guardando lei ora. Anche lei ne è convinta, infatti gli sorride. Lui ricambia. Non perché ma sto cominciando a sentirmi come un terzo incomodo. Louise e Grace escono di nuovo dal camerino, si sono cambiate nuovamente di abiti. Carrie appena capisce che sono con Jude si avvicina a loro e le riempie di complimenti.
- Come siete carine. Quei jeans ti stanno benissimo.
- Ora andiamo – dice Louise –grazie mille. – Grazie mille per cosa?!
- Se magari uno di questi giorni vuoi passare sarebbe bello averti a cena – aggiunge timidamente Grace.
- Certo – le rispondo. Devo sforzarmi di sorridere.
- Alla prossima – dice Jude. Certo che non si spreca in quanto a parole con me. Poi sorride a Carrie, che lo saluta civettuola.
- Come stai? – mi chiede mia madre, seduta sul divano intenta a leggere una rivista, appena entro in casa, trafelata come mio solito.
- Bene! – esclamò mandandole un bacio e dirigendomi di corsa verso la cucina.
- Sai, dovresti mangiare qualcosa di più che latte e cereali.
- Non posso, non ho tempo. Devo assolutamente studiare qualcosa.
- Non puoi far si che a rimetterne sia la tua salute! – mi rimprovera
- Mamma – la guardo negli occhi – io sto benissimo. Tu come stai?
- Bene. Ma non è di me che stavamo parlando.
- Ti prego, non ho bisogno di rimproveri, non ne ho davvero il tempo. Però un bel bacio sulla guancia potrebbe andare bene – le sorrido mentre mi avvicino
- Grazie! Ora vado a studiare!
Mi siedo alla scrivania e apro il libro. Giotto. Mio dio quanto amo la pittura italiana, è meravigliosa. Naturalmente non sono mai stata in Italia.