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Autore: Shewrites220898    26/11/2014    0 recensioni
Ognuno di noi ha un talento, una capacità nascosta, un potere, qualcosa che lo contraddistingue dagli altri, rendendolo unico nel suo genere. Maria, però, ha qualcosa in più degli altri, un potere speciale, che lei conosce bene, e che la aiuterà a trovare l’amore …
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Nonostante sia la mia città, odio Milano. Le strade sono enormi, piene di portici che impediscono alla luce di riflettersi, e colme di negozi e super magazzini inutili. La gente è sempre frettolosa, non ti guarda mai in faccia, e cammina spedita verso il proprio posto di lavoro, o quel che sia; nessuno ti guarda negli occhi, nessuno ti chiede scusa se ti strattona o ti ruba il posto in metro. Odio le strade trafficate e piene di smog: sono un amante dell’aria pura, preferisco andarmene a passeggiare nelle campagne circostanti, spesso con gli amici e, da piccolo, con mio padre. Ogni volta che mi guardo intorno, vedo solo tristezza e sempre la solita, scura e inquietante nebbia. Oramai dovrei essermi abituato, eppure non riesco ancora a mandar giù il fatto che questa città sia completamente avvolta dalle nubi. Quando ero bambino, la nonna mi raccontava sempre delle fiabe; una tra le tante era incentrata proprio su Milano e sulla sua “nebbia perenne”. Nonna diceva che, tanto tempo fa, viveva una bellissima ragazza, straniera, che si innamorò di un ragazzo del posto. Lui ricambiò il suo amore e i due passarono tanti anni felici insieme; purtroppo, però, la ragazza morì cadendo da una cascata e, da quel giorno, poiché l’acqua della cascata saliva di nuovo sottoforma di fumo, si pensò che la ragazza diventò la nebbia che circonda costantemente la città, poiché lei avrebbe promesso che non avrebbe mai abbandonato il suo amato; ma il ragazzo, che non sapeva questa diceria, cominciò a vagare per il mondo per cercarla. Si dice che, da quel giorno, la ragazza non abbandonò mai più Milano, anche lei in cerca del suo innamorato. Che cavolata assurda. Non riesco proprio a credere come da piccolo avessi potuto dare per vera una cosa del genere.
*
Erano le sette e trenta ed ero decisamente in ritardo. Ero uscito di casa con mezz’ora di anticipo, ma il problema venne in seguito. Innanzitutto, appena uscito, beccai in pieno una pozzanghera con le Clarks e dovetti risalire a casa per cambiare scarpe. Già da lì pensai “cominciamo bene!”. Dopo essere sceso di nuovo, incontrai la vicina di casa, che, purtroppo per me, chiacchiera troppo; si mise a chiedermi come stavo, come procedeva la scuola, a dirmi come ero cresciuto eccetera. Sinceramente, non me ne fregava nulla in quel momento, soprattutto perché, per il fatto delle scarpe, ero già abbastanza nervoso. Il pomeriggio prima, infatti, mi ero messo a studiare come un pazzo, tenevo tre libri aperti contemporaneamente sul tavolo, poiché la prof di latino aveva detto che avrebbe fatto un’interrogazione a tappeto. Tornando a noi, la mia avventura mattutina non finì certo qui, no, sarebbe troppo facile: un disgraziatissimo piccione, accidenti a lui, depose le sue feci sul mio giaccone di pelle. “Meglio di così non poteva andare!” pensai, mentre cercavo in tutti i modi di pulire il giaccone; dopo aver consumato un intero pacchetto di fazzoletti, arrivò la batosta finale.
-Oh, merda!- Esclamai, mentre mi misi a correre all’impazzata. Dopo quella “serie di sfortunati eventi” alla Lemony Snicket, ci mancava solo questa. Il 164 sfrecciò dritto davanti a me, e, neanche a farlo apposta, non si fermò nemmeno al semaforo. Correvo più veloce della luce, per dirla come direbbe la prof di fisica (dopotutto, cinque anni nella squadra di basket della scuola penso siano serviti a qualcosa), mentre l’autobus accelerava sempre di più. Alla fine, l’avevo perso.
-Perfetto!- Urlai, prendendo a calci un bidone della spazzatura che si trovava nei paraggi. Non sopporto quando non riesco ad ottenere ciò che voglio, è sempre stato nella mia indole. E poi, dato che non sono proprio uno “studente modello”, la mia unica chance per andare bene a scuola è la condotta, e quindi arrivare puntuale alle lezioni. Quei giorni, in particolare, non facevo neanche colazione (cosa per me fondamentale) per arrivare in orario a scuola; erano gli ultimi mesi di liceo e un sette in comportamento non avrebbe aiutato affatto. Fu così, che dovetti farmi ben cinque chilometri di corsa (nel vero senso della parola), fino ad arrivare giusto in tempo nell’atrio centrale, dove c’era il mio migliore amico Alex ad aspettarmi, come al solito.
-Ehi, fra!-
-Bella, fra!-
Ci siamo dati la nostra stretta di mano segreta, come facevamo ogni volta che ci vedevamo e, insieme, ci siamo avviati in classe, chiacchierando e spettegolando.
-Ma l’hai visto il nuovo brufolo di Rob? A me sembra che abbia preso vita, ahahah!
-Beh, sicuramente non sarà peggio di quello della prof di latino, ahahahah!
Io e Alex ci conoscevamo dalle medie, e da allora siamo sempre stati inseparabili: la nostra amicizia è iniziata perché lui, essendo sempre stato un “secchione”, si offrì di aiutarmi a recuperare le materie in cui avevo già l’insufficenza. Col tempo, a forza di vederci e studiare insieme, non solo riuscii a recuperare, ma diventammo amici inseparabili, praticamente fratelli. Tra noi, infatti, ci chiamavamo “fra” o “fratè”, senza che nessuno ci dicesse nulla. Dopotutto, a scuola non eravamo certo tra gli “sfigati”. E qui ci sarebbe da aprire un grande discorso sul fatto che il nostro liceo è praticamente diviso in classi sociali, che io e Alex chiamiamo “clan” (è una suddivisione nostra, ma tutta la scuola, più o meno, la condivide). Partendo dal basso, c’era il clan degli “sfigati”, ovvero i secchioni e tutti coloro che venivano presi di mira dai bulli per qualsiasi motivo. Il secondo clan, era quello dei “punkettoni” e degli emo, ovvero un gruppo di asociali che passano le giornate a lamentarsi di quanto facciano schifo le persone e la vita (devo ammettere, però, che la musica che ascoltano è davvero forte). Poi ci siamo noi, ovvero i “normali”, una via di mezzo tra sfigati e popolari, di cui parlerò dopo. A seguire, vengono i “bulli”, ovvero quei ragazzoni grandi e grossi che si divertono a fare scherzi idioti agli sfigati, nascondendo però così un disagio sociale o familiare (gli psicologi della scuola sono praticamente “invasi” da questa categoria di studenti). Al vertice della piramide (esclusi i professori e il preside, ovviamente) ci sono loro, i “popolari”: questa categoria comprende Burt, il più bello della scuola, tipicamente americano e capitano della squadra di basket (di cui io faccio parte, anche se non rientro tra i suoi amici) e i suoi “fidati”; ma il vero motivo per cui ce l’avevo con Burt, aveva un nome, e questo nome era Laura. La più bella della scuola, ricci biondi a non finire, occhi verde smeraldo, fisico da far paura, stile da vendere e, soprattutto, tanto, ma tanto fascino. Ogni volta che la vedevo passare e mi salutava (dopotutto, non sono uno “sfigato”) sentivo le ginocchia non reggermi più e il cuore battere a duemila. “C’est l’amour!” diceva sempre Alex, e, in effetti, non aveva tutti i torti: adoravo il modo in cui camminava, il suo sorriso a trentadue denti, le sue ciglia lunghissime che sbattevano continuamente su quegli occhi da cerbiatta. Insomma, ero davvero innamorato perso. Peccato, però, che, come al solito, la “bella” della situazione è già fidanzata con il “bello” della stessa situazione! E questo è, detto in soldoni, il vero motivo per cui odio Burt (oltre al suo credersi un gran figo e a rimproverarmi sempre quando gioco, perché dice che le azioni importanti le deve fare lui; insomma, una palla!). Fatto sta che, quel giorno, Laura mi passò davanti in tutta la sua bellezza, e io che le sbavavo dietro, mentre lei mi salutava con un dolce gesto della mano. Non feci neanche in tempo a ricambiare, che subito la ragazza entrò nella sua classe (quella accanto alla mia) e andò da Burt, gettandosi letteralmente nelle sue braccia.
-Geloso, eh?- Fece Alex, dandomi una gomitata amichevole.
-Non so quanto ti convenga fare lo spiritoso oggi!- Risposi io, facendo riferimento a tutta la serie di imprevisti che si erano verificati la mattina stessa, prima di entrare a scuola. Appena ci precipitammo in classe, salutammo tutti e attendemmo l’arrivo della prof, continuando a chiacchierare.
-Buongiorno ragazzi!- La prof entrò in classe alle otto in punto, puntuale come sempre, ma stranamente non si sedette alla cattedra., cosa che fa abitualmente. La nostra prof di latino era una tipa alquanto strana: a parte il brufolo che aveva sulla fronte e che noi studenti avevamo soprannominato “Ermenegildo”, era in sé molto particolare come prof. Si vestiva sempre con abiti lunghi e a fiori, stile Hippie, e portava degli occhiali da vista che coprivano un terzo della sua faccia. I capelli cambiavano ogni giorno: il lunedì erano lisci, il martedì mossi, il mercoledì ricci e così via, ed erano di un biondo sbiadito, quasi biancastro. Niente a che vedere, in ogni caso, con le altre prof, che erano del tutto anonime. In ogni caso, ci troviamo in classe e la prof ci sta facendo il solito “interrogatorio del lunedì”, che ci tocca sorbire, però, praticamente in tutte le sue ore.
-Allora? Come state? Che mi raccontate? Avete passato bene il weekend?-
Non la smetteva più con le domande e, per fortuna, dato che la maggior parte delle volte non erano domande a risposta multipla, la classe annuiva con un “si” sbiadito.
-Bene! Sono contenta che siate di buon umore oggi, perché ho una buona notizia per voi!-
-Magari si è decisa a farsi un intervento laser per Ermenegildo!- Disse Alex strattonandomi e ridendo come un pazzo.
-Ahah! Chissà quanto le costerebbe!- Ribattei io, ridendo.  Nonostante io e il mio migliore amico ci stessimo divertendo da matti, la prof riportò subito l’ordine con un battito di mani e cominciò a parlare:
-Ragazzi, intanto volevo dirvi che … -
Attimo di ansia totale. Probabilmente dovuta al fatto che il compito di latino che avevamo fatto una settimana prima era andato, come aveva detto lei stessa, nel complesso male.
- … non interrogherò oggi!-
Attimo di euforia in classe. Tutti sorridevano, si esaltavano e c’era addirittura chi si dava il cinque e chi si metteva a ballare da seduto. Io stesso ero contento, ma allo stesso tempo scocciato, all’idea di aver passato un intero pomeriggio a studiare mentre potevo benissimo uscire o giocare all’XBox.
-Silenzio!- Disse la prof, riportando ancora una volta la classe all’ordine –Non ho finito … - Disse poi. Che altro avrebbe dovuto dirci di importante? Eravamo tutti curiosi, anche perché la prof stessa aspettò un po’ prima di parlare di nuovo. Sentimmo bussare alla porta.
-Prego, entra!- Disse la prof, con voce gentile e dolce.
-E’ permesso? Non disturbo?-
-Certo che no, cara! Su, vieni, che ti presento alla classe!-
In quel momento entrò in aula una ragazza, che su per giù doveva avere più o meno la nostra età; era piuttosto bassa e snella. I capelli erano color ebano, nerissimi, e le circondavano il viso in un caschetto liscio cortissimo e una frangetta altrettanto corta che le scendeva delicatamente sulla fronte. Le labbra erano piccole e pallide, proprio come la pelle, bianca come la neve d’inverno. Indossava una maglietta a maniche lunghe, a righe orizzontali rosse e nere; su di essa portava le bretelle nere, che erano attaccate a dei pantaloncini non troppo corti, che coprivano delle calze rosso fuoco un po’ strappate. Ai piedi portava le Demonia nere (degli scarponcini bassi che hanno la suola molto alta e seghettata, le porta il cantante dei Green Day). Ma la cosa che più di tutte mi colpì di lei furono gli occhi: azzurrissimi, quasi candidi, glaciali. Bellissimi. La ragazza stessa era molto bella.
-Ragazzi miei, vi presento la vostra nuova compagna!- Disse la prof alzandosi e avvicinandosi alla ragazza. Poi, mettendole una mano sulla spalla, continuò:
-Si chiama Maria-
Maria. “Che bel nome” pensai, davvero particolare per una ragazza della nostra età.
-Maria- Disse poi la prof -Viene da un paesino di provincia e, poiché la sua scuola ha subito dei danni edilizi, starà con noi per questi ultimi mesi dell’anno!-
Maria sorrise timidamente e guardò la prof, come se aspettasse indicazioni. Era bella anche quando sorrideva. Tanto che riuscì ad estorcere anche a me una sottospecie di sorriso. Alex, infatti, mi guardò in modo strano, come se mi fossi appena scolato due bottiglie di Guinness.
-Ehi! Andy!- Mi disse, mentre continuavo a sorridere come un ebete.
-Andy, mi vuoi rispondere?!- Chiese una seconda volta, senza ottenere alcuna risposta.
-Andy, rispondi!- Disse infine, riuscendo finalmente a catturare la mia attenzione.
-Uh? Eh? Che c’è?- Dissi io, cadendo letteralmente dalle nuvole.
-Lascia perdere- Disse lui. Avrei voluto replicare, ma non ne avevo voglia. La prof indicò a Maria il suo posto; vicino ad Elena, ovvero il penultimo banco a sinistra, esattamente accanto al mio. Poi, riprese a far lezione, come se nulla fosse. Non sapevo, come, né perché, ma in quel momento stesso mi sentivo cambiato, anche se non del tutto. Era come se l’arrivo di Maria avesse avuto su di me un’influenza strana, in senso buono, però. Come se lei stessa mi avesse influenzato positivamente. Fu proprio in quel momento, grazie a quelle sensazioni, che pensai di conoscerla meglio.
   
 
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