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Autore: Rexam    26/11/2014    0 recensioni
Quando Matthew si svegliò aveva la vista distorta ed era confuso. Era steso a terra, faccia in giù, senza forze, quasi privo di coscienza. Il suo corpo era rigido come un gigantesco tronco di legno. Le ossa gli dolevano e non riusciva a sentirsi le gambe. Riposava su una superficie calda e soffice. Non avrebbe saputo dire a cosa somigliasse quella sensazione. Era così familiare, ma anche così distante. Forse perché la sua testa ancora rimbombava di strani rumori immaginari. Percepiva i raggi del sole sulla sua pelle. Il suo respiro era regolare. Nonostante tutto, era felice di scoprirsi vivo.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 10: Sulla nave dei ricordi

“I giorni in cui dimentico sono finiti,
stanno per cominciare i giorni in cui ricordo.”

«Ancora con quel libro, Matt? Non ti ha stancato?»
Matthew sedeva nella hall della “Città di Smeraldo”, sprofondato in una poltrona elegantemente ricamata e dal morbido cuscino colorato. Aveva deciso di affrontare quel viaggio, alla fine. Era stata una decisione improvvisa e irrevocabile. Ci aveva pensato per giorni, rimanendo sveglio fino a tardi, nudo nel letto, con gli occhi fissi contro il soffitto. A riflettere. Una di quelle notti, alla fine, gli aveva portato consiglio. Così aveva messo tutto quel poco che aveva nel minuscolo appartamento in valigia ed era partito.
La “Città di Smeraldo” era stata pronta ad attenderlo. Si trattava di una modesta nave passeggeri vecchio stampo, di quelle antiche che mantengono ancora il fascino del secolo scorso, delle lunghe traversate oceaniche, delle feste e dei gala. A Matthew non importava nulla di tutto questo, purché arrivasse a destinazione.
«Come potrebbe mai stancarmi, Walt? Ti ho già raccontato di cosa parla?»
L’uomo lo fissò divertito.
«Si, almeno… dieci volte direi!»
I due risero. Il professor Walter era un uomo di mezza età, tozzo e dai radi capelli bianchi. Portava un paio di microscopici occhiali toneggianti dalle lenti spesse come fondi di bottiglia sopra i quali si scoprivano folte sopracciglia nere. Il naso era grosso ed adunco, e spiccava netto su quella faccetta da rospo. Indossava una camicia almeno due taglie più grandi della sua statura, il che, su quel corpo magrolino, era un autentico controsenso. Ma a lui sembrava non importare.
«Avanti», disse Matt, «La Collina dei Conigli di Adams è uno dei libri più significativi di fine Novecento! La storia di questi conigli che sfuggono alla distruzione della loro conigliera fa riflettere sulle azioni degli uomini, no? E poi, il veggente è un personaggio interessante. Quando lui ritorna a casa ad avvisare gli altri conigli del pericolo, questi non gli credono! Mi sono sempre chiesto cosa avrei fatto io se mi fossi trovato in quella situazione. Probabilmente non avrei creduto alle parole di Quintilio… Non lo so...»
«Sono certo invece che uno come te gli avrebbe creduto. Matthew, da quando ci siamo incontrati qui sulla Smeraldo non ti sento che parlare di quel libro.»
Il professore si sedette sulla poltroncina di fianco a lui, fissandolo intensamente.
«Lei però non è da meno con i suoi discorsi sugli insetti!», protestò Matthew.
«Touché!», rispose ironico l’altro, «ma è il mio lavoro e la mia passione, cosa posso farci?», disse mentre si passava una mano fra i pochi capelli argentei che gli rimanevano, «a proposito, ti ho già detto che durante questo mio ultimo viaggio sono riuscito a mettere le mani su un raro esemplare di Farfalla Monarca?»
«Si, più o meno… centomila volte!», rispose, con un sorrisino ironico.
Il professore sbuffò in segno di stizza, ma poi estrasse un piccolo taccuino nero dalla tasca e si immerse nei suoi pensieri.

I tre giorni precedenti trascorsero così, per Matthew, fra la contemplazione dell’oceano e lo scambio di qualche parola con quel buffo ometto amante degli insetti che aveva conosciuto a bordo. Vedeva il sole tramontare e risorgere dal mare come una fenice e i suoi pensieri si perdevano spesso nei più oscuri abissi dell’oceano. Ripensava a Charlotte, a quello che aveva fatto, a quanto stupido era stato.
Ma stava tornando, avrebbe rimediato e tutto si sarebbe sistemato. Come un tempo.
«Domani a quest’ora dovremmo essere in porto.»
Una voce ruvida e grinzosa fendette le sue orecchie. Capitan La Roche si ergeva di fronte a lui nel piccolo salottino. La sua presenza era accompagnata sempre da gesti molto teatrali che il capitano, involontariamente, compiva mentre parlava o teneva un discorso. Anche questa volta, discutendo con lui, lo si poteva vedere allargare le braccia e distendere le mani, gesticolando.
«Molto bene, capitano, molto bene», disse il professore.
Matthew annuì. Il suo cuore perse qualche battito al solo pensiero che l’indomani sarebbe giunto a destinazione.
«Sono venuto ad avvertirvi che questa notte sarà un po’ movimentata per via del cattivo tempo», continuò il capitano, «quindi vi consiglio di ritirarvi nella vostra cabina per evitare problemi a bordo.»
«Nessun problema, capitano», rispose il professore, «tanto qui c’è qualcuno che non vede l’ora di giungere a destinazione», disse riferendosi a Matthew, il quale gli lanciò una frecciatina impercettibile con lo sguardo, «faremo i bravi, promesso», concluse sorridendo amabilmente.
«Benissimo, allora buona notte!», disse il capitano e si allontanò.
Matthew a quel punto si alzò dalla poltroncina, squadrò il professore che gli sorrise di rimando, e uscì dalla sala senza dire una parola.

«E’ davvero tanto grave la situazione, capitano?»
La Roche sedeva, visibilmente agitato, in cabina di comando, di fianco al primo ufficiale, Sebastian Leroux.
«E’ disastrosa, Leroux. Quella che vedi è solo la calma prima della tempesta, ma la strumentazione non mente. Ci aspetta un vero uragano, di qui a poco. Dobbiamo essere preparati. Dai ordine a tutti gli uomini di tenersi pronti a qualsiasi condizione di emergenza», disse congedando Leroux, «Ah, Leroux, niente errori», concluse serio.

Matthew era disteso mezzo nudo a pancia in su nella sua cabina. Gli ormai vacui riflessi del tramonto già spento mettevano in risalto il suo petto glabro e i suoi addominali leggermente scolpiti. I lunghi capelli castani appiattiti sul cuscino.
Charlotte…
Ancora una volta la focosa chioma di lei fece capolino sui suoi ricordi. Non basterebbe una vita forse a raccontare tutto. Di lui. Di lei. Di loro. A Matthew era stato insegnato che ogni storia ha sempre un principio e una fine ma la vita vera non funziona allo stesso modo. E’ un continuo divenire. Un mutevole riflesso nello specchio. Nessun “e vissero tutti felici e contenti” nella realtà perché tutto cambia e si trasforma, elevandosi verso picchi di gioia o crollando in abissi di disperazione. E chi lo sa dove ti porta, poi, il domani.
Charlotte… Sto tornando da te.
Sembrava non riuscire ad articolare le parole né a delineare con esattezza la lunga catena di eventi che lo avevano condotto lì, sulla Città di Smeraldo. Tutto era accaduto velocemente, così velocemente da non dare il tempo ai ricordi di formarsi. Erano stagliati lì, su quel margine onirico, ma impalpabili e irraggiungibili. Tutto ciò che contava era il futuro. Era Charlotte.
Con questo pensiero, sprofondando nel cuscino, Matthew si lasciò andare al più mite dei sogni.

Quando Matthew si svegliò era già troppo tardi. Era sempre stato troppo tardi. Matthew venne sbalzato dal letto come se un terremoto avesse colpito un edificio fino a farlo crollare. L’acqua salmastra, oscura come quella notte senza stelle, lambiva già buona parte della cabina. Tutto era in pezzi, nelle stanze della mente e fuori. Tutto era perduto. All’improvviso venne risucchiato da un gigantesco buco che si era aperto al centro della piccola stanza, finendo per annaspare nei sotterranei paludosi d’oceano.
Non riusciva a respirare, non sentiva niente. Nessun grido d’aiuto, nessuna campana squarciava il silenzio attonito. Perfino la paura si era attutita facendo spazio alla rassegnazione.
Sto per morire.
Forse fu proprio questo pensiero a dargli la spinta per non arrendersi, ad usare tutte le sue forze, fino alla fine, comunque sarebbe andata. Lo doveva a Charlotte. Lo doveva a se stesso.
Un battito d’ali e risalì in superficie, respirando aria pulita, nell’andirivieni violento delle onde. In lontananza vide la Città di Smeraldo. Distrutta. Non dalla Strega dell’Ovest, ma da un avversario molto più concreto, e temibile, e sottovalutato.
Matthew non riusciva a decidere cosa fare. Cercava solo di restare a galla e pregava che le energie non lo abbandonassero proprio in quel momento.
Poi accadde il miracolo.
Credeva – no, non poteva essere vero – di aver visto qualcosa stagliarsi nell’alto di quella notte oscura, dal lato esattamente opposto a quello in cui il relitto della Città di Smeraldo stava affondando.
Iniziò a nuotare con forza, Matthew. Forte sempre più forte.
La testa mi scoppia.
Grida più forte, non ti sento!
Le onde si infrangono al contrario!
Se solo riuscissi ad arrivare lì, se solo riuscissi a raggiungere quel miraggio!
Se.



L'Angolo dell'autore
Vedere questa storia incompleta mi dava una stretta al cuore. Dopo un periodo di "crisi creativa" e varie difficoltà di sorta che mi hanno tenuto impegnato ho deciso di concluderla. Chiedo scusa a quanti hanno seguito questo racconto per poi vederlo interrotto proprio alla fine. Ho ultimato i due capitoli finali che mancano, pubblico questo oggi e il prossimo fra qualche giorno. Grazie per la pazienza e un commento è sempre gradito!
  
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