The Ghost Of You
Seduta sul pavimento della
mia stanza, ascoltavo l’incessante battito della pioggia per le strade. Rilassante
e Rassicurante, come sempre. Ero barricata nella mia camera da circa un ora a causa dell’ennesima furiosa lite. I motivi sempre i
soliti: mi vesto di nero, vado in skate, vivo in un mondo tutto mio, non ho un
futuro, passo la mia vita con l’i-pod a palle nelle
orecchie…
Mi
alzai e mi rannicchiai sotto le coperte, aspettando che lui venisse a
farmi visita.
-Ciao-
disse.
-Ciao
Frank- risposi
-Visto?
Anche questa sera sono qui…-
-Già,
eppure è passato più di un anno da…-
-Mettiamola
così, devo finire delle cose lasciate a metà- disse interrompendomi
Non
risposi, ripensai a quella maledetta sera, la sera
dell’incidente.
Il
ricordo del suo corpo disteso a terra in una pozza di sangue ancora mi
perseguitava nei sogni, anche dopo tutto quel tempo. I giorni dopo furono un
incubo, non volevo crederci., non era possibile, non
lui. Perché? Perché? Era
stata tutta colpa mia, colpa mia che quella sera gli avevo
chiesto di aiutarmi ad evadere dall’ennesima punizione, colpa mia che proprio
quella sera avevo deciso di non subire in silenzio.
Da
quella sera ogni notte veniva a farmi visita. Nonostante tutto era ancora il
mio migliore amico, e io ero ancora perdutamente innamorata di lui, come se
fosse ancora vivo, ancora con me. Forse perché quando era con me mi faceva
sentire così viva, come se mi trasmettesse la vita che, in quella lontana notte
di ottobre, aveva perso.
Ogni
sera mi diceva di raccontargli della mia giornata, ridevamo insieme delle cose
buffe e mi stringeva tra le sue braccia, ormai così fragili, ogni volta che ne avevo bisogno, e se ne accorgeva senza chiedermi nulla.
La
sua voce interruppe i miei pensieri –Non pensare a quella sera- mi disse
-Non
ci riesco, mi sento ancora così in colpa….-
-Non
è stata colpa tua, non sei tu che ti sei messa a guidare ubriaca.-
Cercai
di controbattere ma lui poggiò il suo dito sulle mie labbra per fermarmi.
-Allora,
come ti è andata la giornata?- disse riacquistando la
sua solita allegria.
Cominciai
a raccontare, gli parlai di quella pazza della professoressa di biologia, delle
ore di educazione fisica a cui tutti cercavamo di
scappare e anche di quello strano tipo che avevo visto sull’autobus al ritorno.
Rise,
rise di quella sua risata che avevo sempre amato e
che, ancora adesso, era sempre la stessa.
Sembrava
che nulla fosse cambiato, eppure era tutto così diverso.
Gli
dissi della litigata con i miei, e lui mi strinse per farmi piangere tra le sue
braccia.
Come
tutte le sere arrivò per lui il momento di andare, ma
quella sera fu diverso. Posò un leggero bacio sulle mie labbra, uno di quelli che
si ricevono nei sogni, così reali e irreali allo
stesso tempo. Avvicinò le labbra al mio orecchio e mi sussurrò un semplice
–Addio-, prima di sparire. Capii che non sarebbe più tornato. Sapevo che prima o poi sarebbe arrivato quel momento… Avevamo avuto fin
troppo tempo. Amai e odiai chi, più in alto di noi, ce l’aveva
concesso. Aveva reso tutto più difficile, ma aveva lasciato lui al mio fianco
per aiutarmi e sostenermi come aveva sempre fatto, finché non avessi imparato a
farlo da sola. Fui sicura di una cosa, prima o poi
l’avrei rivisto. Fino ad allora avrei continuato ad
aspettare, e probabilmente avrei continuato ad amarlo. Ma non avrei messo
fretta al destino, questo no. Doveva compiersi per come era stato scritto, senza modifiche. E
poi ero sicura che lui non avrebbe voluto.
Si,
mi ripetei, l’avrei raggiunto. Prima o poi…
Staccai
gli occhi dal punto in cui era sparito per l’ultima volta. Poggiai il viso sul
cuscino e, nel buio della notte, cominciai a bagnarlo di lacrime salate.