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Autore: Drew Bieber    29/11/2014    1 recensioni
Summer è una ragazza di 12 anni, vive in Canada a Stratford in una grande e lussuosa villa, ha perso la madre quando aveva 5 anni e ora vive col padre che però non c'è mai a causa del lavoro. Frequenta una scuola privata. Ha una grande passione per la musica e un giorno mentre passeggia per strada viene attratta dal suono di una chitarra e la voce di un ragazzo che suona per strada,Justin. Ben presto diventano amici ma Justin è un ragazzo povero e quando la madre muore deve andare in un orfanotrofio, ma Summer non volendo lasciare il suo amico supplica il padre di adottare Justin. Justin è felice ora ma Summer a 15 anni riceve una borsa di studio per andare a studiare in un conservatorio di Londra molto importante ma vuole rifiutare per non lasciare Justin, ma il ragazzo sa che è un occasione da non perdere e convince Summer a partire. Justin diventa famoso un anno dopo. I due non si vedono per molto tempo, ma nel periodo di Natale si incontrano per caso a Stratford.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Justin Bieber
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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È ormai quasi un mese e mezzo che vado regolarmente in ospedale per la chemioterapia. È anche ormai un mese che Jusitn non ha più il coraggio di guardarmi negli occhi. La novità lo aveva sconvolto. Non era una cosa da niente e la sua reazione era del tutto normale anche perché appena prima che gli dicessi della malattia mi aveva appena aperto il suo cuore, mi aveva detto che mi amava. Probabilmente non è colpa mia se ho questo stupido cancro ma è sicuramente colpa mia se ora Justin è sempre ogni giorno più triste. I medici mi hanno diagnosticato una leucemia acuta. Cioè i miei sintomi si manifestano più precocemente rispetto ai sintomi di una normale leucemia. Quindi sto seguendo un ciclo molto pesante e aggressivo di chemio che mi distrugge. Inizialmente mi stancavo semplicemente camminando troppo a lungo e per molto tempo, ora invece ogni mattina mi alzo a fatica dal letto, riesco a malapena a vestirmi e rendermi più decente. Ormai sono sempre molto pallida, il viso e scavato, ho le occhiaie, il mio corpo fa paura, si vedono solo le ossa, le mie mani e le vene del braccio sono ben evidenti e ci sono qualche lividi qua e là, non oso pettinarmi i capelli, ogni volta ci sono dei capelli tra i denti del pettine e prima o poi cadranno tutti, ne ho sempre meno. Tutto questo mi distrugge. I miei occhi sono ormai spenti. E, forse, si chiuderanno. Per sempre. Sono le 10.15 e sto facendo colazione. Quell’enorme bicchiere d’aranciata e la brioche sono troppo per il mio stomaco, Amanda cerca di convincermi a mangiare il più possibile ma bevo solo un piccolo sorso di spremuta e do un morso alla brioche, così lei si arrende e mette tutto a posto. A quando ho il cancro sono tutti molto più tristi e neanche più molto ostinati. Prima erano più fermi sulle loro decisioni, soprattutto Amanda, lei non mi invoglia più tanto a mangiare, sa che non serve a nulla, qualche volta mi dice di vestirmi un po’ più pesante ma se non voglio uscire lei non insiste più di tanto, mio padre mi ha proposto di invitare qualcuno a casa ma dormivo per la maggior del tempo a casa e non era il caso, anche perché non voglio vedere nessuno. Non ho nessuno. Jennifer è in Europa, Michael si è rivelato quello che è e l’ho mandato a fanculo, Justin si è chiuso in se stesso. Mi guardo un po in torno e la luce che entra dalla porta finestra quasi mi acceca, mi alzo e mio padre è già ad aspettarmi davanti alla porta. Metto il giubbino, troppo grande per me, avvolgo la sciarpa intorno al collo ed esco. Appena fuori una folata di vento mi investe e mi stringo forte nella giacca, per un minuto penso che il vento trascini via il mio esile corpo ormai quasi senza forze e quasi mi lascio andar, intanto mio padre esce fuori il vialetto e mi richiama, lo raggiungo ed entro in macchina nascondendomi dietro il vetro oscurato dei posti dietro. Ho l’aria pensosa e infatti inizio ad estraniarmi dalla realtà e penso al futuro. Ci sarà un futuro per me? Come sarà? Chi ci sarà? Mi salverò da questa sofferenza? Tutto questo servirà a qualcosa? La stessa espressione avevo anche in ospedale. Entrano nella stanza, la stessa per un mese e mezzo, tolgo il giubbino, la sciarpa e le scarpe, mi metto sotto le coperte e mi appoggio con la testa sul cuscino, quei pochi capelli ancora in testa stravolti sul cuscino, lo sguardo basso, fisso il tubicino della flebo con l’ago nel braccio nascosto cerotto. Possibile mai che quel tubicino con l’ago nel braccio potesse avere il potere della vita e della morte? Poteva mai salvarmi o farmi morire? A quanto pare si. Il mio futuro era in quel tubicino, in quell’ago nel mio braccio. Oggi resterò quasi tutto il giorno in ospedale. La chemio dura qualche ora. Poi mi sveglio ed entra il medico in stanza e dà una buona notizia. Sono riusciti a trovare un donatore con il gruppo sanguigno compatibile col mio. Mio padre ha sorriso come se avessimo risolto tutti i nostri problemi. Finalmente potevo guarire. Ma non poteva essere così. –Il sangue che hanno donato basterà per una settimana, non è molto. Purtroppo non abbiamo ancora trovato un donatore fisso. Bisogna aspettare.- aggiunse il medico e tutte le speranze di mio padre sparirono –ma non si può fare proprio nulla per velocizzare questa situazione?- il medico rispose –beh bisogna vedere se qualcuno della famiglia ha lo stesso gruppo sanguigno e se è disposto a donare- purtroppo l’unico della mia famiglia che poteva donare era mio padre ma entrambi sapevano che non eravamo compatibili e lui ne restò profondamente deluso. Deluso di se stesso. Di non essere capace di aiutare sua figlia. A me tutto mi era indifferente, non li stavo a sentire, guardavo l’espressione di mio padre così affranta ma io non gli davo la colpa di nulla, stava facendo già tanto e poi se proprio dovevo morire niente lo avrebbe impedito. In quel periodo era sempre più fredda. Niente mi spaventava più. Forse perché quando stai per morire, ormai mi avvicinavo sempre più a quell’idea, niente importa più, amici, familiari, neanche la scuola, sono una ragazza abbastanza studiosa e mi impegno non mi dispiaceva alzarmi la mattina e partecipare alle lezione ma adesso che non varcavo la soglia di quelle porta da più di un mese non mi importava, non mi mancava nulla di lì, i prof, le aule, il mio armadietto, quelle poche persone che mi stavano simpatiche, la palestra, per me non esistevano più, sembrerò egoista perché in realtà non mi importava più di nessuno ma non mi importava neanche in me a dire il vero. A scuola forse mancavo a qualcuno e a molti dispiaceva la mia situazione, mio padre era andato a scuola per spiegare alla preside ciò che era successo e quindi avrei dovuto lasciare la scuola. all’inizio prendevo lezioni private a casa ma poi ci ho rinunciato quindi a casa dormivo solo e quelle poche volte mangiavo o uscivo in giardino a prende una boccata d’aria. A volte mi alzavo dal letto e mi strascinavo lungo il corridoio verso la porta della stanza di Justin, sempre chiusa, quando usciva e poi ritornava a casa subito correva in camera sua e nessuno lo vedeva. A me non importava più di nessuno ma di lui si perché se dovevo morire volevo sapere che lui non si sarebbe mai dimenticato di me e sarei sempre stata nei suoi pensieri. Un po alla volta si fa sera nell’ospedale e io torno a casa. Entro e mi metto sul divano stanca morta, avevo fatto la trasfusione e mi sentivo strana ad avere il sangue di qualcuno nel mio corpo. Chissà se mi avrebbe aiutato. Facendo un po di attenzione sento un profumo venire dalla cucina. Amanda starà preparando qualche dolce. Mi alzo e sbircio del forno alzandomi in punta di piedi. Quando ero bambina prendevo sempre la sedia, ci salivo sopra e sbirciavo. Il forno è sempre stato troppo alto per me. Adesso bene o male ci arrivo, mi accorgo che Amanda è dietro di me così mi giro. –Cosa cucini?- le dico con grande interesse come facevo sempre prima della malattia e lei mi guarda quasi sconvolta come se avessi detto qualcosa di assolutamente proibito, poi fece un enorme sorriso –crema pasticcera- prese gli ultimi ingredienti che le servivano e ci mise sul fornello per preparare la crema. Io la guardavo con l’acquolina in bocca, quando Amanda faceva un dolce io mi rallegravo sempre, forse per questo lo starà preparando, spegne il fornello e io prendo il cucchiaio e lo ripulisco leccandolo, lei mi guarda di nuovo e ride –non cambi mai Sum- io rido con lei e mentre continua la preparazione del dolce me ne vado in camera mia sentendomi ancora stanca. Mi sdraio sul letto, metto una mano sulla fronte e sento le vene nelle tempie sbattere e quasi muoio anche perché ho una nausea incredibile. Dopo un’ora Amanda mi chiama per la cena ma non ho la forza di risponderle. Continuo a peggiorare. Sto sempre peggio. E non ce la faccio. Come sempre si arrende e mi lascia stare ma dopo una mezz’ora mi giro verso la porta perché qualcuno la sta aprendo. Vedo un piatto con una fetta di torta con crema e fragole in una mano poi Amanda entra e vedo che nell’altra ha un bicchiere con un liquido bianco, si siede vicino a me sul letto e io la guardo restando sempre nella stessa posizione. –ti ho portato una fetta di torta e un’asprina, prendila così ti senti meglio- mi guardò sempre con le stesso sorriso di prima e questo mi fece piacere, dopo averla ringraziata uscì dalla mia stanza e mi misi seduta comoda sul letto stringendomi nella coperta lilla di pile, portavo quella coperta con me anche in ospedale, per me aveva un significato affettivo, mi legava a mia madre, quando ero piccola mi avvolgeva sempre in questa coperta e mi abbracciava accarezzandomi i capelli e un po alla volta mi addormentavo, mi piacerebbe poter sentire di nuovo quelle carezze che mi mancano che anni e anni ma sento ancora quel calore confortevole e rassicurante, sposto lo sguardo sul pavimento e gli angoli della coperta sono a terra dato che è troppo lunga per me, lo è sempre stata e per evitare che strusciasse a terra e si sporcasse la tiravo su ora invece guardo quei lembi sul parquet e rimango la coperta così com’è,  senza metterla sul letto. Sposto lo sguardo un po più in alto, sulla scrivania, prima ero sempre seduta lì a studiare, immaginavo di finire il liceo, iniziare il college, volevo diventare qualcuno, volevo viaggiare, una famiglia, una casa, un futuro ……. una vita ……. Ma quel futuro e quella vita adesso mi sembravo senza fondamenta e irraggiungibili, sembrava come una cosa troppo strana per me, quasi faceva ridere, non avrei più avuto niente, mi potevo limitare solo a sognare. più avevo questi pensieri e più la vista mi diventava appannata a causa degli occhi lucidi, sbattei le palpebre e due lacrime mi rigarono il viso, appoggiai la testa sul cuscino distendendomi, le braccia lungo i fianchi, lo sguardo fisso sul soffitto, le labbra tremanti, gli occhi pieni di paura, un sospiro mi si levò nell’aria e mi asciugai il viso col dorso della mano poi mi rimisi seduta e velocemente presi il piatto sul comodino con la fetta di torta e una forchettina da dolce, ne mangiai qualche boccone ma già al quarto non ce la facevo più così riposai tutto sul comodino prendendo il bicchiere, girai un po l’acqua non l’aspirina sciolta dentro e bevvi tutto in un sorso, posai anche il bicchiere, mi distesi e mi coprii per bene con la coperta per poi chiudere gli occhi con la speranza che questa nuova vita fosse solo un sogno e che al mio risveglio tutto sarebbe finito….
ANGOLO AUTRICE                                                                                                                                                           SIGNORI, SIGNORE, AMICHI, AMICHE, TIZIETTI, TIZIETTE, CICCINI, CICCINE SONO TORNATAAAAAAAAA! SCUSATEMI SONO STATA IMPEGNATA CON LA SCUOLA MA ADESSO CERCHERO’ DI CONTINUARE A SCRIVERE. SE AVETE QUALCOSA DA FARMI LEGGERE FATEMI SAPERE, LASCERO' ANCHE UN COMMENTO.BEH ALLORA LEGGETE LEGGETE LEGGETE E RECENSITE RECENSITE RECENSITE SPERO VI PIACCIA. ALLA PROSSIMA.
 
 
 
 
  
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