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Autore: Reyvateil    01/12/2014    3 recensioni
"E’ assurdo, mi sembra di aver vissuto più di cent’anni e allo stesso tempo sono ingenua come una ragazzina. Ricordando ciò che sono stata, la mia anima si carica di un peso che a malapena riesco a sopportare, ma voglio scrivere. Come se fosse il primo giorno, il momento in cui un soldato mi puntò la pistola contro, in una notte piovosa e senza Dio. Il giorno in cui venni catturata, e paradossalmente la mia allora miserabile vita cambiò."
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Una storia che intreccia le la vita della protagonista e degli altri personaggi a cavallo fra due Mondi; infanzia e adolescenza da una parte, età adulta dall'altra. Una storia di crescita, consapevolezza, paure e principi per cui imparare a lottare. Enjoy.
Genere: Introspettivo, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Mi scendono le lacrime.
 
Ricordare sembra così difficile ed allo stesso tempo naturale; le immagini sono offuscate, le luci affievolite, eppure un sentimento di nostalgia mi pervade al punto di scoppiare.
Vorrei essere morta. Vorrei essere stata con tutti loro, dall’altra parte. Vorrei aver passato la vita con coloro che sono diventati la mia famiglia, a Resembool, lontana da ogni problema… Ma se avessi scelto quella via, avrei aspettato per sempre qualcuno che non sarebbe mai arrivato.
Mi chiedo perché sono sola al mondo, i ricordi di una vita passata mi stringono le carni, gli organi sembrano contorcersi e non riesco a respirare, perché la mia aria non è qui. Questo mondo mi ha mai amata?
E’ assurdo, mi sembra di aver vissuto più di cent’anni e allo stesso tempo sono ingenua come una ragazzina. Ricordando ciò che sono stata, la mia anima si carica di un peso che a malapena riesco a sopportare, ma voglio scrivere. Come se fosse il primo giorno, il momento in cui un soldato mi puntò la pistola contro, in una notte piovosa e senza Dio. Il giorno in cui venni catturata, e paradossalmente la mia allora miserabile vita cambiò.
 
 

Chapter One – Remember
 

 
Notti turbolente quelle che recentemente vedevano protagonista Central City, una capitale tuttavia mai stata famosa per la sua quiete. Ai cittadini del cuore pulsante di Amestris era stato consigliato di fare attenzione durante il giorno e di restare chiusi nelle loro abitazioni al calar del sole, per la loro sicurezza ma anche per non ostacolare le operazioni di ricerca, ciò che le autorità chiamavano “La grande caccia”.
Sembrava una corsa alle chimere, con tanto di taglie, ma ad una disgraziata come me poco importava; tutto quello che per me c’era da sapere, era che dovevo scappare veloce come una scheggia.
Diluviava, il che mi rendeva incredibilmente difficile saltare da un tetto all’altro senza scivolare. I soldati lungo la strada lo sapevano, e continuavano a tenermi d’occhio percorrendo i marciapiedi senza mai salire. Erano silenziosi, ma inutile dire che li avevo fiutati.
Fu un attimo, e delle tegole cedevoli mi fecero catapultare di sotto; ci fu un gran trambusto, finii della spazzatura… E quando tirai la faccia fuori dai sacchi sporchi, un soldato mi stava puntando il fucile a pochi centimetri di distanza. Non aveva idea che sarei sbucata fuori tanto vicina a lui e i suoi occhi facevano intendere la sua paura, era immobile.
 
“Che cazzo aspetti, spara!!”
 
Un rumore assordante, e le scene successive vennero accompagnate da un fischio continuo e disturbante nella mia testa. Fui abbastanza veloce da spostarmi, uscire dal vicolo in cui mi trovavo e correre per strada. A quattro zampe ero ridicolmente più veloce di loro e per una volta ringraziai dio per questa maledizione, ma proprio quando ero certa di averli seminati, un piccolo, pungente dolore mi prese la schiena. Sentii il dolore di uno spesso ago nella carne, poi tutto divenne buio.
 
“Ecco, le luci la stanno svegliando.”
“Come fai a sapere che si tratta di una femmina?”
“Non lo so infatti, ma bestia, creatura e chimera sono tutti nomi femminili no?”
“Avete visto le orecchie? Ha anche la coda… Buon Dio, è un mostro.”
“SILENZIO!! State pronti, apro la gabbia, non sappiamo che intenzioni abbia.”
 
Mi svegliai. La luce dalle feritoie divenne sempre più intensa e sebbene il mio corpo fosse parzialmente paralizzato riuscii a strisciare verso l’uscita di quella gigantesca gabbia in cui non sapevo quanto avessi dormito.
Dinanzi a me si stanziava un ragazzo biondo, vestito di nero. Non avevo ancora sentito la sua voce, ma sembrava intenzionato ad avvicinarsi pericolosamente a me. Tirai fuori i denti e di colpo congiunse le mani, creando delle scintille azzurrine. Sapevo bene di cosa di trattava, della mia rovina che era tornata a trovarmi.
L’alchimia.
Il ragazzo però non fece null’altro, aspettava una mia mossa e ci ritrovammo a fissarci per brevi secondi, dopodiché riuscii a sedermi, incrociando le gambe per riacquistare un minimo di movimento agli arti e soprattutto di dignità.
“Volete sopprimermi?” chiesi secca. Morivo di paura, ma per loro avevo la faccia di una che non aveva più nulla da perdere. Si stupirono tutti in quella sala, che ad una seconda occhiata era spoglia e grezza, dovevamo essere in uno scantinato.
“Sa parlare!” si ripetevano dei soldati impauriti dietro il ragazzo.
“Indietro per favore” il biondo infine si rivolse agli uomini “Fatemi fare il mio lavoro, prima finirò e prima me ne andrò da questo postaccio umido.”
Si rivolse a me, chinandosi per guardarmi in viso. Era passato troppo tempo dall’ultima volta in cui qualcuno si era avvicinato tanto a me senza timore. “Chi sei?”
“Non lo so.”
Bugie mal nascoste. Non volevo problemi, non volevo legami, volevo soltanto essere lasciata in pace. Avevo dimenticato cosa significasse essere aiutata da qualcuno, cosa ci si sentisse a sperare, o ad essere amati.
“Non ti farò del male, devo solo catalogarti. Siete in tanti e il mio inutile compito è quello di ricavare il maggior numero di informazioni da ciascuno di voi.” Il ragazzo non sembrava affatto entusiasta del suo lavoro.
“E poi mi sopprimerete?”
“No, piantala di chiederlo! Voglio dire… Non è questo il tuo problema principale. Parliamoci chiaro” si sedette davanti a me, notai che era davvero basso, considerando l’età che mostrava il suo viso.
“Vuoi essere sezionata? Perché se non risponderai alle mie domande o farai la finta tonta è così che finirai. Qui dentro sei solo carne da macello, poco importa se sai parlare… Anzi, forse così saranno incuriositi ancora di più da te. Salvati la vita, avanti, e dimmi qualcosa che non so.”
Il mio sguardo cadde sulle mie ferite mentre il ragazzo parlava. Ero ridotta male… La mia pelle era di un bianco impressionante, ero diventata magrissima dall’ultima volta che mi ero vista allo specchio ed ero piena di contusioni violacee, qua e là qualche cicatrice. Ma il fianco non era ancora guarito, e l’infezione produceva un pus poco invitante.
La porta della stanza grigia di spalancò facendoci tutti sobbalzare e un baldanzoso uomo in divisa fece irruzione.
“Acciaio!! Come sta procedendo, ti diverti?”
Il giovane distolse lo sguardo, seriamente infastidito, per poi borbottare “Colonnello, mi sta disturbando, se ne vada al diavolo.”
“Quanto siamo acidi, ti ricordo che sono un tuo superiore. Sei tu che hai perso la scommessa, e a te tocca questo lavoro. Sorridi o sarò costretto a ordinarti anche di pulire le feci di tutte le gabbie, ahahah!”
Era un uomo sulla trentina, moro, occhi neri come la pece, sottili. Di bell’aspetto, anche se non avrei saputo giudicare bene; avevo quattordici anni all’epoca, e gli ultimi tre li avevo passati tra fango e rovine.
“Colonnello Mustang” li interruppe un soldato semplice “Faccia attenzione, l’abbiamo appena liberata.”
Sentii i suoi occhi su di me, lo sfidai con lo sguardo.
“Ma cosa abbiamo qui… Pare una donzella! Quegli occhi senza pupilla possono aver fatto un po’ impressione, ma io li trovo piuttosto teneri. Quindi smetti di fissarmi come se potessi prender paura. Capisci quello che dico, vero? Ne sono certo, lo capisco dalle tue espressioni ragazzina.”
“Sa parlare, Mustang.” Aggiunse il ragazzo basso.
Gli occhi del moro si illuminarono “Allora di umano in te c’è davvero molto, bel visino. E queste orecchie sembrano quelle di un grande cane. Sai a me piacciono i cani, sono i servi perfetti per un uomo perfetto!”
Scattai in avanti ancora prima che potesse prendere fiato dalla sua ultima pomposa frase e con un salto gli fui davanti a denti scoperti.
Non potevo sapere che quella mossa avventata avrebbe rischiato di ustionarmi il viso. Mustang schioccò le dita e una linea di fuoco ci distanziò in pochi attimi di secondo. Mi scottai senza rovinare troppo la pelle, ma faceva ugualmente un male cane. Indietreggiai uggiolando.
“Colonnello, che fa!” si agitò Acciaio.
“Che ragazzina audace. Ti chiedo scusa, non avevo visto la coda di lupo. Per essere una chimera sembri piuttosto orgogliosa del tuo sangue, eh?”
 
“Non lo sono” risposi fievolmente.
 
“Per ora basta, Colonnello la prego se ne vada. E’ ferita e infastidita, non ci dirà nulla oggi.”
Il ragazzo si rivolse a me, cortesemente “So che è paradossale chiedertelo ma… Per favore, torna nella gabbia. Non vogliamo ricorrere alla violenza.”
Senza ribattere, gattonai fino alle sbarre, per poi farmi rinchiudere. Non avevo troppa scelta e ora che ero arrivata fin lì, tanto valeva vedere cosa mi avrebbe riservato il futuro.
“Te lo chiedo un ultima volta… Mi sopprimerete?” chiesi sconsolata.
I soldati che gremivano la stanza uscirono ordinatamente, seguiti dall’Alchimista di Fuoco, il quale socchiuse la porta, la mano sulla maniglia ad aspettare l’arrivo del giovane per lasciarmi definitivamente sola.
Acciaio gli fece un cenno, per poi avvicinarsi alle mie sbarre.
“Troverò qualcuno che si prenderà cura di te.”
Vidi Mustang sorridere. Uscirono e chiusero la porta a chiave, le luci si spensero.
Mi raggomitolai su me stessa trovando conforto nel mio stesso flebile calore e mi addormentai.
   
 
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