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Autore: IMmatura    02/12/2014    3 recensioni
In un mondo diverso forse nessuno, alla fine, dovrebbe sacrificarsi...ma non è detto che, per questo, sia tutto rose e fiori per Ib, Garry e Mary...
"La sua famiglia, in senso ampio, erano diventate le infermiere che facevano del proprio meglio per lei e, forse, effettivamente, talvolta finivano per viziarla un po’. Però si trattava sempre di una famiglia imperfetta, diluita, che non poteva colmare a pieno il bisogno di affetto di quella piccolina. Era una cosa che le buone donne, tutto il giorno indaffarate tra una stanza e l’altra, tra un’angoscia e l’altra, non potevano risolvere se non sfogando la propria impotenza in gesti d’affetto quasi asfissianti, ma sporadici, nei ritagli di tempo tra un turno e l’altro."
[partecipa alla challenge "la settimana degli AU" indetta da Jerkchester sul forum di EFP]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Garry, Ib, Mary
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Kouri; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

 



Nickname: IMmatura

Fandom: Ib

Titolo: Promesse

Scenari: Ospedale

Genere: Malinconico, Introspettivo, Triste

Personaggi: Garry, Ib, Mary

Eventuali Pairing: Accenno IbxGarry (one-side)

Raiting: Verde

Avvertimenti: Tematiche delicate appena accennate, AU (Capitan Ovvio è qui per voi!)

NdA:

Mi scuso in anticipo in caso di imprecisioni mediche...ho cercato di informarmi un po’ sui disturbi cardiaci in età pediatrica, ma la materia è davvero vasta e complicata. Pertanto ho deciso di tenermi sul generico, ma se dovessi aver comunque scritto castronerie vi invito a farmelo presente.

Questo è il mio primo esperimento di AU con i personaggi di Ib e, pur non essendo convinta al cento per cento del risultato, alla fine mi sono decisa a pubblicare.  Spero di essere riuscita a non snaturare troppo i miei adorati pg, pur tentando qualcosa di abbastanza nuovo per questo fandom...

 


 

 

Promesse

L’infermiera osservò il giovane specializzando, chino di fronte alla specchiera del bagno e con una lieve smorfia di dolore sul volto pallido. Era alto, ma davvero troppo magro. Con quei capelli improponibili, tinti di un bizzarro colore simile al viola, e con l’ampio camice immacolato che gli si afflosciava indosso, sembrava più un buffo spaventapasseri, che un futuro dottore. Forse per questo i pazienti del reparto pediatrico non provavano nei suoi confronti quell’innato timore che, invece, riservavano agli austeri colleghi dall’aria più seria e compita. Garry non mancava mai di riservare un sorriso gentile a tutti, lasciando che i bambini prendessero confidenza con lui e corrompendoli del tutto con qualche caramellina, donata al momento giusto. Conquistava tutti. O quasi.

Al momento, infatti, era impegnato a disinfettare un graffio sulla sua guancia sinistra, frutto di un incontro ravvicinato con l’unica eccezione: la paziente della stanza venticinque.

-Quella bambina è impossibile.- Sbottò, gettando via il batuffolo di cotone intriso di disinfettante.

Tra lui e la piccola Mary era stata antipatia epidermica. Fin dal primo incontro. La bimba gli aveva rivolto uno sguardo minaccioso, mentre lui si avvicinava, ignaro, con lo stetoscopio al suo petto. Aveva atteso malignamente il momento migliore per poi gettarsi all’indietro ed iniziare a scalciare. Risultato: un bel livido sullo zigomo per lui e una storiella da raccontare davanti ad un caffè per i suoi colleghi ed il personale sanitario al completo.

-Magari non le sei simpatico...-

-Magari è lei ad essere viziata. Capisco la situazione particolare, ma permettendole tutto questo è il risultato!-

A prima vista quella bambina sembrava una bambola. I boccoli biondi, che le infermiere si premuravano, a turno, di pettinare, le ricadevano sulle spalle, incorniciando un visetto sorridente dai grandi occhioni azzurri. In realtà era un vero terremoto. Nonostante la sua malattia la facesse stancare facilmente, non rinunciava mai a nessuna delle sue idee bislacche, combinando non pochi guai e senza ricevere mai una strigliata, per il timore di causarle un attacco cardiaco.

Il cuore di Mary infatti era “fabbricato male”, come diceva lei stessa, e la bambina era ormai costretta da anni a vivere in ospedale, sotto stretto monitoraggio, in attesa di un trapianto. Le diverse operazioni che il padre, il famoso pittore Weiss Guertena, aveva pagato finora si erano rivelate tutte insufficienti a garantire la salute della bambina, cosicché i medici avevano suggerito al pover’uomo l’ultima soluzione praticabile, la più drastica. Tuttavia si trattava di una bambina di soli nove anni, per cui l’attesa di un cuore adatto minacciava di essere ancora lunga...

Il padre di Mary, a causa della sua attività artistica, era via anche per lunghi periodi, e non avrebbe potuto fare altrimenti, per mantenere le cure della bambina. Queste però erano riflessioni da grandi. Quello che poteva capire e ricordare Mary erano solo i lunghi periodi di solitudine in ospedale, tra pazienti che andavano e venivano senza prestarle particolare attenzione ed uscendo sempre senza di lei, che invece, era costretta ad aspettare ancora e ancora. La sua famiglia, in senso ampio, erano diventate le infermiere che facevano del proprio meglio per lei e, forse, effettivamente, talvolta finivano per viziarla un po’. Però si trattava sempre di una famiglia imperfetta, diluita, che non poteva colmare a pieno il bisogno di affetto di quella piccolina. Era una cosa che le buone donne, tutto il giorno indaffarate tra una stanza e l’altra, tra un’angoscia e l’altra, non potevano risolvere se non sfogando la propria impotenza in gesti d’affetto quasi asfissianti, ma sporadici, nei ritagli di tempo tra un turno e l’altro.

L’infermiera si limitò a sospirare. Quel ragazzo era bravo. Aveva l’aria di sapere sempre cosa faceva, riuscendo così a rassicurare le famiglie, ed era comunque più umano della maggior parte dei medici pieni d’esperienza, ormai freddi e impassibili, anestetizzati al dolore. Però era giovane, e probabilmente conosceva l’infelicità solo come un’eco, un’ombra sporadica nella sua vita. Non l’aveva ancora vista ogni giorno per anni ed anni sotto i suoi occhi, per cui certe cose ancora non era in grado di comprenderle. Non sapeva se sperare che il ragazzo crescesse presto, o il più tardi possibile...

 

---

 

La nuova paziente della stanza venticinque era una bambina silenziosa, con i capelli lunghi e lisci e occhi bellissimi, di un colore così vivido e luminoso da sembrare rosso. I genitori lavoravano entrambi, ma puntualmente si davano il cambio durante la notte, per vegliare al suo capezzale. Si chiamava Ib, e la sistemarono nel lettino accanto alla piccola Mary.

-Quella signora è la tua mamma?- Mary dondolava le gambe, indecisa se scendere o no dal suo letto per avvicinarsi. La nuova arrivata la incuriosiva, ma aveva paura che scappasse via come tutti gli altri bambini che erano passati per quei lettini bianchi.

Ib si limitò ad annuire, persa in altri pensieri. Guardava l’orologio come aspettasse qualcosa, o qualcuno.

-Io la mamma non ce l’ho...com’è avere una mamma? La tua mamma è buona?-

Finalmente si voltò a guardarla, mentre Mary scendeva dal letto. Decise in quel momento che la sua compagna di stanza le piaceva. Aveva dei capelli davvero belli e sembrava simpatica. Ib era contenta, anche se in genere non amava la compagnia. Avrebbe risposto con tutto il cuore, lei che di solito era silenziosa e solitaria. Per quella faccina così vispa avrebbe fatto quello sforzo...ma la gola le faceva davvero troppo male. Si tirò a fatica a sedere sul letto, e accennò un sorriso, annuendo di nuovo.

-Che bello! Mi piacerebbe avere anch’io una mamma come la tua...non potrebbe essere anche la mia mamma?-

-Non lo so.- ammise con un filo di voce.

-Tu di che cosa sei ammalata?- chiese poi, con la stessa ingenua curiosità. Da anni aveva a che fare solo con pazienti e infermieri. Dava per scontato che tutte le persone senza il camice fossero per forza ammalate di qualcosa. Anche quelle che non erano a letto...altrimenti perché piangevano così spesso?

Ib indicò semplicemente la gola, non essendo sicura di riuscire a parlare di nuovo, senza sentire una lama conficcarsi nella sua carne. Era una sensazione orribile che durava ormai da giorni, assieme a quel continuo alternarsi di brividi incontrollabili, seguiti da grandi sudate, dopo aver preso quella medicina che le infermiere chiamavano “antipirico”1

-Io invece qui.- Spiegò la bambina, con un tono quasi saccente, orgoglioso della sua triste esperienza in materia, indicandosi il petto -Il mio cuore è fabbricato male, quindi i dottori dicono che devo aspettarne un altro. Me lo metteranno al posto di questo e allora il mio papà potrà tornare a prendermi...oh, non fare quella faccia, non farà male. Dormirò per un po’ e mi sveglierò con un cuore fatto meglio, che batterà fortissimo, così potrò essere felice felice senza dover prendere le medicine.-

Ib posò una mano sul petto di Mary. Non riusciva a sentire se il suo cuore fosse davvero fatto male, ma adesso era un po’ preoccupata. Quella bambina non poteva essere felice? Non è che era pericoloso, adesso, il fatto che stesse sorridendo? Eppure sembrava stare bene...magari bastava che la si rendesse felice piano piano, poco per volta, per far stare quel cuore al passo...


---

 

Quando arrivarono i dottori, Ib si preoccupò un po’ per Mary. Il suo cuore batteva agitato, per cui aveva paura per quello fabbricato male della sua nuova amichetta. Però Mary sembrava abituata. Guardava divertita tutti quei camici bianchi, e salutò un dottore con un barbone grigio, che si chiamava “signor primario”.

Il signor primario disse qualcosa ad uno dei dottori, con dei buffi capelli. Quello scosse la testa con decisione. Deboli risatine di sottofondo. Poi un altro dottore giovane si avvicinò con lo stetoscopio alla piccola Mary, che sorridente scoprì il pancino e poi il petto fino al collo. Le fecero dire “Ah” e “trentatre”, poi le chiesero di trattenere un po’ il respiro, per sentire soltanto il suo cuore. Il dottore sembrava tranquillo. Ib tirò un sospiro di sollievo, finchè non capì di essere la prossima. Era la prima volta che non c’erano ne la sua mamma, ne il suo papà, durante la visita. Mary si alzo dal lettino e si avvicinò a lei, curiosa.

Fecero mettere Ib a sedere e le scoprirono la schiena. Anche lei dovette dire un paio di parole e poi trattenere il fiato. Mary si impicciava, cercando di sfilare lo stetoscopio al povero specializzando in pratica. Ogni volta che il dischetto di metallo aderiva alla pelle di Ib la bambina sobbalzava. Era freddissimo. A Mary non piaceva vedere spaventata Ib. Le manine delle due bimbe si incontrarono, mentre il medico faceva aprire la bocca ad Ib, e le abbassava la lingua con una palettina. Il sapore del legno arrivò fino alla gola irritata della bimba. Pizzicava e sembrava asciugarle completamente la saliva. Quando le chiesero di fare “Ah” riuscì solo a tossire.

-Stupido, le fa male li!- protestò per lei Mary.

Il signor primario rise, complimentandosi con lo specializzando, dato che una bambina era riuscita a fare una diagnosi prima di lui. Altre risatine del gruppo dei medici.

Ib si vergognava un po’ per non essere riuscita a fare quello che le avevano chiesto. Si tirò su le coperte fino a metà del viso, rimanendo a fissare i dottori che, piano piano uscivano. L’ultimo fu il dottore con i capelli buffi, che si voltò e le fece l’occhiolino. Sotto il lenzuolo, si disegnò un sorriso sul viso di Ib. Ricordava quel dottore. Era quello che l’aveva visitata il primo giorno, e le aveva offerto una caramella. Succhiandola ad Ib era passato, per un po’, il mal di gola. In compenso aveva avuto una sensazione strana alla bocca dello stomaco. Ce l’aveva anche oggi, assieme ad un improvvisa sensazione di calore. Quel dottore era un “antipirico”...anche se qualche brivido lo aveva lo stesso, e il suo cuore batteva come un tamburo.

Ignara di avere accanto una bambina alle prese con la sua prima cotta, Mary ribatté con una linguaccia. Ib era solo amica sua!

 

---

 

-Ti piace il mio disegno, Ib?-

-Si.- aveva risposto, sorridendo. Era un disegno bello e un po’ strano, come Mary. Un pupazzetto disegnato con i pastelli a cera. Aveva una grande faccia tutta blu, ma sorrideva, quindi doveva essere contento. La gola le faceva un po’ meno male, e adesso, ogni tanto, chiacchieravano. Non la faceva sforzare troppo. La sua amichetta era un fiume di parole, in cui Ib doveva più che altro lasciarsi trasportare, dando di tanto in tanto una debole spinta alla conversazione. Le permetteva di riabituarsi a parlare con i suoi tempi, ed allo stesso modo lei stava bene attenta ad essere delicata con Mary. Erano amiche, adesso, e non vedeva l’ora di presentarla alla sua mamma.

-Al dottore antipatico i miei disegni non piacciono...gli fanno paura.- borbottò la bimba bionda, sedendosi sul lettino di Ib.

In realtà Garry si era limitato a fare una faccia strana, il giorno prima, vedendo lo scarabocchio a cera (peraltro fatto SUL MURO), ma Mary era convintissima della sua idea, ed irremovibile nella sua antipatia. Ad Ib dispiaceva un po’. Secondo lei semplicemente non si poteva disegnare li, ed il dottore era stato anzi gentile a non sgridarle.

Le aveva regalato un’altra caramella, al limone. Ib era stata contenta, ma non aveva avuto il coraggio di mangiarla, come. La teneva gelosamente sul comodino, per quando sarebbe stata triste, avrebbe avuto di nuovo i brividi di freddo e le sarebbe tornato il mal di gola. Allora quella caramella, forse, gliel’avrebbe fatto passare, e le avrebbe fatto sentire quel calore piacevole che sentiva ogni volta che il dottore si chinava su di lei, per sentirle la temperatura. Tutte le volte Ib pensava a come lo faceva la sua mamma, con un bacio anziché con la mano, e si chiedeva come sarebbe stato, se il dottore avesse fatto lo stesso.

-Ib, sei tutta rossa!-

-C-cosa?- chiese l’amica, imbarazzata, senza sapere neppure perché, nascondendo il viso sotto le lenzuola. Mary rise di quel gesto che trovava davvero buffissimo.

-Ib? Quando esci di li vogliamo fare una cosa?-

-Cosa?- borbottò l’interpellata, senza accennare ad andare fuori.

-Dammi la tua mano.-

Ubbidì, lasciando ricadere il lenzuolo e allungando il braccio verso Mary. La ragazza le strinse la mano con la sua, ed Ib fu felice di sentine il tepore. Ultimamente era sempre lei a scottare gli altri, che avevano sempre le mani fredde. Poi l’altra bimba la lasciò, mantenendo incrociati solo i mignoli.

-Facciamo una promessa: non ci scorderemo mai l’una dell’altra e saremo come sorelline, ok?-

-Però...-

-Però?-

-Però non dire più che il dottore è antipatico.-

-Uffi, e va bene!-


---

 

La mamma di Ib non aveva occhi che per lei, quel giorno. I medici le avevano detto che presto avrebbero potuto dimettere la sua bambina. Era così felice. pettinò Ib, le cantò una canzoncina e passò il resto del tempo a colorare con lei. Mary guardava tutto con meraviglia. Era così avere una mamma? Era un po’ come stare con papà, prima che scoprisse che il suo cuore era fabbricato male...

Ib provava in tutti i modi a coinvolgere Mary, ma l’amica sembrava aver perso la parola dalla commozione. Temette di averla resa troppo felice, troppo in fretta. Tentò di scendere dal letto, ma la madre la fermò. La sgridò un po’ e alla bambina non rimase che annuire. La mamma non si era accorta che intanto la sua nuova amichetta aveva smesso di sorridere. Era tornata a pasticciare con i pastelli a cera, stavolta per fortuna su di un foglio.

Mary aveva visto per tutto il tempo solo le spalle della signora, e non riusciva più a far finta di essere anche lei coinvolta nel loro gioco. Si sentiva strana, e il suo cuore fabbricato male iniziava a bussare prepotente contro il suo petto. Scarabocchiava i capelli di un pupazzetto blu con gesti nervosi, fino a quando un urlo non le sfuggì dalla gola senza che se ne accorgesse.

-Mary!- strillò Ib, per poi tossicchiare. La paura le aveva fatto sforzare troppo la voce, e sentì qualcosa di caldo e denso riempirle la gola. La mamma l’aveva abbracciata forte, nascondendole il viso nella sua giacca rossa e impedendole di vedere che stava succedendo. Ib sentì soltanto i passi di due infermiere, e il rumore di una barella. Iniziò a piangere e la madre, credendo fosse per lo spavento, iniziò a rassicurarla dicendo che presto sarebbero andate a casa.

Si sentì di colpo come se anche il suo cuore si fosse rotto, all’improvviso. Come faceva a lasciare da sola la piccola Mary, la sua nuova sorellina? Non la poteva rendere triste così all’improvviso, se già stava male. Però proprio non trovava le parole per spiegarsi, e il sangue che iniziava a colarle giù per la gola finiva di soffocarla. Era tutto così confuso, e così complicato per lei. Si era accorta di voler tornare a casa, adesso, e non sapeva se sarebbe potuta venire anche Mary...

 

---

 

Quando riportarono la sua amica nella stanza era notte. Con Ib c’era il suo papà, che si era addormentato sulla sedia. Ib aveva il sonno più leggero, così aveva visto la faccia di Mary pallida, bianca, come se la sua pelle fosse diventata la porcellana di cui sono fatte certe bamboline fragilissime, che la mamma non le faceva toccare. Mary non sarebbe andata a casa con lei. Ib aveva rischiato di romperla, come le bambole di porcellana da collezione della sua mamma. Mary doveva stare con gli adulti che sapevano badare a lei, maneggiarla con cura, cioè i medici e le infermiere. Quella sera Ib era diventata un po’ più adulta.

Intanto il cuoricino di Mary, per fortuna, aveva ripreso a battere dopo una contrazione anomala fortissima. Ecco cosa succedeva quando ad un cuore fabbricato male si dava una stretta troppo dolorosa. Ecco perché le mamme degli altri bambini preferivano tenerli a debita distanza da Mary. Avevano paura della fragilità di quella bambina. Avevano paura che i loro bimbi si graffiassero con le schegge di quella bambola di porcellana, se per sbaglio fosse andata in pezzi. Bastava uno strattone, un litigio, anche un sobbalzo improvviso mentre giocavano a nascondino, e a loro sarebbe toccato spiegare ai figli cos’è la morte. Perché così presto? Perché anche i loro bambini avrebbero dovuto fare i conti, prima del tempo, con tutto questo? L’istinto materno genera compassione, ma può anche ucciderla e far crescere la paura... eppure a volte i bambini sono molto più bravi dei grandi. E capiscono tutto.

Come Ib che si era alzata, stando attenta a non svegliare il papà, ed era corsa in corridoio con i piedini nudi, per non fare rumore.

 

---

 

Essere uno specializzando significava tante cose belle, ma anche tante cose brutte. Tipo il turno di notte. Garry schiacciò il pulsante della macchinetta del caffè, che con uno sbuffo sordo gettò il liquido amaro nel bicchierino di carta. Senza zucchero, tanto non gli serviva per il gusto, ma per rimanere sveglio. Era stanco, ed anche un po’ sfiduciato. Era stata una nottata d’inferno. Dopo l’attacco della “bambina terribile” della stanza venticinque (adesso si sentiva un po’ in colpa, ad averla chiamata così...), c’era stato un bimbo nella camera numero quindici che aveva vomitato, rigettando anche tutte le medicine della sera, ed una bambina della camera ventidue che lamentava un improvviso mal di pancia. Lui quella sera riusciva a vedere solo facce stanche e disperate di genitori che avrebbero stretto tutta la notte la mano dei figli, in attesa di accertamenti che sarebbero arrivati, se tutto andava bene, la mattina dopo. Un ospedale intero non riusciva a stare al passo con le esigenze di un singolo reparto, e questo dava la percezione assoluta di quanto un singolo medico potesse essere irrilevante. Che differenza pretendeva di fare lui, con i suoi meschini tentativi di rendere tutto questo più “sopportabile”?

Uno strattone al camice. Il ragazzo sobbalzò ed emise un urlo spaventato. Il caffè creò una pozzanghera in terra, che si allargò di fronte ad un paio di piedini nudi che, comunque, non accennavano ad indietreggiare.

-Ehi, signorina, non dovresti essere qui. Fa freddo, rischi di ammalarti di nuovo, lo sai?-

Ignorandolo, le iridi cremisi della bambina lo soppesarono attentamente.

-Andrò a casa, è vero?-

-Certamente. Non devi più preoccuparti. Sei guarita e potrai tornare a cara presto.- la rassicurò Garry, posandole una mano sulla testa.

-Allora devo parlare con te di una cosa?-

-Davvero?- chiese il medico sgranando gli occhi. La bambina, per tutto quel tempo così silenziosa, adesso voleva parlargli. Era una situazione stranissima, che di certo non si sarebbe aspettato. Era passato tanto dall’ultima volta in cui un bambino gli aveva regalato di nuovo il piacere di sorprendersi...togliendo le sorprese non proprio piacevolissime di Mary. Si chinò, perché i loro visi fossero alla stessa altezza. Ib si sentì di nuovo avvampare. Per un momento le era sembrato che stesse per baciarle la fronte. Adesso le era venuta in mente un’altra cosa da dire...però...però non era così importante. Magari faceva in tempo, dopo...

-Però sarà meglio che prima ci asciughiamo, no?- chiese indicando i piedi di Ib.

-Si, ma non nella mia camera, altrimenti sveglieremo il mio papà.-

A Garry sfuggì una leggera risatina.

 

---

 

-Allora?- chiese di nuovo il dottore, dopo aver posato Ib sulla scrivania. La bimba allungò un pugnetto chiuso verso di lui.

-Cosa..?- chiese Garry, allungando a sua volta, istintivamente, la mano. Vi cadde una caramella al limone. Beh, in un certo senso se lo meritava. Dava per scontato che a tutti i bambini piacessero, così come dava per scontato di poter fare miracoli...era ora che qualcuno lo rimettesse a posto, al suo stesso livello.

-Grazie.-

-Non è per te. Per Mary.-

La logica dei bambini era strana, e si era abituato a non contraddirla.

-La caramella che mi hai dato mi ha guarita...devi dare anche a Mary le caramelle che fanno guarire.-

-Per la tua amichetta non bastano le caramelle, ci vogliono dei dottori molto bravi, ed io non lo sono ancora...non sono neanche un medico vero e proprio, in realtà. Vedi...è un po’ complicato..poi, hai visto anche tu che bella accoglienza che mi riserva...-

Ib di questi discorsi da grandi, un po’ complicati, aveva capito soltanto una cosa: perché quel dottore dai buffi capelli le faceva quell’effetto strano. Non era proprio grande grande, come gli altri. Era anche lui un po’ bambino...neanche lui sapeva ancora bene come maneggiare una bambola di porcellana. Però Ib sapeva che avrebbe fatto tanta attenzione, proprio per questo. Come era stato attento a far sentire meglio lei, ed era riuscito anche a renderla più felice, in qualche modo da grandi che ancora non capiva fino in fondo. Poco alla volta. E così si doveva fare con Mary. Adesso era ancora più convinta di quello che voleva dire.

-Puoi provarci? Puoi provare a farla stare bene? Se me ne vado e nessuno prova a farla stare bene, starà male di nuovo...-

-Ci proverò.- sospirò Garry.

-Promesso?-

-Si. Promesso.- disse, e ci credeva davvero.

-Posso dirti grazie?-

-Certo.-

-Però ti devi avvicinare un po’...-

Confuso, Garry si chinò verso Ib, che gli schioccò un bacio umido di saliva sulla guancia, per poi saltare da sola giù dalla scrivania e scappare via.

 

---

 

-Cattivo! Cattivo! Cattivo!-

Sotto lo sguardo allarmato dell’infermiera, Mary tentava l’omicidio di Garry con un coltellino di plastica che, fortunatamente, si era spezzato al primo colpo furioso del suo pugnetto. La mattina lei si era svegliata trovando il lettino bianco vuoto e rifatto, ma si era ostinata a far finta di non capire fino all’ora di pranzo. Gary era di turno quando, dalla porta della stanza venticinque, si erano sentite distintamente le proteste della piccola peste. “Finchè non torna Ib, io non mangio!”

-So che sei arrabbiata, ma devi calmarti o finirai per sentirti male...- disse Garry, cercando di bloccarla e di apparire autoritario. Non era esattamente il suo stile, ma era fondamentale che Mary smettesse di agitarsi, perché non avesse un altro attacco. Perché non stesse male di nuovo. Perché il ragazzo potesse mantenere la sua promessa.

-Perché hai portato via Ib? Perché?- strillava ancora, in quella che da una presa si era trasformata in una specie di abbraccio. Rigido e un po’ freddo, ma un abbraccio. Mary vi si dibatteva dentro, singhiozzando, fin quando non iniziò a sentirsi il fiato corto, e le forze non vennero meno. Appena possibile, il ragazzo la prese e la riadagiò sul lettino, iniziando a misurarle la pressione. Disse qualcosa all’infermiera che scomparve. Mary iniziò a piangere di nuovo, pensando che avrebbe dovuto fare un’iniezione.

-Non voglio...voglio Ib. Perché l’hai fatta andare via? Stupido!-

-Ib non poteva rimanere qui per sempre, ormai era guarita...- cercò di spiegare Garry, ora che la bimba sembrava disposta a parlare. Non lo guardava ancora in faccia, e rimaneva immobile, distesa sul lettino. Ma non scalciava, ed era già un notevole passo avanti. -Preferivi che Ib stesse ancora male?-

-Perché non posso uscire anch’io? Io...io voglio uscire...voglio anch’io una mamma...- mormorava, più a se stessa che al medico, tra un singhiozzo e l’altro. -Anzi...voglio il mio papà! Perché non posso guarire anch’io?-

Frasi sconnesse pronunciate sempre più a fatica, e che spezzavano il cuore. L’infermiera rientrò con il flaconcino richiesto proprio in quel momento, e si rivolse al ragazzo.

-Vedi...tutto quello che vuole davvero questa povera stellina, noi non possiamo darglielo...quindi sulle piccole cose cerchiamo di accontentarla...-

Silenzio. Poi Mary sentì qualcosa cadere nella sua manina e finalmente, vinta dalla curiosità, si voltò. Nel suo palmo c’era una caramellina al limone.

-Sai...Ib l’ha lasciata per te. Mi ha detto di dartela.-

-Davvero?- chiese debolmente Mary, sorridendo appena.

-Si e...beh, mi ha chiesto anche di farti guarire. Però...io non sono così bravo, quindi ho bisogno che tu mi dia una mano. Ti va se ci proviamo insieme, Mary?-

Gli occhietti azzurri di Mary lo stavano soppesando, sebbene già socchiusi dalla stanchezza.

-Hai proprio dei brutti capelli...-

-Lo so.- sospirò il medico.

-Solo perché ho promesso ad Ib...- mormorò alla fine la bimba, conciliante, stringendo a fatica il pugnetto attorno alla caramella al limone. Garry sorrise...in fondo lui avrebbe potuto dire lo stesso.

 

(3993 parole)

 

 

 

1 Si intende l’antipiretico, ossia un farmaco che abbassa la febbre.

  
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