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Autore: Cristal_Lily    02/12/2014    4 recensioni
- Non andartene - Sephira guardò Anne negli occhi, facendo un passo verso di lei. Per la prima volta in tutta la sua vita sentiva che non poteva starsene immobile senza fare niente, non poteva lasciarla andare.
- Devo farlo. Non posso restare qui, lo sapete bene - il sussurro della giovane dai capelli color del fuoco era fioco, delicato. Eppure lei non poteva semplicemente lasciarla andare, no. E avrebbe usato tutte le sue carte affinché non accadesse.
- Te lo ordino. Resta qui con me - disse dura, irremovibile. Sapeva che lei lo odiava, ma sapeva anche che non poteva dirle di no. Lei era la principessa. Anzi, oramai era divenuta regina. Nessuno poteva più dirle di no.
- Non lo fare Sephira. Non dopo tutto quello che abbiamo passato. Per favore - sussurrò piano, supplicandola ma lei non avrebbe desistito.
- No. Resterai. Troverò un modo. Risolverò tutto io. Fidati di me - cercò di essere il più rassicurante possibile e, alla fine, la giovane annuì, ubbidiente. Sephira sorrise e si avvicinò, carezzandole la guancia. Si, lei avrebbe risolto tutto. Poteva starne certa.
Genere: Fantasy, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shoujo-ai, Yuri, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Sovrannaturale
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Quel giorno faceva particolarmente freddo. 
Il cielo era grigio, ricoperto di grossi nuvoloni chiari. Presto sarebbe arrivata una tempesta, ne era certa. Se lo sentiva dentro. 
Ma non era dispiaciuta di ciò, quella era una manna del cielo in realtà, Anne non poteva che esserne grata. Finalmente quel caldo soffocante sarebbe stato lenito dall'arrivo del freddo invernale. 
Sfortunatamente nelle loro terre quello che un tempo veniva definito "inverno", in realtà non durava meno di un mese. Era il caldo a predominare la loro regione, creando forti siccità e carestia. Ecco perché erano settimane che pregava affinché la pioggia arrivasse. Non solo per lei, ma per tutto il popolo. 
Lo sguardo puntato al cielo, la fronte imperlata di sudore, la giovane sospirò appena prima di piegarsi nuovamente e tornare ad osservare quella porzione di pavimento che, oramai, brillava da quanto l'aveva lucidato. 
Perfezione. Ecco cosa richiedevano lì a palazzo.
Non poteva fermarsi troppo a lungo, altrimenti se ne sarebbero accorti. Non c'era possibilità di errore, un bel peso per le sue esili spalle.
Ma, alla fine, lei poteva ritenersi fortunata: molti non avevano la fortuna di avere un lavoro fisso. La paga non era il massimo, ma almeno riusciva a sopravvivere senza dover vivere lì a palazzo. 
Quasi tutte le ragazze infatti, generalmente, preferivano abitare sotto quelle alte e lussuose mura. Certamente i loro alloggi erano ben lontani anche solo dalla zona pubblica, quella ove risiedeva la nobiltà, ma erano pur sempre più belli di tutte le case costruite al di fuori della proprietà reale, ove la popolazione viveva. Spaziosi, caldi e confortevoli: un lusso che soltanto chi lavorava a palazzo si poteva permettere. 
In realtà i primi tempi ci aveva provato a vivere lì, assieme a tutte le altre ragazze, scoprendo così quanto meravigliosi fossero: letti caldi e morbidi, grandi ed ampie docce e cibo a dir poco delizioso. E non erano neppure minimamente paragonabili alle stanze della nobiltà. Oh, no, era totalmente un altro mondo, ma era pur sempre di quelle piccole stanzette fredde e umide ove viveva. Un sogno che praticamente nessuno del popolo poteva permettersi. Ma aveva capito che non era una cosa per lei, doveva tornare a casa. Non aveva la possibilità di stare troppo lontana, aveva una famiglia di cui occuparsi, come poteva stare fuori giorno e notte per tutta la settimana, tornando solamente una o due ore a settimana? No, non se lo poteva permettere. Ma non se ne lamentava. Come si ripeteva sempre, era fortunata. Non aveva bisogno di vivere nel palazzo per sentirsi soddisfatta o per credere di avere una vita migliore degli altri. Era una donna realista, al contrario di molte sue colleghe. 
Dalle labbra le uscì un lieve sospiro, doveva smettere di perdersi nei suoi pensieri, non poteva distarsi a pensare al tempo, aveva un lavoro da finire. 
Ancora un'ora e sarebbe tornata a casa. Non era tanto no? Sapeva che il suo turno sarebbe finito quando, allo scoccare dell'ora, sarebbero suonati sei rintocchi dalla pendola che aveva pulito quante volte quel giorno? Cinque, e soltanto perché Edmund, il capo cameriere, era convinto che lo avesse pulito male. 
Ma la colpa non era sua, la piccola Sophia - la sorella minore della Principessa - era una piccola peste e ogni qual volta che veniva pulito qualcosa lei ci metteva le dita sporche sopra. Oh, sapeva che non lo faceva con intenzione, semplicemente non capiva la fatica che lei e tutte le altre ci mettevano nel loro lavoro. Era una bambina, era normale per lei giocare, toccare le cose e combinare guai. Tutti i bambini in realtà lo facevano, ma la principessina aveva un'altro problema. Quale? Era estremamente viziata. 
Ma la colpa non era sua, era di tutti i suoi tutori e insegnanti che le lasciavano far tutto, senza mai rimproverarla. Era una cosa che accadeva spesso alle giovani ragazze di buona famiglia: non sapevano impartir loro una buona educazione. No, in realtà la loro educazione era ottima, erano dotate di un ottimo bon ton e di movimenti aggraziati, quasi angelici, eppure i loro caratteri..erano terribili. La principessina era solita a impartire ordini con la sua vocetta alta e soave, rivolgendosi alla servitù in modo brusco e arrabbiandosi quando qualcuno le diceva no, minacciando addirittura di far licenziare chi aveva osato chiederle di attendere un secondo. Tutti la odiavano, parlavano male alle spalle della piccola, ma lei no. Lei era una persona più riflessiva, sapeva che non era colpa della bambina in sé, semplicemente, le avevano fatto capire che poteva avere tutto anche solo con uno schiocco di dita.  Questo mai aveva fatto bene ad una persona, soprattutto se di una certa età. Non era in grado di capire che tutto quello fosse sbagliato e anche se certi suoi comportamenti la infastidivano, non aveva alcun diritto di lamentarsi. 
Tornò a pulire il pavimento dai toni del rosso e del verde ambra, quei grandi rombi in marmo pregiati, fin troppo delicati per essere anche soltanto guardati. Era sola in quel momento, nessuno c'era nei dintorni. Ecco perché, senza aprir bocca, canticchiava. Non amava farlo quando c'era qualcuno vicino a lei, anche perché generalmente loro dovevano essere silenti e sempre in perfetto ordine, eppure l'aiutava a far passare il tempo. 
Non che il lavoro non aiutasse, ne aveva talmente tanto che il tempo volava, letteralmente, e la cosa le piaceva molto. Quando lavorava lei riusciva ad estraniarsi, letteralmente. La sua mente si perdeva nei meandri dei suoi ricordi, o tra le sue fantasie di una vita differente e...si metteva semplicemente a lavorare. Anne trascorreva così ore e ore a pulire diligentemente mentre si immaginava in viaggio chissà dove. Anche quando c'era bisogno di concentrarsi lei si perdeva tra i suoi pensieri, non era distratta, semplicemente..impiegava il suo tempo in più modi. Non era tanto impacciata da non riuscire a compiere entrambe le cose contemporaneamente, era molto efficiente e nonostante non potesse sembrare, era molto attenta. 
Ecco perché quando ad un tratto un rumore di tacchi si fece sempre più vicino, Anne smise di canticchiare e abbassò il capo, bloccando le mani in segno di rispetto. Erano pochi quelli che nel palazzo giravano con i tacchi, e sicuramente non facevano parte della servitù. Sapeva che doveva essere qualcuno di importante. E quando qualcuno di importante passava, tutti dovevano interrompere qualsiasi cosa stessero facendo e inchinarsi, in segno di rispetto.
Rimase immobile con il capo chino, e si rese subito conto che quel ritmo era incalzante, duro e veloce. Non era la classica camminata, era..diversa dal solito. Ecco perché, forse quasi ingenuamente, alzò appena lo sguardo, incappando nella figura della principessa che, scura in viso, camminava frettolosamente, senza guardare niente e nessuno. 
Prima che la donna potesse rendersene conto, la giovane aveva già abbassato lo sguardo, senza guardarla nonostante fosse riuscita ad imprimersi in mente la sua figura alta e longilinea. A volte, la sua memoria fotografica, era una maledizione. Immagazzinava così tante informazioni visive che, spesso, la notte,  i suoi sogni erano affollati da scene assurde, senza senso e molto realistiche. 
E ora aveva fissato nella mente l'immagine della sua bellissima regnate. I lunghi capelli corvini erano neri come la notte più profonda, ed entravano in contrasto con quella pelle diafana e perfetta che possedeva. Gli occhi erano di un colore assai particolare, ognuno restava incantato dalla peculiarità di quello sguardo: uno era di un intenso blu, come gli oceani più profondi, mentre l'altro era color del ghiaccio, talmente chiaro che, se non fosse stato per il bordo più scuro attorno all'iride, quasi non si sarebbe notata la differenza con la sclera. Erano stupendi e molto apprezzati dagli artisti del paese, tutti desideravano ritrarli.
Era molto alta e snella, non indossava mai gli abiti delle nobildonne, o per lo meno, quando girava per il palazzo di rado l'aveva vista con le lunghe gonne e i corsetti che mozzavano il fiato alle donne dell'alta società. Preferiva vestirsi in modo più..maschile. Eppure, nonostante i pantaloni neri con quei fori sulle cosce legati soltanto con del nastro celeste, gli stivali alti in cuoio e la giacca in pelle finemente decorata, emanava una femminilità disarmante che lasciava spiazzati tutti. E che, soprattutto, faceva innamorare tutti di sé. Anche se dubitava che la regnante se ne rendesse conto. 
Non che Anne fosse rimasta abbagliata da tale bellezza, la regina era bellissima, ma lei non si perdeva a fantasticare su di lei come tutte le altre serve, o dalle donne e gli uomini dell'alta società, lei pensava soltanto al suo lavoro. 
E, parlando di esso, il pavimento doveva essere lucidato nuovamente. 
La principessa non doveva essere di buon umore, ma di rado lo era. Non doveva avere vita facile, e Anne immaginava che dovesse essere normale essere sempre sotto stress quando tutto il popolo dipendeva dalle sue mani. Anche in quel momento chiaramente non stava bene, lo capiva dal suo passo ora che le stava passando accanto con quella camminata frettolosa. La principessa era chiaramente distratta, tanto che il secchio pieno d'acqua che aveva al suo fianco, venne urtato dal piede della donna, bagnandole tutta la gonna, le calze e le calzature, oltre che il pavimento appena lucidato. 
Subito la regnante si bloccò di colpo e la giovane sentì su di se lo sguardo penetrante della donna, cosa che le fece provare un forte imbarazzo. 
- Dovresti stare più attenta a dove lasci la tua roba - disse duramente, sprezzante e alterata, immobile anche. Anne non si azzardò ad alzare lo sguardo, chiaramente mortificata, conscia che sì, la colpa era sua. A palazzo la colpa andava sempre alle domestiche, potevano anche essere state impeccabili, potevano essere prive di colpa, ma mai qualcuno si sarebbe anche solo azzardato a dare la colpa ad uno della nobiltà. 
- Mi scusi - sussurrò piano, afferrando lo straccio che, miracolosamente, era rimasto asciutto; iniziando così a pulire il pavimento inumidito dall'acqua sporca. 
- Ma dove li trovano questi soggetti? - sapeva che la principessa stava parlando tra sé e sé, ma ciò non tolse che si sentì estremamente umiliata. Lei viveva per quel lavoro, e non c'era nulla di peggio che deludere non solo il capo dei maggiordomi del palazzo, ma addirittura la principessa. 
Probabilmente, un'altra al suo posto, si sarebbe ritrovata a pensare che non era propria la colpa, probabilmente, finito il turno, si sarebbe lamentata con le altre serve perché veniva trattata in modo orribile, ma non lei. E non perché le piacesse sentirsi umiliata, ma semplicemente perché probabilmente aveva ragione. Il secchio era in mezzo al passaggio, non aveva pensato all'eventualità che qualcuno, passandoci accanto, vi andasse addosso. Era stata ingenua, e sapeva riconoscere quando, effettivamente, non era stata impeccabile. 
Forse a volte Anne tendeva ad essere troppo..servizievole e perfezionista, tutti glielo ripetevano. Troppo buona, troppo gentile e soprattutto troppo silenziosa. Lei non si fermava mai alla fine del turno per chiacchierare con le colleghe, lei svaniva nel nulla, lasciando tutti all'oscuro sulla propria vita, cosa che faceva parlare molto dietro alle proprie spalle. Non sapeva con esattezza cosa dicessero in sua assenza, ma era sicura che non era nulla di piacevole. Eppure lei non ci vedeva nulla di male in tutto ciò, amava avere la sua privacy, non poteva andare a parlare della propria vita privata soltanto per farsi accettare dalle sue colleghe. Era una cosa che mai avrebbe fatto in vita sua. 
La giovane sentì nuovi passi e alzò lo sguardo soltanto per osservare la regnante allontanarsi e voltare l'angolo, lasciandola nuovamente sola. L'umore era cambiato, si sentiva veramente in imbarazzo. Temeva, inoltre, che uno scherzo del genere le costasse il lavoro. A volte a palazzo erano estremamente severi, tanto da mettere il terrore un po' a tutti di errare. Una volta, ad esempio, una ragazza era stata cacciata perché aveva rotto una semplice tazza. Certo, non era stata una porcellana da poco: era antica, pregiata e raffinata. Una piccola opera d'arte da maneggiare con premura e attenzione, cosa che la donna non aveva avuto. Non erano permessi errori. 
L'idea la faceva rabbrividire, eppure non voleva pensarci. Per quanto fosse difficile togliersi dalla mente l'espressione infastidita della principessa, lei doveva sistemare il danno.
La giovane donna si alzò velocemente da terra, e prima di dirigersi verso il suo cestino in metallo e paglia intrecciato, si sfilò le calzature, abbandonandole, per un istante, a ridosso della parete per evitare di sporcare ulteriormente il pavimento.
Presi i nuovi stracci, la donna si premurò di asciugare e lucidare ove l'acqua sporca era scivolata, rendendo il tutto nuovamente lucido e splendente.
Cercò di fare veloce per impedire a qualcun altro di vedere il macello che aveva fatto e, nell'istante esatto in cui rialzò lo sguardo, sentì l'orologio suonare, annunciandole che il suo turno era finito. 
Sospirò di sollievo, alzandosi da terra attenta a non combinare nuovi disastri. Raccolse il cesto, le scarpe e gli stracci e, con grazia, si diresse verso lo spogliatoio ove posò tutta la sua roba e raccolse la sua borsa. 
Quel giorno si sarebbe cambiata a casa, infondo doveva lavare la sua divisa, dunque perché cambiarsi? No, preferiva correre a casa il prima possibile anche se, tecnicamente, non sarebbe stato accettabile. Nessuno poteva uscire vestito con la divisa in uso in palazzo, ma spesso, su quella regola, chiudevano un occhio. Le serve che lavoravano a palazzo dovevano mantenere una certa privacy, nessuno poteva sapere chi lavorava a palazzo, né i cittadini né i nobili all'interno del palazzo, ecco perché generalmente era meglio arrivare ed uscire con abiti comuni. Ma dato che spesso le mandavano fuori a fare qualche commissione, di tanto in tanto si poteva tornare a casa con la divisa, l'importante era che venisse ben coperta dal soprabito. 
- Ehi, Anne! Cosa ti è successo? L'abito è tutto bagnato! - la voce squillante ed invadente di Rinys la fece bloccare e voltare leggermente il capo, prima di puntare lo sguardo verso il basso ed osservare i propri piedi coperti soltanto da quelle strambe calze a righe bianche e nere, per non parlare dell'orlo del vestito in semplice pizzo nero che, per via dell'acqua, si era scurito ulteriormente e aveva perso la sua solita lucentezza. 
Solo dopo aver constatato per una seconda volta quanto fosse in disordine, rialzò lo sguardo e osservò la collega che, come sempre, aveva la divisa impeccabile. 
Il corpetto scuro era stretto al punto giusto, il bordo delle maniche in pizzo non era fradicio; così non erano tutti sgualciti come la gonna a palloncino indecentemente corta - che riusciva a mantenere la sua piega e la sua rigidità grazie alle stecche in ferro, scomode ma necessarie da quello che aveva detto loro lo stilista del palazzo - e il lungo nastro colorato che le arrivava alle ginocchia. Lei era perfetta, al contrario suo, tanto che le provocava un moto di fastidio per quel suo maledetto errore.  
- Nulla di che. Mi spiace ma devo andare a casa - le sorrise con gentilezza prima di sfilarsi la maschera rigida dal volto, infilandola nella borsetta prima di indossare il suo lungo cappotto beige, di terza mano, l'unico che si era potuta permettere. Lì a palazzo era divenuta regola oramai da anni dover indossare quella maschera per celare la propria identità, proprio per evitare che qualcuno sapesse chi avesse davanti. I nobili non dovevano interessarsi all'identità delle serve, e dunque loro indossavano quella creazione fatta da mille fili sottili in ferro e pizzo nero per impedire a tutti di vederle per bene in volto. Particolare e scomoda in realtà dato che riduceva notevolmente la loro visibilità, ma non era ciò che importava. L'importante era che fossero belle, eleganti e raffinate: la comodità era un fattore secondario. 
Sorrise alla collega, gentilmente, e le fece un cenno con la mano, per salutarla. Non voleva essere maleducata ma voleva veramente tornare a casa prima di fare qualche altro danno. 
- Come sempre eh? Ma prima o poi ti becco Anne, e non mi sfuggirai - disse scoppiando a ridere, facendole l'occhiolino prima di voltarsi e spogliarsi. 
La giovane colse quell'occasione per voltarsi e correre fuori prima che qualcun altro iniziasse a farle un interrogatorio. Per quanto potessero essere simpatiche, le cameriere lì dentro erano molto insistenti e, soprattutto, curiose. Volevano sempre sapere tutto e lei con quell'atteggiamento non si trovava a suo agio. Ecco perché scappava sempre via il prima possibile.
Anne non si voltò indietro sino a quando le alte mura non furono superate e ben lontane; soltanto allora decise di rallentare e iniziare a camminare per la città, diretta a casa. 
Alle sette di sera non c'era quasi nessuno, per lei era il momento perfetto per tornare alla propria dimora. 
Il cielo, quel giorno, non era stato limpido e, infatti, ora stava imbrunendo sempre più velocemente. I grossi nuvoloni erano sempre più vicini e minacciosi, ma non la preoccupavano. Era maggiormente interessata a guardare dritto di fronte a sé, senza badare gli ultimi mercanti che, dalle loro piccole bancarelle, cercavano di attirarla per farle comprare qualcosa. Fortunatamente non erano loro troppo molesti, se doveva essere sincera era molto più preoccupata dagli ubriaconi che, presi dai fumi e le sostanze alcoliche fin troppo utilizzati negli ultimi tempi, perdevano il senno e tendevano ad esagerare sempre. Ma per fortuna per lei era ancora presto, Anne usciva giusto in quell'orario in cui i malviventi erano ancora nei loro covi, mentre le persone comuni rincasavano, permettendole così di tornare a casa evitando la folla che, durante le ore diurne, brulicava costantemente per la città. Ammetteva che l'idea di stare in mezzo ad un grosso gruppo di persone la intimoriva, si trovava estremamente a disagio quando la gente l'attorniava e la sfiorava troppo, ecco perché preferiva sempre partire un poco prima la mattina, proprio per evitare quella situazione. Non era esattamente l'anima della festa, lei..era diversa da tutte le persone che vivevano nella loro grande città. 
Non aveva stretto amicizia con nessuno, non si fermava mai a chiacchierare con i passanti che cercavano di rivolgerle anche solo un semplice saluto, non usciva mai la sera per andare a bersi un sidro assieme a qualche amico. Era fatta così, e non aveva intenzione di cambiare soltanto perché la trovavano strana. Per sua sfortuna, i suoi lunghi capelli rossi attiravano molto gli sguardi altrui: era l'unica ad avere un colore di capelli tanto intenso e marcato da attirare l'attenzione. Dunque tutti sapevano chi era, di vista per lo meno. Era per quel motivo che generalmente usciva con i capelli raccolti, il più nascosti possibile, e il capo abbassato, lo sguardo che puntava verso i ghirigori creati dai colori differenti dei ciottoli che c'erano a terra.
Oh, la sua città davvero bella. Era un peccato non rimirarla sempre, lei l'amava. Aveva uno stile strano, diverso da quello che lei aveva udito dai forestieri che di tanto in tanto venivano a farsi un giro. Quella città era unica nel suo genere. 
Le strade in pietra particolareggiate per l'appunto da quei disegni che oramai lei conosceva a memoria, le case color sabbia a uno o due piani, decorate da mille ghirigori in ferro battuto, i grandi alberi potati affinché potessero creare forme particolari, innaturali in realtà..tutto quello rendeva la città quasi fatata. La notte, inoltre, era ancor più magica: era illuminata dai quei grandi lampioni in ferro battuto, molto belli e decorati, messi ai margini della strada: erano quasi più decorativi che utili dato che la luce era fioca e quasi del tutto inesistente. Per non parlare che quella era una delle poche città che poteva permettersi la corrente elettrica, cosa che la rendeva ancor più particolare agli sguardi dei forestieri. Ma quello che percorreva in quel momento, quella parte di città amata e conosciuta da tutti, non era altro che il quartiere ricco, ove i mercanti di lusso si appostavano strategicamente per poter ricavare il maggior guadagno, spillando al ceto medio-alto tutto il denaro che potevano, spacciando stoffe e oggetti come pregiati e rari.
Lei, invece, abitava nel quartiere più povero della città. Con il suo stipendio di certo non poteva permettersi quelle belle case singole a più piani, magari con un poco di giardino sul retro. No, lei abitava in una di quelle case popolari nel quartiere industriale, aveva un piccolo appartamentino in quelle case in pietra e ferro annerite dai fumi che, nonostante tutto, avevano un fascino tutto loro. Nessuno amava abitare lì, tutti sognavano di fare fortuna e potersi trasferire, quanto meno, in una casa più grande, ma era un pensiero che lei non approvava. Anne era felice di vivere lì, le piaceva casa sua. Certo, non era perfetta, mancavano molte cose, ma era casa, era quello che le importava. 
Sorrise mentre pensava alla sua piccola dimora e continuò con il suo passo spedito, attraversando quella piccola metropoli di pietra e ferro, senza guardare nessuno in viso, sino a quando finalmente non varcò il piccolo cancellato della sua casa. 
Fece i tre gradini per arrivare alla porta e l'aprì senza usare la chiave, non aveva alcun sistema di sicurezza, lei non temeva i ladri, cosa potevano portarle via? 
- Sono tornata - disse a voce alta, togliendosi lentamente il soprabito che posò sulla poltrona in paglia, proseguendo verso la piccola cucina da cui proveniva un profumino particolarmente invitante. 
- Oh, tesoro, ben tornata. Ma cosa ti è successo? - il viso paffuto di Clarinda spuntò fuori dalla cucina e Anne si bloccò di colpo, osservandola per un istante, sorpresa dalla sua presenza. Come sempre portava i lunghi capelli grigi raccolti in un'alta crocchia, e il vestito che indossava l'anziana signora era largo e sfatto. Ma nessuno in quel quartiere poteva permettersi i lussuosi vestiti, forse anche fin troppo esagerati, della classe borghese. 
- Nulla, cosa ci fai qui? - chiese alla vicina che si aprì in un grande sorriso prima di mostrarle un vasetto in vetro. 
- Ti ho portato un po' di marmellata di Giglio. Una delizia cara. E poi stavo facendo un po' di compagnia a Selina - le spiegò, facendola aprire in un tenero sorriso. Come sempre era molto gentile e la ringraziò con un sorriso mentre la donna dalle mani raggrinzite le carezzava il volto, in modo quasi materno. - E..tesoro? - la voce della donna si fece più bassa, lo sguardo che rifuggiva dietro di sé, ove una folta chioma arancione sembrava intenta a cucinare. - E' successo di nuovo. Sai che non mi piace farmi gli affari tuoi ma non credi che sia il caso di... - Anne bloccò con una mano il fluire delle parole dell'anziana signora e la guardò negli occhi, un sorriso amareggiato ma, al contempo, determinato, dipinto sul volto. 
- Grazie Clarinda. Ora ci penso io - la congedò, lasciando l'anziana signora dispiaciuta, ma lei non ce la faceva più ad ascoltare i suoi mille consigli, era stanca di sentirle dire quel che, a suo dire, avrebbe dovuto fare con la ragazza con cui divideva la casa. Accompagnò gentilmente Clarinda, aprendole la porta affinché potesse uscire dalla propria casa prima di avvicinarsi alla cucina e posarsi sullo stipite, lo sguardo posato sulla giovane fanciulla che sembrava completamente concentrata sul grande pentolone che aveva di fronte. 
Lei non voleva i consigli di nessuno. Non ne aveva bisogno. Doveva soltanto trovare le forze per andare avanti. Solo quello.

 

* * *


Eccomi qui con una nuova storia. Lo so, sono fuori dato che ne ho altre bloccate, ma di queste ne ho già un po' di capitoli pronti e..beh, mi piace parecchio. 
E' diversa dal mio solito, cioè, è sempre romantica, ovviamente, ma ha un ambientazione sul fantasy, e diciamo che la storia romantica non sarà fin da subito al primo posto, ci sarà..una trama leggermente più complessa - almeno lo spero XD -
Che altro posso dire? Spero che vi piaccia, se vi va di lasciare qualche recensione, sono sempre ben accette, anche per capire se vi può piacere questo genere XD 
Alla prossima ;)

  
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