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Autore: _Aras_    03/12/2014    1 recensioni
I sentimenti che uniscono Allie e Thomas hanno cominciato a farsi sentire proprio mentre erano ai lati opposti dell'Europa e ora che sono di nuovo vicini devono scoprire se possono creare una relazione duratura.
I sentimenti di Dafne e Michael sono nati improvvisamente quand'erano insieme, ma il loro tempo era limitato e, ora che sono ai lati opposti dell'Europa, devono tentare di andare avanti e dimenticarsi.
I sentimenti di Alice invece sono bloccati, nascosti sotto una cortina di timidezza e paura che le impedisce di essere felice. Riuscirà a uscirne, con l'aiuto di un'amica?
Dal capitolo 5:
«Com’è andata la tua sessione di studio?»
«Abbastanza producente, anche se ogni tanto tendevo a distrarmi» rivelò, avvicinandosi appena a lei.
«Forse dovresti prendere del… come si chiama quella cosa che aiuta ad aumentare la concentrazione?»
«Fosforo?» ipotizzò Thomas. «Non credo sarebbe utile nel mio caso.»
«No?» lo stuzzicò lei, sorridendo.
Lui scosse la testa. «Avrei bisogno di qualcosa di più… umano» disse, mentre le posava una mano sul collo con un tocco delicato. Allie abbassò appena gli occhi, osservando la misera distanza che li separava e avvertendo il calore della sua pelle irradiarsi in lei.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
Capitoli:
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cap 14
Bolle di felicità

A story of everyday life







Capitolo 14

Thomas si portò una mano sugli occhi e sbuffò, irritato dal fatto di essere stato svegliato dall’unica striscia di luce che penetrava dalle fessure della tapparella. Voltò la testa verso destra, ritrovandosi davanti i capelli arruffati di Allie. La ragazza stava dormendo al suo fianco, rannicchiata contro di lui.

Sospirò, ripensando a ciò che era successo quella notte.

«Credo proprio di amarti.»

Aveva pronunciato quelle parole senza nemmeno pensarci, erano uscite dalla sua bocca veloci e incontrollate. Allie si era bloccata per un attimo, sembrava raggelata mentre lo fissava negli occhi senza dire nulla. Fu uno sguardo lungo, intenso, infinito. Ciò che aveva detto era vero, lo sentiva in fondo al suo cuore, sapeva che non si stava sbagliando. Tuttavia, sapeva anche che non era ancora il momento per una tale dichiarazione. La loro relazione era ancora troppo recente per un simile passo, non riusciva a capire come gli fosse passato per la testa di dire esprimere quel pensiero ad alta voce.

Lei non aveva risposto, nessuna replica a quelle parole se non un eterno minuto di silenzio e poi un bacio, con cui voleva farsi perdonare. Avrebbe potuto ribattere con il tipico «Anche io», ma non sarebbe stato onesto e non poteva mentirgli, non voleva. Così aveva lasciato parlare i suoi occhi, sperando che trasmettessero il messaggio.

Ti voglio bene, ma non so se ti amo già.

Forse.

O forse no.

Forse in futuro.

No, sicuramente in futuro.

Probabilmente già adesso inizio ad amarti un po’.

Ma come si fa a sapere quand’è davvero amore e quando invece è solo un’infatuazione?

Quel silenzio gli aveva fatto male, ovviamente, ma la ferita si era risanata in fretta. L’iniziale sofferenza dovuta al fatto che la sua dichiarazione – per quanto involontaria – non era stata ricambiata fu sostituita dalla consapevolezza che non era stata nemmeno respinta. Perché non era tutto bianco o nero. Non era solo una scelta tra amore e non-amore. Si trattava di un sentimento importante, il più forte di tutti; un’emozione che cresce piano piano e con tempi diversi in ogni persona. Sapeva di non essergli indifferente, lo leggeva a chiare lettere nei suoi occhi. Sapeva che lei gli voleva bene, che teneva a lui, che il suo non era un affetto a senso unico. Aveva solo bisogno di un po’ più di tempo.

Così aveva risposto al suo bacio, accettando quella manifestazione al posto delle parole.

Anche in quel momento la stava baciando. Scivolava con le labbra lungo la sua guancia, accarezzandole il braccio nudo posato sopra il lenzuolo con la punta delle dita, incurante del fatto che fosse appena l’alba e Allie avesse voglia di dormire ancora.

La sentì risvegliarsi sotto le sue carezze, muovendo lentamente le membra per stiracchiarsi, e la vide sorridere mentre avvertiva i suoi baci.

«Buongiorno» mormorò Allie, aprendo gli occhi.

«Buongiorno» la salutò, prima di stringerla a sé e affondare il volto tra i suoi capelli.

«Hai dormito bene?» Lo sentì annuire, ma non poté trattenersi dal continuare, divertita. «Sei sicuro? Mi sembri un po’ rigido.»

Thomas ridacchiò e si allontanò da lei per poterla guardare in viso. «È mattina» rispose, alzando le spalle.

Non si aspettava una tale reazione da Allie – ci sperava, ma non credeva che lei si sarebbe davvero comportata così – e si sorprese quando, lanciata un’occhiata alla sveglia al suo fianco e appurato che era ancora presto, si sollevò e si sedette a cavalcioni su di lui.

Si chinò per baciarlo, scacciando con una mano i capelli che si intromettevano tra loro. Quell’aspetto di Allie era nuovo per lui: doveva ancora abituarsi alla sua passionalità e intraprendenza. Le sfilò la maglia che aveva indossato per dormire con un gesto rapido, prima di racchiudere il suo seno nelle mani e tornare a baciarla con vigore ancora maggiore.

«Tom» ansimò Allie, voltando la testa per poter parlare. Non era facile articolare una frase sensata con le labbra di Thomas che lasciavano baci infuocati sul suo collo. «Aspetta» lo pregò, cercando di trovare le parole adatte, ma senza riuscirci. Sapendo che quella richiesta non era dovuta a un ripensamento – non avrebbe avuto un simile tono di voce, in quel caso – Thomas non le badò e continuò a scendere, finché le sue labbra non presero il posto delle mani.

«Ieri sera» continuò Allie, chiudendo gli occhi per il piacere. «Io non volevo-»

Fu interrotta dal movimento brusco di Thomas, che aveva invertito le posizioni schiacciandola sotto di sé e tappandole la bocca con la sua.

«Shh» mormorò lui, guardandola negli occhi. «Possiamo parlare dopo?» domandò, scostando le mutandine con una mano. Allie annuì, pensando che se non aveva fretta di affrontare l’argomento probabilmente non era rimasto molto ferito dal suo silenzio. O forse, rifletté infilando la mano nei boxer, era solo troppo eccitato per fermarsi a discutere.

Con qualche manovra, resa difficile dal loro tentativo di non allontanarsi, riuscirono a liberarsi della biancheria. Stava per accadere, erano pronti e frementi d’eccitazione, le mani intrecciate e le labbra alla costante ricerca delle loro compagne, quando un pensiero si presentò come un lampo nella mente di Thomas e il giovane imprecò.

«Non ho un preservativo» disse, guardandola e sperando che lei fosse più fornita di lui. Allie lo fissò in silenzio per qualche istante prima di sospirare frustrata. «Nemmeno io.»

Non aveva mai avuto bisogno di comprarne, se n’era sempre occupato il ragazzo che frequentava. Thomas sbuffò, stendendosi al suo fianco con le braccia incrociate dietro la testa. Allie respirò a fondo, fissando il velo teso sopra al baldacchino del letto.

Aveva un’idea.

Non era una cosa che amava fare, le era successo solo un paio di volte in passato, ma in quel momento non riusciva a trovare una ragione per non farlo.

Si girò su un fianco, il gomito puntato sul cuscino e una mano a sostenerle la testa, mentre con l’altra accarezzava lievemente il ventre di Thomas. Il ragazzo la guardò, spostando per un attimo lo sguardo per seguire i suoi movimenti.

«Tom» lo chiamò, con un sorriso provocante sul volto. Tom. Era stato naturale passare a quel nomignolo la sera precedente, mentre il suo respiro spezzato le rendeva difficile parlare. «Non corro rischi, vero?» domandò, avvicinandosi alle sue labbra.

«Allie?» La osservò, quasi incredulo, augurandosi con tutto il cuore di non aver capito male. I suoi occhi, luminosi e invitanti, sembrarono confermare il pensiero che le sue parole avevano suscitato. «No» rispose, accogliendo il bacio che lei stava per dargli. «Nessun rischio» le assicurò.

«Bene» soffiò Allie, prima di scendere a piccoli passi a baciargli il pomo d’Adamo, quel punto delicato alla base del collo, il torace, rincorrendo la mano che giocava sul suo basso ventre. «Sarebbe stato un peccato.»

*

Dafne, sentendo una vibrazione al suo fianco, immerse la mano nella borsa ed estrasse il cellulare. Lo schermo illuminato le indicava l’arrivo di un nuovo messaggio. Accavallò le gambe e cercò di nascondere le sue azioni alla vista del professore che stava spiegando, appoggiato alla cattedra. Non credeva che l’avrebbe richiamata, non credeva nemmeno che gli interessasse ciò che stava facendo, ma era il suo primo giorno di università e farsi beccare già distratta non sarebbe stato un buon inizio.

Era un sms di Michael.

Buongiorno :)

È arrivata la webcam nuova, quando posso farmi perdonare l’interruzione di ieri?

Si morse il labbro inferiore per trattenere un sorriso e si affrettò a controllare l’orologio per poter digitare una risposta. La lezione sarebbe finita nel giro di un quarto d’ora e poi sarebbe potuta tornare a casa.

Ciao :)

Tra un’ora sono tutta tua!

Un breve colpo di tosse dietro di lei la fece sussultare. Gettò velocemente il telefono nella borsa e si voltò, trovandosi a fissare il volto già noto di un giovane uomo. Lo ricordava bene: ventisei anni, occhi verdi, barbetta curata, probabilmente di ritorno da un recente viaggio in Brasile.

Lui le sorrise, prima di indicarle con un cenno del capo di rivolgere l’attenzione al professore. Dafne si risistemò sulla sedia, le guance in fiamme, e osservò l’uomo in fondo alla sala in modo quasi maniacale per evitare di essere nuovamente richiamata da quello che doveva essere il suo assistente.

Non credeva fosse uno studente, sarebbe stato fuori corso di circa sei o sette anni. Aveva l’età giusta per essere il suo assistente, il tipico sapientone che l’avrebbe tormentata agli esami ora che aveva il potere di trovarsi dall’altra parte della cattedra. Si accorse che la lezione era finita solo quando una ragazza la superò per uscire dall’aula e allora si sollevò anche lei, timorosa di voltarsi ma consapevole di non poterlo evitare.

«Buongiorno» la salutò lui, impedendole di seguire il desiderio di scappare.

«Buongiorno» ripeté, facendo un mezzo giro su se stessa per vederlo. Gli rivolse un piccolo sorriso, quello che usava da bambina per fingersi innocente davanti ai suoi genitori quando aveva combinato un guaio. Non aveva mai funzionato e nemmeno in quel momento sembrava farlo.

«Non ti interessa il corso?» le domandò, salutando con un cenno del capo il professore che se ne stava andando.

«Sì, certo che m’interessa. È stato solo un attimo…» Non seppe come concludere la frase, ma d’altronde non le risultò neppure necessario, perché le sue labbra si spalancarono in un sorriso divertito. La stava prendendo in giro.

«Credo sia arrivato il momento di presentarci, che dici?» propose. «Harry.»

«Dafne» disse, stringendo la mano che le stava porgendo. «Sei l’assistente del professore?» chiese, incuriosita.

Lui annuì, notando che non sembrava contenta della notizia. «Perché hai quell’espressione?»

«Non mi farai pesare il fatto di averti rifiutato senza nemmeno conoscerti, vero?» domandò, ridendo, anche se in fondo quella possibilità la spaventava un po’.

Lui negò, scuotendo la testa, prima di rassicurarla. «L’hai fatto perché sei innamorata. Gran parte della letteratura parla d’amore, di sentimenti e di scelte che talvolta non si possono contrastare. Se ti maltrattassi per il modo in cui hai agito, vorrebbe dire che non ho capito niente di tutto ciò che ho studiato.» Poi, lanciando un’occhiata alla borsa che stringeva sotto il braccio, chiese: «Era lui?»

«Sì» confermò Dafne, prima di accomiatarsi. «Scusa, ora devo andare. Ci vediamo» lo salutò, sorridente, mentre iniziava già a dirigersi verso la porta.

«A presto» annuì lui, allontanandosi verso la cattedra.

Dafne s’incamminò verso casa, riflettendo sulla verità di quel vecchio detto secondo cui il mondo è bello perché è vario. Harry – ora sapeva il suo nome – aveva subito accolto il suo rifiuto, comprendendone le ragioni e augurandole la felicità. Nicholas, il fratello di Alice, aveva invece tormentato Allie finché non aveva provocato una scenata prima di capire che le sue avances non erano gradite. Michael… beh, Michael non si poteva paragonare a nessuno dei due. Lui non era stato rifiutato, anche se aveva tentato – inutilmente, proprio come lei – di rifiutare l’attrazione che li univa e che alla fine aveva vinto.

Sua madre stava già spadellando per la cena di quella sera, ignara dell’annuncio che l’attendeva. «Com’è andata l’università?» le domandò, sentendola rientrare.

«Bene» rispose, senza perdersi in lunghi convenevoli. «Più tardi scendo ad aiutarti, ora devo fare una cosa» le disse, mentre saliva le scale.

Si chiuse in camera e aprì il computer, approfittando del tempo necessario all’accensione per cambiarsi in abiti più comodi. L’applicazione che aveva scaricato appositamente per le videochiamate e che conteneva solo l’email di Michael l’avvisava, con un pallino verde, che il ragazzo era già connesso. Diede il via alla chiamata, sedendosi sulla sedia e sistemando la webcam perché le inquadrasse il viso. Dopo un paio di secondi sullo schermo spuntò una nuova finestra e, al suo interno, il volto sorridente di Michael.

«Ciao» lo salutò, gli occhi che brillavano di felicità ora che finalmente lo rivedeva.

«Wow!» La sua esclamazione la fece ridere e le parole pronunciate dopo la portarono ad abbassare gli occhi, colpita. «I miei ricordi non ti fanno giustizia. Sei bellissima.»

Anche lui era bellissimo, ma non ebbe la forza di dirglielo. Si perse a fissare i suoi occhi che, nonostante la modesta risoluzione che la telecamera permetteva, l’attiravano come per magia. Erano occhi grandi, invitanti, gentili. «Mi fai una giravolta?» le domandò, senza perdere il sorriso.

«Cosa?»

«Su, fatti vedere» la pregò.

Dafne sospirò, sebbene quella richiesta le facesse piacere, e si alzò, spostando la sedia e allontanandosi di qualche passo cosicché la webcam la inquadrasse tutta. Si alzò in punta di piedi e compì una piroetta, poi riportò gli occhi sullo schermo. «Contento?» chiese mentre si avvicinava e si sedeva di nuovo.

Michael annuì, appoggiando il mento sul palmo della mano e fissando direttamente l’obiettivo, tanto intensamente che a Dafne sembrava di averlo davanti a sé. Dafne non parlò, persa per un attimo a ricambiare quello sguardo.

«Perché sei così silenziosa?» le domandò, abbassando gli occhi per osservare la sua figura sulla finestra della videochiamata.

Dafne scosse la testa, ricacciando indietro le lacrime che minacciavano di uscire, gli occhi già umidi. Sbuffò prima di rispondere: «Sto diventando ripetitiva.»

«Perché?»

«Mi manchi» ammise, alzando le spalle, rassegnata ormai a quell’emozione che la colpiva ogni volta che gli parlava e che tuttavia non avrebbe voluto abbandonare, perché se era il prezzo da pagare per risentire la sua voce e rivedere il suo volto, era disposta a conviverci.

«Anche tu mi manchi, lo sai» rispose, prima di rilasciare un lungo sospiro. «Perché ci siamo messi in questa situazione?» domandò, forse a se stesso, passandosi le mani sulla faccia.

«Perché siamo amici speciali?» propose Dafne, ricordando l’assurda definizione con cui avevano tentato di spiegare ciò che li legava. Michael rise, annuendo. Il suo sguardo cadde sullo sfondo che s’intravedeva dietro Dafne e, un po’ per cambiare discorso e un po’ per pura curiosità, chiese: «Mi fai vedere la tua stanza?»

«Non c’è molto da vedere» lo avvisò, mentre staccava il cavo del caricabatteria e prendeva in mano il computer, ruotandolo lentamente di trecentosessanta gradi. E davvero la sua stanza non era nulla di speciale. Pareti di un colore che pareva indefinito, forse per colpa della cattiva risoluzione, un letto che a occhio e croce doveva essere di una piazza e mezza, un armadio, un comò e una scrivania sormontata da tre mensole piene zeppe di libri.

«Tu dove sei?» Vedeva, dietro la sua testa, un colore simile all’azzurro chiaro, ma non capiva a cosa corrispondesse.

«Al ristorante di mia madre» rivelò, scostandosi per permetterle di vedere l’ambiente. «Dà sulla spiaggia.» Quel colore pallido era il cielo, che si stagliava soleggiato e privo di nubi sul mare mosso e di un blu più intenso. Un panorama meraviglioso che rimpiangeva fortemente.

«Non lavori oggi?»

«Solo nel pomeriggio» la informò, prima di tornare a insistere sull’argomento che avevano toccato anche la sera precedente. «Forza, mandami quest’email. La leggo in diretta.»

Dafne rifiutò, scuotendo la testa. «Te la mando» concesse, aprendo la cartella che conteneva i suoi scritti. «Ma leggila più tardi, quando hai del tempo.»

«Perché?» domandò, senza comprendere il motivo di quella sua richiesta.

«Così non dovrai fingere che ti piaccia, avrai il tempo per inventare una scusa» scherzò, studiando l’elenco dei file per scegliere quale mandare.

«Allora ti farò sapere che ne penso la prossima volta» rispose, risparmiandosi la solita critica alla sua bassa autostima.

«Mandata» lo informò, tornando a guardarlo.

«Stasera avremo ospiti a cena» esordì, cominciando a raccontare della decisione di Allie e Thomas di rendere pubblica la loro relazione e del ruolo di mediatrice che avrebbe dovuto assumere in caso di complicazioni.

*

Dafne lanciò uno sguardo tra il divertito e il compassionevole a Thomas, che se ne stava seduto tutto impettito sul divano mentre lei finiva di apparecchiare la tavola. Aveva indossato una camicia azzurra, quella che portava solo per le grandi occasioni, e si era pettinato con cura i capelli. Il risultato era un ragazzo visibilmente agitato, racchiuso in un’immagine che non gli si addiceva per niente. Posò gli ultimi piatti e gli si avvicinò, sedendosi accanto a lui.

«Agitato?» domandò, sorridente, prima di passargli una mano tra i capelli per scompigliarli un po’.

«No, che fai!» la bloccò, afferrandole il polso, ma ormai era troppo tardi.

«Come ti sei conciato?» lo rimproverò, riprendendo a spettinarlo con l’altra mano. «Non essere ridicolo, ti conoscono da sempre, non hai bisogno di impiastricciarti i capelli per fare buona impressione. Anzi, con ogni probabilità peggioreresti le cose.»

Quando lui lasciò la presa, sospirando, passò all’altro problema. «E questa camicia? Non è che se te la abbottoni tutta ti rende invisibile» continuò, slacciando i primi bottoni dato che l’aveva chiusa completamente, risultando quasi strozzato dal colletto.

Una volta che ebbe finito, Thomas si lasciò andare all’indietro, appoggiandosi scompostamente allo schienale.

«Perché sei così agitato?»

«Stiamo dando per scontato che a loro questa notizia piacerà, ma niente ce lo assicura» le fece notare. «Magari suo padre tenterà di farmi fuori.»

Dafne rise a quell’idea, rialzandosi. «Lo diamo per scontato perché è esattamente ciò che succederà. Non farti troppe paranoie» lo ammonì, dirigendosi in cucina per andare a prendere le bottiglie da portare sulla tavola. Stava per varcare la soglia della stanza, quando si udì il suono del campanello.

«Vai tu?» gli domandò, invitandolo con un sorriso e un cenno del capo ad alzarsi, prima di riprendere il suo compito.

Non era necessario quell’incoraggiamento, perché al rumore Thomas era balzato in piedi e aveva preso a sistemarsi la camicia, avvicinandosi all’ingresso.

Fece un respiro profondo e aprì la porta, trovandosi davanti il volto allegro di Susanne e, dietro di lei, quello leggermente più burbero di suo marito James.

«Ciao, Thomas. Come stai?» gli domandò la donna, mentre entrava in casa. «È passato un bel po’ di tempo dall’ultima volta che ti ho visto» ricordò.

«Sto bene, grazie» rispose lui, con un sorriso garbato stampato in faccia. «Voi? Immagino che il lavoro vi tenga molto impegnati.»

«Non c’è mai un momento di pace» annuì Susanne, prima di ricordarsi che il giovane sognava di seguire la loro strada. «Ma non preoccuparti, tra qualche anno arriverà anche per te il momento» gli disse. Lui non capì se il suo era stato un tentativo di incoraggiamento o una semplice constatazione, ma la informò del fatto che proprio quell’anno avrebbe dovuto iniziare un periodo di tirocinio.

«Se capiterai da noi, magari ti facciamo fare un giro. Vero, James?»

L’uomo sembrò riscuotersi all’udire il suo nome, probabilmente non si era riposato abbastanza dopo il turno di notte. Accennò una risposta con un movimento del capo, prima di replicare, rivolto a lei: «Non credo che lo facciano iniziare da Chirurgia d’Urgenza, non sopravvivrebbe alla prima giornata.»

Thomas spostò lo sguardo su Allie che gli stava sorridendo, nascosta alla vista dei genitori. Trattenne un sospiro disperato a quelle parole, che non sembravano promettere molto bene. Mentre i due coniugi avanzavano, salutando suo padre e Dafne, lui ne approfittò per avvicinarsi furtivamente a Allie e lanciarle un’occhiata carica di significato.

Le domande che gli riempivano la testa: Perché glielo stiamo dicendo? Stavamo tanto bene in segreto… Se poi non saranno contenti di ciò che diremo?

Ma anche l’amore che ormai aveva confessato e che la dichiarazione che avrebbe dovuto fare avrebbe confermato, l’attrazione sempre più forte che li univa, la passione che dopo la notte appena trascorsa conoscevano.

«Ciao» la salutò, limitandosi all’unica parola che gli era concessa al momento.

«Ciao» ricambiò, sfiorandogli la mano con la sua mentre lo superava e raggiungeva Dafne.

*

«Certo, i giovani di adesso sono diversi da com’eravamo noi alla loro età. Sono sempre in giro, stanno fuori fino a tardi e delle volte non rientrano nemmeno. E non possiamo neppure arrabbiarci, perché sono maggiorenni e s’impuntano sul loro diritto di fare ciò che vogliono.»

Nessuno aveva immaginato che la cena sarebbe stata accompagnata da simili discorsi. Non era certo la premessa migliore per l’annuncio che avrebbero dato a minuti. I quattro genitori, capitanati da Martha, stavano ribadendo la crisi di valori che sembrava aver colpito i loro figli e più in generale la loro generazione, indifferenti al fatto che si trovassero proprio vicino a loro. Stranamente, la donna non aveva mai tentato di suggerire una relazione tra i due giovani innamorati, cosa che non aveva dimenticato una sola volta in passato.

Thomas, tutt’altro che tranquillo all’udire quella conversazione, si era sbottonato i polsini della camicia e aveva ripiegato le maniche fino al gomito, accaldato. La cura con cui si era preparato sembrava essere stata dimenticata, sovrastata dalla preoccupazione sempre più seria per una reazione infelice.

Allie, seduta davanti a lui, cercava inutilmente di calmarlo con la sola forza dello sguardo e delle frasi che, apparentemente dirette a Dafne, gli rivolgeva.

«Ma prima o poi metteranno la testa a posto e capiranno che non possono continuare così. Certo, nemmeno noi eravamo dei santi, ma avevamo divertimenti più sani. Ve le ricordate le partite a bowling e le giornate al luna park? Quanto tempo abbiamo passato sulla ruota panoramica? E i falò in spiaggia? Ora pensano solo a saltare in discoteca e ubriacarsi nei pub!»

Martha continuava convinta con il suo sproloquio, chiaramente ignara del modo in cui occupavano il tempo i suoi figli. Sì, passavano effettivamente delle nottate a ballare, ma non avevano nemmeno dimenticato i parchi divertimento, le passeggiate tranquille sulla battigia e il semplice piacere di passare del tempo con le persone amate.

Stanco di sentirla parlare e di tormentarsi sulle loro possibili reazioni, Thomas si alzò in piedi, richiamando il silenzio con un colpo di tosse.

Rimase per un momento in silenzio, fissato da occhi incuriositi. Allie, seppur con un sorriso incoraggiante sulle labbra, tratteneva il fiato. Respirò a fondo e parlò, con lo sguardo puntato su di lei.

«Ho… Abbiamo» si corresse, sorridendo, «una cosa da dirvi. Forse vi sembrerà strano, forse non ci crederete nemmeno perché effettivamente non ce lo aspettavamo neanche noi. Io e Allie ci conosciamo da sempre, e il nostro rapporto è stato un po’…» s’interruppe, alla ricerca della parola giusta per descrivere i continui alti e bassi che aveva vissuto.

Ricordò sé stesso, da bambino, rincorrerla per tirarle le codine in cui aveva raccolto i capelli.

Ricordò che, da ragazzino, la stuzzicava e la prendeva in giro inventando difetti che non aveva, perché l’aveva sempre trovata bellissima.

Ricordò i primi orribili approcci che aveva tentato, quando ormai aveva capito che provava una simpatia speciale per lei.

Ricordò il sorriso costante sulle sue labbra, quel sorriso che resisteva a ogni agguato e che lo rassicurava, perché talvolta si comportava talmente da stronzo da fargli temere che lei lo odiasse. Il sorriso che aveva anche in quel momento, mentre s’intrometteva per dargli un suggerimento.

«Contrastante?»

«Contrastante» annuì, riprendendo a parlare. «Probabilmente avevamo bisogno di un po’ di distanza che ci permettesse di conoscerci e allo stesso tempo ci impedisse di saltarci addosso.»

Si rese conto dell’interpretazione sbagliata che potevano avere quelle parole con un attimo di ritardo, quando sentì sua sorella, al suo fianco, trattenere una risata.

«Cioè, che ci impedisse di battibeccare di continuo. La vacanza di Allie e Dafne ci ha dato questa possibilità e durante quei giorni qualcosa è cambiato. Al loro ritorno tutto sembrava diverso. E ora…» sorrise, riportando lo sguardo che aveva lasciato vagare per la sala su di lei. «Ora stiamo insieme.»

Alla sua voce, che si affievolì pian piano nella mente dei presenti, seguì un silenzio che parve infinito. Il sollievo che credeva avrebbe provato una volta terminato il suo annuncio non arrivò, era ancora troppo insicuro data la passività dei loro genitori. Non osava guardarli, non voleva farlo. L’unica cosa sicura in quella stanza era lo sguardo di Allie, da cui non voleva staccarsi.

Dopo quella che parve un’eternità, un rumore simile a un soffio ruppe la quiete. Poi una risata, breve e spezzata, che prese una nota gioiosa. Martha stava osservando suo figlio, felice, orgogliosa, ridente, probabilmente pronta a far partire un applauso. Il suo «finalmente! Sapevo che sarebbe arrivato questo momento» risvegliò anche gli altri. Susanne sorrise ai due ragazzi, alzando il bicchiere di vino in un brindisi silenzioso, che Dafne rese esplicito.

«A Thomas e Allie» disse, imitando il gesto della donna. Thomas si sedette e afferrò il suo bicchiere, gli occhi puntati in quelli della ragazza che aveva davanti. Solo James non si unì al brindisi, mantenendo un tono più basso e ripetendo controvoglia la frase. Furono chiare, invece, le parole che rivolse alla moglie, senza curarsi di abbassare il tono per non farsi sentire da Thomas. O forse – probabilmente – lo fece apposta.

«Ripensandoci, non sarebbe male averlo come recluta in reparto.»

Buongiorno :)

Siamo alla fine, manca solo l’epilogo, che arriverà – credo, perché quel giorno potrei avere un esame e non vi assicuro nulla – mercoledì 10 dicembre.

Vi ringrazio per essere giunti fino a qui, spero di non avervi delusi.

Vi lascio uno spoiler, l’ultimo:

Quando aprì la luce della camera, il suo cuore perse un battito per lo spavento. Davanti a lei, agghindate, eleganti e totalmente inaspettate, stavano Allie e Dafne.
«Tanti auguri, Alice!» esclamarono, sorridenti, baciandole le guance.

   
 
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