A story of everyday life
Capitolo 14
Thomas si
portò una mano
sugli occhi e sbuffò, irritato dal fatto di essere stato
svegliato dall’unica
striscia di luce che penetrava dalle fessure della tapparella.
Voltò la testa
verso destra, ritrovandosi davanti i capelli arruffati di Allie. La
ragazza
stava dormendo al suo fianco, rannicchiata contro di lui.
Sospirò,
ripensando a ciò
che era successo quella notte.
«Credo
proprio di amarti.»
Aveva
pronunciato quelle
parole senza nemmeno pensarci, erano uscite dalla sua bocca veloci e
incontrollate. Allie si era bloccata per un attimo, sembrava raggelata
mentre
lo fissava negli occhi senza dire nulla. Fu uno sguardo lungo, intenso,
infinito. Ciò che aveva detto era vero, lo sentiva in fondo
al suo cuore,
sapeva che non si stava sbagliando. Tuttavia, sapeva anche che non era
ancora
il momento per una tale dichiarazione. La loro relazione era ancora
troppo
recente per un simile passo, non riusciva a capire come gli fosse
passato per
la testa di dire esprimere quel pensiero ad alta voce.
Lei non aveva
risposto,
nessuna replica a quelle parole se non un eterno minuto di silenzio e
poi un
bacio, con cui voleva farsi perdonare. Avrebbe potuto ribattere con il
tipico «Anche io»,
ma non sarebbe stato onesto
e non poteva mentirgli, non voleva.
Così aveva lasciato parlare i suoi occhi, sperando che
trasmettessero il
messaggio.
Ti voglio bene,
ma non so se ti amo
già.
Forse.
O forse no.
Forse in futuro.
No, sicuramente
in futuro.
Probabilmente
già adesso inizio ad
amarti un po’.
Ma
come si fa a sapere quand’è davvero amore e quando
invece è solo
un’infatuazione?
Quel silenzio
gli aveva
fatto male, ovviamente, ma la ferita si era risanata in fretta.
L’iniziale
sofferenza dovuta al fatto che la sua dichiarazione – per
quanto involontaria –
non era stata ricambiata fu sostituita dalla consapevolezza che non era
stata
nemmeno respinta. Perché non era tutto bianco o nero. Non
era solo una scelta
tra amore e non-amore. Si trattava di un sentimento importante, il
più forte di
tutti; un’emozione che cresce piano piano e con tempi diversi
in ogni persona.
Sapeva di non essergli indifferente, lo leggeva a chiare lettere nei
suoi
occhi. Sapeva che lei gli voleva bene, che teneva a lui, che il suo non
era un
affetto a senso unico. Aveva solo bisogno di un po’
più di tempo.
Così
aveva risposto al
suo bacio, accettando quella manifestazione al posto delle parole.
Anche in quel
momento la
stava baciando. Scivolava con le labbra lungo la sua guancia,
accarezzandole il
braccio nudo posato sopra il lenzuolo con la punta delle dita,
incurante del
fatto che fosse appena l’alba e Allie avesse voglia di
dormire ancora.
La
sentì risvegliarsi
sotto le sue carezze, muovendo lentamente le membra per stiracchiarsi,
e la
vide sorridere mentre avvertiva i suoi baci.
«Buongiorno»
mormorò
Allie, aprendo gli occhi.
«Buongiorno»
la salutò,
prima di stringerla a sé e affondare il volto tra i suoi
capelli.
«Hai
dormito bene?» Lo
sentì annuire, ma non poté trattenersi dal
continuare, divertita. «Sei sicuro?
Mi sembri un po’ rigido.»
Thomas
ridacchiò e si
allontanò da lei per poterla guardare in viso.
«È mattina» rispose, alzando le
spalle.
Non si aspettava
una tale
reazione da Allie – ci sperava, ma non credeva che lei si
sarebbe davvero
comportata così – e si sorprese quando, lanciata
un’occhiata alla sveglia al
suo fianco e appurato che era ancora presto, si sollevò e si
sedette a cavalcioni
su di lui.
Si
chinò per baciarlo,
scacciando con una mano i capelli che si intromettevano tra loro.
Quell’aspetto
di Allie era nuovo per lui: doveva ancora abituarsi alla sua
passionalità e
intraprendenza. Le sfilò la maglia che aveva indossato per
dormire con un gesto
rapido, prima di racchiudere il suo seno nelle mani e tornare a
baciarla con
vigore ancora maggiore.
«Tom»
ansimò Allie,
voltando la testa per poter parlare. Non era facile articolare una
frase
sensata con le labbra di Thomas che lasciavano baci infuocati sul suo
collo.
«Aspetta» lo pregò, cercando di trovare
le parole adatte, ma senza riuscirci.
Sapendo che quella richiesta non era dovuta a un ripensamento
– non avrebbe
avuto un simile tono di voce, in quel caso – Thomas non le
badò e continuò a
scendere, finché le sue labbra non presero il posto delle
mani.
«Ieri
sera» continuò
Allie, chiudendo gli occhi per il piacere. «Io non
volevo-»
Fu interrotta
dal
movimento brusco di Thomas, che aveva invertito le posizioni
schiacciandola
sotto di sé e tappandole la bocca con la sua.
«Shh»
mormorò lui,
guardandola negli occhi. «Possiamo parlare dopo?»
domandò, scostando le
mutandine con una mano. Allie annuì, pensando che se non
aveva fretta di
affrontare l’argomento probabilmente non era rimasto molto
ferito dal suo
silenzio. O forse, rifletté infilando la mano nei boxer, era
solo troppo
eccitato per fermarsi a discutere.
Con qualche
manovra, resa
difficile dal loro tentativo di non allontanarsi, riuscirono a
liberarsi della
biancheria. Stava per accadere, erano pronti e frementi
d’eccitazione, le mani
intrecciate e le labbra alla costante ricerca delle loro compagne,
quando un
pensiero si presentò come un lampo nella mente di Thomas e
il giovane imprecò.
«Non
ho un preservativo»
disse, guardandola e sperando che lei fosse più fornita di
lui. Allie lo fissò
in silenzio per qualche istante prima di sospirare frustrata.
«Nemmeno io.»
Non aveva mai
avuto
bisogno di comprarne, se n’era sempre occupato il ragazzo che
frequentava.
Thomas sbuffò, stendendosi al suo fianco con le braccia
incrociate dietro la
testa. Allie respirò a fondo, fissando il velo teso sopra al
baldacchino del
letto.
Aveva
un’idea.
Non era una cosa
che
amava fare, le era successo solo un paio di volte in passato, ma in
quel momento
non riusciva a trovare una ragione per non farlo.
Si
girò su un fianco, il
gomito puntato sul cuscino e una mano a sostenerle la testa, mentre con
l’altra
accarezzava lievemente il ventre di Thomas. Il ragazzo la
guardò, spostando per
un attimo lo sguardo per seguire i suoi movimenti.
«Tom»
lo chiamò, con un
sorriso provocante sul volto. Tom.
Era stato naturale passare a quel nomignolo la sera precedente, mentre
il suo
respiro spezzato le rendeva difficile parlare. «Non corro
rischi, vero?»
domandò, avvicinandosi alle sue labbra.
«Allie?»
La osservò,
quasi incredulo, augurandosi con tutto il cuore di non aver capito
male. I suoi
occhi, luminosi e invitanti, sembrarono confermare il pensiero che le
sue
parole avevano suscitato. «No» rispose, accogliendo
il bacio che lei stava per
dargli. «Nessun rischio» le assicurò.
«Bene» soffiò Allie, prima di scendere a piccoli passi a baciargli il pomo d’Adamo, quel punto delicato alla base del collo, il torace, rincorrendo la mano che giocava sul suo basso ventre. «Sarebbe stato un peccato.»
*
Dafne, sentendo
una
vibrazione al suo fianco, immerse la mano nella borsa ed estrasse il
cellulare.
Lo schermo illuminato le indicava l’arrivo di un nuovo
messaggio. Accavallò le
gambe e cercò di nascondere le sue azioni alla vista del
professore che stava
spiegando, appoggiato alla cattedra. Non credeva che
l’avrebbe richiamata, non
credeva nemmeno che gli interessasse ciò che stava facendo,
ma era il suo primo
giorno di università e farsi beccare già
distratta non sarebbe stato un buon
inizio.
Era un sms di
Michael.
Buongiorno
:)
È
arrivata la webcam
nuova, quando posso farmi perdonare l’interruzione di ieri?
Si morse il
labbro
inferiore per trattenere un sorriso e si affrettò a
controllare l’orologio per
poter digitare una risposta. La lezione sarebbe finita nel giro di un
quarto
d’ora e poi sarebbe potuta tornare a casa.
Ciao
:)
Tra
un’ora sono tutta
tua!
Un breve colpo
di tosse
dietro di lei la fece sussultare. Gettò velocemente il
telefono nella borsa e
si voltò, trovandosi a fissare il volto già noto
di un giovane uomo. Lo
ricordava bene: ventisei anni, occhi verdi, barbetta curata,
probabilmente di
ritorno da un recente viaggio in Brasile.
Lui le sorrise,
prima di
indicarle con un cenno del capo di rivolgere l’attenzione al
professore. Dafne
si risistemò sulla sedia, le guance in fiamme, e
osservò l’uomo in fondo alla
sala in modo quasi maniacale per evitare di essere nuovamente
richiamata da
quello che doveva essere il suo assistente.
Non credeva
fosse uno
studente, sarebbe stato fuori corso di circa sei o sette anni. Aveva
l’età
giusta per essere il suo assistente, il tipico sapientone che
l’avrebbe
tormentata agli esami ora che aveva il potere di trovarsi
dall’altra parte
della cattedra. Si accorse che la lezione era finita solo quando una
ragazza la
superò per uscire dall’aula e allora si
sollevò anche lei, timorosa di voltarsi
ma consapevole di non poterlo evitare.
«Buongiorno»
la salutò
lui, impedendole di seguire il desiderio di scappare.
«Buongiorno»
ripeté,
facendo un mezzo giro su se stessa per vederlo. Gli rivolse un piccolo
sorriso,
quello che usava da bambina per fingersi innocente davanti ai suoi
genitori
quando aveva combinato un guaio. Non aveva mai funzionato e nemmeno in
quel
momento sembrava farlo.
«Non
ti interessa il
corso?» le domandò, salutando con un cenno del
capo il professore che se ne
stava andando.
«Sì,
certo che
m’interessa. È stato solo un
attimo…» Non seppe come concludere la frase, ma
d’altronde non le risultò neppure necessario,
perché le sue labbra si
spalancarono in un sorriso divertito. La stava prendendo in giro.
«Credo
sia arrivato il
momento di presentarci, che dici?» propose.
«Harry.»
«Dafne»
disse, stringendo
la mano che le stava porgendo. «Sei l’assistente
del professore?» chiese, incuriosita.
Lui
annuì, notando che
non sembrava contenta della notizia. «Perché hai
quell’espressione?»
«Non
mi farai pesare il
fatto di averti rifiutato senza nemmeno conoscerti, vero?»
domandò, ridendo,
anche se in fondo quella possibilità la spaventava un
po’.
Lui
negò, scuotendo la
testa, prima di rassicurarla. «L’hai fatto
perché sei innamorata. Gran parte
della letteratura parla d’amore, di sentimenti e di scelte
che talvolta non si
possono contrastare. Se ti maltrattassi per il modo in cui hai agito,
vorrebbe
dire che non ho capito niente di tutto ciò che ho
studiato.» Poi, lanciando
un’occhiata alla borsa che stringeva sotto il braccio,
chiese: «Era lui?»
«Sì»
confermò Dafne,
prima di accomiatarsi. «Scusa, ora devo andare. Ci
vediamo» lo salutò, sorridente,
mentre iniziava già a dirigersi verso la porta.
«A
presto» annuì lui, allontanandosi
verso la cattedra.
Dafne
s’incamminò verso
casa, riflettendo sulla verità di quel vecchio detto secondo
cui il mondo è
bello perché è vario. Harry – ora
sapeva il suo nome – aveva subito accolto il
suo rifiuto, comprendendone le ragioni e augurandole la
felicità. Nicholas, il
fratello di Alice, aveva invece tormentato Allie finché non
aveva provocato una
scenata prima di capire che le sue avances non erano gradite.
Michael… beh,
Michael non si poteva paragonare a nessuno dei due. Lui non era stato
rifiutato, anche se aveva tentato – inutilmente, proprio come
lei – di
rifiutare l’attrazione che li univa e che alla fine aveva
vinto.
Sua madre stava
già
spadellando per la cena di quella sera, ignara dell’annuncio
che l’attendeva.
«Com’è andata
l’università?» le domandò,
sentendola rientrare.
«Bene»
rispose, senza
perdersi in lunghi convenevoli. «Più tardi scendo
ad aiutarti, ora devo fare
una cosa» le disse, mentre saliva le scale.
Si chiuse in
camera e
aprì il computer, approfittando del tempo necessario
all’accensione per
cambiarsi in abiti più comodi. L’applicazione che
aveva scaricato appositamente
per le videochiamate e che conteneva solo l’email di Michael
l’avvisava, con un
pallino verde, che il ragazzo era già connesso. Diede il via
alla chiamata,
sedendosi sulla sedia e sistemando la webcam perché le
inquadrasse il viso.
Dopo un paio di secondi sullo schermo spuntò una nuova
finestra e, al suo
interno, il volto sorridente di Michael.
«Ciao»
lo salutò, gli
occhi che brillavano di felicità ora che finalmente lo
rivedeva.
«Wow!»
La sua
esclamazione la fece ridere e le parole pronunciate dopo la portarono
ad
abbassare gli occhi, colpita. «I miei ricordi non ti fanno
giustizia. Sei
bellissima.»
Anche lui era
bellissimo,
ma non ebbe la forza di dirglielo. Si perse a fissare i suoi occhi che,
nonostante la modesta risoluzione che la telecamera permetteva,
l’attiravano
come per magia. Erano occhi grandi, invitanti, gentili. «Mi
fai una giravolta?»
le domandò, senza perdere il sorriso.
«Cosa?»
«Su,
fatti vedere» la
pregò.
Dafne
sospirò, sebbene
quella richiesta le facesse piacere, e si alzò, spostando la
sedia e
allontanandosi di qualche passo cosicché la webcam la
inquadrasse tutta. Si
alzò in punta di piedi e compì una piroetta, poi
riportò gli occhi sullo
schermo. «Contento?» chiese mentre si avvicinava e
si sedeva di nuovo.
Michael
annuì,
appoggiando il mento sul palmo della mano e fissando direttamente
l’obiettivo,
tanto intensamente che a Dafne sembrava di averlo davanti a
sé. Dafne non
parlò, persa per un attimo a ricambiare quello sguardo.
«Perché
sei così
silenziosa?» le domandò, abbassando gli occhi per
osservare la sua figura sulla
finestra della videochiamata.
Dafne scosse la
testa,
ricacciando indietro le lacrime che minacciavano di uscire, gli occhi
già
umidi. Sbuffò prima di rispondere: «Sto diventando
ripetitiva.»
«Perché?»
«Mi
manchi» ammise,
alzando le spalle, rassegnata ormai a quell’emozione che la
colpiva ogni volta
che gli parlava e che tuttavia non avrebbe voluto abbandonare,
perché se era il
prezzo da pagare per risentire la sua voce e rivedere il suo volto, era
disposta a conviverci.
«Anche
tu mi manchi, lo
sai» rispose, prima di rilasciare un lungo sospiro.
«Perché ci siamo messi in
questa situazione?» domandò, forse a se stesso,
passandosi le mani sulla
faccia.
«Perché
siamo amici
speciali?» propose Dafne, ricordando l’assurda
definizione con cui avevano
tentato di spiegare ciò che li legava. Michael rise,
annuendo. Il suo sguardo
cadde sullo sfondo che s’intravedeva dietro Dafne e, un
po’ per cambiare
discorso e un po’ per pura curiosità, chiese:
«Mi fai vedere la tua stanza?»
«Non
c’è molto da vedere»
lo avvisò, mentre staccava il cavo del caricabatteria e
prendeva in mano il
computer, ruotandolo lentamente di trecentosessanta gradi. E davvero la
sua
stanza non era nulla di speciale. Pareti di un colore che pareva
indefinito,
forse per colpa della cattiva risoluzione, un letto che a occhio e
croce doveva
essere di una piazza e mezza, un armadio, un comò e una
scrivania sormontata da
tre mensole piene zeppe di libri.
«Tu
dove sei?» Vedeva,
dietro la sua testa, un colore simile all’azzurro chiaro, ma
non capiva a cosa
corrispondesse.
«Al
ristorante di mia
madre» rivelò, scostandosi per permetterle di
vedere l’ambiente. «Dà sulla
spiaggia.» Quel colore pallido era il cielo, che si stagliava
soleggiato e
privo di nubi sul mare mosso e di un blu più intenso. Un
panorama meraviglioso
che rimpiangeva fortemente.
«Non
lavori oggi?»
«Solo
nel pomeriggio» la
informò, prima di tornare a insistere
sull’argomento che avevano toccato anche
la sera precedente. «Forza, mandami quest’email. La
leggo in diretta.»
Dafne
rifiutò, scuotendo
la testa. «Te la mando» concesse, aprendo la
cartella che conteneva i suoi
scritti. «Ma leggila più tardi, quando hai del
tempo.»
«Perché?»
domandò, senza
comprendere il motivo di quella sua richiesta.
«Così
non dovrai fingere
che ti piaccia, avrai il tempo per inventare una scusa»
scherzò, studiando
l’elenco dei file per scegliere quale mandare.
«Allora
ti farò sapere
che ne penso la prossima volta» rispose, risparmiandosi la
solita critica alla
sua bassa autostima.
«Mandata»
lo informò, tornando
a guardarlo.
«Stasera avremo ospiti a cena» esordì, cominciando a raccontare della decisione di Allie e Thomas di rendere pubblica la loro relazione e del ruolo di mediatrice che avrebbe dovuto assumere in caso di complicazioni.
*
Dafne
lanciò uno sguardo
tra il divertito e il compassionevole a Thomas, che se ne stava seduto
tutto
impettito sul divano mentre lei finiva di apparecchiare la tavola.
Aveva
indossato una camicia azzurra, quella che portava solo per le grandi
occasioni,
e si era pettinato con cura i capelli. Il risultato era un ragazzo
visibilmente
agitato, racchiuso in un’immagine che non gli si addiceva per
niente. Posò gli
ultimi piatti e gli si avvicinò, sedendosi accanto a lui.
«Agitato?»
domandò,
sorridente, prima di passargli una mano tra i capelli per scompigliarli
un po’.
«No,
che fai!» la bloccò,
afferrandole il polso, ma ormai era troppo tardi.
«Come
ti sei conciato?»
lo rimproverò, riprendendo a spettinarlo con
l’altra mano. «Non essere
ridicolo, ti conoscono da sempre, non hai bisogno di impiastricciarti i
capelli
per fare buona impressione. Anzi, con ogni probabilità
peggioreresti le cose.»
Quando lui
lasciò la
presa, sospirando, passò all’altro problema.
«E questa camicia? Non è che se te
la abbottoni tutta ti rende invisibile» continuò,
slacciando i primi bottoni
dato che l’aveva chiusa completamente, risultando quasi
strozzato dal colletto.
Una volta che
ebbe
finito, Thomas si lasciò andare all’indietro,
appoggiandosi scompostamente allo
schienale.
«Perché
sei così
agitato?»
«Stiamo
dando per
scontato che a loro questa notizia piacerà, ma niente ce lo
assicura» le fece
notare. «Magari suo padre tenterà di farmi
fuori.»
Dafne rise a
quell’idea,
rialzandosi. «Lo diamo per scontato perché
è esattamente ciò che succederà. Non
farti troppe paranoie» lo ammonì, dirigendosi in
cucina per andare a prendere
le bottiglie da portare sulla tavola. Stava per varcare la soglia della
stanza,
quando si udì il suono del campanello.
«Vai
tu?» gli domandò,
invitandolo con un sorriso e un cenno del capo ad alzarsi, prima di
riprendere
il suo compito.
Non era
necessario quell’incoraggiamento,
perché al rumore Thomas era balzato in piedi e aveva preso a
sistemarsi la
camicia, avvicinandosi all’ingresso.
Fece un respiro
profondo
e aprì la porta, trovandosi davanti il volto allegro di
Susanne e, dietro di
lei, quello leggermente più burbero di suo marito James.
«Ciao,
Thomas. Come
stai?» gli domandò la donna, mentre entrava in
casa. «È passato un bel po’ di
tempo dall’ultima volta che ti ho visto»
ricordò.
«Sto
bene, grazie»
rispose lui, con un sorriso garbato stampato in faccia. «Voi?
Immagino che il
lavoro vi tenga molto impegnati.»
«Non
c’è mai un momento
di pace» annuì Susanne, prima di ricordarsi che il
giovane sognava di seguire
la loro strada. «Ma non preoccuparti, tra qualche anno
arriverà anche per te il
momento» gli disse. Lui non capì se il suo era
stato un tentativo di
incoraggiamento o una semplice constatazione, ma la informò
del fatto che
proprio quell’anno avrebbe dovuto iniziare un periodo di
tirocinio.
«Se
capiterai da noi, magari
ti facciamo fare un giro. Vero, James?»
L’uomo
sembrò riscuotersi
all’udire il suo nome, probabilmente non si era riposato
abbastanza dopo il
turno di notte. Accennò una risposta con un movimento del
capo, prima di
replicare, rivolto a lei: «Non credo che lo facciano iniziare
da Chirurgia
d’Urgenza, non sopravvivrebbe alla prima giornata.»
Thomas
spostò lo sguardo
su Allie che gli stava sorridendo, nascosta alla vista dei genitori.
Trattenne
un sospiro disperato a quelle parole, che non sembravano promettere
molto bene.
Mentre i due coniugi avanzavano, salutando suo padre e Dafne, lui ne
approfittò
per avvicinarsi furtivamente a Allie e lanciarle un’occhiata
carica di
significato.
Le domande che
gli
riempivano la testa: Perché glielo
stiamo
dicendo? Stavamo tanto bene in segreto… Se poi non saranno
contenti di ciò che
diremo?
Ma anche
l’amore che
ormai aveva confessato e che la dichiarazione che avrebbe dovuto fare
avrebbe
confermato, l’attrazione sempre più forte che li
univa, la passione che dopo la
notte appena trascorsa conoscevano.
«Ciao»
la salutò,
limitandosi all’unica parola che gli era concessa al momento.
«Ciao»
ricambiò,
sfiorandogli la mano con la sua mentre lo superava e raggiungeva Dafne.
*
«Certo,
i giovani di
adesso sono diversi da com’eravamo noi alla loro
età. Sono sempre in giro,
stanno fuori fino a tardi e delle volte non rientrano nemmeno. E non
possiamo
neppure arrabbiarci, perché sono maggiorenni e
s’impuntano sul loro diritto di
fare ciò che vogliono.»
Nessuno aveva
immaginato
che la cena sarebbe stata accompagnata da simili discorsi. Non era
certo la
premessa migliore per l’annuncio che avrebbero dato a minuti.
I quattro
genitori, capitanati da Martha, stavano ribadendo la crisi di valori
che
sembrava aver colpito i loro figli e più in generale la loro
generazione,
indifferenti al fatto che si trovassero proprio vicino a loro.
Stranamente, la
donna non aveva mai tentato di suggerire una relazione tra i due
giovani
innamorati, cosa che non aveva dimenticato una sola volta in passato.
Thomas,
tutt’altro che
tranquillo all’udire quella conversazione, si era sbottonato
i polsini della
camicia e aveva ripiegato le maniche fino al gomito, accaldato. La cura
con cui
si era preparato sembrava essere stata dimenticata, sovrastata dalla
preoccupazione sempre più seria per una reazione infelice.
Allie, seduta
davanti a
lui, cercava inutilmente di calmarlo con la sola forza dello sguardo e
delle
frasi che, apparentemente dirette a Dafne, gli rivolgeva.
«Ma
prima o poi
metteranno la testa a posto e capiranno che non possono continuare
così. Certo,
nemmeno noi eravamo dei santi, ma avevamo divertimenti più
sani. Ve le
ricordate le partite a bowling e le giornate al luna park? Quanto tempo
abbiamo
passato sulla ruota panoramica? E i falò in spiaggia? Ora
pensano solo a saltare in discoteca
e ubriacarsi nei
pub!»
Martha
continuava
convinta con il suo sproloquio, chiaramente ignara del modo in cui
occupavano
il tempo i suoi figli. Sì, passavano effettivamente delle
nottate a ballare, ma
non avevano nemmeno dimenticato i parchi divertimento, le passeggiate
tranquille sulla battigia e il semplice piacere di passare del tempo
con le
persone amate.
Stanco di
sentirla
parlare e di tormentarsi sulle loro possibili reazioni, Thomas si
alzò in
piedi, richiamando il silenzio con un colpo di tosse.
Rimase per un
momento in
silenzio, fissato da occhi incuriositi. Allie, seppur con un sorriso
incoraggiante sulle labbra, tratteneva il fiato. Respirò a
fondo e parlò, con
lo sguardo puntato su di lei.
«Ho…
Abbiamo» si
corresse, sorridendo, «una cosa da dirvi. Forse vi
sembrerà strano, forse non
ci crederete nemmeno perché effettivamente non ce lo
aspettavamo neanche noi.
Io e Allie ci conosciamo da sempre, e il nostro rapporto è
stato un po’…»
s’interruppe, alla ricerca della parola giusta per descrivere
i continui alti e
bassi che aveva vissuto.
Ricordò
sé stesso, da
bambino, rincorrerla per tirarle le codine in cui aveva raccolto i
capelli.
Ricordò
che, da
ragazzino, la stuzzicava e la prendeva in giro inventando difetti che
non
aveva, perché l’aveva sempre trovata bellissima.
Ricordò
i primi orribili
approcci che aveva tentato, quando ormai aveva capito che provava una
simpatia
speciale per lei.
Ricordò
il sorriso
costante sulle sue labbra, quel sorriso che resisteva a ogni agguato e
che lo
rassicurava, perché talvolta si comportava talmente da
stronzo da fargli temere
che lei lo odiasse. Il sorriso che aveva anche in quel momento, mentre
s’intrometteva per dargli un suggerimento.
«Contrastante?»
«Contrastante»
annuì,
riprendendo a parlare. «Probabilmente avevamo bisogno di un
po’ di distanza che
ci permettesse di conoscerci e allo stesso tempo ci impedisse di
saltarci
addosso.»
Si rese conto
dell’interpretazione sbagliata che potevano avere quelle
parole con un attimo
di ritardo, quando sentì sua sorella, al suo fianco,
trattenere una risata.
«Cioè,
che ci impedisse
di battibeccare di continuo. La vacanza di Allie e Dafne ci ha dato
questa
possibilità e durante quei giorni qualcosa è
cambiato. Al loro ritorno tutto
sembrava diverso. E ora…» sorrise, riportando lo
sguardo che aveva lasciato
vagare per la sala su di lei. «Ora stiamo insieme.»
Alla sua voce,
che si
affievolì pian piano nella mente dei presenti,
seguì un silenzio che parve
infinito. Il sollievo che credeva avrebbe provato una volta terminato
il suo
annuncio non arrivò, era ancora troppo insicuro data la
passività dei loro
genitori. Non osava guardarli, non voleva farlo. L’unica cosa
sicura in quella
stanza era lo sguardo di Allie, da cui non voleva staccarsi.
Dopo quella che
parve
un’eternità, un rumore simile a un soffio ruppe la
quiete. Poi una risata,
breve e spezzata, che prese una nota gioiosa. Martha stava osservando
suo
figlio, felice, orgogliosa, ridente, probabilmente pronta a far partire
un
applauso. Il suo «finalmente! Sapevo che sarebbe arrivato
questo momento»
risvegliò anche gli altri. Susanne sorrise ai due ragazzi,
alzando il bicchiere
di vino in un brindisi silenzioso, che Dafne rese esplicito.
«A
Thomas e Allie» disse,
imitando il gesto della donna. Thomas si sedette e afferrò
il suo bicchiere,
gli occhi puntati in quelli della ragazza che aveva davanti. Solo James
non si
unì al brindisi, mantenendo un tono più basso e
ripetendo controvoglia la
frase. Furono chiare, invece, le parole che rivolse alla moglie, senza
curarsi
di abbassare il tono per non farsi sentire da Thomas. O forse
– probabilmente
– lo fece apposta.
«Ripensandoci,
non
sarebbe male averlo come recluta in reparto.»
Buongiorno :)
Siamo alla fine,
manca solo l’epilogo, che arriverà –
credo, perché quel giorno potrei avere un esame e non vi
assicuro nulla –
mercoledì
10 dicembre.
Vi ringrazio per
essere giunti fino a qui, spero di
non avervi delusi.
Vi lascio uno
spoiler, l’ultimo:
Quando
aprì la luce della camera, il suo cuore perse un battito
per lo spavento. Davanti a lei, agghindate, eleganti e totalmente
inaspettate,
stavano Allie e Dafne.
«Tanti
auguri, Alice!» esclamarono, sorridenti, baciandole le
guance.