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Autore: Rosalie97    05/12/2014    1 recensioni
La ragazza bionda è andata, cammina sola tra la neve che continua a cadere, nel silenzio dell'alba.
È come una rosa, pura in questo mondo di crudeltà.
Lei non ha mai avuto timore delle Bestie, ne ha amata una, ma ora, è troppo tardi. La luce ed il buono in lei sono andati per sempre.
Genere: Malinconico, Song-fic, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dawn, Eva
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
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It’s 6:30 of a winter morning, Eva wakes up. The blonde girl isn’t in her room, the blonde girl has left their Swanbrook home.
Eva feels lonely.
The heart of the blonde girl is the kindest Eva has ever seen. It has always made her ashamed for her own.
The blonde girl is gone, she walks alone in the snow that keeps falling, in the silent dawn.
The blonde girl has been mocked by the man that she loved, poor little pure rose with all life ahead. This world is so cruel, no friend has ever called her name. She's sailing away.
She was not afraid of the Beasts, she has loved a beast, but now, it’s too late. The Good in her has left forevermore.

 
 
Aprire gli occhi fu più complicato di quanto avrebbe immaginato. Li sentiva ancora impastati per via del sonno, e le bruciavano da morire. Era ancora stanca, nonostante il giorno prima fosse andata a dormire molto presto, quasi troppo per i suoi standard. Aveva avuto una giornata intensa, in palestra, ed appena ne era uscita si era imbattuta in un gruppetto di stupidi ragazzini impegnati a tormentare una giovane e povera ragazza. Senza pensarci su due volte era intervenuta, li aveva spaventati e quei tontoloni erano corsi via per la paura nel vedere quell’energumeno proprio davanti ai loro occhi.
Eva sorrise, mettendosi a sedere sul letto. Chissà come lo aveva disfatto, durante la notte. Le lenzuola bianche si trovavano a terra, in un ammasso informe, e lei stava congelando. Accidenti, Dawn non si era pensata di accendere il riscaldamento?! O magari non si era ancora svegliata…
Sospirando, si alzò in piedi e si diresse al grande armadio beige in cui teneva tutti i suoi abiti, che per lo più consistevano in tute larghissime, pantaloncini blu o neri e top modellanti e pigiami bianchi e rosa che non avrebbe mai indossato. In un angolo teneva appeso il lungo vestito da gala viola che aveva messo in un’unica occasione, il matrimonio della sua matrigna con un riccone odioso e altezzoso. Non li vedeva da un bel po’ di anni, e sinceramente non le dispiaceva affatto. Non sapeva dire con certezza quale dei due fosse il più stupido, ma tendeva a credere fosse l’uomo, dopotutto, si era fatto abbindolare da quella stupida sciacquetta bionda.
Accanto all’abito era appeso il vestito da Ursula, di cui aveva fatto il cosplay molti anni addietro, quando suo padre era ancora vivo e lei non era ancora mentalmente fissata con la palestra. A quei tempi era stata una dolce ragazzina paffutella che adorava mangiare dolciumi e passare le sue giornate a guardare film Disney e leggere romanzi per adolescenti. Ma ora, quella Eva non esisteva più, era morta insieme al padre, a quindici anni, e non sarebbe mai più tornata.
Tuttavia, quegli antichi dolori ancora dimoravano nel suo cuore.
Riemergendo dai ricordi, si diede una scrollata mentale, ed in fretta si vestì con una tuta. Sedendosi poi sul letto mise ai piedi un paio di caldi calzini grigi e dopodiché uscì dalla sua stanza.
Appena superata la soglia, lanciò un’occhiata alla porta spalancata della stanza in cima alle scale che portavano in mansarda. C’era buio, quindi Dawn probabilmente stava ancora dormendo. Dopotutto, a Swanbrook non c’era molto da fare, nelle giornate d’inverno. La neve ricopriva ogni cosa e la piccola cittadina cadeva in una spirale di sinistro silenzio. Anche con tutto quel bianco quella mancanza di suoni rendeva ogni cosa cupa. I lavori che solitamente venivano svolti si bloccavano improvvisamente, come le strade, e la gente si occupava solamente di se stessa o della propria famiglia.
Quella grande casa se l’era comprata Eva con i propri risparmi, ed era vissuta lì sola per molto tempo, fino a che, due anni prima, non era giunta una straniera. Era minuta, dai lunghi e chiarissimi capelli biondi, dalla pelle diafana e dagli occhi che sembravano due schegge di ghiaccio. Si diceva fosse una strega, pareva avere strani poteri paranormali, e tutti si mantenevano a debita distanza da lei. La giovane si sarebbe ritrovata a dormire all’aperto, senza una casa, se Eva non si fosse fatta avanti. Lei non aveva avuto paura, era riuscita a vedere oltre le apparenze.
<< Vieni con me >> le aveva detto, e la giovane, sorridente e docile l’aveva seguita. Una volta che erano rimaste sole aveva replicato:
<< Mi fido di te. Io sono Dawn, o come mi chiamano in molti, Raggio di Luna. Posso vedere la tua aura, è bella, sotto tutto quel nero. Ci sono spiragli di un acceso arancio e tracce di rosa. Questo vuol dire che hai sofferto e ancora ora soffri, ma che sotto sotto sei buona e che hai amato ed ancora ora cerchi il vero amore. >>
Eva l’aveva guardata male, ma non aveva risposto. Dopotutto, ogni cosa che Dawn aveva detto era la pura verità.
Ora vivevano insieme, si completavano a vicenda, e non passava giorno in cui Eva non si stupisse della gentilezza e della bontà d’animo di Dawn. Aveva visto parecchie persone ferirla, persino l’uomo che Dawn aveva amato, ma la bionda non si era mai piegata. Aveva pianto lacrime d’argento ma si era sempre rialzata.
Con questi pensieri, l’energumeno scese velocemente le scale, per andare in cucina. Lì aprì l’anta della dispensa e prese una brioche alla marmellata, gusto albicocca. Strappò la carta nella quale era chiusa e in pochi secondi la divorò a grandi morsi.
E in quello quel giorno consisteva la sua colazione.
Aprendo il frigo, prese ciò che restava della crostata alla cioccolata che avevano preparato lei e Dawn il giorno prima. Ne tagliò una fetta con un grande coltello affilato e la mise nel forno a microonde. Risistemò in piatto con il resto della torta nel frigorifero ed accese i fornelli per scaldare un po’ di the. Avrebbe portato la colazione a letto alla sua coinquilina e amica.
Guardando soddisfatta il pentolino blu, sospirò, con le mani poggiate ai fianchi robusti. Dopodiché si voltò, senza lanciare una minima occhiata al tavolo della cucina, e tornò al piano di sopra. Corse in mansarda, la camera che Dawn aveva occupato, e senza bisogno di accendere le luci camminò fino alle finestre, abbassandosi per non colpire il soffitto che andava inclinandosi e abbassandosi. Aprì le tende di velluto viola e si voltò con un sorriso.
Ma il sangue le si gelò nelle vene.
Il letto nel quale per quei due-tre anni Dawn aveva dormito ora era vuoto, disfatto, ma ogni cosa era al suo solito posto. Eva tese le orecchie, per udire anche il più minimo rumore in casa, ma il silenzio regnava incontrastato.
Senza pensarci due volte, scese la rampa di scale e corse in bagno, aprendo la porta di scatto. << Dawn! >> urlò, ma non c’era nessuno.
Andò allora in salotto, poi scese anche fino al garage e anche nella taverna sotterranea costruita come riparo dalle forti tempeste che colpivano Swanbrook, sempre urlando il nome dell’amica. Ma non c’era nessuno.
Respirava velocemente, ansimando, mentre stringeva in una presa fortissima il corrimano delle scale e si affrettava a tornare al piano terra della casa. Si precipitò fino alla porta d’ingresso, non chiusa a chiave, e la spalancò.
<< Daaaaaaawn! >> urlò, con la sua voce rude e molto più mascolina che femminile. << Daaaaawn! >> gridò nuovamente, ma tutto ciò che vedeva davanti a sé era solamente un’immensa distesa di bianco. Non riusciva a scorgere nulla oltre il proprio naso, la nebbia e il forte vento si fondevano a vicenda e creavano un’impenetrabile cortina di fumo. A terra c’era la neve, che copriva le strade e il terreno; i fiocchi, puri come ali di angelo, cadevano lenti dal cielo, come lacrime che scendono al rallentatore dagli occhi feriti di una giovane addolorata.
Eva teneva le palpebre alzate, gli occhi spalancati e l’espressione scioccata di chi non può credere a quello che ha a un palmo di naso.
Riprendendosi, chiuse velocemente la porta d’entrata e tornò in cucina, per afferrare il telefono e chiamare le autorità di Swanbrook, ma prima che potesse farlo, notò quel che in precedenza non aveva visto: sul tavolo di mogano era posto un bigliettino ripiegato. Si avvicinò e lo prese tra le grandi mani callose. La carta era lilla e liscia e da quel fogliettino proveniva un dolce profumo di fiori.
Il viso della ragazza si distorse in un’espressione di dolore, mentre leggeva le righe scritte a penna con la bella e delicata calligrafia di Dawn.
Mia amica, mia migliore amica, l’unica che mi ha voluto bene in questa lunga esistenza di delusioni, a te lascio questo biglietto. So che non capirai, non appena avrai scoperto della mia assenza, e so anche che a te sembrerà io ti stia facendo un torto, ma non è così, sappilo. Vorrei poterti dire che negli ultimi tempi, dopo il trattamento ricevuto da Scott, io sia andata migliorando. Vorrei poterti dire ‘sto bene’, ma sarebbe una menzogna.
Ogni cosa, dopo lui, è andata peggiorando. La mia vita è stata una serie infinita di dolore, che per molti anni sono stata in grado di gestire, con la mia fede e con la mia credenza nell’amore e nelle persone. Ma ora mi rendo conto che tutto ciò in cui facevo affidamento era una menzogna. Sono come un angelo in un covo di demoni, una preda tra lupi affamati, un delicato fiore nel bel mezzo di una tempesta. Sono troppo buona e fragile per questo mondo, ora comprendo e vedo ogni cosa chiaramente.
Ti chiedo di perdonarmi, mia amica e confidente. Tu puoi capire cosa io abbia dovuto sopportare, sin dalla mia nascita fino ad ora, e per questo ti chiedo di appoggiarmi, anche se so che probabilmente non lo farai.
Mi dispiace, vorrei potesse finire in un altro modo, ma posso affermare che la luce della speranza in me si è spenta, come presto lo sarà quella della vita. Perdonami, ma la neve mi chiama.
La tua amata Dawn.”
Eva si portò una mano davanti alle labbra, mentre sentiva gli occhi farsi lucidi. Non piangeva da anni, dalla morte del padre, l’ultima persona a cui si era sentita legata, prima di Dawn.
Inesorabilmente, ogni persona che amo mi lascia, pensò tra sé con crescente dolore.
Raggio di Luna era come una sorella per lei, si erano aiutate a vicenda per lungo tempo, e poi era arrivato Scott, colui che aveva rovinato ogni cosa.
Calmandosi, mentre il dolore lasciava spazio alla rabbia, Eva si asciugò le lacrime, ed eliminò ogni traccia d’emozione in viso, alzando gli occhi verso il piccolo terrazzo appena fuori della cucina. Al di là del vetro non si scorgeva altro che bianco, ma Eva, con la mente, immaginò di vedere una giovane ragazza camminare da sola, in mezzo alla neve, con un sorriso di sollievo dipinto in volto.
 
 
Intanto, fuori, in mezzo alla neve e al freddo, Dawn camminava lentamente, aprendo le braccia e facendo giravolte, canticchiando canzoni che rammentava dalla sua infanzia, quando ancora era stata quel minimo felice.
Negli ultimi tempi, accanto a Eva aveva ritrovato parte di quella serenità, ma il dolore era sempre stato appena oltre la soglia di casa, in attesa di prenderla, come il lupo con i tre porcellini, ed aveva il volto di Scott.
Quello del giovane era stato il colpo finale, l’aveva ferita profondamente non solo nel cuore ma perfino nell’anima, l’aveva spezzata.
<< La sua aura era rossa come il sangue, rossa come i suoi bei capelli, avrei dovuto capirlo che mi avrebbe solamente fatto del male >> disse, mentre i freddi fiocchi di neve scendevano su di lei e le congelavano la pelle del viso nei punti in cui la toccavano. Scosse il capo, << Errore mio. >>
Una volta pronunciate queste due ultime parole, si fermò, unendo i piedi, inspirando forte e drizzando la schiena, mettendo in fuori il petto. Alzò il viso verso il cielo che non riusciva a scorgere, e chiuse le palpebre. Espirando, dischiuse le labbra nel sorriso più bello e più felice che avesse mai fatto, da quando era nata e sua madre, dandola alla luce, era morta.
<< Ora è il momento. >> Aprì gli occhi, << Sto tornando da te, mamma. >>


Angolo autrice:
Ehilà, popolo di EFP! Sono tornata con una one-shot dopo un bel po' di tempo che non pubblicavo alcuna storia (si, so che devo continuare le altre, ma adesso che finalmente mi è tornata l'ispirazione ho deciso di scrivere e pubblicare questa, che è alquanto triste.) Stavo traducendo delle canzoni quando ho visto il titolo "Eva", una canzone dei Nightwish, e mi è venuta l'idea per questa OS.
Non è esattamente una song-fic, ho cambiato un bel po' di cose dal testo principale, ma l'idea mi è venuta da quella bella song, quindi beh... ritenetela come volete, lol.
Non so se l'idea sia decente o meno, così come il testo, ma se siete arrivati fino a qui, vi ringrazio e vi chiedo di lasciare una recensione *occhioni da cucciolo*.
Ora vi saluto, gente, 
e vado a studiare che sennò domani sono altamente fregataa! Yee :D 
Un bacio a tutti e alla prossima!
P.S.: il testo iniziale in inglese l'ho scritto io, unendo frasi mie a quelle della canzone, spero sia decente, lol

 
  
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