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Autore: Starishadow    05/12/2014    1 recensioni
Ancora una volta, Ren si trova davanti ad una porta chiusa a chiedere perdono a Masato.
Ma stavolta quella porta non si apre, stavolta il perdono non arriva.
Ren ha spezzato il cuore all'altro ragazzo, ma è il suo a subirne le conseguenze.
[7a classificata e vincitrice del premio speciale "angst per tutti" al contest "Brace yourselves: angst is coming" indetto sul forum di EFP da Starhunter]
Genere: Angst, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Masato Hijirikawa, Ren Jinguuji
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Nota dell'autrice: Buonasera a tutti! ^^ Per il mio primo contest (che emozione! *o*) ho scelto di torturare un po’ la mia prima OTP, anche perchè mi mancava solo la RenMasa su cui scrivere, ormai XD Prometto - di nuovo - che dopo questa scriverò qualcosa di più allegro... ma ormai qualcuno mi conosce, no? Ahahah.
In teoria era una OS, ma alla fine ho deciso di dividerla in 2 capitoli :)
Vi lascio alla lettura, spero che la storia sia di vostro gradimento! ^^ Ultima informazione di servizio: le citazioni nella storia vengono da “you were my everything” di Aviation.

A presto!
Baci,
Starishadow

*****************************

I can’t forgive myself for the way I treated you, so I don’t really expect you to either
It’s just...
I don’t even know. Just listen…

Il corridoio del dormitorio maschile del Master Course era praticamente deserto, buio e poco illuminato dalla fioca luce delle lampade; dei rumori venivano dal piano di sotto, ma quel corridoio era silenzioso, troppo silenzioso.
Seduto per terra, la schiena addossata ad una porta ermeticamente chiusa, Ren teneva gli occhi serrati e le ginocchia strette al petto, la testa reclinata indietro fino a posarsi sul legno massiccio che lo divideva dall’altro ragazzo.
No, a dire il vero non era solo quel legno a separarli, c’era qualcos’altro, c’era molto di più: c’erano le macerie di un ponte che in passato avevano entrambi costruito ed attraversato mille volte, impazienti di raggiungersi a metà strada, ansiosi di incontrarsi, parlarsi, toccarsi…
Prese un respiro esitante, spezzato, mentre sentiva il suo petto fare quasi male già solo a quel piccolo movimento.
Qualcuno gliel’aveva detto che quando ti si spezza il cuore lo senti veramente come un dolore fisico e non solo metaforico, ma lui non ci aveva mai creduto... fino ad allora.
Aveva spezzato decine e decine di cuori, senza rimpianti e senza problemi, senza curarsi delle conseguenze per le altre persone, tanto lui non sentiva mai nulla.
Vedeva infrangersi i cuori delle ragazze con cui giocava, ma il suo continuava a battergli tranquillamente nel petto, strafottente ed incurante del dolore altrui.
Adesso aveva avuto quello che si meritava, in fondo; ora capiva che avere il cuore spezzato, anzi non spezzato, frantumato in mille pezzi, era un dolore quasi insopportabile.
«Masa» implorò, detestando la sua voce che proprio in quel momento aveva scelto di tradirlo, decidendo di venir fuori flebile ed esitante.
Da dietro la porta non giunse alcun suono, e quel silenzio fu come una mano di ghiaccio che si serrava attorno ai pezzi del suo cuore, stringendoli insieme e facendo stridere i bordi di alcuni su quelli di altri, scheggiandoli e ferendoli ulteriormente «per favore dimmi qualcosa» mormorò, posando la testa sulle ginocchia.
Non stava piangendo, era pur sempre Ren Jinguji, non avrebbe mai pianto… nemmeno per quel ragazzino altezzoso, silenzioso, con capelli e gli occhi blu, dall’espressione seria, le mani abili tanto nel pianoforte quanto sul suo corpo…
Un brivido lo attraversò al ricordo, e dovette prendere un altro respiro profondo, prima di buttare fuori l’aria, le labbra rosee arricciate nell’accenno di un broncio.
«Va bene, Masa, ho sbagliato… per favore?» riprovò, girandosi su un fianco e posando una mano sulla porta come molte altre volte l’aveva appoggiata al petto del ragazzo.
Ma il legno era duro e freddo contro di essa, così come l’atteggiamento di Masato verso di lui.
Non aveva veramente voluto baciare Nanami a quella festa, non aveva veramente voluto far male a quello che era il suo più vecchio amico, confidente e primo vero amore… se non addirittura unico.
Forse Masato era l’unica persona che non aveva mai voluto ferire, e mai avrebbe voluto farlo, eppure eccoli lì, ed era più che consapevole che dietro quella porta bloccata, dietro quel silenzio ostinato, c’erano gli occhi dell’altro ragazzo chiusi a trattenere le lacrime.
Lacrime che in fondo era felice di non poter vedere, perché sapeva che sarebbero diventate altri piccoli pezzi di vetro pronti ad infierire su quello che restava di lui.
«Masa, anche se non vuoi, puoi starmi a sentire solo questa volta?» chiese gentilmente, la voce ancora bassa e tremante, entrambe le mani premute contro il legno, la fronte poggiata in mezzo ad esse «Ti prego, Masa non volevo»
Un piccolissimo rumore giunse da dietro la porta, come un sospiro.
E infine la voce che anelava di sentire, con le parole che più temeva:
«È inutile, Ren. Lo dici sempre, e finirà di nuovo così»
«Non è vero, Masa! Prometto che non succederà più!» e sebbene fosse sincero, ricordava di aver già detto quelle parole in passato, ricordava che Masato - seppur con difficoltà - gli aveva creduto e l’aveva lasciato di nuovo tornare nel posto che ormai si era scavato nel suo cuore… e ora era di nuovo lì a ripetere la stessa frase.
La domanda di Tokiya, quando aveva visto cos’era successo, non gli era mai sembrata giusta come in quel momento:
Ma che cazzo hai nel cervello?
Già, cos’aveva che non andava? Perché diamine aveva voluto tradire Masato, con cui finalmente le cose andavano più che bene, che non gli faceva mancare nulla, anzi gli dava più di quanto meritava, con quella ragazza che nemmeno gli interessava?
«Masa, sono un idiota» mormorò, senza alcuna intonazione: non era una domanda e non era una supplica, era solo un’affermazione su un dato di fatto.
E Masato non lo contraddisse:
«Sì. Lo sei»
Ren chiuse gli occhi; sentirselo dire così duramente dal ragazzo che fino a poco tempo prima aveva tenuto in mano il suo cuore faceva più male del previsto.
«Pensi che mi perdonerai?» la sua voce era schifosamente esitante, flebile e vulnerabile: tre aggettivi che mai avrebbe pensato di poter riferire a se stesso.
Altro silenzio, poi Masato parlò di nuovo, e il suo tono esausto minacciò di mandare in frantumi il playboy del gruppo:
«Penso di sì, Ren… Ma credo che capirai se… se non voglio più stare così. Ti perdono, ma non ho più intenzione di vederti in maniera diversa da quella di un collega»
Ren colpì leggermente la porta con la fronte, sibilando un’imprecazione a denti stretti, poi sentì la serratura scattare e si sollevò in piedi, trovandosi poco dopo a fronteggiare Masato.
I suoi occhi blu erano asciutti ma rossi, le sue labbra tese in una linea sottile, i capelli scompigliati, e il suo atteggiamento più rigido del solito: le sue mani stringevano tanto forte la maniglia che le nocche erano diventate bianche.
«Allora odiami. Preferisco che tu mi odi, piuttosto che questo. Tu per me non sarai mai solo un collega. Dannazione, nemmeno Natsuki o Cecil sono miei colleghi! Almeno per me, loro sono miei… amici»
Lo sguardo del ragazzo minore s’indurì e per un attimo parve perdere il controllo, come se volesse colpirlo, ma alla fine strinse più forte la maniglia e sospirò:
«Io non voglio essere tuo amico, Jinguji. Continuerò a sopportarti solo per il bene degli Starish» con quello, Masato lo superò senza degnarlo di uno sguardo e si diresse verso la sala musica, da cui poi giunsero delle note di pianoforte.
Non era però la solita musica coinvolgente che sembrava fluire naturalmente dalle sue dita e riversarsi sui tasti bianchi e neri del pianoforte, erano note esitanti, spesso discordanti; in alcuni punti la melodia s’inceppava e si trasformava in una cacofonia.
Solo una volta Ren aveva sentito Masato suonare così male, ed era stata la volta in cui gli aveva comunicato che non potevano più essere amici in quanto figli di due gruppi finanziari rivali e l’aveva cacciato via da casa sua.
Ren si morse un pugno per non iniziare ad urlare tutto quello che avrebbe voluto dire, cacciò indietro tutti i sentimenti che iniziavano a turbinargli nel petto e scese le scale, raggiungendo Syo ed Otoya che erano impegnati a provare una scena di un nuovo telefilm per cui erano stati scritturati insieme.
Nel vederlo, entrambi si zittirono e assunsero un atteggiamento più o meno ostile. Ren li fissò, poi sbottò:
«Ok, sì! Mi ha mollato, e me lo sono meritato! Contenti?! È questo che volete sentirvi dire??»
Se ne pentì quasi subito, ma mentre Otoya si limitò ad abbassare lo sguardo sul suo copione, mordendosi il labbro inferiore, Syo scattò in piedi e gli si parò davanti, la differenza d’altezza era notevole, ma il biondino ora sembrava quasi sovrastare il sassofonista:
«Io non volevo sentirmi dire proprio nulla. Non me ne può fregar di meno di te e Masato, mi fa solo incazzare che tu l’abbia deliberatamente tradito e ferito quando lui non ha mai fatto nulla per meritarselo! Non so come ha fatto a sopportarti fino a questo momento, quindi se ora si è rotto le scatole di te, non può che avere tutta la mia approvazione!» sbraitò.
Ren incassò il colpo e fece spallucce.
«I-Io credo che perdonerei Toki… se fosse veramente pentito» mormorò Otoya sovrappensiero, più a sé che agli altri, Syo gli lanciò uno sguardo incerto, poi tornò a fissare Ren:
«Sì, ma Ren non è mai stato veramente pentito, o non l’avrebbe rifatto mille volte» disse, con aria di sfida.
Gli occhi celesti del maggiore ebbero un guizzo di cattiveria nel cogliere una presenza uscire in quel momento dalla cucina ed entrare in sala.
«Tu che cosa ne sai, Chibi? Sei nella mia testa? Fatti gli affari tuoi e pensa a finirtela di tradire Ai con Natsuki»
Ai, appena entrato nella stanza, rimase immobile, lanciando uno sguardo confuso a Syo. Ren fece un sorriso cattivo e uscì, non prima di beccarsi un insulto bofonchiato da Otoya mentre Syo si affrettava a spiegare ad Ai che non era minimamente vero.
«Sei proprio meschino» commentò Tokiya, comparso alle sue spalle, scuotendo la testa in aria di disapprovazione, Ren alzò gli occhi al cielo:
«Così sembra» replicò, facendo spallucce.
«Dove stai andando?» sospirò il suo ex compagno di classe, che forse era l’unico ad avere una vaga idea di come si stava sentendo realmente il biondo.
«Non lo so. Forse ad ubriacarmi, oppure a puttane, o forse a fare entrambe le cose e dare scandalo. Ogni pubblicità è buona pubblicità, no, Ichi?»
«Falla finita» concluse lapidario Tokiya, voltandogli le spalle e raggiungendo Otoya.
Ren uscì, non sopportando più di vedere tutte quelle coppiette… gli mancava Masato, e tutto in lui gli gridava insulti per quello che aveva fatto.
Non aveva nemmeno un motivo. Era semplicemente successo perché si erano trovati lui e Nanami su quel balconcino, lei con un po’ troppo alcool nel sangue del previsto, lui ancora irritato per un battibecco avuto con il blu degli Starish e con un malsano desiderio di fargliela pagare… le loro labbra si erano incontrate, e sebbene il suo sangue ribollisse di disgusto più che di passione, aveva continuato.
Ed ecco il risultato. Aveva perso l’unica persona con cui voleva realmente stare.
“Non essere stupido” si disse, uscendo di fretta dalla stanza “non hai bisogno di Masato”.
Il suo problema era che non era mai stato capace di mentire a se stesso, e mentre vagava per i giardini del Master Course, la sua mente continuava a vagare in mille ricordi.
Fughe e scherzi da bambini, notti passate a parlare di sogni e segreti da ragazzini, litigi e battutine da adolescenti… e poi il primo bacio, i “ti amo” rubati fra un bacio e una carezza, le notti passate nel letto di uno dei due, la sensazione di stringere a sé quel ragazzo testardo e all’apparenza imperturbabile, stuzzicarlo fino a strappargli gemiti e sospiri, osservarlo prendere l’iniziativa…
Aveva tutto. E l’aveva gettato alle ortiche in una sola notte per un capriccio.
Si fermò a fissare il lago, in cui il sole al tramonto si rifletteva e tingeva tutto di un dorato quasi rossiccio, la leggera brezza che increspava l’acqua, come se stesse giocando con essa.
E Ren si sentiva ancora soffocare, non c’era respiro che riuscisse a soddisfare i suoi polmoni.
Ricordava quella notte, dopo uno dei loro concerti meglio riusciti, quando aveva seguito Masato nel suo camerino: aveva fatto un passo verso di lui, ma l’altro non era indietreggiato come si era aspettato. Aveva continuato ad avanzare fino a raggiungerlo, e quando mancavano ormai pochi centimetri fra di loro, il più piccolo aveva alzato lo sguardo dalle sue labbra per spostarlo verso i suoi occhi:
«Cosa vuoi fare, Ren?» aveva chiesto, battendo le palpebre ed esitando.
«Tu cosa vorresti fare?» ormai lo spazio fra le loro labbra era ridotto a pochi millimetri, al punto che il respiro di uno riusciva a spostare qualche piccola ciocca di capelli dell’altro.
«Me ne pentirò?»
«Mai»
“Che cretino” si disse Ren, affondandosi il viso fra le mani. Gliel’aveva pure promesso!
Sapeva quanta paura aveva Masato quando si era arreso ai suoi sentimenti.
Era con lui la notte in cui si era svegliato tremando come una foglia e gli aveva confessato di essere terrorizzato all’idea di doverlo dire a suo padre, al pensiero di come avrebbero reagito le fan, o anche solo i loro compagni; gli aveva promesso che sarebbe andato tutto bene, che per qualsiasi cosa ci sarebbe stato lui, che non l’avrebbe mai fatto soffrire.
E poi in una sola sera aveva rovinato tutto, aveva distrutto tutto quello che Masato l’aveva aiutato a costruire.
Crollò in ginocchio e sferrò un pugno al terreno, ignorando le grida di dolore che la sua mano sembrava mandare.
Non sentiva niente se non quell’insopportabile stretta al petto, quella sensazione di avere pezzi di vetro che vagavano fra le sue costole e che gli impedivano di respirare.
C’era solo una cosa che voleva: correre da Masato, abbracciarlo, implorare il suo perdono e giurare e spergiurare che era stato un errore, che non l’avrebbe mai più rifatto…
Ma il ragazzo non gli avrebbe creduto, e lui non poteva certo dargli tutti i torti.
Si rialzò, gli occhi ancora asciutti ma la gola serrata in un nodo che aspettava solo il momento giusto per farlo crollare.
Continuò a vagare per il giardino, ringraziando che fosse abbastanza vasto da dargli l’illusione di essersi perso fra quegli alberi, fra i cespugli dai fiori colorati ed impreziositi dalla luce aurea del tramonto.
Ma era tutto fuorché perso: sapeva benissimo da che parte voltarsi per tornare al Master Course, oh eccome se lo sapeva, sentiva quasi una morsa all’altezza dell’addome che lo tirava verso quel luogo… o meglio, lo tirava verso quel luogo dove c’era lui. Perché non importava che cercasse di ignorare quel fatto, ma da qualche tempo a quella parte, Ren non riusciva a far altro che gravitare attorno a Masato, quasi fossero un satellite e un qualche pianeta.
Alla fine, cedette a quella morsa e ricominciò a camminare verso il dormitorio del Master Course.
«Jinguji-san!» lo chiamò una vocina sottile, e lui si voltò per vedere Nanami che gli correva incontro, affannata.
«Oh, sei tu» mormorò appena il biondo, abbassando la testa. A dire il vero, lei era la persona che meno sperava di vedere in quel momento.
«Jinguji-san io… sono terribilmente dispiaciuta per quello che è successo! Potrei parlare con Hijirikawa- san e… non so, spiegargli che è stata colpa mia, che tu eri ubriaco… qualsiasi cosa!» gli occhi dorati della ragazza si erano inumiditi di lacrime da coccodrillo, e lo sguardo di Ren si indurì a quella vista.
«Non servirebbe. Masa non ti starebbe nemmeno a sentire. E poi io non ero ubriaco, non voglio rimediare ad un errore con una bugia, non voglio più mentirgli» il suo labbro inferiore cominciò a tremare pericolosamente, e il playboy dovette ricorrere a tutte le sue capacità di autocontrollo per fermarlo; ci riuscì talmente bene che ritrovò anche la sua solita maschera e si affrettò a calarsela sul viso «Non preoccuparti, agnellino, se non è Masato, troverò qualcun altro…» fu sorpreso da come il suo cuore parve ribellarsi a quell’affermazione, e anche da come la sola idea sembrò disgustarlo al punto di dargli la nausea.
«Ma, Jinguji-san, voi…»
«Non importa, lady. Ma grazie lo stesso» si affrettò a darle le spalle e a rientrare nel dormitorio, dove ad ogni scalino di marmo che saliva per raggiungere il portone, le sue gambe sembravano farsi più pesanti.
Quando rientrò, in sala c’erano solo Ai e Ranmaru, gli altri ragazzi erano alcuni nelle loro rispettive stanze, altri fuori a lavorare, e altri ancora nelle sale prove.
«Ranmaru-senpai» chiamò, con la voce ora perfettamente ferma «dov’è Masato?» chiese.
Voleva rientrare nella sua camera, ma non era sicuro che avrebbe sopportato di vedere il ragazzo in quel momento.
«Non nella vostra stanza» replicò freddamente Ai, che come sempre sembrava avergli letto nel pensiero. Ren annuì e iniziò a salire.
Gli parve di sentire Ranmaru alle sue spalle che borbottava “forse dovevo dirglielo”, ma non ne era sicuro.
Raggiunse la porta della camera e la aprì, notando subito che qualcosa era cambiato… ad esempio il letto sotto il suo, che non era più coperto dalle solite sobrie lenzuola di un colore blu pallido, ma da un vivace copriletto rosso, e c’era una chitarra gettata sopra.
«Ren!»
«Che ci fai qui, Otoya?» chiese in un sospiro il ragazzo, anche se riusciva già ad immaginare la risposta.
Otoya arrossì a disagio, mentre si torturava le mani, alla fine alzò a malapena gli occhi su di lui e balbettò:
«M-Masa ha c-chiesto a me e T-Toki se uno di noi due p-poteva fare c-cambio stanza con l-lui»
Chiuse gli occhi e si fece piccolo piccolo sul divano su cui era seduto, aspettandosi chissà quale reazione da parte del biondo, ma quando riaprì un occhio per controllare, Ren era ancora fermo e senza alcuna espressione particolare sul viso.
«E Toki ti ha cacciato via dalla vostra stanza?» chiese invece, alzando un sopracciglio, Otoya sembrò anche più a disagio:
«T-Toki ha detto che non voleva avere n-niente a che fare c-con le vostre… ehm… faccende e che q-quindi lui dalla sua camera n-non si spostava»
«Simpatico» sospirò Ren, raggiungendo il suo letto e buttandocisi sopra «beh meglio che sia tu e non lui o il Chibi… per lo meno non rischio di essere ucciso nel sonno. Chissà perché loro mi odiano più di quanto mi odi Masa»
Otoya deglutì:
«Syo ti odia sicuramente, Toki… credo che più che altro ce l’abbia con te per il fatto che hai fatto male a Masa senza motivo»
Ren chiuse gli occhi e fu ben felice che il più piccolo fosse troppo in basso per poter vedere l’unica lacrima che era sfuggita ai suoi occhi rotolargli lungo la guancia.
«Ren» lo chiamò timidamente Otoya dopo un po’, lui emise un verso gutturale in risposta «perché hai… baciato Nanami? Insomma… a te lei non piace, giusto?»
Ren deglutì, prima di parlare:
«Non lo so nemmeno io perché l’ho fatto. Avevamo litigato quella sera, e io… volevo fargliela pagare, credo. Ma non… in realtà non volevo tradirlo. P-però poi lei era lì e…» le sue stesse parole lo disgustarono al punto che avrebbe voluto prendersi a schiaffi da solo «… Otoya, ma che cazzo c’è che non va in me?? Perché non sono tornato indietro a chiarire da lui?? Perché l’ho fatto?!?!»
Ancora una volta, i suoi occhi erano asciutti e la sua voce era calma, ma tutto il resto del suo corpo urlava.
Otoya lo guardò tristemente:
«Ad essere sincero non lo so, Ren. Non capisco nemmeno io» ammise il più giovane, continuando a guardarlo con un’espressione simile alla compassione. Era uno sguardo tanto insopportabile che Ren fu costretto a dargli le spalle per non doverlo più vedere.
Non voleva mica la sua compassione!!
«Ne ̴ Ren»
Controvoglia, si voltò di nuovo verso il ragazzo, incerto, e fu sorpreso di vederlo sorridere gentilmente come sempre, incapace di portare rancore a chiunque e sempre pronto a trovare il bene in ogni persona.
Non era il sorriso di Masato, questo era vero, ma in qualche modo serviva a farlo sentire meglio.
«Io non credo che sia ancora finita fra voi due»
E forse quelle erano le parole di cui aveva più bisogno. Anche se, di nuovo, non era da Otoya che voleva riceverle.
«Come fai a dirlo? L’ho praticamente distrutto… ho tradito la sua fiducia per la terza volta. E già riottenerla le altre volte era stato un miracolo» sospirò, lasciandosi cadere sul letto di Ranmaru.
«Allora però pure tu sei scemo» replicò Otoya «ti è così difficile dire “no” e pensare con qualcosa che si trovi un po’ più su della cinta dei pantaloni??»
Ren sollevò la testa e lo fissò indignato:
«Hey! Ora non farmi la predica pure tu, so che ho sbagliato e…» “e ne sto pagando tutte le conseguenze senza bisogno che voi mi facciate stare anche peggio” «… darei qualsiasi cosa per poter rimediare»
Forse quella era la cosa più vera che aveva detto o pensato da dopo che aveva finito di implorare Masato di perdonarlo.
Otoya gli si avvicinò, inginocchiandosi accanto al letto e posando la testa vicino alle sue gambe:
«Forse puoi ancora farlo»
«Ne dubito» gemette Ren portandosi un braccio sugli occhi e arricciando le labbra nell’ombra di un broncio, prima di costringerle a distendersi in un sorriso «dai, non importa… se non è Masa, sarà qualcun altro. Gli, e le, spasimanti non mi mancano» era la seconda volta che diceva quella frase, ma la verità era che non voleva nessun altro.
«Questo è vero… ma a te andrebbe bene stare con qualcuno che non è lui?»
Le parole di Otoya furono simili ad un colpo allo stomaco, e Ren si contorse a disagio:
«Sì. Non mi importa»
“Perché deve essere così tremendamente orgoglioso?!” si chiese il rosso, alzando gli occhi al cielo. Sospirò e si rialzò, lasciando il biondo ai suoi pensieri.
«Otoya, Ren è lì?» chiese la voce di Syo da dietro la porta, insieme al suono di nocche che colpivano il legno.
Otoya guardò il compagno di band, ancora sdraiato sul letto del suo senpai con il viso coperto dal braccio.
«Più o meno» rispose, incerto, avvicinandosi alla porta.
«Puoi farci entrare?» intervenne Tokiya, con tono più dolce di quello che usava di solito. Ren sentiva di essere sul punto di vomitare.
Non avrebbe tollerato la presenza di una coppietta felice nella sua stanza!
Otoya aprì, e lui continuò ostinatamente a coprirsi il viso, sperando che lo credessero addormentato.
«Nel caso dovesse interessarti, Ren, Masato è chiuso in bagno da almeno venti minuti, e se chiamo non mi risponde, e sto iniziando a preoccuparmi» lo informò freddamente Tokiya, anche se il suo tono tradiva la sua ansia, e i piccoli frammenti che formavano il cuore di Ren diventarono di ghiaccio, mentre lui scattava a sedere e fissava inorridito il compagno.
Syo e Tokiya si guardarono:
«Ok ci tiene ancora» sospirò il biondo, scuotendo la testa «si può sapere perché gli hai fatto una cosa simile?» chiese, buttandosi sul divano, Ren alzò un sopracciglio… l’avevano appena ingannato per vedere se teneva ancora a Masato?
«Scusa, dovevamo esserne certi. Allora» Tokiya andò a sedersi accanto a lui «hai circa mezzo minuto per convincerci che ti meriti il nostro aiuto a farti perdonare da Masa… che fra l’altro, è in camera con Kotobuki-senpai e, a parte il fatto che si rifiuta di aprir bocca, sta bene»
Ren resistette a stento all’impulso di colpire il suo vecchio compagno di classe per avergli fatto prendere un colpo simile, poi abbassò lo sguardo, mentre tutto quello che aveva fatto gli piombava ancora addosso… e il peso ricominciava a schiacciarlo.
«Idioti» borbottò, a denti stretti.
«Scusa, ma dovevamo farlo. In più, te lo sei meritato» rispose con calma Syo, sfogliando svogliatamente uno dei fumetti di Otoya.
«Credimi, sto già pagando per quello che ho fatto» mormorò Ren, affondandosi il viso nelle mani con un sospiro.
«E di chi è la colpa?»
Ren spalancò gli occhi e fissò Masato, fermo sulla soglia, che lo fissava con aria spietata, fredda, dura… un’aria che gli diceva che stavolta poteva dire quello che voleva, ma lui non l’avrebbe perdonato. Il maggiore abbassò lo sguardo:
«Mi dispiace»
«Anche a me» rispose freddamente il ragazzo, mentre qualcosa dentro di lui si ribellava ferocemente al suo stesso atteggiamento.
Non c’era una parte di sé che non volesse correre da Ren, abbracciarlo, baciarlo e perdonarlo ancora una volta… per lo meno, non una parte del suo fisico: ogni centimetro di pelle bruciava per ottenere quel contatto, le sue labbra continuavano a ricordargli la sensazione di avere quelle dell’altro premute su di loro...
Però la sua mente ed il suo onore non avevano la benché minima intenzione di accontentarli.
«Avevi promesso che non me ne sarei mai pentito»
«Lo so» Ren continuava ad incassare colpo dopo colpo; avrebbe accettato di tutto da Masato.
Per lo meno ora gli stava rivolgendo la parola.
Fu quel pensiero che però fece ribellare il suo orgoglio… da quando lui si riduceva così? Era lui quello che sapeva ferire gli altri con una sola parola! Chi si credeva di essere quel ragazzino??
«Ma forse mi ero semplicemente stufato» disse, freddamente, e fu sicuro di sentire Otoya gemere un “no” accanto a lui, mentre Syo si sbatteva una mano sulla fronte e Tokiya scuoteva la testa.
Masato alzò un sopracciglio ed incrociò le braccia sul petto.
«Forse stare con te mi aveva fatto tornare voglia di essere etero» continuò, sollevando le labbra in un ghigno cattivo.
E di nuovo, poté vedere quel po’ di cuore che era rimasto nel petto di Masato andare in frantumi nei suoi occhi, sebbene nulla nel suo atteggiamento cambiò.
Erano i suoi occhi che erano sempre troppo trasparenti e troppo facili da leggere per Ren.
E anche lui sentì una fitta al petto. Aveva esagerato, ne era consapevole, ma le sue autodifese erano intervenute prima che potesse pensare a fondo a quello che voleva fare.
«Ottimo» Masato cercava disperatamente un’altra risposta da dare a quel maledetto biondo, ma la sua mente non collaborava, tutto quello che continuava a fare era parargli davanti i suoi ricordi preferiti di loro due, tanto per “alleviare” il dolore…
Non era rimasto altro da fare: la fuga.

 
   
 
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