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Autore: La_Ragazza_Anonima    05/12/2014    2 recensioni
Ero scappata dalla mia famiglia.
Avevo trovato loro.
Ero scappata di nuovo.
E poi mi ero resa conto che in un finale nulla è bello, come può esserci felicità in una fine?
Quindi decisi di prolungare la fine, anche senza felicità.
ATTENZIONE: La storia non ha una fine precisata, e mi sentivo in dovere di dirlo per non deludere troppo voi lettori.
Genere: Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ashton Irwin, Calum Hood, Luke Hemmings, Michael Clifford, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Perchè, a parte tutto, cosa c'è di bello in un finale?
Conoscevo i ragazzi da anni, ormai.

Mi avevano accettata nel loro gruppo grazie a Michael, che io soprannominavo rossetto per via dei suoi stravaganti capelli di un rosso vivo, che stonava con la sua carnagione e i suoi occhi chiari.

Era sicuramente di una bellezza paradisiaca, ma ero sempre stata troppo occupata a pensare alle mie imperfezioni ben evidenti per notarlo.

Dopo Michael avevo subito fatto amicizia con Calum, facevo finta di dimenticare le sue origini per fargli dire che era un kiwi. Era davvero bello: occhi scuri, capelli pure, ma con un ciuffo tinto di biondo, naso grande e buffo e labbra carnose.

Purtroppo era fuori dalla mia portata, dato che era fidanzato con Marina.

Marina.

Ecco, lei divenne la mia ragione per sorridere, per andare avanti. Solo per poco.

Era bellissima nella sua semplicità, e per questo Calum se ne era innamorato, credo.

Aveva dei lunghi capelli mossi e mori, come i suoi occhi, mai più scuri del fidanzato.

Aveva anche diversi piercing alle orecchie e uno all'ombelico, che poche volte mostrava, per l'insicurezza attanagliata alle ossa.

Eravamo basse rispetto a quei quattro e Ashton era sempre incantato a guardare la mia unica amica, che, ingenua e insicura com'era, non se ne accorgeva nemmeno.

Oh, a proposito di Ashton...

Era semplice, ma davvero bellissimo, con quei ricci domati da migliaia di bandane diverse ogni giorno e quella carnagione leggermente ambrata, molto spesso sudata e sexy, e con quegli occhi verdi, nascosti da sfumature marroni.

Ma parliamo delle sue labbra.

Quelle ti facevano sentire l'invidia al petto, procurandoti fitte.

Lo odiavo, il mio unicorno. Sì, perchè faceva tanto lo spaccone ma la sera lo vedevi coccolare una sottospecie di cane bianco in plastica "Ketchup" mi pare.

Proprio punk rock, no?

E poi Luke, che dire? E' uno di quei ragazzi che ti regalano sorrisi e, pur di vederteli fare, te li stamperebbe sulla bocca. Seriamente, l'ha fatto.

Era alto, bello, alto, simpatico, alto, gentile, alto, solare, alto, socievole e alto.

Ah, ed era molto alto.

E io? Io avevo dei bellissimi capelli azzurri (forse una delle poche cose che apprezzavo di me), degli occhi verdastri, di un colore aspro e delle labbra a cuore, carnose, ma rovinate dai miei stessi denti e dal troppo tabacco.

Marina odiava il fumo, per questo non fumavo davanti a lei. Ma era per il mio essere costantemente esausta e il mio voler allontanare tutto e tutti.

E in parte lo ringrazio, il fumo. Mi ha fatto conoscere Michael.

 Ma questi sono dettagli, come le descrizioni dei ragazzi, come la mia descrizione.

E quel giorno non ero pronta per andare a scuola.

Non ero pronta a sentire le lamentele dei miei compagni come non ero pronta a sentire le domande dei cinque sulla mia assenza di ben tre mesi alle loro uscite.

Non ero pronta per niente.

Sospirai, mentre camminavo, nascondendo le mani dentro le maniche della felpa.

E mentirei se dicessi che quel giorno, quando quelli mi avevano ignorata, lanciandomi solo occhiatine, non mi ero sentita ancora più uno schifo.

Marina non era felice, nessuno in quel gruppo lo era, da quando mi avevano conosciuta.

Nemmeno Luke, che sembrava Heidi, tanto era sempre felice.

Chiusi per un attimo gli occhi, studiando quel nero così familiare, che mi faceva sentire nuova, ma mai migliore.

A mensa non ci andai nemmeno, restai nel giardino grigio della scuola, che nemmeno mi dispiaceva, a fumare le ultime sigarette, una dopo l'altra.

Mentre il fumo mi appannava il cervello, riempiendomi i polmoni, capii che ero giunta al fondo. Ero arrivata all'apice del buio, nascondendo i polsi magri e buttando cibo, facendomi male in mille modi, accarezzando la felicità e ritirando la mano per paura di perderla.

Scossi la testa, guardandomi attorno, concentrandomi sulla finestra della mensa, dove c'era il gruppo, che cercava qualcosa con lo sguardo, parlandosi di tanto in tanto.

Vidi Michael.

I suoi occhi delusi incatenati ai miei impassibili.

Il suo cuore nascosto, le mani che passavano tra i capelli, le labbra screpolate, per la prima volta.

Non sembrava stare bene, il suo sguardo sicuro aveva laciato spazio al grigio.

Sempre colpa mia.

Scosse la testa, rivolgendomi uno di quei sorrisi non coinvolti dagli occhi, dal cuore.

"Che fallimento, che schifo" stava pensando, guardandomi.

Ero troppo cieca per vedere il suo amore per me, per un demone.

E ce ne vuole per innamorarsi di un demone. Ce la devi mettere tutta.

Tutto il gruppo mi trovò con lo sguardo, solo preoccupazione.

Paura di perdermi.

Mille volte avevo pensato questa frase, ma mai nessuno l'aveva pensato per me.

Mi riscossi, scappando da quel posto.

Andai a casa e feci la valigia.

Sarei scappata, di nuovo.

 
   
 
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