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Autore: bAbYAng3L    31/01/2005    5 recensioni
A volte, è per sempre.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Una foto in una cornice da ragazzina, di peluche rosa con perline luccicanti appese qua e là

Una foto in una cornice da ragazzina, di peluche rosa con perline luccicanti appese qua e là. Due visi vicini, le pelli diverse a contatto e quei due sorrisi splendenti della stessa felicità.

Lei avrà quindici anni, forse sedici, e per alcuni versi sembra più grande: c’è una luce seria nei grandi occhi di nocciola, e tutta un’aria consapevole e tranquilla intorno al suo viso, in netto contrasto con la bocca carnosa e morbida, di un rosa smagliante e appiccicoso al sapore di fragola e lampone.

Lui è più grande, di anni ne avrà quasi diciotto, e ha un sorriso che mette allegria. Ha il naso un po’ grande ed i capelli tagliati corti, troppo corti, ma nonostante tutto ha un faccino che fa venire voglia di baci e parole lente. Il suo braccio, ben definito dai muscoli ma sottile, dalla pelle ambra tipica dell’abbronzatura che scivola via, è intorno alle spalle di lei, che sono scure e provocanti, bene in vista sotto il bianco della maglietta di seta scollata ed aderente.

Lei guarda davanti a sé, ha le labbra aperte in una risata divertita indirizzata a qualcuno che non si vede, e non si accorge dello sguardo alla menta del ragazzo che le è addosso, dolce e triste.

Sullo sfondo c’è Roma di notte: strade illuminate, lunghe scie di luce che si proiettano sulle pozzanghere e un cielo talmente scuro da sembrare blu.

Era una notte speciale, quella. Loro due festeggiavano i loro tre mesi, che non sono pochi ma nemmeno troppi, ed avevano tutta la città a disposizione per una lunga notte di nero blu e giallo. Lei non poteva uscire tanto spesso la sera, e lui era abituato al suo gruppo ed ai suoi locali fumosi.

Invece le strade avevano ancora addosso il buono della pioggia, c’erano miliardi di stelle che si riflettevano e voci che si affollavano sopra di loro.

Camminavano stretti, le mani infreddolite che si cercavano costantemente, gli sguardi che si intrecciavano ogni tanto con piccoli sorrisi segreti, e lei nel frattempo parlava allegramente con tutti gli amici che avevano intorno. La sua voce aveva un suono strano, che a lui era sempre piaciuta, con la sua incoerenza fatta di parole infantili e sussurri rochi, e sapeva parlare bene. La ascoltavano tutti volentieri, e ridevano tirando ampi tiri dalle sigarette incastrate tra le labbra.

Era già tardi quando erano andati a sedersi vicino al Colosseo. E lì, lei aveva preso la mano di lui tra le sue e l’aveva trascinato in un angolo buio e silenzioso. I loro corpi si erano incontrati con naturalezza, spinti addosso ad un muro, le loro labbra erano affamate e gentili insieme, e c’era tutta una magia nell’aria fatta di quella strana festa nuova, e dalla sensazione che avevano tutti e due che fosse un evento unico, quel loro vivere nel buio, tra le stelle ed i sorrisi.

Il giorno dopo era domenica, e l’aria piovosa aveva perso la sua bellezza, sporcata da paradigmi latini e lunghe pagine affollate di appunti. Era già tardi quando si erano visti, in mezzo ad una festa di pozzanghere, e loro labbra si erano unite un’altra volta. Lei era salita in motorino dietro di lui ed avevano volato tra gli spruzzi d’acqua e gli ultimi piccioni infreddoliti.

A casa di lui non c’era nessuno. Non c’era mai nessuno, ed a lei non dispiaceva quella lenta esplorazione delle stanze, la sua voce che si ripeteva addosso ai muri e sulle lenzuola, il silenzio in cui cantavano solo i loro corpi, fatti di spigoli pronti a completarsi.

Lui l’amava; amava ogni cosa di lei, ed amava anche il suo corpo di burro e metallo, di spigoli amari e curve di caramella. Era scura su tutto il corpo, magra e armoniosa, con due morbidi seni ed i fianchi disegnati nella panna. Le gambe erano lunghe, agili, gli si chiudevano sulla schiena morbidamente mentre lui le si dondolava dentro.

Amava le sue mani: ben disegnate, con quella pelle al caffelatte che faceva contrasto con le unghie da bambina, ovali e rosa, scintillanti. Amava la sensazione che gli davano le sue mani sul corpo, il suo respiro tra i capelli, la sua pelle addosso.

Anche lei lo amava, in maniera diversa ma ugualmente forte. Amava la dolcezza che c’era in ogni cosa di lui, i suoi occhi che la guardavano, le sue labbra che le disegnavano aloni di brividi sulla pelle, e amava il suo corpo sottile, i muscoli della pancia che si contraevano assecondando il ritmo sempre più veloce del respiro, le spalle disegnate a curve perfette che l’accoglievano come casa.

E quei loro amori si intrecciavano perfetti tra le lenzuola spiegazzate, nell’affannata ricerca dei corpi e nei sospiri paralleli.

“ Mi ami troppo.” Pensava lei a volte, guardandolo stare con il viso tra le mani e sentendo il peso di tutto il suo amore.

“ Ti amo male.” Rifletteva lui, perdendosi nella sua pelle, affondando il naso nei suoi capelli alla pesca, stringendola forte per non lasciarla andare.

E lei lo distanziava un po’. A volte evitava i suoi sguardi dolci, e lanciava battute acide. Altre volte gli girava le spalle.

E lui la inseguiva, chiedendosi cosa avesse fatto di palesemente sbagliato, baciandola sulla spalla, cingendola per la vita, chiamandola già tardi per darle la buona notte.

Ed i loro amori uguali scivolavano per terra, lontani e sofferenti.

“ Non lo amo abbastanza per farlo felice” pensava lei, affogando i respiri nel cuscino.

“ Che ci succede?” si chiedeva lui, ascoltando il cd che lei gli aveva messo tra le mani, fatto di canzoni e ricordi.

Ma le distanze si annullavano quando facevano l’amore. Di nuovo, era tutto semplice. Un bacio se mi ami. Una carezza se mi vuoi. Un sussurro se ti piace. Di nuovo intrecciati, corpi anime e cuori. Di nuovo loro due stretti in un brivido.

“ Non finirà” pensava lei, allungando una mano fuori dalla finestra e sorridendo alle gocce di pioggia che tintinnavano sul cemento e le affondavano sulla pelle, sporche e tiepide.

“ Non ce la facciamo.” Rifletteva lui, alla vista del cielo grigio e dell’acqua che scendeva dal cielo.

La lasciò così, in un giorno di pioggia. Era il suo compleanno, compiva quei diciotto anni che avevano aspettato con entusiasmo per la macchina che gli avrebbe portati in giro e la casa che sarebbe stata loro per davvero.

La lasciò piangendo. Lei era avvolta nel lenzuolo e girava per il minuscolo monolocale, con i boccoli di castagna che le dondolavano sulle spalle e quando lui la fermò, lo guardò spaventata.

Quando lui disse “è finita”, lei sentì un calore forte in mezzo alle gambe e si accorse del sangue grumoso che prendeva a fluire all’improvviso. Se ne andò in bagno e si infilò un Tampax. Poi se ne andò e basta, senza salutare, senza supplicare. Le lacrime le si incastravano nella gola e mentre camminava a testa bassa sotto la pioggia, cercava le parole che aveva perso.

Lui la guardò allontanarsi, piccola e colorata in quella sua minuscola felpa grigia con il cappuccio e lo strano cappello rosa acceso, abbinato ad una lunghissima sciarpa che le dondolava allegra sulle spalle, una nota di allegria e colore in quell’inverno arrivato troppo presto. La guardò evitare gli sguardi della gente, e rimanere appoggiata al muro a fumarsi una sigaretta, traendo da ogni boccata una promessa di odio.

Quando fu troppo lontana anche per immaginarla, chiuse la finestra. Nella stanza c’era ancora il profumo di lei. Il letto era ancora tiepido, e si addormentò tra le lenzuola fragranti dei loro baci.

Il mattino dopo, e tutti quelli seguenti, la osservò debole e pallida, avvolta in abiti troppo scuri e troppo normali per lei, camminare per il cortile della scuola sotto il braccio di qualche amico. Lei lo guardava a malapena per la maggior parte del tempo, ma ogni tanto lo supplicava con quegli occhi colmi di odio ed amore.

“ Non finirà così.” Si giurava lei, cercandolo tra le facce ammassate.

“ Non finirà così.” Sperava lui, trovandola senza difficoltà in quella calca di colori e sorrisi.

Non finì così. Lei era debole. Lei aveva bisogno di lui.

Lui era distrutto. Lui aveva bisogno di lei.

Loro non c’erano più per gli altri. Loro c’erano solo nei loro sussurri mischiati ai gemiti intrisi di promesse. Loro non erano che due corpi stretti in un’anima, e lo sapevano entrambi.

Lei cercò di cacciarlo via dal suo corpo, lasciandosi spogliare da mani senza amore.

Lui si inzuppò di odio, guardandola premere la sua pelle da principessa su corpi senza anima.

Lei lo amò con tutta la forza del suo odio, mentre si lasciava bruciare da baci di ghiaccio.

Lui la desiderò senza capire perché, guardandola spegnersi di lacrime, grigia e non lei.

E forse sarebbe andata avanti in un lungo esitare di odio e amore, lacrime e rimpianti, baci e pugni, se non fossero capitati per caso ad una festa noiosa, affollata ma non tanto da risultare interessante e soprattutto non al punto di permetter loro di non riconoscersi.

Si trovarono vicini. Lei sorseggiava annoiata un liquore, alcol che bruciava sulle sue labbra infettate d’odio, e lui fumava.

“ Ciao” esordì lei, guardandolo stupita. I suoi occhi si spalancarono lentamente, aperti di promesse non mantenute e lacrime, urla nel silenzio e rimpianti.

“ Ti amo ancora.” Disse per tutta risposta lui, togliendole il bicchiere dalle mani.

Lei lo schiaffeggiò. Lui fermò la sua mano sulla guancia e le disse di farlo ancora. Lei lo colpì nuovamente. Lui strinse il suo polso tra le dita e la guardò con quegli occhi alla menta che la scioglievano dentro.

“ Anche io ti amo ancora.” Disse lei, tremando. Lo colpì ancora, e poi si lasciò andare docilmente tra le sue braccia.

Il dopo fu difficile. Si trattò di cancellare odio e rancore e disegnare a nuovi tratti amore e felicità. Ma lui era forte, con lei, e lei era radiosa, con lui.

Lei compì diciotto anni in un pomeriggio di primavera, e portò una scatola di cartone nel monolocale di lui.

Tirarono fuori una foto. Era in una cornice da ragazzina, di peluche rosa con perline luccicanti appese qua e là. Due visi vicini, le pelle diverse a contatto e quei due sorrisi splendenti della stessa felicità.

 

 

 

  
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