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Autore: Bab1974    08/12/2014    2 recensioni
Luigi e Attilio hanno due idee completamente diverse di come dovrebbe evolvere la loro storia. Quando Attilio preme sull'acceleratore per rendere pubblico tutto, complice un orsacchiotto, qualcosa sembra rompersi. O no?
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Nickname: Monnalisa1974/Bab1974
Nome storia: Un regalo imbarazzante
Avvertimenti: Slash
Introduzione: Luigi e Attilio hanno due idee completamente diverse di come dovrebbe evolvere la loro storia. Quando Attilio preme sull'acceleratore per rendere pubblico tutto, complice un orsacchiotto, qualcosa sembra rompersi. O no?
Colore: Rosso
Parola: Orsacchiotto
Contest: Storia partecipante al contest Slash, oh sweet slash indetto da Wolf_Blood_001 sul forum di EFP.

Storia partecipante al contest Slash love story indetto da LaviBookman sul forum di EFP.
N.d.A.: /

 

 

 

 

Un regalo... imbarazzante

 

 

 

 

 

Luigi aveva sedici anni, anzi poteva dire diciassette poiché li avrebbe compiuti fra qualche ora. Era un ragazzo sveglio, sportivo e attivo, che odiava le smancerie e aveva un carattere scontroso. Circondato da amici che lo ammiravano, aveva un unico problema, quello di essere gay. Non comprendeva fino in fondo il motivo per cui gli piacevano i maschi, un tipo come lui che non era affatto effeminato e contagiato da strane movenze. Poteva solo ammettere che il fondoschiena di un uomo, con i suoi fianchi stretti e le natiche muscolose, lo attizzavano più delle curve sinuose di una ragazza e che i tentativi per non esserlo erano stati vanificati da un perverso (in senso buono) vicino di casa (vedi sotto).

Attilio aveva pure lui diciassette anni e nessun problema al mondo, almeno a suo dire. Era allegro e lievemente effeminato e tutti sapevano che gli piacevano i maschi, anche se non lo aveva mai detto a nessuno. Qualcuno lo prendeva in giro, a volte pesantemente, ma se ne fregava. Altri, la maggior parte, lo ignoravano, o almeno non sottolineavano il suo difetto, rendendolo più sicuro.

Luigi e Attilio stavano assieme da più di sei mesi, all'oscuro da tutti: acqua e fuoco che si riunivano, diversi eppure attratti l'uno dall'altro.

Luigi e Attilio avevano diversi pensieri su come sarebbe dovuta proseguire la loro relazione. Il primo, un bel moro muscoloso dagli occhi verdi, voleva che tutto continuasse a essere solo per loro; l'altro, un biondino con gli occhi azzurri, tutto pepe e meches di vario colore, che cambiava con l'umore, avrebbe desiderato proseguire su un piano superiore, con tutti che fossero al corrente che erano fidanzati. Non si poteva dire che litigassero sull'argomento, ma non erano neppure sereni.

 

 

 

Il giorno del compleanno di Luigi accadde qualcosa che mandò in fumo quel poco che avevano costruito. I genitori avevano dato il permesso di organizzare una festa in casa, sotto la supervisione della sorella maggiore Irene e di alcune amiche. Tutto era perfetto. C'era musica, cibo e birra. Mancava solo il suo ragazzo, anche se per tutti gli altri era solo il vicino gaio. Sentiva fisicamente che un pezzo di sé non era al suo posto. Purtroppo per lui, Attilio arrivò.

Il sorriso, nato dal vedere l'amico, morì giovane quando vide il regalo che gli aveva portato: un enorme orsacchiotto, che il ragazzo, non certo basso, faticava a cingere tra le braccia, correlato da un fiocco.

“Auguri Gigi!” esclamò Attilio “Cento di questi giorni.”

Nel frattempo la testa di Luigi rimuginava su quello che stava vedendo e la prima reazione fu quella di sbattere la porta in faccia all'amico.

Irene, che si accorse che era tornato senza nessuno e pallido in volto, capì che era accaduto qualcosa e, al risuonare del campanello, decise di andare lei ad aprire. Si ritrovò anche lei Attilio davanti con il pupazzo e pure lei sbarrò gli occhi ed ebbe la tentazione di chiudergli la porta in faccia. Si trattenne a fatica e, nel farlo entrare, cercò di fare luce su quella pazzia.

“Tilly, che ti è preso? Vuoi che i compagni di Gigi lo prendano per il culo per il resto della vita?” lo apostrofò.

Attilio era confuso: non capiva il problema. O forse in realtà non voleva rendersi conto che Luigi non voleva una relazione alla luce del sole con un altro uomo e che probabilmente avrebbero dovuto vivere nascosti come ladri per sempre.

“Tu sai di noi?” le chiese.

Irene sospirò e annuì.

“Sì, per quanto Gigi abbia cercato di nasconderlo in ogni maniera. Questo significa che lui non vuole che si sappia e anche se nessuno probabilmente oggi capirà, rimane il fatto che farà la figura dell'idiota.”

Attilio osservò il pupazzo e lo porse a Irene.

“Tienilo tu, rinnova i miei auguri a Gigi e digli che è stato bello finché è durato. O meglio, no, non dirglielo, o capirebbe che sai tutto. Addio.”

“Tilly, ma che addio? Abitiamo a due passi, ci vedremo tutti i giorni, come sempre.”

“Non sarà la stessa cosa.”

Attilio si voltò e tornò a casa propria: in fondo era meglio così, non erano adatti a stare assieme loro due.

 

 

 

Irene tornò in salotto. Aveva portato il regalo nella propria stanza, sul letto per evitare che qualcuno lo vedesse. Era davvero bello ed enormissimo. Appena rientrata nella sala in cui si stava svolgendo la festa, si diresse verso il fratello.

“Come mai ci hai messo così tanto tempo? Di solito ti ci vuole meno per cacciare gli scocciatori.” sbottò Luigi.

“Se n'è tornato a casa e ha detto che non vuole avere più nulla a che fare con te.” annunciò la sorella “Non ha usato queste medesime parole, ma il senso era quello.”

“Non m'importa, basta che si sia portato dietro quella cosa.

“Su dai, non era così orrendo.”
“Anche tu, alla mia età, se qualcuno ti avesse fatto un regalo del genere, lo avresti cacciato.” l'accusò.

Irene dovette dargli ragione.

“Ora lo accetterei, ma nessuno me lo farebbe più. Per fortuna che Tilly l'ha dato a me. Lo so che è riciclato, ma mi accontento.” avvertì la ragazza e tornò al suo ruolo di vigilantes, chiudendo i rubinetti del bar a qualcuno che stava esagerando. Si alzò un coro di lamentele, ma anche qualche applauso da parte dei più sobri.

Luigi cercò in ogni maniera di divertirsi, anche se non era facile. Ballava, rideva con gli amici, mangiava e beveva, ma il suo pensiero era sempre fisso sulla minaccia che Attilio aveva fatto a sua sorella, ma diretta a lui, cioè che non si sarebbero più visti.

Qualcuno, che cominciava a essere abbastanza avanti con il tasso alcolico, interruppe le sue elucubrazioni mentali. Era Roberto uno dei suoi compagni più stronzi e meno gestibili dagli insegnanti, di due anni più grande di lui, a causa delle volte che era stato bocciato, l'unico che continuava a bere a sbafo, poiché, essendo maggiorenne, riteneva di poterlo fare.

“Ehi, Gigi, ma dov'è quel frocetto del tuo vicino? Non vedevo l'ora di averlo qui per pigliarlo un po' per il culo. Mi ero preparato qualche scherzetto da fargli.”

“Mi dispiace, temo che abbia avuto un contrattempo.” sospirò sollevato Luigi, alla fine contento che non fosse venuto. Si sarebbe dovuto schierare dalla sua parte e allora si sarebbero lasciati perché non aveva avuto il coraggio di difenderlo. Meglio quella mini scenata che si sarebbe rivolta nel nulla.

Roberto si allontanò insoddisfatto e cercando qualche altra vittima cui fare i suoi scherzi. Luigi cercò di gestire al meglio la festa assieme alla sorella. Irene era certo che lui non avesse capito che Attilio lo aveva lasciato sul serio, forse era meglio se faceva con lui una chiacchierata seria. La giornata proseguì senza troppi intoppi. Irene riusciva a tenere a bada anche i più scalmanati, perfino Roberto. Al ritorno dei genitori la casa non era troppo distrutta e i ragazzi erano rientrati senza danni. I signori cortesi potevano dirsi soddisfatti che loro fiducia fosse stata ben riposta.

 

 

 

Nel cuore della notte Luigi ricevette una visita inaspettata. Si trattava di Irene in compagnia... dell'orsacchiotto gigante.

“Ciao, ti ricordi di me?” chiese la ragazza, mettendosi il peluche davanti alla faccia e storpiando la propria voce.

Il fratello si voltò scocciato dall'altro lato, pensando che lei fosse lì per sfotterlo. Irene capì che aveva sbagliato approccio, forse, ma aveva bisogno di attirare la sua attenzione e di averlo ben sveglio.

“Teddy ed io abbiamo bisogno di farti un discorsetto. Sei pronto, potrebbe essere una notte lunga e dolorosa per te.”

Luigi tornò a guardarla, la sensazione che fosse una cosa tremendamente seria, mentre solo la luce del corridoio la illuminava.

“Ti decidi ad accendere l'abat-jour. Non svegliare i vecchi, ma non desidero neppure rimanere al buio.”

Sbuffando accese la lucina sul comodino. Allo stesso tempo Irene spense l'altra ed entrò con passo felpato nella stanza. Non era molto molto grande, come la sua, poiché erano state ricavate dividendo a metà una stesso camerone, ma era meglio così: non avrebbe sopportato quell'arredamento maschile a vista, le avrebbe rovinato il sonno.

“Allora, di che vuoi parlarmi di così importante che non può aspettare domattina?” la incitò, voglioso solo di tornare a fingere di dormire, per meditare sui suoi tormenti interiori.

“Vorrei solo farti notare che hai trattato malissimo Tilly oggi...” cominciò la ragazza.

“Ma lui è un dement...” cercò d'intervenire Luigi.

“... e che so che tu e lui state insieme.” Irene ebbe la sensazione di vedere la mascella di suo fratello cadere, le braccia staccarsi e sentire che il suo cuore si fermasse per qualche istante “Sì, è così. Nonostante la tua attenzione a far credere che siete solo amici e che stai in sua compagnia solo per compassione, ho capito che in realtà, la vostra decennale amicizia è diventata qualcosa di più.” Luigi continuava a fissarla stupito e senza parlare “Non preoccuparti, probabilmente sono l'unica che sia giunta a questa conclusione. Non so se sia per il fatto che sto studiando Scienze del Comportamento, ma da quando frequenti l'Università ho cominciato a osservare il mondo con altri occhi e devo ammettere che quello che ho notato mi ha stupito sempre di più. Prendi i nostri genitori, per esempio. Sono stati bravi con noi, ci hanno insegnato molte cose, ci hanno educato bene. Nella festa di ieri qualcuno della nostra età si sarebbe lasciato andare, sorella maggiore vigilantes compresa, eppure sono più disattenti di quello che mi aspettavo. Credo che sia colpa del fatto che siamo stati troppo bravi, finora, perciò hanno abbassato il livello della loro protezione, dedicandosi a ciò che ritenevano ne avesse più bisogno: la cura della casa, il lavoro, la loro vita sessuale.” A questo Luigi fece una smorfia di disgusto, non sapendo che la sorella ne aveva parlato apposta per essere certa che lo stava ascoltando e non si era addormentato con gli occhi aperti. “Nessuno si è accorto, a parte me, che tu e lui state, o meglio stavate assieme.” concluse.

A quelle ultime parole Luigi si riscosse del tutto e una sorta di allarme crebbe dentro di lui.

“Che significa stavate? Non ci siamo lasciati.” affermò alzando troppo il tono della voce.

“Ehi, abbassa il volume, tonto.” lo intimò “Comunque ti assicuro che da quello che mi ha detto oggi Tilly, non ha intenzione di continuare la vostra relazione. Non voglio passare per maestrina e non ti voglio neppure usare come cavia per i miei studi, ma credo che, inconsciamente, con questo dono astruso, volesse metterti alla prova. Prova che tu non hai superato.” Puntualizzò, alla fine.

Attese poi una risposta che non arrivò. Lui la fissava con lo sguardo che era tornato fisso. Forse sperava che quel dialogo facesse parte di un suo incubo e che al mattino si sarebbe svegliato tranquillo e nulla sarebbe successo, a partire da quello stupido regalo.

Irene si mise di nuovo il pupazzo davanti al volto e questo lo riscosse di nuovo.

“Lui non può avermi lasciato per questo, oltretutto senza avvisarmi neppure prima.”

“Da quello che ho capito, non più intenzione di rivolgerti la parola, starà a te vedere se sarà davvero così. Se domani, alla stessa ora, non si trova sotto casa sua ad aspettarti (lo ammetto sono un'impicciona) vorrà dire che ho ragione io, o che è moribondo. Se dovessi scommetterci sopra, punterei di più sulla prima opzione, però.”

Luigi si arrese sul fatto che la sorella potesse avere lo sguardo lungo e distolse lo sguardo.

“Se davvero fosse così, che dovrei fare secondo te?” le chiese come consiglio.

“Teddy era una specie di avvertimento. Non ha molta importanza che tu lo accetti o no, lo posso benissimo tenere io, mi ci sono già affezionata, ma da questo momento in poi, dovrai prendere delle decisioni drastiche.”

“Di che genere?”

“Oh, lo capirai strada facendo, se non ci sei già arrivato” Irene si stiracchiò come un gatto, poi strinse Teddy e si alzò dal letto.

“Tutto qui?” insistette Luigi.

Irene non aggiunse altro, tornò nella propria stanza cercando di prendere sonno.

 

 

 

Il resto della nottata, se possibile, fu ancora più agitata di prima. Se vegliava pensava come approcciarsi al suo ragazzo (ex?) per rimediare a quella situazione spinosa senza rimetterci del tutto, se si addormentava, i suoi sogni erano costellati di incubi. Il peggiore era quello in cui Teddy (un nome più originale, no?) con la voce di Attilio, gli diceva che lo lasciava. Al suonare della sveglia per andare a scuola, si ritrovò più stanco di quanto era andato a letto. Si alzò con la testa fiacca e il corpo messo peggio.

-Un caffè, ne ho un bisogno urgente.- pensò. Si diresse come un automa in bagno, si lavò, scese in cucina, dove la madre aveva già preparato la colazione. La tavola era imbandita con i dolci rimasti dalla festa, ma lui li ignorò scolandosi una tazzina del caldo liquido nero, senza il latte che ci metteva di solito.

“Gigi, non esci di casa se non mangi qualcosa.” intervenne la madre. Il ragazzo non aveva voglia di discussioni quindi prese un pezzo di dolce e lo sbocconcellò di malavoglia.

“Per fortuna che il compleanno c'è solo una volta, non sopporterei di vederti così spesso.” continuò la donna, non avendo molta attenzione dal figlio. “Hai male alla testa?”

Luigi scosse la testa.

“Tu cosa penseresti se ti dicessi che sono fidanzato e che, forse, per un malinteso, sono stato lasciato?” Luigi non seppe che cosa l'aveva spinto a confidarsi, ma la sensazione che la donna che l'aveva generato potesse aiutarlo, più di quella piattola ficcanaso della sorella, fu netta.

“Fidanzato? Non ce ne siamo resi conto. Noi la conosciamo?” chiese immediatamente la donna.

“Non è questo l'importante al momento. Vorrei sapere come mi devo comportare, secondo te?”

“Uhm, per quale motivo, forse, vi siete lasciati?” s'informò la donna, lasciando per il seguito il problema dell'identità.

“Potrebbe essere perché io non voglio rendere pubblica la nostra storia.” confessò il ragazzo. “Credi che sia possibile?”

La madre si sedette e lo guardò con dolcezza, stringendogli la mano attraverso il tavolo.

“Sai, noi donne siamo strane, ci piace essere al centro dell'attenzione e non stare nascoste come delle ladre. Quindi, secondo la mia opinione, è possibile che una ragazza che abbia un'alta opinione di sé, decida di lasciarti fermo alla fermata e di riprendere il tram della vita.”

Luigi rimase a bocca aperta, anche se più per la pessima similitudine che per altro. Poi rimuginò sulle parole della madre, così simili a quelle di Irene e si alzò.

“Grazie per la colazione, non ho più fame. Ci vediamo stasera.” e uscì.

 

 

 

Presto avrebbe avuto conferma delle fobie di Irene. Come ogni mattina passò davanti a casa di Attilio. Di solito lui era lì che lo aspettava e assieme sarebbero andati all'Istituto per Ragionieri, dove entrambi studiavano, anche se in classi diverse. La distanza era poca, due passi di salute. Si avvicinò con il cuore in gola ed ebbe una specie di crollo vedendo che non c'era nessuno ad attenderlo.

-Si tratta di un caso, solo un contrattempo. Ora lo aspetto e lui uscirà con il suo solito sorriso giulivo.-

Il tempo passò, ma nessuno uscì dalla porta. Rischiava di fare tardi a scuola, eppure non si risolveva ad andarsene senza aver controllato. Magari era solo un caso, forse in quel momento era a letto malato in maniera così grave che non riusciva nemmeno a mandargli un messaggino al cellulare. Forse, forse, forse... un controllo che male gli avrebbe fatto?

Suonò il campanelli e sua madre, vestita pronta per andare in ufficio gli aprì la porta.

“Luigi, buongiorno, e auguri. Ti è piaciuto il regalo di Attilio?”

“In realtà è stato abbastanza imbarazzante. Non lo vedo fuori, per caso sta male?”

La donna scosse la testa.

“Ha detto che aveva da fare, ed è uscito prima.” Il cuore di Luigi perse un colpo “Suppongo che non ti abbia regalato una sobria sciarpa come gli avevo suggerito io, vero? Chissà perché mi chiede consigli se poi fa quello vuole. Vuoi che me lo riprenda, qualsiasi cosa sia, e che lo sostituisca con qualcosa di diverso?”

“Non importa. Irene ci si è già affezionata, le ruberei il cuore, a questo punto. Grazie per il pensiero, comunque.”

Si salutarono e Luigi s'incamminò verso la scuola con le movenze disarticolate di un automa arrugginito. Come aveva preventivato era arrivato in ritardo. Questo avrebbe abbassato la sua media di assenze, dovute più che mai a malattie, ma non gli importava molto. Si aggiudicò la prima nota sul registro dell'anno, poiché era uno studente modello, ma non fu l'unica della giornata. La sua testa fra le nuvole, i suoi pensieri spinti tutti a pensare a come intercettare Attilio durante l'intervallo, lo fece arrivare a quota tre, con il risultato che alla fine, esasperata, l'insegnante di italiano si risolse a mandarlo dalla Preside, più preoccupata che arrabbiata.

 

 

 

-Ecco la fine che ho fatto. Sto passando la ricreazione davanti alla porta della Preside Simoni, invece di andare a cercare Attilio. Vabbé che se non vuole farsi trovare, la scuola è troppo grande per esplorarla tutta in così poco tempo. Di sicuro avrò più tempo per la pausa pranzo, in fondo anche lui mangia alla mensa.-

La Preside, che era in riunione, uscì dall'assemblea pochi minuti prima che finisse la ricreazione. Lesse l'appunto che le aveva lasciato la professoressa e osservò bene il ragazzo.

“La signora Tessani ha ragione, hai una brutta cera. Vuoi che chiami i tuoi per farti uscire prima?”

Luigi non voleva assolutamente, aveva delle cose importanti da fare, ma cercò di essere diplomatico.

“Non sto così male, devono essere i postumi della mia festa di compleanno di ieri” si giustificò. “Non mi va di disturbare i miei al lavoro o Irene all'Università per una cosa del genere. Cercherò di porre più attenzione nelle prossime ore.”

La donna, comprensiva e materna, gli sorrise.

“Uhm, facciamo così. Aspettiamo fino al pranzo. Però se stai male, poi ti mando a casa, ok?”

Luigi accettò quel compromesso e ringraziò la Preside, che gli diede il permesso di consumare la merenda anche se l'intervallo era finito. Intanto, per evitare che glielo rispedissero prima del tempo, avvisò gli insegnanti che sarebbero seguiti che non era totalmente in sé e di essere comprensivi. Luigi era studioso e sportivo, un bravo ragazzo e non lo avrebbe rovinato per così poco.

 

 

 

Luigi si ritrovò in mano un panino che gli dava la nausea: non era riuscito nel suo intento di parlare con Attilio durante la ricreazione, ora doveva aspettare di intercettarlo in mensa. Osservò il wurstel che lo chiamava (“Mangiami, mangiami.”) dall'interno dell'hot-dog casareccio fatto dalla madre. Ci andava pazzo di solito, ma in quel momento aveva lo stomaco chiuso. Buttò il panino nella spazzatura e si avviò verso la classe. Bussò alla porta e l'insegnante di inglese diede il permesso di entrare.

“Buongiorno, mi scusi per il ritardo.”

“Buongiorno, non preoccuparti, la Preside mi ha avvertita. Vai al tuo posto e fatti dire dai tuoi compagni dove siamo.”

Il ragazzo si sedette e si mise in pari con gli altri, promettendosi di stare più attento, non voleva che lo mandassero a casa, era importante che parlasse con Attilio. La professoressa, come chiesto dalla superiore, non lo disturbò, ma si vedeva che non stava bene, aveva una pessima cera.

Passarono anche le seguenti ore e appena si fece ora di andare a mensa, corse a perdifiato per arrivare al loro tavolo. Nel percorso si chiese se qualcuno si fosse mai accorto del fatto che sedevano sempre lì. In realtà lo facevano da una vita, da prima che Luigi si accorgesse di essere attratto da quello che era suo amico dalla prima elementare, ma, ora che stavano assieme, quella routine aveva preso un diverso indirizzo. Il fatto era che Attilio non nascondeva ciò che sentiva dentro e desiderava esternarlo. Gli sfiorava le mani e gli faceva piedino sotto il tavolo, con imbarazzo ed eccitazione da parte dell'amico. Nessuno si sedeva mai lì, anche se loro erano in ritardo, tutti sapevano che da quattro anni quello era il tavolo di Gigi e Tilly, nessuno li avrebbe derubati del loro unico angolo, durante il giorno, in cui potevano scambiare due chiacchiere.

 

 

 

Prese un vassoio e si mise in fila con gli altri. Era venerdì, c'era il pesce che lui adorava, ma in quel momento nulla lo invogliava. Compose il suo vassoio senza fare troppo caso a ciò che ci metteva dentro, arrivò al tavolo e attese.

Lo vide giungere, attorniato da alcuni compagni di classe, mettersi in fila e prendere le sue cose, senza voltarsi un attimo dalla sua parte. Attese ancora, nella speranza che si sedesse davanti a lui, e che gli desse l'occasione di parlargli, ma quell'ultima flebile fiammetta si spense definitivamente, quando lo vide sedersi da un'altra parte. Un brusio si sollevò: anche se nessuno sapeva che erano fidanzati, una rottura della loro amicizia valeva del gossip. Luigi osservò il proprio vassoio senza guardarlo veramente. Il cibo continuava a dargli la nausea e seppe che doveva fare qualcosa per discutere con lui. Un messaggio dal cellulare lo distrasse dai suoi pensieri, ma solo per un attimo. Nel giro di un attimo gli arrivarono una serie di What up spediti da quella disgraziata di sua sorella che, non contenta del discorso della notte precedente, si prendeva la briga di rigirare il coltello nella piaga. Si trattava di foto e selfie il cui protagonista era l'orsacchiotto e una specie di... biglietto? Il biglietto di auguri che accompagnava il regalo, avrebbe dovuto capire che ce ne sarebbe stato uno.

Ti regalo questo con tutto il mio cuore, sperando che tu lo accetti per quello che è, un dono dalla persona che ti ama e che tu giuri di amare, senza pregiudizi o altro. Vorrei dividere assieme a te il resto della nostra vita, senza nasconderci più. Ti faccio i migliori auguri del mondo,

 

tuo Tilly.

Luigi sentì un dolore sordo in fondo allo stomaco, come se avesse ingoiato una pietra e non era possibile visto che l'ultimo pasto erano stati qualche cucchiaio di torta alla mattina. Doveva parlargli, a costo di fare la figura dell'idiota, o peggio ancora.

 

 

 

 

Si alzò senza toccare cibo e si diresse verso il tavolo occupato da Attilio e compagni. Il ragazzo, il suo ragazzo, era di spalle e non lo vide arrivare. Lo avvertì uno degli altri componenti del gruppo, lui si girò per poi tornare concentrarsi di nuovo a mangiare, come se non volesse proprio tenere conto della sua presenza. Luigi continuò imperterrito il suo percorso verso il tavolo e solo quando fu giunto alle spalle di Attilio si rese conto che non sapeva come introdurre il discorso, senza mettersi nei guai, senza far capire agli altri che anche lui era gay. In quel momento, però, la sua dignità, il suo essere il ragazzo perfetto, era la cosa meno importante.

“Tilly, avrei bisogno di parlarti? Possiamo metterci un attimo in un angolo?” chiese, sperando che non ci fosse una chiusura totale.

Attilio non si voltò.

“Puoi parlare tranquillamente.” lo sfidò “Non c'è nulla di quello che devi dirmi che non possa essere ascoltato da altri.”

Continuò a mangiare, convinto di aver messo un ostacolo per lui insormontabile. Non si sarebbe mai permesso di parlare dei suoi sentimenti in pubblico, lo aveva fregato. In realtà aveva messo in gioco anche se stesso, gli sarebbe piaciuto che lui mettesse da parte il suo orgoglio di macho, ma sapeva anche che era difficile farlo di punto in bianco. Attilio sapeva che la loro storia era finita lì. Probabilmente entrambi avevano esagerato nelle reazioni, ma non si poteva più tornare indietro.

 

 

 

Luigi sentì all'improvviso che il mondo gli stava cadendo addosso e non in senso figurato. Tutte le emozioni che aveva vissuto quel giorno, per la maggior parte negative, stavano avendo il sopravvento sul suo fisico anche se allenato. La stanza cominciò a girargli attorno vorticosamente e appena osò fare un passo, neppure certo di sapere dove stava dirigendosi, sentì di aver perso aderenza con il terreno e si ritrovò, con un gran tonfo, steso a terra.

“Accidenti, Tilly, è svenuto!” gridò uno dei suoi compagni, alzandosi di scatto.

Attilio, seppur incredulo, si alzò e vide Luigi steso a terra. Il cuore cominciò a sobbalzargli in petto per la paura che provava e corse a soccorrerlo, assieme a tutta la scuola. Dovette intervenire uno dei cuochi della mensa, Luca, esperto di pronto soccorso per evitare che lo schiacciassero.

“Che succede qui? Accidenti, fate largo!” esclamò chinandosi su di lui. “Lasciatelo respirare e portatemi dell'acqua.”

Un attimo dopo qualche decina di mani porgeva il suo bicchiere e lui prese quello a portata di mano.

“Qualcuno di voi dica a Lisa di chiamare un'ambulanza, dobbiamo essere sicuri che non abbia una commozione cerebrale, ma di sicuro ha un bel bernoccolo.” gridò, mentre cercava di farlo rinvenire spruzzandogli il viso con l'acqua “Qualcuno di voi sa dirmi cosa è successo?”

I ragazzi si guardarono indecisi, poi il compagno di Attilio intervenne.

“Era qui in piedi e da un momento all'altro è caduto, come se avesse avuto un malore.” spiegò.

Luca non sembrava molto convinto, conosceva Luigi ed era raro che un atleta del suo calibro svenisse in quella maniera, era più alta la possibilità che qualcuno lo avesse spinto o sgambettato. I mugolii provenienti dall'interessato lo distrassero dalle sue elucubrazioni.

“Come ti senti?” chiese, mentre attorno tutti tornavano a respirare normalmente.

Luigi, dopo essersi guardato intorno ed essersi trovato a terra osservato da tutti, cercò di tirare fuori la voce.

“Mi sento come se una mandria di bufali mi fosse piombata addosso.” mormorò a fatica.

“Hanno detto che sei caduto da solo. Confermi questa versione?” chiese ancora Luca.

Luigi annuì.

“Ha cominciato a girare tutto e mi sono ritrovato a terra.”

“Ti può aver fatto male qualcosa? Anche se così mi do la zappa suoi piedi, mi dici che hai preso dalla mensa?”

“Non servirebbe a molto, non ho avuto il tempo di mangiare. L'ultima cosa che ho messo in bocca, stamattina, è stato un pezzo piccolissimo di torta.”

Luca sbarrò gli occhi: poteva essere che fosse svenuto per un calo della pressione o degli zuccheri? Lo aiutò ad alzarsi e a mettersi seduto in una sedia. Aveva un bernoccolo gigante in una tempia.

“Coma mai non hai mangiato altro oggi? Potresti essere svenuto per quello.”

“Avevo lo stomaco chiuso, non mi andava nulla.”

Un compagno raccontò che era stato sulle nuvole tutto il giorno, senza alcuna ragione. Luca sorrise e osservò lo sguardo svanito del ragazzo e capì che non era tutta colta della botta ricevuta.

“Sei innamorato, vero? Ne hai tutti i sintomi. Spero che ne valga la pena, hai dato una bella ripassata al pavimento.”

Anche Luigi sorrise, teneramente, poi guardò verso Attilio che era ancora preoccupato.

“Sì, ne vale la pena.” dichiarò, poi, inaspettatamente allungò la sua mano verso di lui. “Mi perdoni?” gli chiese.

Attilio si commosse fino a sentire gli occhi umidi.

“Non ho nulla da perdonarti, credo di aver... esagerato con la reazione. Non pensavo che stessi così male.”

“Non puoi nemmeno immaginare come sono stato oggi.” disse e mentre si stringevano le mani e si guardavano negli occhi con infinita dolcezza, come se non ci fosse nessun altro al mondo, il silenzio regnava sovrano.

Tutti, escluso qualcuno particolarmente ottuso, aveva capito qual'era la situazione fra i due ragazzi e si stupirono. Tutti sapevano che Attilio era gay, ma nessuno aveva avuto sentore che anche Luigi, nonostante l'attaccamento all'altro, lo fosse. Non sapevano come reagire alla faccenda, per fortuna intervenne la sirena dell'ambulanza, che distolse l'attenzione su quel fatto.

“Oh, cavolo, non abbiamo chiamato i tuoi genitori.” esclamò Luca, battendosi la fronte.

Luigi, senza lasciare un attimo la mano di Attilio, cercò con l'altra il proprio cellulare e lo porse all'uomo che lo aveva soccorso.

“Potresti chiamare mia sorella, piuttosto? Dovrebbe avere finito all'università e mia madre diventa isterica in questi casi. Irene è meno impressionabile.”

Luca prese il cellulare, cercò il numero, poiché non sembrava interessato a farlo personalmente, mentre con un occhio osservava Attilio che cercava di tastare la gravità del bernoccolo.

Attese un attimo, circa tre squilli, prima che la ragazza rispondesse.

“Ehi, Gigi, che succede?” rispose, senza salutare.

“Mi scusi, sto usando il suo cellulare, ma sono il cuoco della mensa. Luigi mi ha chiesto di chiamare lei, invece dei genitori. Ha avuto un malore prima del pasto e abbiamo chiamato un'ambulanza perché ha battuto la testa.”

Irene fece uno strano verso, che forse voleva essere di dolore.

“Come sta ora?”

“Ha ripreso i sensi e ha un gran bernoccolo, a parte questo... sta... ehm, non so come dirlo, non malissimo però. L'ambulanza è quasi arrivata e credo che lo porteranno al pronto soccorso per degli accertamenti. La richiamerò per avvertirla se deve venire qui o all'ospedale.”

“Ma stava così male che non ha potuto chiamarmi di persona? E ti prego, ho vent'anni, non darmi del lei.”

“Ehm, in realtà in questo momento è occupato. Oddio, non posso guardare!”

“Non capisco.”

“Tutti gli stanno attorno e non solo a causa del malore. Lui e Attilio stanno dando spettacolo.”

La fervida mente di Irene s'immaginò qualcosa di davvero perverso per creare tutto quel trambusto.

“Oh, e io che me lo sto perdendo. Poiché hai il cellulare di Gigi, mi fai un video?” chiese innocentemente.

“Non avevi una voce da maniaca. Appena butti giù filmo, prima che lo portino via. Comunque nulla di che, solo che nessuno sospettava una minima tendenza da parte di tuo fratello. Si è nascosto bene, finora.”

Non ricevette altra risposta, la maniaca aveva buttato giù per permettere a Luca di filmare. Riuscì a registrare dieci secondi di coccole, prima che entrassero con la barella.

Ai sanitari Luigi confermò che aveva mangiato poco quel giorno, ma preferirono portarlo all'ospedale per rassicurarsi della sua salute e controllare la botta ricevuta.

Tutti i commensali tornarono finalmente ai loro posti: lo spettacolo era finito, non c'era altro da vedere.

 

 

 

Epilogo

 

 

 

“Quando dico che mio figlio è gay, nessuno ci vuole credere.” commentò la signora Drudi. “Piuttosto mi stupisco ancora che tu abbia intuito tutto. Lui non è affatto effeminato, neppure ora.”

Irene la stava aiutando a preparare la tavola per la cena. Era un pasto importante, l'unico che, per via degli orari, riuscivano a passare assieme. Quella sera era anche una festa perché avrebbero festeggiato il compleanno di papà.

“Te l'ho detto che i miei studi mi hanno portata ad analizzare meglio la mia famiglia. A proposito, sei certa che hai fatto bene a invitare Tilly? Il babbo non l'ha ancora digerita questa faccenda. Non rischi di rovinargli la festa?”

“Noooo.” negò con esagerato entusiasmo la madre “Se ne farà una ragione, come tutti gli altri, del resto. Piuttosto, Luca viene?”

Irene sorrise intontita.

“Non si aspettava di essere invitato, è spaventato, credo che tema di essere messo sotto torchio.”

“Non l'hai avvertito che sei tu la ficcanaso di famiglia? Certo che è particolare il modo in cui vi siete conosciuti.”

“Già, cominciavo a disperare di trovarmi un fidanzato. Non credevo che Gigi e Tilly mi avrebbero dato una mano. Sinceramente non pensavo neppure di averne bisogno, ma direi che va bene. Allora, che dici, va bene?” chiese mostrando la tavola apparecchiata.

“Uhm, non male. Credo che sia la prima volta che allunghiamo il tavolo, non vedevo l'ora di poterlo fare.”

“Sono contenta che almeno tu abbia preso le cose dal verso giusto. Allora, per quanto riguarda il regalo per papà, è tutto a posto?”

“Sì, è venuto un collage bellissimo e in mezzo ci si può aggiungere la foto che faremo oggi. In fondo, a parte qualche piccolo problema, siamo una famiglia felice, no?”

Irene sorrise: non poteva che confermare ciò che aveva detto la madre. Tutto sembrava andare per il verso giusto.

 

 

 

Nella camera di Luigi... lui e Attilio erano abbracciati nel suo letto. Il biondino era fortemente soddisfatto della piega che aveva preso il loro rapporto: Attilio non solo non si vergognava più di lui, ma non mancava mai di fargli notare, anche in pubblico, i suoi sentimenti.

“Gigi, non dovremmo andare di sotto ad aiutarle?”

L'altro lo baciò sul collo, lasciandogli una scia leggera di saliva e i brividi che gli percorrevano lungo tutto il corpo.

“No, non serve.” disse fra un bacio e il seguente “Hanno poche occasioni di confrontarsi e conoscendole si stanno divertendo un mondo. Sparleranno soprattutto del festeggiato e del fatto che tu sei un ospite a sorpresa, almeno in apparenza. Conosce troppo bene la mamma, sa che non c'è maniera di spuntarla quando crede di essere nel giusto. Per fortuna che è lei che ci sostiene e non il contrario, sarebbero stati guai altrimenti.”

“Mi sento in imbarazzo.” sussurrò Attilio.

“Sarebbe la prima volta. Allora sei certo che non vuoi che chieda a Irene di restituirmi l'orsacchiotto?”

“No, ci si è così intensamente affezionata, che sarebbe una cattiveria. Non preoccuparti, però, ho in mente qualcosa di ganzissimo per Natale.”

Luigi rise. Era già preoccupato e allo stesso tempo eccitato all'idea. Da Attilio ci si poteva aspettare di tutto e di più, ma questa sua imprevidibilità era la parte migliore di lui.

 

 

 

 

 

 

  
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