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Autore: earlgreytea68    08/12/2014    10 recensioni
Sherlock Holmes, studente.
Sì, in pratica è tutto.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Saving Sherlock Holmes

 

 

 

 

Sherlock era terribile sul fronte del mangiare, il che comportava che non cenavano quasi mai assieme. John di solito metteva insieme degli avanzi e li portava poi nella loro camera, dove passava il resto della serata cercando inutilmente di convincerlo a mangiarli; Sherlock, imperterrito, continuava a lamentarsi del fatto che il processo digestivo gli consumasse il cervello
John non aveva mai sentito niente di così ridicolo, ma Sherlock ne era convinto. 
Per quella ragione, finiva per mangiare con gli altri ragazzi del suo anno che apprezzava a sufficienza. Non credeva che sarebbero mai diventati amici davvero stretti, ma era come se la sua amicizia con Sherlock fosse tale da portarlo a considerare inevitabilmente secondari tutti gli altri. 
E una notte, una settimana prima delle vacanze, Musgrave gli disse, “Siamo tutti curiosi di sapere lui com’è.”
John si era distratto pensando all’imminente settimana di vacanza e al fatto che aveva deciso di passarne parte a casa di Sherlock, a come avrebbe fatto a dirlo a sua madre e a come avrebbe potuto impedire a Harry di insospettirsi troppo; così disse, vago, “Chi?”
“Holmes. Noi altri abbiamo cercato di capirlo, ma non siamo mai arrivati a niente. Trevor in quel senso è quello che ha ottenuto di più, prima che Holmes lo fermasse dicendo di essersi annoiato.”
I ragazzi ridacchiarono, ma Trevor non sembrò offeso. Disse, allegramente, con l’aria di chi ha già raccontato parecchie volte una storia e si diverte a farlo, “E dopo che molto gentilmente avevo fatto venire lui per primo, anche. Ecco cosa si ottiene comportandosi educatamente.”
Di colpo John capì di cosa stavano parlando. Realizzò di essere stato un po’ più lento di comprendonio di quanto sarebbe stato in una diversa situazione, semplicemente perché l’idea che Sherlock potesse aver preso parte alle attività sessuali che erano la normalità lì ad Eton non lo aveva mai sfiorato. 
Sherlock era sempre così riservato: John non era sicuro di averlo mai visto parlare con altri studenti all’infuori di lui. Non aveva mai pensato che potesse aver interagito con gli altri ragazzi e alla sola idea sentì un’improvvisa e completamente irrazionale ondata di gelosia. Non perché Trevor era riuscito a entrare nei pantaloni di Sherlock, ma perché apparentemente aveva parlato con lui. 
John si accorse che tutti lo stavano guardando in attesa di una risposta; accennò un pallido sorriso e disse, “Non è come pensate.”
“No, lo sappiamo che non siete froci,” disse Musgrave, quello che aveva dato il via alla discussione. “Be’,” si corresse. “Sappiamo che tu non lo sei. Non abbiamo idea di come classificare lui.”
Per quel che ne sapeva John, tutti a Eton si lasciavano entusiasticamente coinvolgere in attività sessuali gli uni con gli altri senza tuttavia che nessuno si ritenesse per questo un omosessuale. Ne capiva il motivo: aveva trascorso la gran parte della sua adolescenza in una scuola dove aveva avuto modo di sperimentare sessualmente con delle ragazze, questi ragazzi invece no e lui non li avrebbe certo giudicati. Non che sarebbe stato diverso se fossero stati davvero gay. Era solo che John, con un passato da eterosessuale, non voleva prendere parte alle sfinenti pratiche sessuali di Eton. Preferiva la frustrazione sessuale a cui si stava sempre più abituando, in parte perché non riusciva mai a rimanere solo. 
O solo quantomeno per quanto gli sarebbe bastato a rilassarsi, senza la preoccupazione che qualcuno spalancasse di colpo la sua porta. 
Scosse brevemente la testa, sorrise di nuovo e disse, “No, davvero, siamo solo amici.”
Risero tutti come se avesse appena detto una battuta esilarante. John li guardò confuso. 
“Lui non ha amici,” disse Musgrave. 
John ribatté, “Ha me.”

 

***

 

La lezione di biologia era appena finito e John stava raccogliendo i suoi libri quando Sherlock si materializzò davanti al suo banco. Di solito uscivano insieme per tornare ad Holland House, dove John si sarebbe preparato per il rugby e Sherlock avrebbe messo il broncio perché John aveva altre cose da fare che non ruotavano solo attorno a lui. 
In realtà era un battibecco che avevano così spesso che John davvero non avrebbe dovuto più registrarlo come tale, se non fosse che la sera prima gli avevano dato la scioccante notizia che Sherlock era stato amichevole con qualcun altro quel tanto che bastava da procurarsi un orgasmo; e davvero a John non avrebbe potuto importare meno del sesso, sul serio no, ma irragionevolmente odiava qualsiasi cosa fosse accaduta prima del sesso. 
Non poteva farne a meno. 
“Penso che dovresti saltare il rugby oggi,” disse Sherlock, come faceva tutti i giorni in cui John aveva allenamento. 
“Non posso,” rispose John, come faceva tutti i giorni in cui aveva allenamento. 
Uscirono fuori insieme: era una giornata umida e grigia e John desiderò che potesse saltare il rugby per fare qualsiasi cosa Sherlock avesse in programma; fin tanto che fosse stato previsto un tetto sopra la testa. 
“Ho bisogno del tuo aiuto per un esperimento di chimica a cui sto lavorando,” disse Sherlock. 
Detto da chiunque altro avrebbe potuto sembrare un tentativo di rimorchio, ma John sapeva che Sherlock intendeva il tutto letteralmente. “No, non è vero. Sono pessimo in chimica e lo sai. Quello che davvero vuoi che faccia è complimentarmi per la tua genialità mentre porti avanti l’esperimento e grattarti di tanto in tanto la spalla perché sei troppo pigro per sollevare il braccio e farlo da solo.”
Sherlock sorrise soddisfatto. “Sì, esattamente.”
John non riuscì a trattenere una risata. “Be’, non succederà; devo giocare a rugby.”
Sherlock fece una smorfia. “E’ davvero svantaggioso per me che tu conosca altre persone.”
E per qualche motivo, in quel particolare giorno, quella frase lo irritò. “Sai,” disse, girandosi bruscamente verso di lui, “non puoi davvero lamentarti di questo, non è vero?”
Sherlock sembrò sorpreso dalla sua reazione. Sbatté le palpebre. “Cosa?”
“Il conoscere altre persone. La camera di chi usavi come laboratorio prima della mia? Quella di Trevor?”
“Non usavo la camera di nessuno prima della tua. Chi è Trevor?”
John roteò gli occhi e riprese a camminare. “Oh, smettila, Sherlock.”
“Oh,” disse lui e John riconobbe un accenno di comprensione nella sua voce. “Trevor. Aspetta, tutto questo riguarda la terribile tecnica di fellatio di Trevor?” Sherlock lo raggiunse. “Perché quello era un esperimento.”
John cercò di non pensare a Sherlock e al sesso orale e disse, “Ovvio che lo fosse. Non avrebbe dovuto esserlo. Non puoi semplicemente usare le persone in quel modo.”
“Perché no? Perché Trevor ha importanza? E’ un cretino.”
John sapeva che lo era, ma si stava comportando in modo irrazionale al punto da arrivare a difenderlo. “Avresti dovuto dirmelo. Sono sembrato un idiota perché non lo sapevo.”
“Non sapevi cosa?” chiese Sherlock con rabbia. “E perché stavi parlando di quello, tanto per cominciare?”
La domanda provocò a John una fitta di colpevolezza. “Possiamo chiudere qui questa conversazione, adesso?”
“Sei stato tu a iniziarla,” gli fece notare Sherlock, freddamente. “Ti stai comportando in maniera profondamente illogica al momento e sai quanto io lo detesti.”
Sherlock ruotò su se stesso con eleganza e riuscì ad apparire aristocratico anche mentre si allontanava sbattendo i piedi. 
John pensò che alle volte lo odiava davvero.
“Hey!” gli gridò dietro, seccato perché l’accusa di Sherlock era stata del tutto corretta, ma lui continuò a camminare in direzione del laboratorio di scienze senza accennare a voltarsi e John soppresse l’impulso di tirargli in testa il libro di biologia. 
Lestrade uscì dall’edificio alle loro spalle giusto in tempo per cogliere l’ultimo e infruttuoso richiamo di John e notare la rabbiosa figura di Sherlock in allontanamento. 
“Problemi in paradiso?” chiese, gentilmente. 
“Noi non siamo una coppia,” scattò John, e marciò via verso Holland House. 

 

***

 

John si cambiò rabbiosamente per l’allenamento di rugby e poi disordinò di proposito i calzini di Sherlock. Sapeva che era un comportamento meschino, soprattutto visto che non era nemmeno del tutto certo di non dover essere proprio lui a porgere le sue scuse a Sherlock, ma era nervoso, e il cambiare l’ordine dei calzini riuscì a farlo sentire meglio. 
Era già fuori dalla porta, intenzionato ad andare all’allenamento, quando il suo cervello realizzò ciò che aveva visto sul muro; tornò indietro e guardò meglio. Quel giorno Sherlock vi aveva attaccato un pezzo di carta con su scritta un’equazione chimica, cerchiata e con un punto esclamativo accanto. John era davvero terribile in chimica, ma riconobbe che ciò che Sherlock aveva cerchiato era il “cloro”.
Corrucciato, lasciò la sua stanza e si avviò in direzione del campo di rugby; compì quattro passi completi prima di girare su se stesso e dirigersi invece verso il laboratorio di scienze. Perché Sherlock, com’era naturale che fosse, avrebbe probabilmente inalato il cloro e rischiato di ammazzarsi. 
Come John aveva predetto, quando aprì la porta del laboratorio il sentore di cloro era molto forte e gli occhi cominciarono subito a pizzicargli. Sherlock stava indossando degli occhiali protettivi, per questo probabilmente i suoi occhi sembravano star bene, e guardò John con espressione accigliata al di sopra del becco di Bunsen che aveva acceso. 
“Cosa vuoi?”
John raggiunse le finestre e cominciò ad aprirle. “Devi ventilare la stanza se stai per lavorare con del cloro.”
“Non sono un idiota,” disse Sherlock, offeso. “La concentrazione di gas non ha ancora raggiunto il livello per cui sia necessario far ventilare.”
“Sarebbe opportuno arieggiare prima di raggiungere il punto in cui non saresti più in grado di respirare,” commentò John. 
“Sono più che capace di badare a me stesso.”
“Nessuno ha detto il contrario.”
“Tu lo stai implicando.”
“Sto solo implicando che alle volte riponi fin troppa fiducia nelle capacità della tua stessa intelligenza di salvarti da tutte le spericolate cose che fai.”
“Non mi servono i tuoi consigli in materia,” borbottò Sherlock. 
John alzò le mani, frustrato. “Certo che no. Perché dovresti stare ad ascoltarmi? Sono solo un tuo amico.”
“Io non ho amici,” sbottò Sherlock. 
La stanza divenne improvvisamente così silenziosa che John, attraverso le finestre che aveva appena aperto, riuscì a sentire gli allenamenti di rugby in lontananza. 
Aveva cenato, la sera scorsa, e insistito con gli altri suoi compagni che proprio quello non era vero sul conto di Sherlock - che Sherlock aveva lui - ed era impreparato per come lo fece sentire, proprio dalla voce di Sherlock, che non era ciò che pensava anche lui. 
Cos’erano, se non amici? Per quanto riguardava John, Sherlock era indubbiamente il suo migliore amico. E il livello di dolore che provò mentre ciò gli veniva negato, anche se erano nel bel mezzo di una discussione, lo colse del tutto di sorpresa. Avrebbe difeso Sherlock fino alla morte. Era la prima volta che dubitò che lui avrebbe fatto lo stesso. 
Sherlock non sembrava pensare di aver appena oltrepassato alcun confine: resse duramente il suo sguardo, per lo più seccato dal fatto che John aveva avuto l’ardire di suggerirgli di arieggiare la stanza prima di sperimentare con dei gas tossici. 
Era quasi divertente, pensò John, quanto stupidamente si stesse comportando.
“No,” concordò, sardonicamente. “Mi chiedo come mai.”
E poi marciò fuori dal laboratorio. Lasciò volutamente la porta aperta dietro di sé, in parte per sottolineare il concetto della ventilazione e in parte per dare a Sherlock l’opportunità di richiamarlo indietro per scusarsi con lui. 
Dietro di sé non sentì altro che il silenzio. 

 

***

 

Prima che John uscisse dal laboratorio di scienze, l’opinione di Sherlock sulla discussione che stavano avendo era che era stupida e il risultato della stupidità di John. Non voleva neanche prendersi la pena di cercare di capire perché mai la stupida cosa con Trevor aveva sconvolto John fin dall’inizio. 
Quando John uscì dal laboratorio di scienze, Sherlock realizzò improvvisamente di aver commesso un terribile sbaglio. 
John era suo amico. Sherlock restò immobile, pietrificato, e pensò a quanto fosse stato idiota a non capirlo prima. John aveva parlato di loro come amici fin dal primo giorno in cui si erano conosciuti, ma Sherlock aveva ignorato la cosa. John era quel tipo, il tipo che era amico di tutti, e perciò non aveva voluto leggere troppo in quella parola. Ma ora, sei settimane dopo, John sembrava considerarsi davvero ancora amico di Sherlock; almeno fino a pochi minuti prima. 
E John era leale. Sorprendentemente leale, dolorosamente leale. 
Avrebbe tollerato qualsiasi cosa da parte di Sherlock, ma non il tipo di tradimento che aveva appena compiuto negando la loro amicizia. Era possibile che avesse appena rovinato ogni cosa. Sentì un vago malore e desiderò poter incolpare la concentrazione di cloro nella stanza, ma no, John, con quella sua premurosità che insisteva a riservare anche a Sherlock, aveva ventilato l’area per lui. 
Si sentì male per la paura
Aveva avuto un amico e stupidamente non lo aveva realizzato finché non era stato troppo tardi. 
Spense il becco di Bunsen e cercò di pensare a cosa fare. Cosa fanno le persone che hanno degli amici? Come fanno a tenersi stretti quegli amici? Di solito ciò includeva cose che lui non sopportava: inutili conversazioni sul tempo e sulla salute altrui, ma non con John, mai con John; ecco perché doveva risolvere la situazione. 
John era proprio come il teschio che la signora Hudson gli aveva dato per compagnia la prima volta che era andato a Eton, solo migliore
Andò al campo, dove l’allenamento era ancora in corso, e sedette sul pendio della collina per considerare cosa avrebbe dovuto dire. Qualcosa di divertente, forse? Essere divertenti era parte fondamentale dell’amicizia. Sherlock lo aveva osservato tantissime volte. Quasi mai ciò che avrebbe dovuto essere divertente lo era davvero, ma sembrava che funzionasse sempre. Cercò di pensare a qualcosa di divertente da dire. 
Non appena l’allenamento giunse al termine, Sherlock visse il suo primo momento di vera paura: e se John non fosse andato verso di lui? E se lo avesse ignorato, andando via con i suoi altri amici? E se non gli avesse parlato mai più?
Prese un respiro profondo, cercando di ossigenare il sangue così da placare l’irrazionale crescita di adrenalina. Sarebbe andato tutto bene, si disse, anche se John non gli avesse parlato mai più. Aveva vissuto tutto la sua vita senza parlargli, che importanza avrebbe avuto se non gli avesse mai più rivolto la parola?
John si allontanò dalla folla sul campo e puntò infallibilmente nella sua direzione. 
Sherlock rilasciò un sospiro di sollievo e si accorse di aver avvinghiato l’erba sotto di sé per la tensione. Si forzò a rilassare le dita mentre lo guardava avvicinarsi. 
John rallentò appena al suo fianco prima di continuare a camminare; ma non avrebbe scelto quel percorso se non avesse voluto parlare con lui, decise Sherlock, e si alzò in piedi per seguirlo. 
“L’allenamento è andato bene,” azzardò. 
“Sai qualcosa di rugby?” gli chiese John senza rallentare il passo. 
Sherlock era sul punto di rispondere che avrebbe potuto sapere tutto del rugby se avesse voluto, ma ricordò a se stesso che quella probabilmente non era una cosa amichevole da dire; così rispose, “No.”
“Allora perché stai parlando di rugby?”
“Ho pensato che potesse servire a rompere il ghiaccio,” mormorò Sherlock, onestamente. 
“Non ti si addice. Io mi atterrei al ghiaccio.”
Questo, pensò Sherlock, non sembrava star procedendo bene. 
Aveva avuto un amico - uno splendido amico - e aveva rovinato tutto. 
“John...” cominciò, disperato. 
“Va bene così,” disse John, coinciso, ma era chiaramente una bugia. 
“Intendevo davvero quello che ho detto,” gli disse Sherlock, accanitamente. 
John rise aspramente e continuò a camminare. “Oh, davvero?”
“Io non ho amici. Ne ho solo uno.”
John smise di camminare. 
Non si girò per guardarlo, ma almeno si era fermato.
“Giusto,” disse dopo un secondo. 
Sherlock desiderò che John si girasse: era molto più facile capirlo quando poteva guardarlo negli occhi. Avrebbe potuto andargli davanti, ma non voleva fare niente che potesse in alcun modo infastidirlo.  
Alla fine si limitò a dire, “Per favore, vieni a trovarmi durante le vacanze. Per favore.”
Normalmente non diceva ‘per favore’. Mai. Sembrava una strana parola, proveniente dalla sua bocca, ma non poteva sopportare l’idea che John non sarebbe stato con lui durante le vacanze come aveva detto che avrebbe fatto. 
Gli amici passano del tempo a casa dei loro amici. Mai nessuno era andato a trovare Sherlock e ora John sarebbe venuto a stare da lui; il che non era per niente paragonabile a come quando tutti gli altri ospitavano i loro noiosi, stupidi amici: lui era John
Sherlock realizzò improvvisamente di non vedere l’ora di scoprire quanto sarebbe piaciuto alla signora Hudson e quanto lei sarebbe poi stata contenta di lui per aver trovato non solo un amico, ma un fantastico amico. Non poteva in alcun modo tollerare il pensiero che John avrebbe potuto cambiare idea, dando modo a Mycroft di dire che lui aveva sempre saputo che Sherlock non sarebbe stato mai in grado di tenersi un amico come John
John alla fine si girò a guardarlo, l’espressione sinceramente confusa, come se Sherlock fosse il mistero lì; il che era completamente assurdo dato che era lui ad essere impossibile da comprendere. 
John disse, “Ho già detto che sarei venuto, non è così?”
Sherlock sbatté le palpebre. “Sì, ma...” Avrebbe voluto fargli notare che avevano appena litigato, o almeno era quello che lui pensava, ma forse aveva male interpretato l’intera situazione e la cosa migliore era non dire un bel niente. “Giusto,” disse, rapidamente. “Hai detto che saresti venuto. Eccellente. Era solo per confermare.”
“Era solo uno stupido litigio, Sherlock,” gli disse John. “Non leggerci troppo con quell’iper reattiva immaginazione che hai.”
Sherlock si sentì così sollevato da riuscire a ignorare la sensazione di essersi comportato da stupido. Sentì improvvisamente l’impulso di sprofondare in John e rifiutare di lasciarlo andare. Non provava mai impulsi del genere, ma di colpo gli sembrò sgradito stare lì con dello spazio fra di loro. Pensò che la sua testa si sarebbe modellata alla perfezione con la spalla di John, la faccia premuta nella curva del suo collo. 
Il battito di John sarebbe stato veloce per via dell’allenamento e pensò che avrebbe potuto contare i battiti premendo la lingua contro la pelle sopra la sua arteria carotide. Avrebbe avuto il gusto del sudore; e se Sherlock avesse stretto le mani nella sua maglietta e reso evidente che non voleva che si muovesse, John sarebbe rimasto fermo per lasciargli leccare la sua clavicola e poi su fino al suo collo e dietro il suo orecchio finché non fosse stato soddisfatto del fatto che il sapore di John Watson sarebbe rimasto indelebilmente sulla sua lingua?
Sherlock guardò l’orecchio di John che spuntava appena da sotto il suo cappello e disse, “Non ho un’immaginazione iper reattiva. Sono tutti gli altri ad averne una poco reattiva.”
John roteò gli occhi e si rimise in cammino, questa volta molto più lentamente. 
Sherlock mise le mani nelle tasche, deglutì e si affrettò a raggiungerlo per camminare al suo fianco e non restare dietro di lui a studiare i capelli affusolati sul suo collo. 
Cambiò argomento di conversazione perché al momento non si fidava appieno della sua reattiva-in-un-modo-perfettamente-normale immaginazione. 
Non toccò l’argomento John, anche, perché gli sembrò la scelta più sicura. 
“L’uomo sulla spiaggia è stato visto per l’ultima volta mentre mangiava un dolcetto. L’impasto dei dolci, lo sai, è solito avere dei buchi. Alcuni tipi di impasto, almeno. Il dolcetto non era avvelenato, stando all’autopsia. E se a contenere il veleno non fosse stato l’impasto bensì l’aria al suo interno?”
“Questo è il motivo per cui stai cercando di ucciderti con il cloro?”
“Non stavo cercando di uccidermi con il cloro.”
“Non osare farmi ingerire alcun dolcetto contenente del cloro per poter testare questa tua teoria.”
“Non sei divertente.”
“Per essere un ragazzo sveglio, non hai idea di quale sia la definizione della parola ‘divertente’; eppure è una parola così semplice.”
John gli sorrise: provocatorio, allegro e bellissimo. Come aveva fatto a non realizzare prima quanto bellissimo fosse, quanto facesse praticamente male anche solo guardarlo?
Sherlock decise di andare a cenare quella sera, perché così avrebbe fatto felice John. 
John gli avrebbe sorriso e quello, stava ormai comprendendo, era un risultato straordinariamente importante. 

 

 

 

 

§




 

Vi lascio il link del gruppo su fb, qualora foste interessati: https://www.facebook.com/groups/322279614453686/
Non che serva davvero a qualcosa, sia chiaro. 
Più che altro potrete trovarci avvisi su eventuali ritardi negli aggiornamenti o, non so, altre catastrofi del genere. 

Come sempre, poi, grazie infinite per tutto il supporto che mi state dando. 
Sapere che la storia riesca a farvi ridere, sciogliere e fangirlare è un piacere immenso <3

Alla prossima, 
Sara





 

   
 
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