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Autore: Macy McKee    08/12/2014    3 recensioni
[Post-Mockingjay]
Vent'anni sono troppi perché la propria casa sembri ancora tale.
Vent'anni non sono sufficienti per imparare a non lasciare andare chi si ama.
Due decenni dopo la fine della guerra, Katniss e Gale si incontrano di nuovo.
Il suono di un rametto che va in frantumi spezza i suoi pensieri, facendolo voltare all’istante. Istintivamente, stringe i lacci fra le dita, tirando così forte da farsi male.
Vorrebbe avvolgerli attorno ai polpastrelli fino a farli diventare bianchi, fino a cancellare dalla sua mente il suono di passi familiari che riecheggia fra gli alberi, fino a cancellare il viso di Katniss che compare fra le fronde e lo guarda.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gale Hawthorne, Katniss Everdeen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Storia scritta per l’iniziativa “Caro Babbo Sirenetto” del gruppo The Capitol, con il prompt “Katniss/Gale;song-fic su “Stay” degli Hurts, per il prompt: “Katniss/Gale;song-fic su “Stay” degli Hurts, con prompt: “Incontro tra i due vent'anni dopo la rivoluzione.” Flashback che riprendono l’ultimo loro incontro preso dal libro (dove Gale dà l’arco con una sola freccia a Katniss, per uccidere Snow)[Avvertimenti: genere malinconico/introspettivo, post-Mockingjay.]”
Stay
Tornare a casa non somiglia affatto a come lo aveva immaginato.
In realtà, tornare a casa non somiglia affatto a tornare a casa.
Gale cammina lungo il selciato, rivolgendo cenni cordiali alle persone che avevano fatto parte della sua vita precedente e che ora si accalcano sulle soglie delle case per salutarlo.
‹‹Bentornato!›› urla qualcuno, e Gale deve trattenersi dallo scuotere la testa mentre risponde al saluto.
Non è tornato.
Non potrà mai tornare: non esiste più una casa dove tornare.
Le sue gambe lo conducono con sicurezza attraverso le strade: la brava, abitudinaria, nostalgica gente del distretto ha cambiato ben poco nella disposizione degli edifici durante la ricostruzione. I lati delle vie sono solo un po’ più spogli, le case un po’ meno ravvicinate: c’è tanto spazio da riempire, e meno famiglie per colmare il vuoto.
Sulla piazza veglia ancora di Palazzo di Giustizia, che ora ha un nuovo nome ma sempre lo stesso volto, solo un po’ meno segnato dalle intemperie. Le botteghe si affacciano ancora sulle strade. Persino la panetteria è stata ricostruita, e quando la costeggia il profumo di pane appena sfornato gli fa provare per un istante la sensazione che da un momento all’altro sentirà la voce del padre di Peeta scivolare fuori dalle imposte socchiuse. Naturalmente, non accade.
Ma oltre ai nuovi, giovani visi che si alternano a quelli noti, il Distretto 12 sembra sempre il Distretto 12. Pare essere uno dei pochi punti saldi nel mondo ad essere sopravvissuto all’azione implacabile del cambiamento, uno dei pochi luoghi ad aver resistito all’assalto del tempo; solo che in realtà non è così. Questo non è il suo Distretto 12, non è la sua casa.
La sua casa è morta fra le fiamme delle bombe di Capitol City.
C’è qualcosa di strano nel raggiungere il Prato, nell’osservare l’erba verde che sussulta al vento. Erba troppo verde, di una sfumatura quasi innaturale.
Come quella di un cimitero.
Il pensiero colpisce Gale, costringendolo a rallentare il passo.
È logico, dopotutto: il Prato sarebbe stato indubbiamente il luogo migliore per seppellire coloro che sono morti durante i bombardamenti e i cui corpi non si sono confusi con le macerie.  
Un improvviso desiderio di allontanarsi il più velocemente da quel luogo gli chiude lo stomaco. Non vuole pensarci. Non vuole pensare a nulla.
Voci soffocate dal tempo si affollano ai lati della sua mente, schiacciando i suoi pensieri. Improvvisamente, il Prato è troppo piccolo, troppo soffocante.
Raggiunge i primi alberi al limitare del Prato quasi correndo, rendendosi a malapena conto di essersi mosso. Il bosco appare surreale di fronte a lui, come sospeso in un sogno. Come se il tempo non fosse mai passato. Gli alberi sono gli stessi di sempre, gli arbusti sotto i suoi stivali cantano le stesse note che intonavano due decenni prima.
Sembra sia trascorsa una vita. Sembra che non sia passato neanche un giorno.
Avanza lentamente, rendendosi conto che l’abitudine è più forte del tempo: i suoi piedi conoscono la strana, anche se la sua mente è incerta.
Ha percorso pochi metri quando il fruscio di un coniglio che fa fremere le fronde spezza il silenzio. Gale si volta lentamente alla sua destra, allungando la mano per fare segno a Katniss di fermarsi.
Un istante dopo, ritira la mano, a disagio. Non c’è nessuno a cui fare un cenno, si rende conto.
Katniss non c’è. E non tornerà.
My whole life waiting for the right time
To tell you how I feel.
Know I try to tell you that I need you.
Here I am without you.
I feel so lost but what can I do?

 
Procede con calma, tenendo il braccio incollato al fianco. Fa scivolare la mano nella tasca, avvolgendo le dita attorno ai lacci che la riempiono. Il gesto dovrebbe allontanare i suoi pensieri da tempi troppo lontani per essere ancora rimpianti, ma non funziona.
Deve lottare contro se stesso per evitare di estrarre i lacci dalla tasca e mostrarli a Katniss, indicandole il punto dove intende porre la trappola.
Sono lacci nuovi, più resistenti di quelli a cui lui era abituato da ragazzo; piacerebbero persino a Katniss, che ha sempre preferito una freccia appuntita a una solida trappola. Glieli ha regalati Posy quelli mattina, dopo avergli gettato le braccia al collo e averlo supplicato di andare a caccia.
Gale scuote la testa al ricordo: Posy ha l’età di una donna, ma l’entusiasmo di una bambina. “Per i bambini”, gli ha detto; ma Gale ha capito all’istante che non era per i bambini: era per lei, lei che tenta ancora di fingere che nulla sia cambiato rispetto alla sua infanzia. Dopotutto, è riuscita a convincere il suo fratellone a tornare a casa per farle visita: questo significa che nessun cambiamento è davvero irreversibile, giusto?
Naturalmente si sbaglia, Posy. Troppo è cambiato, troppo radicalmente.
Se ne rende conto ora più che mai, mentre avanza solo fra gli alberi.
Solo. Non ha mai temuto la solitudine, ma questa volta è diverso. Non è essere solo che lo spaventa: ciò che teme è il vuoto che pulsa fra gli alberi, che riecheggia nei cinguettii degli uccelli. È il vuoto che sibila nella voce crudele del vento, ricordandogli che è stata una sua decisione lasciarla andare.
L’ha lasciata andare così tante volte, Gale.
L’ha lasciata andare ogni giorno, sussurrandole di allontanarsi con i suoi silenzi. Avrebbe voluto dirle in ogni istante di rimanere al suo fianco, di restare con lui.
Ma non l’ha fatto, e l’ha lasciata andare.
Stava aspettando il momento giusto, si dice. Le condizioni giuste, che nel Distretto 12 non si presentavano mai. Quando avrebbe dovuto dirle di restare? Il giorno della Mietitura, con l’ombra della sua morte che offuscava la luce del Sole? Alla vigilia dell’Edizione della Memoria, con gli spettri dei suoi incubi che infestavano la notte? Prima del Tour della Vittoria, con le dita di Peeta che aspettavano solo il momento giusto per chiudersi attorno alle sue mani?
“No”, gli sussurra la sua mente. “Avresti dovuto dirglielo quanto ti ha proposto di scappare, quando ti ha baciato, quando ha perso l’unica persona che le impediva di andare alla deriva a causa di qualcosa che è nato nella tua mente. Avresti dovuto dirglielo ogni giorno mentre era chiusa in quella stanza e cantava e si consumava, riempiendo i tuoi incubi con la sua voce.”
Il suono di un rametto che va in frantumi spezza i suoi pensieri, facendolo voltare all’istante. Istintivamente, stringe i lacci fra le dita, tirando così forte da farsi male.
Vorrebbe avvolgerli attorno ai polpastrelli fino a farli diventare bianchi, fino a cancellare dalla sua mente il suono di passi familiari che riecheggia fra gli alberi, fino a cancellare il viso di Katniss che compare fra le fronde e lo guarda.
Lo guarda come se avesse aspettato di vederlo comparire di fronte a sé ogni giorno dal loro ultimo incontro, mentre i suoi occhi segnati dal tempo scintillano. “Ti aspettavo”, dice il suo sguardo.
Gale rimane immobile. Aspetta. Aspetta che lei parli, che si avvicini, o che scompaia fra le ombre.
‹‹Sapevo che saresti tornato›› dice Katniss, e Gale sa che è vero.
‹‹Io no.››
Rimangono immobili, fronteggiandosi. “Come due vecchi nemici alla resa dei conti”, pensa Gale. “O come due amanti che non si vedono da anni.”
‹‹Sta per piovere›› dice Katniss. Gale alza gli occhi verso le nuvole, e capisce all’istante che Katniss ha ragione.
Le sue labbra si increspano leggermente. ‹‹Hai paura di bagnarti, Catnip?››
Qualcosa si muove negli occhi di Katniss. Per un istante, Gale rimane immobile, chiedendosi se Katniss stia per tirargli un pugno, scoccare una freccia diretta al suo cuore o marciare verso di lui e baciarlo.
Invece, fa l’unica cosa che Gale non ha previsto: ride. ‹‹No, e tu? Non vorrei che vent’anni di agi lontani dal Giacimento ti avessero rammollito›› replica lei, e in un istante si ritrovano più vicini. Non vicini come un tempo, ma abbastanza perché Katniss possa sferrargli quel pugno, nel caso lui dovesse commettere un errore.
'Cause I know this love seems real
But I don't know how to feel.
Un attimo dopo, Katniss è seduta a gambe incrociate su una roccia piatta, e Gale si ritrova appoggiato a un vecchio tronco accanto a lei.
Fa scivolare lo sguardo sul suo viso, sui suoi capelli, sulle sue spalle. Se non incrocia i suoi occhi, può fingere per qualche istante che il tempo non sia passato. Si sofferma sulle frecce che splendono nella faretra sulla sua schiena, sulle mani che accarezzano l’erba mentre appoggia l’arco di fronte ai suoi piedi, ed è come galleggiare lontano senza muoversi affatto, come andare alla deriva rimanendo sulla spiaggia.
Non sembra reale.
Lei non può essere lì, al suo fianco, così vicina da permettergli di sentire il calore dalla sua pelle e lontana due decenni.
Mentre Katniss alza lo sguardo verso di lui, con gli occhi che lampeggiano e sembrano dirgli: “Non parlerai neanche questa volta?”, il mondo attorno a lui sembra farsi un po’ più concreto.
Forse anche lei è reale, questa volta.
È davvero accanto a lui. Ma non rimarrà accanto a lui a lungo, se non si decide a parlare. Se la lascerà andare di nuovo, mentre le parole muoiono sulla sua lingua.
C’è così tanto da dire, e così poco che vorrebbe davvero dirle.
‹‹Come sta Ranuncolo?›› domandano le sue labbra, prima che lui possa fermarle. Appena sente le sue parole riempire l’aria, maledice se stesso: con tutto quello che avrebbe potuto dire, le chiede questo?
‹‹È morto›› risponde Katniss. ‹‹Ma ha avuto due cuccioli, scontrosi come lui. Anche loro mio odiano. Forse dovresti spiegare loro che dovrebbero amare la catnip, sai?››
Il pensiero lo colpisce con la forza di un uragano, togliendogli il respiro. Lotta contro i suoi polmoni per non boccheggiare, costringendo le sue labbra a piegarsi in un sorriso. Katniss è lì, lì, accanto a lui e da nessun’altra parte, così vicina da poterla toccare, stringere, baciare. È lì, non in un altro Distretto, non fra le braccia di qualcun altro, non così lontana da sembrare appartenere a un’altra vita. È lì, al suo fianco, con il suo sarcasmo e i suoi pensieri e il suo temperamento ostinato e tutto ciò che l’ha indotto, quasi costretto, a perdere la testa per lei.
Lei è lì, e lui la ama ancora. È come un ritornello che rimane nella sua mente e non se ne va mai, come una canzone che crede di aver dimenticato e poi un mattino si scopre a cantare con le labbra socchiuse.
La ama, e sembra così reale, ancora più reale del cuore che batte nel suo petto, più concreto del tronco sotto la sua schiena.
La ama, e non ha idea di cosa questo significhi. Non l’ha mai saputo, e quei vent’anni che si frappongono fra loro e la loro vita precedente non l’hanno reso più saggio riguardo all’argomento.
In quel momento, una fitta alla mano destra lo richiama alla realtà. Lentamente, Gale estrae la mano dalla tasca, osservando i solchi lasciati dai lacci: non si era nemmeno reso conto di aver continuato a stringerli fra le dita. Il palmo della sua mano sanguina, lasciando cadere gocce rosse sull’erba.
Rapidamente, Gale si china in avanti, prendendo fra le mani l’arco di Katniss. Non ha una vera ragione per farlo, ma sa che questa è un’alternativa migliore allo scorticarsi la pelle delle mani da solo.
‹‹È sempre lo stesso›› commenta Katniss, mentre lui soppesa l’arco. ‹‹Un po’ ammaccato, ma ancora intero. Come me.››
Gale sorride, facendo passare un dito sulla corda.
Allunga il braccio verso di lei per restituirle l’arco.
E all’improvviso tutto crolla nella sua mente.
 
Le sta porgendo l’arco e la freccia. L’ultima freccia che lei dovrà scoccare verso un essere umano, con un po’ di fortuna.
Fra loro si frappongono troppe parole mai pronunciate, troppi dubbi mai espressi. Troppi fantasmi che in quel momento paiono più reali di loro.
Fra loro c’è il viso sorridente di Prim, ci sono le labbra da serpente di Snow che si arricciano in una risata crudele mentre gettano il seme del sospetto.
Ci sono gli spettri dei bambini di Capitol City che ora esistono solo fra i loro pensieri.
Katniss prende l’arco fra le mani, mentre lui le aggiusta la faretra sulla schiena.
Domande. Dubbi. ‹‹Era la tua bomba?››
Non lo sa. Non vuole saperlo. O forse vuole, ma ha paura. Cosa farebbe, se lo sapesse? Comincerebbe un’altra rivoluzione, un’altra guerra? Verserebbe altro sangue? Chi spegnerebbe il fuoco che lo divorerebbe dall’interno, se lo sapesse?
Katniss sapeva domare le fiamme dentro di lui quando non era necessario alimentarle. Ma della Ragazza di Fuoco non è rimasto nulla. È stata inghiottita dal suo stesso elemento, che le ha portato via ogni certezza, ogni affetto. Che l’ha sottratta a lui nel boato di un’esplosione e di una vita che si spezzava.
 
Gli occhi di Gale incrociano quelli di Katniss, e lui vi scorge le stesse immagini, gli stessi dolorosi ricordi. La stessa consapevolezza che è tardi, troppo tardi.
Sono passati vent’anni, e vent’anni non bastano per ricostruire qualcosa che si è infranto per l’eternità. Vent’anni non sono nulla rispetto a mai.
 
We say goodbye in the pouring rain
And I break down as you walk away.
Stay, stay.
'Cause all my life I felt this way
But I could never find the words to say
Stay, stay.
Una goccia s’infrange fra i suoi occhi, lavando via il ricordo.
Un’altra cade sulla sua testa. All’improvviso, il cielo si riversa su di loro, che rimangono immobili.
Ma non basterebbe un Oceano per spazzare via il passato che si frappone fra loro. Katniss lo sa, mentre stringe l’arco fra le mani e si rimette in piedi. Gale lo sa, mentre apre le mani per raccogliere le gocce di pioggia e le osserva per non dover guardare Katniss che si china verso di lui, che socchiude le labbra per dirgli addio di nuovo, che lo abbandona ancora una volta.
Ma non può impedire alle sue orecchie di sentire la voce di Katniss che dice: ‹‹Devo rimettermi a caccia. I bambini hanno bisogno di carne.››
Ed è come se il cielo stesse crollando, come se la pioggia che colpisce la sua pelle fosse l’universo che gli cade addosso.
“I bambini.”
Lo sapeva. Forse non lo sapeva, ma lo sentiva. Come avrebbe potuto sperare che lei l’avesse aspettato? Come avrebbe potuto crederlo?
Katniss aveva scelto, alla fine. Aveva scelto chi le avrebbe permesso di sopravvivere, come lui aveva saputo fin dall’inizio. Non solo: aveva scelto di vivere, e di continuare a vivere attraverso gli occhi di nuovi esseri umani.
“I bambini."
Aveva scelto di non lasciare più spazio nella sua vita per lui.
Alright, everything is alright
Since you came along
And before you
I had nowhere to run to
Nothing to hold on to
I came so close to giving it up.
And I wonder if you know
How it feels to let you go?
È come perdersi di nuovo. Come essere ancora smarrito, un cacciatore solitario fra i boschi, con troppe responsabilità sulle spalle e troppi pochi anni per sopportarle. Come essere ancora una volta il ragazzino del Distretto 12 che fugge nei boschi, perché fra gli alberi sa cosa fare, comprende la natura, capisce la vita.
È come non avere più nessun rifugio, nessuna certezza. Come prima di lei.
Si stava perdendo, prima di incontrarla. Prima di trovare quella ragazzina con la treccia ad armeggiare con i suoi lacci, non sapeva come controllare il fuoco che gli divorava il petto, come incanalare quel desiderio di cambiare qualcosa. Cambiare cosa, ancora non lo sapeva; il mondo, probabilmente. Il mondo che era così sbagliato, così poco degno della dolcezza di Posy, della saggezza di Rory, della vitalità di Vick.
E poi era arrivata lei.
L’aveva guardata imparare, crescere, avvicinarsi. Lui stesso le si era accostato, lui che non permetteva a nessuno di entrare nella sua vita, perché credeva che non ci fosse altro spazio nel suo cuore per chiunque non appartenesse alla sua famiglia. Lei era entrata con la forza, sfondando la porta d’ingresso della sua mente, e si era presa un angolino tutto suo. Aveva messo radici fra i suoi pensieri, e non se n’era mai andata.
L’aveva salvato, riportandolo a riva proprio quando la corrente die suoi pensieri minacciava di trascinarlo al largo. Era stata la sua ancora, quando non capiva come si potesse vivere in questo mondo e si limitava a sopravvivere, sperando di poter spianare la strada ai suoi fratelli.
Era arrivata, e gli aveva mostrato che esisteva ancora qualcosa per cui lottare al di fuori delle mura della sua casa.
E poi se n’era andata. Improvvisamente così com’era arrivata, era scomparsa dalla sua vita, il suo destino stretto fra le mani di Effie Trinket, fra le lettere che componevano il nome di Prim.
Poi se n’era andata di nuovo e ancora, così tante volte da non sembrare reale. Se n’era andata così tante volte da fargli dubitare che fosse mai stata al suo fianco.
Era entrata e uscita dalla sua vita più spesso di quanto lui potesse accettare, di quanto lei potesse comprendere.
Non si era mai resa conto di cosa significasse per lui vederla andare via.
Era come rinunciare alla sua stessa vita ogni volta.
You say goodbye in the pouring rain
And I break down as you walk away.
Stay, stay.
'Cause all my life I felt this way
But I could never find the words to say
Stay, stay.
‹‹Ha importanza? Tanto tu continuerai a crederlo.››
Ora dirà che lui si sbaglia, Katniss. Gli dirà che può smettere di pensarlo, con un po’ d’impegno. Che la loro amicizia, che non è mai stata un’amicizia, le darà la forza per convincersi.
Lei lo guarda come se vedesse il viso di Prim inghiottito dalle fiamme nei suoi occhi.
Le sue labbra rimangono immobili.
Ha scelto di nuovo, Katniss. Gale lo sente nel suo silenzio. Ha scelto di nuovo, e non ha scelto lui.
‹‹Tira dritto, d’accordo?››
Katniss che lo guarda come se stesse chiedendo a se stessa perché non trovi la forza di fermarlo.
Katniss che non muove le labbra, che non gli dice addio se non con gli occhi.
Katniss che lascia che la mano di Gale sfiora il suo viso, e lo guarda andare via.
Gale si volta, dandole le spalle.
Le dice addio senza dirle addio mentre i suoi passi risuonano attraverso i corridoi.

 
È stato come rinunciare alla sua stessa vita di nuovo.
‹‹Devo andare›› aggiunge Katniss.
Lo dice con più sicurezza, come se fosse riuscita a convincere se stessa. E forse l’ha fatto davvero.
“Mi stai dicendo addio di nuovo” pensa Gale.
‹‹Devo andare›› ripete lei, e l’uomo si rende conto di aver parlato ad alta voce.
Sta crollando tutto di nuovo. I suoi pensieri s’infrangono sulle sue labbra, come accadeva vent’anni fa.
E improvvisamente si rende conto che non riuscirà a dirglielo nemmeno questa volta.
“Resta”, pensa, e questa volta le sue labbra non si piegano.
Non lo fanno mai, quando il pensiero raggiunge la sua bocca.
Non gli obbediscono mai, quando vorrebbe urlarglielo.
“Resta. Resta qui.”
La pioggia sembra una barriera fra loro. Gale si rende conto che la mano di Katniss è tesa a metà strada, come sul punto di afferrare il suo braccio ma non avesse la forza di arrivare a destinazione.
Sono ancora troppo lontani.
Forse più che mai.
‹‹Non avrei voluto che fosse colpa mia›› sussurra Gale, e crede che la pioggia abbia inghiottito le sue parole.
Invece, Katniss lo sente.
‹‹Lo so.››
Il bosco sembra chiudersi sulla sua testa, inghiottendo il cielo. Ma la pioggia continua a cadere impietosa su di lui.
Le ha detto addio per tutta la vita. Sono passati vent’anni, vent’anni. È un tempo sufficiente per imparare a non dire addio. Per imparare a dire: “Resta”.
Ma non ha imparato. Non lo ha mai saputo dire.
Lo ha sempre voluto dire.
“Resta. Rimani ancora un po’, Catnip.”
‹‹Buona fortuna, Catnip››
‹‹Anche a te.››
E quando scompare fra le ombre del bosco, inghiottita dal cielo che piange, è per sempre.
Stay with me, stay with me,
Stay with me, stay with me,
Stay, stay, stay, stay with me.
 
 
Note: Non scrivevo una song-fic da millenni, e avevo dimenticato quanto mi piacesse farlo. Ringrazio con tutto il cuore la persona che ha postato il prompt per avermi dato l’occasione di scrivere su questa canzone (con cui sono andata leggermente in fissa, coff coff. L’avrò ascoltata seicento volte scrivendo questa storia…)
Dunque, questo non è proprio il mio campo, perché il mio cuore appartiene solo e soltanto a Finnick Gale non è il mio personaggio preferito in assoluto, quindi non ero del tutto certa di saper scrivere su di lui. Però rileggendo questa storia per correggerla il mio cuore è andato in mille pezzi, e dato che era esattamente questo il mio obiettivo mi ritengo soddisfatta XD

 
   
 
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