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Autore: Tequila_Ev    08/12/2014    1 recensioni
''Ricordi che ti tormentavano. Che ti facevano vivere male, passato che volevi rinnegare, ma al tempo stesso, rivivere mille volte.''
Volevo fare un One Shot su una scena di Elena mai rappresentata. Ovvero Elena subito dopo la morte dei suoi genitori.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elena Gilbert
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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‘’Non pensare’’.
Quelle due semplici parole erano la colonna sonora delle ultime due settimane.
’Non ricordare’’, mormorava la tua coscienza, e il tuo corpo faceva di tutto per disobbedire ai tuoi stessi comandi.
E quelle due frasi, anche ora erano quelle che ripetevi ogni manciata di secondi, per impedire alla tua testa di vagare a suo piacimento, e a tuo discapito.
Tutti intorno a te erano cambiati. Erano diventati magicamente dolci e premurosi, le stesse persone che fino a poco tempo prima ti odiavano e che eri al centro di ogni loro discussione alle tue spalle. Tutti erano venuti in casa, e avevano dato le loro condoglianze, e tutti ti avevano abbracciato sussurrando all’orecchio una o due paroline dolci. E tu, costretta a chiudere gli occhi cercando di impedire alle tue orecchie di sentire sempre le stesse parole, dette da mezza cittadina. E tu lo odiavi. Odiavi tutti. Tante di quelle persone che avevano animato la casa, ormai resa più vuota da un’assenza superiore. Quante persone si erano permesse di parlare anche se non ne avevano nessun diritto.
Erano i tuoi genitori. Il tuo dolore. Loro non c’entravano. Nessuno era veramente dispiaciuto. Avevi sempre giudicato i funerali avvenimenti inutili.  Non la cerimonia o altro, ma il ricevimento, dove tutti si riunivano in un posto unico a parlare. A cosa serviva? Tu volevi sapere questo. Volevi confessarlo, volevi urlare a tutti che non ti serviva. Non serviva che tutte le persone ti abbracciassero, che segretamente in ogni abbraccio cerchi, inutilmente, quel qualcosa di unico.
Quel calore e quel profumo, tipici di tua madre, quando ti abbracciava ogni qualvolta tu tornavi da scuola. Volevi sentire le dita cicciottelle ed esperte di tuo padre, quando ti accarezzava i capelli per calmarti, quando qualcosa non andava benissimo, e magicamente, quella carezza funzionava sempre.
Ma nessuno poteva, nessuno si avvicinava minimamente a uno di loro due. Loro erano i tuoi genitori, persone che amavi più di te stessa, e che ormai non potevi vedere più. Un misto tra panico, senso di colpa e disperazione ti fece di nuovo crollare in un pianto sonoro, mentre cercavi inutilmente di riporre i tuoi incasinati pensieri nel tuo diario verde acqua.
Eri di nuovo lì, con le ginocchia pressate contro il petto, nascondendo il viso immerso nelle tue stesse lacrime, tra le gambe per non far vedere al mondo il tuo dolore. Ti mancava l’aria, la testa ti girava, e gli occhi ti bruciavano come mai, ma le lacrime, menefreghiste, continuavano a scendere e non volevano smettere.
La testa riiniziò a battere, così cerchi di limitare quel dolore, prendendoti la testa tra le mani, intrecciando i capelli tra le dita. Sentivo dolore. Ma non sapevo con certezza se si trattava di un dolore fisico, o peggio, dell’ennesimo pianto per la loro mancanza.
Nessuno poteva capirlo. Nessuno se non te.
Il destino voleva metterti alla prova, e il tuo ossigeno stava piano piano finendo. Non volevi alzare la testa, volevi lasciarla lì, tra le tue gambe, al buio, all’oscuro dalla vita.
Eri stanca. Si, eri già stanca, solo dopo due settimane.
Non volevi ammetterlo. Non volevi giustificare quello che era successo. Non sapevi come era successo, ma loro non ce l’avevano fatta e tu si.
Non me lo giustificavo. Né a me stessa, né gli altri potevano ammettere che quello che era successo era normale. Ero riuscita a sopravvivere, arrivando in superfice poco prima di morire. Ma nessuno si spiegava come fosse successo.
 
Avevi finito le lacrime, e con esse tutti i fazzoletti. Perciò, passi la manica della maglia sul viso, asciugandolo, togliendo le prove dalla mia guancia. Non amavi quando le persone ti vedevano piangere, perché odiavi fargli pena. Perciò, ogni volta che sentivi le lacrime salendo piano piano agli occhi, ti rifugiavi in bagno, scivolando a terra e, dopo aver chiuso a chiave la porta, potevi sfogarti in un pianto disperato ma silenzioso.
Guardavi fuori dalla piccola finestra della tua camera e il buio dominava sul bel panorama che era il tuo giardino.
I tuoi occhi ancora non riuscivano a vedere bene, e ti bruciavano come non mai.
Non riuscivi più a scrivere neanche una parola. Perché quel diario, era caro a te come alla persona che te lo aveva regalato, tua madre.
A lei era sempre piaciuta la tua abilità nello scrivere, e tu avevi sempre amato vedere quell’espressione di orgoglio che si animava nei suoi occhi quando leggeva qualcosa di tuo. E ora, tutto svanito nei ricordi.
Ricordi che ti tormentavano. Che ti facevano vivere male, passato che volevi rinnegare, ma al tempo stesso, rivivere mille volte.
   
 
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