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Autore: crimsontriforce    05/11/2008    0 recensioni
Aveva detto quasi la verità, suvvia. Oltre, il DRC probabilmente non avrebbe apprezzato.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Scritta per il flash-ma-davvero-oh contest di Halloween su Criticoni, prompt scelto Mondo sotterraneo poi deragliato autonomamente su Costume. Esercizio di speedwriting – e di faccia tosta, nondimeno.



Memorie del mondo sotterraneo







Matteo suonò il campanello con zelo degno di un rito sacro. Il piccolo Giacomo, minore di qualche anno, attendeva con ugual meraviglia sistemandosi il pellicciotto da lupo mannaro. Voleva essere perfetto.
Avrebbero ripetuto quel gesto per tutta la sera, chiedendo dolcetti ai vicini, ma quella prima tappa era speciale: stava per unirsi al gruppo la loro cugina grande, quella che a ogni visita li stupiva con foto dei suoi costumi sgargianti ed elaborati. Una volta era stata una donna pesce, quella dopo un cavaliere Jedi, aveva cavalcato un drago... da quando aveva acconsentito a passare Halloween con loro si erano chiesti spesso con che opera d'alta ingegneria costumistica si sarebbe presentata. Giacomo sperava tanto in un lupo mannaro come il suo, per giocare a mamma e bambino. Matteo aveva puntato tutto – tutte due caramelle, per la precisione – su uno zombie di sorta. Perché aveva tanto trucco.

Tutte le loro aspettative giunsero al capolinea quando la porta si aprì: la cugina era avvolta in un bel mantello di stoffa pesante, ma era tutto bianco, del tipo che nessun vampiro avrebbe mai indossato, nemmeno sotto minaccia. Non riuscirono a vedere in dettaglio i vestiti, ma un paio di occhialoni da pilota, stivalacci marroni e dei guanti da giardinaggio completavano l'opera. In mano aveva un vecchio libro.
Matteo e Giacomo si sentirono vagamente presi in giro.

“Cosa sei?”, chiese il più piccolo senza mascherare la delusione.
“Non sei un mostro”, fece notare Matteo con una punta d'accusa, sistemandosi una benda.
“Sono...”, rispose lei, incerta sul come definirsi. “Sono il fantasma di un tempo passato.”
“Ma i fantasmi non sono fatti così...”
“Giacomo, sei stupido? Non lo vedi che è bianca?”
“Matteo, stupido tu! I fantasmi hanno il lenzuolo, non il mantello! Quelli sono i vampiri!”
“Ma non è un costume che fa paura!”
“Ha ragione Giacomo, non possiamo andare in giro assieme a un costume che non fa paura.”
“Se non spaventiamo nessuno, non ci danno i dolci”, concluse Giacomo con fare esperto.
“E i nostri amici ci prenderanno in giro, stiamo facendo una gara. Non ne hai un altro dei tuoi?”
“Uno più bello?”

“Ehi, poche offese al costume, voi! Come sarebbe a dire che non è spaventoso? Volete dirmi che non conoscete la storia del mondo sotterraneo e dell'uccello del deserto?”, ribatté la ragazza, cercando di ravvivare il loro entusiasmo.
“Mondo sotterraneo?”
“Dici l'inferno?”
“La mamma ci ha detto che i dolcetti e le maschere sono una cosa, ma di non credere a tutte le cose di spiriti, che non esistono...”

“Questa è una storia molto più antica”, rispose piccata, facendo svolazzare il mantello con gesto teatrale. “Antica come il mondo, in un certo senso. C'è una città al centro della Terra, sapete, che era abitata da uomini che erano allo stesso tempo i più grandi e i più ciechi di tutti. Grandi, perché avevano un grande potere, ed era un potere bellissimo: potevano viaggiare fra i mondi solo immaginandoli, ed era come se la caverna in cui abitavano fosse un'unica grande testa da cui nascevano i pensieri più belli di tutto il creato e questi pensieri diventavano mondi, storie, possibilità. Ma erano anche ciechi, perché, con tutti i loro mondi, non erano mai riusciti a vedere le bellezze del nostro. Non erano mai usciti dalla loro città sotterranea: come spiriti inquieti si accalcavano verso la superficie e non c'era Notte di Ognissanti che potesse liberarli. E quando infine ci riuscirono, per troppo orgoglio... caddero. Morirono tutti. Tutti... Oggi della città non restano che ombre che si dannano per la loro stoltezza e un enorme, spaventoso, silenzioso vuoto.”

“E chi è l'uccello del deserto?”
“È...” La narratrice si fermò per un momento, stringendo forte il libro fra le mani. “È un gigantesco uccello dal piumaggio ramato, il più bello che abbiate mai visto, con due occhi azzurri che ti guardano dentro. E la voce con cui canta le sue promesse! La città dei segreti, dice, la città del potere, la città dei mondi.”
“Canta questo?”
“Non proprio – non lo canta. Ma ti chiama, e non c'è sirena più dolce. Ha un solo scopo: che la città torni a vivere. Per questo, nelle notti in cui la magia è più forte vola per il mondo e sussurra meraviglie ai cuori degli uomini, spronandoli ad abbandonare tutto e a mettersi in marcia per cercare la città. Ne vuole fare i suoi fantasmi, la sua seconda vita che vita vera non è, perché ciò che muore è perduto per sempre. Il suo richiamo è una catena finissima con cui tira a sé quelle anime perdute, e chi cede e inizia il viaggio...”
Fece un sorriso triste.
“...non fa più ritorno. Anche quando ricominciano le loro vite, quando sembra che la normalità li abbracci, coloro che hanno ascoltato il canto dell'uccello del deserto resteranno sempre spettri della città sotterranea, pronti a... rapire i bambini e portarli su mondi lontani!” Si avventò sui due col mantello aperto, avvolgendoli in un istante, e scoppiarono a ridere tutti e tre.

“Ma non è vero”, obiettò poi Matteo, quando ci ebbe ben riflettuto. “Non l'ho mai sentita, questa storia.”
“Ciò non significa che non sia vera.”
“Ma...”
“Non è...”
“Oh, beh. Ho capito, proprio non vi convince. Mentre voi siete proprio spaventosi, stasera! E sapete cosa significa? Che stavolta siete stati più bravi voi di me! Godetevi la serata e domani mi racconterete tutto!”, capitolò.
Pur non del tutto convinti, i due sembrarono rincuorati dal complimento e si osservarono l'un l'altro con aria da intenditori.
“Lasciatela stare, bambini”, li ammonì la nonna, guardia fedele che li avrebbe accompagnati per la serata. “È solo triste perché non ha potuto andare ai Comics e non ha voglia di uscire, non è la fine del mondo. Per stasera facciamo da noi. Sono certa che per farsi perdonare a Carnevale vi accompagnerà con un costume bellissimo, con un'armatura o due grandi ali, vero Eva?
Annuì stancamente e accennò due parole di scusa. L'aveva avuta, la voglia di uscire, e aveva messo amore in quei due stracci come e più che in ogni semplice armatura.

“Giovani d'oggi”, commentò stranita la ragazza, ancora immobile sulla soglia quando il trio era già lontano. “Non capiscono l'Arte.”
Con una scrollata di spalle si accoccolò sulla poltrona, aprì il libro alla prima pagina e osservò l'immagine di un'isola avvicinarsi nell'aria rosata di un eterno tramonto, al ritmo del vento o di una nenia lontana. Oltre, alla distanza di un tocco che abbracciava mezzo universo, sognò la Città ergersi splendida alla luce del lago, casa lontano da casa, grata dei suoi fantasmi, delle sue memorie, del suo mai sopito anelito di vita.




***
“D'ni is a city that will just not die.” E questo è quanto.

@ Fregnaccia-detector over 9000: la parte centrale sarà soggetta a revisioni... il roadrunner resta de-roadrunnerizzato, però, per esigenze narrative... interne. Nel senso di 'della protagonista'.

@ D'ni ultimate evil of dooooooooooom: scritta mentre zompettavo per Teledahn piena di belle speranze, ignara di cosa accadesse sotto la superficie. Non... sapevo ancora. Inquietante.

@ abito bianco: è il colore della Gilda dei Linguisti. Con tutto il rispetto a Scrittori, Manutentori e quella gente lì, io interprete sono e interprete resto, la scelta non poteva ricadere su altro. Comunque no, un abito di Gilda non è (ancora) nei miei progetti cosplay... Yeesha sì invece, due o tre volte °_° Splendido uccello del deserto dalla voce ammaliatrice, parla e sarò ai tuoi piedi, dimmi di trovare quei f*uti pigiolini e metterò a soqquadro le Ere per farlo...

@ Matteo e Giacomo: sono i miei cuginetti :3 *waves*
   
 
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