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Autore: luciadom    05/11/2008    15 recensioni
Lunghe riflessioni e tanti ricordi, anche se molti sono tristi e sofferti, mi portano a prendere coscienza del fatto che io non sono sola, e che se avrò bisogno di un sostegno potrò sempre contare su chi mi sta accanto, nel bene e nel male, indipendentemente da come sono, malata o sana.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Usagi/Bunny
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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IO NON SONO SOLA!

 

 

Percorro il lungo corridoio del reparto dove verrò visitata, tenendo tra le mani una pesante sacca con dentro numerosi referti medici e cartelle cliniche: sono tutti i referti e tutte le cartelle che partono dall’agosto del 1988, da quando, a pochi giorni dalla mia nascita, è iniziata la mia maratona negli ospedali.
Mia madre osservandomi nella culla, si accorse che avevo delle piccole crisi, dei piccoli tremori durante il sonno.
Non poteva essere per freddo perché eravamo in piena estate.
Già dai primi controlli medici nella mia città, i dottori dissero ai miei genitori che saremmo dovuti andare al Centro-Nord per sapere cosa avessi, ed è cosi che anno dopo anno, a volte anche due o tre volte nell’arco dello stesso anno, abbiamo percorso centinaia di chilometri, girato decine di ospedali, consultato chissà quanti dottori fino ad oggi, oggi che ho vent’anni.
Da vent’anni convivo con una malattia rara, genetica, che per ora non si può ne curare, ne prevenire, che è ancora poco conosciuta, e che mi comporta tanti piccoli problemi e una piccolissima, quasi impercettibile imperfezione ad una gamba.
Grazie a Dio però, mi permette di vivere comunque una vita normalissima, come tutte le persone sane, all’apparenza infatti, sembro perfettamente sana.
Ora che sono adulta, non mi pesa quasi più, anche se ogni tanto mi sento sempre un pò diversa dagli altri.
Quando ero bambina invece era diverso.
Tantissime volte sono stata presa in giro per quegli occhialini che portavo già alle scuole materne; tante volte sono stata oggetto di screzi per non avere una postura perfetta ai piedi, per non avere equilibrio e per essere un pò goffa.
Quante volte mi sono sentita dire d’esser brutta con tutte quelle macchioline caffelatte, tipiche della mia malattia…
Quanti anni trascorsi in centri di fisioterapia, di pomeriggio, a ripetere ogni giorno gli stessi, medesimi esercizi…
Quante “calzature ortopediche” e plantari ho dovuto portare, per avere una postura corretta, e correggere o quanto meno frenare i miei problemi ortopedici… La mia infanzia l’ho trascorsa anche così.
A volte, passare i pomeriggi liberi dalla fisioterapia a studiare con le mie poche amiche mi faceva stare veramente bene.
Oppure, anche se ero sola a casa mia, anche un programma o un cartone animato alla TV mi facevano distrarre, e provavo ad immaginare di essere amica della protagonista, oppure, provavo ad immedesimarmi nella storia, come fanno tutti i bambini con i loro idoli. Poteva sembrare stupido, e per molti che non capivano niente, lo era, ma a me faceva stare bene.
Gli ospedali non mi fanno più paura ormai.
Non ho mai avuto paure degli aghi, ormai sono troppo abituata ai prelievi di sangue.
Per anni mi sono sentita sola, e ho avuto sempre paura di non essere accettata dagli altri, di non essere alla loro altezza.
Poche persone sono a conoscenza di tutta la mia storia, quelle poche persone di cui mi sono sempre fidata e che mi sono state sempre vicino, malattia o meno.
Da quando non sono più una bambina, ho fatto di tutto per essere uguale alle mie coetanee: diete su consiglio medico, trucco, tacchi (nei limiti del possibile), capelli curati, lenti a contatto…
Col tempo però, ho imparato a non dar retta a cosa dice o pensa la gente, perché l’importante è piacere prima di tutto a me stessa.
Partendo da questo presupposto, sentendomi diversa dagli altri, ho cercato di valorizzare me stessa, per dimostrare a tutti, ma anche a me personalmente, che non avevo e che non ho niente in meno rispetto a chi mi sta intorno.
Mi sono buttata a capofitto nello studio, dandogli sempre molta importanza durante tutta la mia carriera scolastica, fino alla fine del liceo, e continuando all’università, impegnandomi a fondo per poter raggiungere presto il mio sogno di lavorare con i bambini piccoli. Vedere i miei sforzi ricompensati con i buoni voti, mi ha sempre dato la spinta per continuare, confermando il fatto che in fondo, anche se sono “malata”, ragiono e agisco come le persone normali.
In tutti questi anni, sono stata a contatto negli ospedali con tante malattie, con casi clinici a volte disperati, senza speranza, con malattie che non permetteranno mai una vita normale come la mia. E’ proprio vero che solo chi ha sofferto può capire chi sta male. A volte ci sono persone che guardano a chi è meno fortunato di loro con pietà, a volte con disprezzo e derisione.
Anche la Fede è sempre stata una consolazione per me e lo sarà sempre.
Sono una ragazza di Chiesa e non mi vergogno a dirlo, anzi, proprio per quello che ho visto in vent’anni in tutti quegli ospedali, dovrei ringraziare il Signore in ginocchio per come sono, per avere si qualche problema, ma per vivere la mia vita come una persona sana. C’è stato persino chi rideva del fatto che sono credente e praticante.
Crescendo, è stato anche a contatto con gli altri che ho capito, che in fondo, anche se ho questa patologia, posso considerarmi fortunata. Quando mi lascio prendere dallo sconforto, la mia famiglia, le mie più care amiche, cui racconto tutto e le persone che sono a conoscenza della mia situazione clinica, mi dicono sempre che non devo mollare e non devo considerarmi inferiore a nessuno. 

-Una ragazza che all’università riesce a preparare un esame in due settimane e a prendere 30 e lode, è da considerarsi perfettamente sana-, mi hanno detto questa estate, quando sono tornata a casa dall’università, dopo aver affrontato quell’esame.

La mia migliore amica, Ami, studia Medicina, e mi dice sempre che vuole specializzarsi in pediatria, o intraprendere un Dottorato, per studiare e ricercare, soluzioni e cure a malattie rare e innocue come la mia, fino ad arrivare ai casi più atroci, che lei sa, io conosco bene.
Quando ci siamo iscritte all’università, o meglio, quando mi ha costretta ad iscrivermi perché crede fermamente in me, al contrario mio, che tendo comunque e sempre a sottovalutarmi, mi ha chiesto il perché non avessi scelto medicina: amando i bimbi piccoli, avrei potuto specializzarmi in pediatria o ginecologia e ostetricia. 

-Anche se ormai gli ospedali non mi fanno più alcun effetto, preferisco lavorarci come puericultrice o lavorare in comunità infantili, amica mia. Tu dovresti saperlo visto che hai intrapreso questo iter, starai a contatto con casi non sempre piacevoli. Bisogna essere freddi e professionali in questo mestiere, e io un pò per carattere, un pò perché come sai ci sono dentro, fredda non potrò essere mai con nessuno…- 

-Hai ragione… Sei una ragazza d’oro… Vedrai che sarai una bravissima maestra. Mi raccomando però: tra tre anni, alla tua laurea, voglio assistere in prima fila, e voglio essere l’invitata d’onore alla tua festa! Ti voglio bene, ricordatelo sempre!- 

Dolce amica mia… Anche io le voglio un bene dell’anima. Ci conosciamo da una vita, dall’asilo.
Da quando facemmo amicizia, in quella stanzetta piena di giochi, vicino quel piccolo tavolino ottagonale, verde con tante sedioline attorno dello stesso colore, non ci siamo più lasciate.
Immersa in questi ricordi, tenendo stretta al petto la sacca con dentro “la mia storia”, mi siedo su una sedia vicino la parete, di fronte l’ufficio dell’ennesimo dottore che mi visiterà, poggio la sacca a terra, vicino le mie gambe e prendo dalla mia borsa un libro: 

“La letteratura per l’infanzia attraverso i secoli: origini e sviluppi”. 

Studiando la lezione del giorno prima ingannerò l’attesa, e magari penserò ad altro, in fondo, amo questa materia.
L’infermiera mi chiama quasi subito, e la seguo all’istante, prendendo i referti e riponendo il libro in borsa.
Finita la visita, mi dicono che per gli altri controlli dovrò intraprendere un altro day hospital, in data da destinarsi.
Ora che sono maggiorenne, non posso più ricoverarmi al solito centro e devo fare qualche day hospital prima di intraprendere una nuova avventura in un nuovo, ennesimo centro specializzato.
Il dottore mi dice che a giudicare da questa prima visita, tutto procede bene, e tra qualche giorno avrò i risultati delle analisi.
Esco dall’ufficio e mi dirigo verso il parcheggio, dove mi sta aspettando, tornato dal lavoro, mio padre, per andare a casa e pranzare insieme. 

-Visto che procede tutto bene piccola?- mi dice 

-Si, non ti preoccupare, non me ne faccio più un problema da anni, e lo sai bene…- 

-Appunto, ricordati sempre che sei una ragazza normalissima, con tante buone qualità e che non sei sola, noi, ti vogliamo bene!- 

Sorrido, poggio la testa al finestrino e sospiro, poi penso, senza però fare partecipe mio padre dei miei pensieri: 

“Hai ragione papà, ma in fondo all’anima nutro sempre un pò paura. Paura di non essere accettata per questa patologia che pochi conoscono, e paura che se un giorno sarò mamma, i miei figli dovranno passare il calvario che ho passato io… Però hai ragione anche nel dire che non sono sola. Grazie a Dio posso contare su una famiglia meravigliosa e sull’amicizia di persone che anche se sono poche, sono vere e so che non mi tradirebbero mai! Si, io non sono sola!”

Ciao a tutte.
Perdonatemi se subentro con questa piccola storia, anche se in corso c’è ancora “IL NOSTRO DESTINO E’ PERFETTO”.
La stesura del nuovo capitolo procede, ma questi sono giorni un pò particolari per me, e ho sentito il bisogno di mettere nero su bianco il mio stato d’animo.
Prometto, tenendo conto anche dell’università, di aggiornare quanto prima possibile,  “IL NOSTRO DESTINO E’ PERFETTO”. Grazie a quanti leggeranno e commenteranno.
Vi voglio bene tutte.
A presto
Luciadom

   
 
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