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Autore: M4RT1    11/12/2014    2 recensioni
Annie, Finnick, Katniss, Peeta.
Quattro vite diverse, eppure identiche nella tragedia degli Hunger Games.
Quattro ragazzi che hanno visto cose a cui non bisognerebbe assistere.
Katniss gridava.
Gridava perché li vedeva ancora, quei bambini, tremendamente reali nell’irrealtà del sogno.

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Questa storia partecipa al contest 'My favorite songs' di Elisaherm sul forum di EFP!
Genere: Angst, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annie Cresta, Finnick Odair, Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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I remember tears streaming down your face

When I said, “I’ll never let you go”

When all those shadows

Almost killed your light
 

Annie gridava.

Gridava per cacciarli via, quei mostri, per non farli tornare mai più.

Perché quando di notte loro arrivavano a chiamarla, era del tutto impotente. E allora gridava, sperando che fuggissero come fecero in vita – come fecero, davanti a quel mare di carne e sangue, al sentire il pianto strozzato del Tributo del Distretto Quattro.

Annie gridava.

Gridava quando tutti quei bambini morti la chiamavano e le toccavano la pelle nuda con le loro dita d’ombra, rosso scuro al chiaro di luna.
Quando i loro visi, ormai solo una macchia nera contro le mura candide, tornavano da lei a ricordarle quello che aveva fatto.

E i loro occhi, orbite vuote scavate in volti scarni, fissavano le iridi luminose dell’unica supersite. Iridi rese lucide dalle lacrime. E la luce che aveva sempre caratterizzato l’innocente, ingenua Annie Cresta, si spegneva come una candela su cui qualcuno avesse soffiato troppo forte.

E le lacrime scendevano veloci, striandole le guance e il collo di fiumi non diversi da quello che la diga sorreggeva, prima del crollo. Il suo petto sussultava, le mani correvano a coprirle il volto, tutto il suo corpo si chiudeva a proteggerle il cuore.

Era in quel momento che arrivava Finnick.

Lui arrivava sempre, anche quando non vivevano insieme. Dalla casa accanto alla sua, al silenzioso Villaggio dei Vincitori, riusciva a sentire chiaramente le urla della ragazza. Usciva dal letto, indossava le scarpe sotto il pigiama e prendeva il cappotto e le chiavi – ne aveva una copia anche lui, per sicurezza.

E così entrava – Annie lo sentiva, era come la prova che le ombre fossero andate via.

Entrava e lei era sempre lì, acciambellata tra il piumone e la camicia da notte troppo lunga, e non piangeva più: i suoi occhi, rossi e gonfi, fissavano con desiderio – quasi con impazienza, la porta della stanza.

E quando lui entrava era come se le ombre non fossero mai esistite. Come se il sole le avesse cacciate via.

 
I remember you said

“Don’t leave me here alone”

But all that’s dead and gone and passed

Tonight


Katniss gridava.

Gridava perché li vedeva ancora, quei bambini, tremendamente reali nell’irrealtà del sogno.

Perché quando di notte riviveva quei momenti, era del tutto impotente. E allora gridava, sperando di risvegliarsi e ripetersi – all’infinito, fino all’alba – che non erano reali. Che erano morti, ormai.

Katniss gridava.

Gridava quando tutti quei cadaveri sembravano danzarle davanti agli occhi, sui visi le stesse espressioni con cui li aveva visti morire. Anche se sapeva di non essere responsabile della morte della maggior parte di loro, si ripresentavano puntualmente a ricordarle di aver fatto parte di quel massacro.

E i loro occhi, ancora così terribilmente vivi, sembravano succhiare il suo battito cardiaco, bramosi di tornare in vita. La sua pelle di nuovo rosea. E l’ardore che aveva sempre caratterizzato la forte, coraggiosa Katniss Everdeen, spariva come un cervo braccato da cacciatori maldestri.

E le lacrime le si impigliavano tra le ciglia, trattenendosi dallo scendere a inumidirle le guance. Il respiro le si faceva pesante, le braccia le tremavano. Era come se tutto di lei volesse fuggire.

Era in quel momento che arrivava Peeta.

Lui arrivava sempre, non importava cosa stesse facendo. Non importava che fosse addormentato o sotto la doccia, oppure magari intento a dipingere per distrarsi. Usciva dal letto, dal bagno, da qualunque posto in cui si trovasse, per andare da lei. E così entrava – Katniss lo sentiva, era il momento in cui si vergognava di più.

Entrava e lei era sempre lì, seduta dritta tra le lenzuola aggrovigliate e i cuscini sgualciti: gli occhi vigili come solo quelli di una cacciatrice, le orecchie tese a sentire i passi.

E quando lui entrava era come se gli Hunger Games non fossero mai esistiti. Come se l’innocenza di Peeta li avesse allontanati per sempre.

 
Just close your eyes

The sun is going down

 
Finnick cercava di essere coraggioso. Ci provava sempre, soprattutto quando era con Annie.

Perché non voleva preoccuparla, ricordarle il mondo in cui vivevano. Anche quando, per farlo, era costretto a guardarsi allo specchio – fissare l’espressione distrutta del suo volto, gli occhi stanchi e il succhiotto sul collo – e mascherare tutto con un falso sorriso e una sciarpa.

Perché lei era ingenua e fragile. E non poteva vederlo così.

Quella sera, però, persino il grande Odair non poté fare a meno di piangere. Non poté fare a meno di ripensare al suo Distretto, alla sua vita, a tutto ciò che di bello c’era stato – nonostante i Giochi, nonostante tutto. Non poté fare a meno di ricordare quanto stesse per perdere di bello, ancora: sua moglie, che sarebbe potuta crescere e poi invecchiare accanto a lui giorno dopo giorno; un figlio, o forse due o tre; serate passate sui gradini di una delle povere case del Distretto, il naso all’insù alla ricerca di stelle cadenti; il rumore del mare, della sabbia sotto i piedi; il calore del sole.

E piangeva, nascosto nel bagno dell’Unità Abitativa che condivideva con Annie. I singhiozzi lo facevano tremare, le braccia che si reggevano al lavandino. I capelli biondi gli ricadevano sulla fronte e sugli occhi rossi.

Forse la cosa brutta dell’essere coraggioso era proprio il non potersi mostrare davvero, non durante un momento di debolezza. Se lo disse mentre cercava di fermarsi, di tornare a sorridere. Mentre cercava la maschera di allegria che, in quegli anni, aveva costruito per Annie – ma niente, era crollata in pezzi al suo cuore.

E poi, quando cominciava a credere che avrebbe pianto per sempre, che lo avrebbe fatto finché la missione a Capitol City non fosse cominciata, una mano gli toccò il fianco nudo. Un tocco lieve, da bambina, caldo e soffice come i ricordi di una famiglia ormai distrutta.

Avrebbe voluto che lei non lo vedesse così ma, nel contempo, non aspettava altro che quella carezza.

 
You’ll be all right

No one can hurt you now

 
Peeta non era coraggioso, lo sapeva. Sapeva che, quando era ancora se stesso, era buono, gentile, paziente, dolce – ma non coraggioso, quello mai.

Perché era lei quella forte, lei a ricordargli che il mondo in cui vivevano poteva essere cambiato. Anche mentre gli sembrava di impazzire e il
luccichio dei ricordi falsati gli riempiva gli occhi fino a fargli sembrare tutto finto.

Perché lui era buono, certo, ma soprattutto confuso. Spaventato, anche.

E gli capitava anche di piangere. Come quella sera, quando non poté fare a meno di ripensare al suo Distretto – gli succedeva spesso, da quando sapeva quella che doveva essere la verità. Gli capitava di ripensare alla sua vita, a tutto ciò che di bello c’era stato – nonostante i
Giochi, nonostante tutto. E cercava di ricordare quanto ancora aveva: Katniss, con quella treccia che una volta gli era piaciuta un sacco; i boschi, profumati di bacche e acqua piovana; la farina, la crema che usava per decorare le torte; la sensazione di essere al posto giusto.

E piangeva, nascosto nel bagno bianco del Tredici. I singhiozzi lo scuotevano tutto, rendendolo più vulnerabile di quanto già non fosse. E non osava guardarsi nemmeno allo specchio, perché nonostante tutto si sentiva un ingrato, a non provare la gioia che sentiva Annie dopo il salvataggio.

Forse la cosa brutta dell’essere vulnerabile era proprio quella: la confusione. Se lo disse mentre cercava di tornare a sorridere – ma era come se le torture della Capitale gli avessero portato via per sempre tutte le espressioni sinceramente serene che sembrava avere nei video. In quelli di Snow, in quelli dei Ribelli – come se, in tutta la loro lunga vita, non avessero fatto altro che riprenderlo e controllarlo. E forse era proprio così.

E poi, quando cominciava a credere che avrebbe pianto per sempre, che lo avrebbe fatto finché il sonno non lo avesse abbattuto, entrava lei.

Mano callosa di chi ha passato la vita nei boschi, tocco sfuggevole dell’insicurezza – quella Peeta la comprendeva bene, perché capiva di sembrare ancora un mostro.

Avrebbe voluto che lei non lo vedesse così ma, nel contempo, non aspettava altro che quella carezza.

 
Come morning light

You and I’ll be safe and sound


 

NdA: Il titolo è un verso della canzone “Heart to Heart” di James Blunt.
 
  
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