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Autore: M4RT1    12/12/2014    2 recensioni
Finnick PoV | Finnick/Annie | 65th and 70th Hunger Games
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Finnick Odair ha giocato tre volte: alla sua Edizione, a quella di Annie, a quella della Memoria.
Questa storia parla delle prime due.
Del quattordicenne che vinse i sessantacinquesimi Hunger Games e del giovane Mentore che salvò Annie.
Di come si conobbero, di come divennero amici. Di come arrivarono a sposarsi.
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Dal capitolo XI:
Aveva sempre sperato – anche creduto, in fondo – che gli Hunger Games in realtà fossero una gran bufala, che i Tributi venissero feriti e, con la scusa di rimuovere i cadaveri, guariti da Capitol City e impiegati come Senzavoce, magari, ma vivi. In quel momento capì che si sbagliava. La ragazza era morta.
Genere: Angst, Fluff, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Annie Cresta, Finnick Odair
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Finnick Odair ha giocato tre volte

Chapter X - Friends, enemies and allies

 

 
L'edificio ondeggiava pericolosamente, scosso dal vento. Nell’aria serale sembrava un castello infestato dai fantasmi, i rami degli alberi protesi come grosse mani grottesche. Finnick trasse un respiro profondo e, guardandosi intorno, entrò. 

L’atrio non era molto grande, ma aveva un soffitto altissimo e due finestre con i vetri rotti che tintinnavano sinistramente, facendo entrare folate di vento gelido che gli ricordavano le correnti sottomarine che aveva imparato a evitare. Una grossa rampa di scale conduceva al piano superiore, ma Finnick non era sicuro che camminarci sopra fosse una buona idea: a giudicare dagli scricchiolii, sarebbe crollato tutto da un momento all’altro. 

Invece, prese posto addossato a una parete, in uno spazio dove la moquette resisteva ancora, cercando di trattenere il calore con la giacca squarciata. Pensò di accendere un fuoco, ma aveva paura di incendiare il palazzo, oltre che di farsi vedere dagli altri Tributi: di sicuro, una luce non sarebbe parsa inosservata. Aprì lo zaino e afferrò una striscia di carne; se la rigirò tra le mani, nauseato, cercando di ricordarsi che non poteva fare lo schizzinoso agli Hunger Games, che avrebbe dovuto nutrirsi con regolarità o sarebbe morto di fame prima ancora che qualcuno lo trovasse. Stava riflettendo su quanto avesse sempre odiato la carne – lui, che era abituato al pesce – quando un rumore lo spinse ad alzarsi. Inghiottì la striscia in un solo morso, rifiutandosi di regalarla al suo potenziale assassino, si voltò e cercò la fonte del rumore.

"Chi è?" domandò, gridando in direzione di una delle finestre. "Non avvicinatevi, sono armato!"

Subito si maledisse per quella malsana idea di urlare infaccia a chiunque stesse facendo il suo ingresso: avrebbe potuto scappare, forse, se solo fosse stato più attento. Sperò che, chiunque fosse, non avesse il fegato di verificare con i propri occhi la presenza di eventuali armi – altrimenti, sarebbe morto di sicuro. Accennò alcuni passi verso l’uscita e l’aveva quasi raggiunta quando si ricordò dello zaino: il suo unico possedimento giaceva abbandonato in un angolo, solo, potenziale preda per chiunque. Finnick tornò indietro. E cadde in trappola.


Non aveva ancora raggiunto l’obiettivo quando, con un tonfo sordo, qualcosa – qualcuno – gli atterrò dietro, stringendogli una spalla.

"Non così in fretta, tu!" sbraitò una voce femminile, tagliente.

Era la ragazza del Due. Indossava la stessa divisa degli altri ma, a differenza della sua vittima, era armata fino ai denti con oggetti che Finnick nemmeno aveva visto alla Cornucopia: coltelli, martelli, una lancia, alcuni dardi, perfino una specie di bomba a mano. Dietro di lei, due ragazzi sogghignavano stringendo una spada ciascuno.

"Sei armato, dici?" lo prese in giro la ragazza. "Vediamo."

Finnick avrebbe preferito sprofondare, forse anche morire, pur di non affrontare quella vergogna. Non poteva soccombere così a colei che gli aveva rovinato anche gli ultimi giorni di vita normale, a Capitol City. Così si voltò.

"Certo che sono armato" rispose, beffardo. Le mostrò le mani. "Come le chiami, queste?"

Lei alzò un sopracciglio:

"Mani?" rispose. "Credi davvero che quelle possano competere con queste?" aggiunse poi, accennando ai dieci quintali di ferro che si portava dietro. "Sei ancora più stupido di quanto temessi."

Uno dei due complici della ragazza si avvicinò, la lama puntata contro il collo della vittima. Finnick sentì il ferro gelido premere contro la pelle tiepida della gola, bucandogliela. Un rivolo di sangue gli colò sul colletto della maglietta.

"Susanne, per favore, sbrighiamoci" sbottò il suo aguzzino. "Non puoi chiacchierare con questo tizio" la riprese.

La ragazza sembrò contrariata: inarcò le folte sopracciglia scure e assottigliò le labbra, inspirando profondamente.

"Non dirmi cosa devo fare, Jay!" sbraitò poi, voltandosi verso l’alleato. Il terzo intervenne, cercando di calmarli.

"Ragazzi, smettetela!" esclamò, dividendoli. Aveva una voce forte e cupa, l'aria autoritaria. "Siamo alleati, no?"

I due lo fissarono, truci.

"Ricordati che potresti morire da un momento all’altro, Sam. Non peggiorare la tua situazione" parlò la ragazza con voce tranquilla.

Lui sbiancò.

"L’ho preso in considerazione, grazie" mormorò, in una parvenza di coraggio.

Finnick, che aveva seguito il battibecco con pacato interesse, si rese conto di aver perso un’occasione di fuga. Fece per divincolarsi ma era ormai tardi: era bloccato contro il muro, sospinto verso la parete dalla punta del coltello.

"Sei ancora qui, tu" constatò anche Jay, fissandolo. "Sei proprio un cretino."
Gli altri risero.

"Ti sto rendendo facili le cose, in effetti" gli rispose Finnick. Dondolò sul posto, la mente che cercava una soluzione, rapida.. "Ti piacerebbe almeno un combattimento?"

I tre ragazzi lo accerchiarono.

"No, mi piacciono le cose facili" rise il terzo alleato, sempre più vicino.
Finnick sentì la spada che premeva sulla sua gola, mozzandogli il fiato. Pregò di avere la pelle abbastanza resistente.

"Non sono d’accordo con te" sussurrò, cercando di respirare. "E non è bello ammazzare il tuo interlocutore" aggiunse, alzando le mani in segno di resa.

"Ma tu sei la mia vittima. Ed è buona educazione farle esprimere un ultimo desiderio. Qual è il tuo?"

Finnick soppesò l’idea. Valeva chiedere di non morire?

Poi però un'idea decisamente migliore di barare al gioco della morte gli balenò e, senza preavviso, colpì forte il ragazzo all'inguine. Jay cadde in ginocchio, la spada abbandonata al suo fianco, le mani strette sulla parte colpita. Accanto a lui, quello che si chiamava Sam parve indeciso sull’avvicinarsi.

"Cosa stai aspettando, Susanne?" chiese, titubante. "Uccidilo, no?" esclamò poi, gli occhi che guizzavano da Finnick all'amico colpito che ancora gemeva, piegato in due.

"Che c’è, hai paura di avvicinarti?" lo rimbeccò lei, le mani sui fianchi.

"Certo che no, ma non vedo perché non debba farlo tu!" ribatté il ragazzo, piccato.

Quel secondo battibecco dette a Finnick l’opportunità di scappare, gettando gambe all’aria Susanne e allontanando Sam con uno scossone. Cercando di non pensare al bruciore al fianco, allo zaino abbandonato nel vecchio edificio e ai due assassini che sarebbero presto tornati a cercarlo, uscì dalla casa e corse lontano, in direzione di un gruppo d’alberi che sembrava innocuo. All’apparenza, almeno.

 
***


Micheal non voleva uccidere Annie. Per qualche minuto non riesco a pensare ad altro, la mente libera da qualsivoglia preoccupazione. Lei è salva, per ora. E' fuggita dal Bagno di Sangue e, a metà corsa, è stata raggiunta dal suo compagno che le ha proposto un'alleanza. Inaspettatamente, direi, considerando anche che tecnicamente Annie è un elemento inutile.
Ma non importa, anzi: finché lei è con lui, è salva. Giusto?

"Finn, perché cammini avanti e indietro?"

Sono in camera di Mags, intento a fissare Annie dal monitor impiantato nelle camere dei Mentori. Sta preparando un giaciglio dietro un albero, mentre Michael monta la guardia. Lei ha un coltello infilato nella cintola dei pantaloni, mentre il ragazzo stringe una lancia tra le dita.

"Non mi fido di Michael" mi lascio sfuggire, abbattendomi e crollando sul letto della mia Mentore. Lei sorride.

"Non ti fideresti di nessuno, vero?" domanda, sedendosi accanto a me. 

"No, infatti" ammetto.

Per un po’ rimaniamo in silenzio, intenti a osservare i nostri Tributi che cercano di sopravvivere mentre, a pochi chilometri di distanza, coloro che dovrebbero tenerli in vita sono seduti su di un soffice letto e in procinto di cenare.

Il primo giorno è terminato con undici morti al Bagno di Sangue e nessun altro cadavere dopo. I Tributi non hanno combattuto tra loro – non succede quasi mai, il primo giorno – e hanno perso tempo a esplorare l’Arena. È piuttosto innocua, all’apparenza, l’acqua si trova in molti punti e non sembra ci siano animali selvaggi. Ho sentito uno Stratega dire che, quest’anno, hanno puntato molto sullo scontro tra Tributi, il che è un bene considerando che la mia Annie non prenderà parte a nessuna lotta.

Gli occhi mi si chiudono lentamente. Sento la cravatta tirare sul mio collo, la camicia alzarsi all'altezza dell'ombelico, ma non mi importa. Mags è l'unica persona che mi mette davvero a mio agio, oltre Annie, l'unica davanti alla quale non mi preoccupo di essere semplicemente me stesso, con tanto di mutande in bella vista e scarpe slacciate.

"Hai voglia di cioccolata?" mi chiede la donna dopo un po’, quando Annie e Michael cominciano a dividersi del cibo. È un nostro rituale da quando sono Mentore.

"D’accordo" acconsento. Non ho fame, ma credo che mantenere le abitudini possa farmi sentire meglio. In poco tempo, un Senzavoce ci porta un vassoio di cioccolatini di vari tipi e due tazze di cioccolata fumante con biscotti. Mi sento quasi in colpa a mangiarli mentre, dal’altra parte dello schermo, la mia migliore amica strappa brandelli di carne secca con i denti, ma d’altronde è quello che ho fatto tutti gli anni. E poi, smettere di mangiare non aiuterà nessuno.

"Allora, hai già pensato cosa inviare tramite gli sponsor?" chiedo a Mags. Lei sta bevendo e, quando finisce, rimane in silenzio per un po’.

"Finn, è presto per parlarne, no? Di solito non chiediamo nulla almeno fino alla morte dei primi dodici" mi dice, il tono accondiscendente. Ha ragione, naturalmente.

"Ma di solito non c’è Annie" ribatto. Lei sospira.

"Non devi vederla in questo modo, Finn. So che è dura, ma devi tenere la tua vita fuori dall’essere Mentore."

Mi volto a guardarla, la bocca sporca di cioccolata. Ha riagione, come sempre. I colpi di testa non aiutano, non ora, non Annie. E ad ogni modo non è giusto nei confronti di Micheal, della sua famiglia, dei suoi amici. Non è giusto e basta. Ma il pensiero che la mia migliore amica sia praticamente nelle mie mani mi impedisce di ragionare lucidamente.

"Non posso" sussurro. 

"Invece sì" mi contraddice Mags, arruffandomi i capelli con una mano. "Come credi che abbia fatto, anno dopo anno, guardando morire persone che conoscevo?"

Non ho mai chiesto a Mags dei suoi Giochi, ma a giudicare dalla sua età deve aver partecipato a una delle prime Edizioni. Questo significa che ha fatto da Mentore a chissà quanti ragazzi, vedendoli morire praticamente tutti. Qualcuno le sarà stato più simpatico, altri meno, eppure non ha mai fatto preferenze, non ha mai scelto un solo Tributo, abbandonando l’altro. Alcuni Mentori adottano questa tecnica, incanalando i soldi degli sponsor su uno solo dei due, ma non lei.

"Non ci riesco, io" sussurro. D’improvviso, non ho più voglia di cioccolato. Annie, nello schermo, ha appena cominciato a prepararsi per dormire, lasciando Michael a montare la guardia. Vorrei dirle di stare attenta, ma ovviamente non posso.

"Devi farlo, altrimenti non ti perdonerai mai la morte di nessuno dei due. Continuerai a sentirti in colpa per sempre, e non devi" mi dice la donna, alzandosi.

Ho l’impressione che parli per esperienza, ma non voglio chiederglielo. So quanto può essere brutto rispondere a domande riguardanti gli Hunger Games, l’ho provato sulla mia pelle. So quanto faccia male ricordare. E le voglio troppo bene per permettere che accada. 






 
  
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