Nel
silenzio che seguì l'affermazione di Donatello, quelle due
parole
sembrarono riecheggiare senza freno.
Mutante.
Isabel. Mutante. Isabel. Mutante... Isabel.
Si
inchinarono anche loro attorno alla donna, come in trance, come se i
loro corpi stessero agendo di propria volontà, e fu subito
chiaro
che Donnie aveva ragione: anche se i tratti somatici si erano un po'
modificati nella mutazione, -il naso si era accorciato e il suo ponte
allargato e gli zigomi ispessiti,- riconobbero facilmente nel viso
verde i tratti familiari di Isabel.
Trattennero
il fiato. Una valanga di teorie li investì in pieno, e paure
e
dubbi. C'era quella domanda che tutti stavano pensando, ma che
nessuno aveva il coraggio di pronunciare ad alta voce,
perché
avrebbe reso tutto reale.
La
mano di Raphael si tese, senza che potesse in qualche modo
controllarla, e toccò una guancia di Isabel, dolcemente, per
sentire
la consistenza di quella pelle sotto le dita: era di un verde tenue,
lo stesso colore di una tenera fogliolina appena germogliata, la
stessa consistenza vellutata al contatto, la stessa paura di poterla
rovinare anche solo con un tocco esitante.
Isabel
era bella persino da mutante, dannazione. E una parte di lui lottava
per scuoterla e prenderla a schiaffi per ciò che credeva
avesse
fatto, l'altra per stringerla e amarla finalmente, senza più
nessuna
scusa che potesse fermarlo.
Ma
non era giusto che finisse così. Assolutamente.
Infine,
fu Michelangelo a prendere il coraggio e chiedere.
“Perché
è mutata?” soffiò guardingo, appena un
sussurro, a Donatello che
nel frattempo si era premunito di controllarla e visitarla, per
quanto possibile.
Il
fratello sollevò il capo dal torace di lei, dove aveva
cercato di
auscultare battito e respirazione, e concentrò lo sguardo su
di lui.
“È
riuscita a sintetizzare il mutageno dai nostri campioni di sangue e
pelle. Non so ancora come... Isabel è intelligente, ma non
so fino a
che punto possa aver capito da sola come lavorarli” rispose
assorto, tornando a rivolgersi verso lei, sollevando le sue palpebre
per controllare le pupille.
Nessuno si accorse dell'aria nervosa di Steve, che si torceva le mani con gli occhi sbarrati che non si staccavano dalla donna, pieni di spavento e orrore, pieni di comprensione e rimorso.
“E
poi il mutageno non può avere fatto tutto il lavoro. Deve
averlo
mischiato con DNA di tartaruga, ma diverso dal nostro... vedete
queste?” continuò il genio, indicando delle
macchie color ruggine
che creavano uno splendido mosaico sugli avambracci e le gambe.
“E
questo” incalzò Don prendendo la mano di Isabel e
aprendola
davanti ai loro occhi, mostrando loro la sottile membrana quasi
trasparente tra le dita.
“Ha
usato DNA di tartaruga marina, penso la specie Caretta caretta. Credo
per non avere legami nemmeno alla lontana con noi, a livello
genetico” finì di spiegare, col viso sempre
più teso, ormai solo
parzialmente conscio di loro.
Sembrava
che più visitasse Isabel, più qualcosa non gli
tornasse.
“Ma
perché? Come?” sbottò Raphael, che
stava impazzendo sempre più
ad ogni verità che Don gli sbatteva in faccia.
Nel
silenzio si sentì un brusco respiro, qualcuno che tratteneva
il
fiato, vinto dalla paura e l'orrore di ciò che aveva fatto.
“È
colpa mia” pigolò Steve, fermo lì
dov'era rimasto quando era
entrato, immobile, colpevole, inorridito.
Gli
occhi di tutti furono su di lui un secondo dopo e il nervosismo
crebbe ancora di più e la voce gli morì in gola;
deglutì a vuoto,
indietreggiando inconsciamente.
“Io...
io non sapevo che cosa volesse farci. Mi ha detto che le serviva una
mano coi campioni per prepararsi alle lezioni di Medicina, che dato
che la chimica era il mio campo le sarei stato utile. Che doveva
isolare il mutageno per poter capire come agisse e come usarlo per
curarvi. Le ho creduto. È tutta la settimana che ci
lavoriamo
assieme e io non avevo capito...” provò a scusarsi
il ragazzo,
incurvandosi ad ogni parola, sotto i loro sguardi accusatori, sotto
la colpa che sentiva nel cuore.
Raph
si alzò di scatto e gli si avventò addosso,
furioso. Aveva trovato
il perfetto capro espiatorio, con chi prendersela per quello che
stava accadendo, anche se sapeva benissimo che non era colpa sua, che
Isabel riusciva a fare ciò che voleva, sempre, anche se era
stupido,
anche se feriva chi le stava attorno.
Steve
indietreggiò spaventato, la voce di Leonardo esplose, quasi
in
contemporanea all'urlo di Mikey.
“Raph,
lascialo in pace! Non ha nessuna col...” disse severo il
leader,
prima che lo strillo del fratello lo interrompesse e attirasse
l'attenzione di tutti.
Il
corpo di Isabel aveva preso a contorcersi, scosso da convulsioni che
le facevano tremare gli arti, e rendevano il respiro difficoltoso.
Con
un'espressione terrorizzata Mikey si gettò sulle sue gambe
per
cercare di tenerla ferma, mentre Leo faceva lo stesso con il busto e
Don cercava di impedire che si mordesse la lingua.
“Che
cosa le succede?” urlò Raph, che lasciato il
proposito di
prendersela con Steve, assisteva alla scena con paura e angoscia.
E
sotto i loro sguardi preoccupati e attoniti, le ultime due dita delle
mani si fusero e da quattro divennero tre, il piastrone, -che prima
era solo un ispessimento della pelle come la parte della schiena,-
sporse di colpo in fuori e le macchie di ruggine iniziarono a
spargersi per tutto il corpo, in un perfetto mosaico.
“Sta
continuando a mutare!” esclamò con fatica Don,
mentre cercava di
farle rilassare le mandibole serrate dalle contrazioni muscolari.
Isabel
stava diventando sempre più simile ad una tartaruga e meno
ad
un'umana e loro non sapevano come poter fermare il procedimento.
D'un tratto sembrò scemare d'intensità, sembrò quasi che le convulsioni fossero finite, un momento di pausa in cui si udirono i respiri pesanti e accelerati, in cui gli sguardi si cercarono per comunicare, per chiedere, per capire.
Don fece per aprire bocca, ma con un urlo disumano Isabel ricominciò a sussultare, i muscoli persino più tesi di prima, le scosse del suo corpo violente e incontrollate che sbattevano contro il pavimento con brutalità: la linea delle dita si spaccò di netto e si divise in due, dapprima carne viva che pulsava sanguinante, poi la pelle le ricoprì, come edera che si abbarbicava sulle nuove dita; le ossa del viso sembravano sciogliersi e risolidificarsi di continuo, come fossero di cera, e si formavano e squagliavano, prima il naso tornò alla dimensione normale, poi si riaccorciò, il mento si allargò e si restrinse; la pelle della schiena ritornò normale e rosea, per qualche secondo, prima di ispessirsi ancora e tornare come un carapace formato dai muscoli della schiena.
Ogni
trasformazione era accompagnata da grida, grida agghiaccianti e
sofferte, che Isabel si lasciava scappare anche in stato di
incoscienza.
“Don!
Cos'ha?” urlarono anche loro, cercando di farsi sentire,
preoccupati per il dolore che sapevano stesse provando, ma incapaci
di fare alcunché per aiutarla.
“Io...
non sono sicuro!” strillò in risposta il genio,
con fatica sempre
maggiore. C'erano gocce che gli imperlavano la fronte, dallo sforzo
di tenerla.
“Credo
che la sua magia stia combattendo il mutageno!”
rivelò alla fine,
allarmato.
“Anzi,
per essere più precisi, credo che la sua magia e il mutageno
si
stiano combattendo, per dominare nel suo corpo. E se continua di
questo passo, Isabel morirà prima di poter raggiungere una
forma
definitiva.”
Un
sottile gelo serpeggiò nella stanza, incredulità
e paura si
unirono, scuotendoli sin dal profondo.
“Morirà?
Perché...?” esalò Mikey, rafforzando
inconsciamente la presa su
di lei, per paura di perderla probabilmente.
Isabel
strillava, strillava come se fosse divorata viva da un fuoco
invisibile per loro, che la consumava dall'interno, e brividi di
terrore corsero lungo la loro pelle, agghiacciati dal suo strazio.
“Perché
le mutazioni continue e senza sosta faranno collassare i suoi organi
interni, a cominciare dall'apparato respiratorio”
spiegò Don, con
lo sguardo incollato su di lei, il cui viso, nonostante l'incarnato
fosse ormai verde, era arrossito di dolore e fatica.
“Cosa
possiamo fare?” domandò Leo, in un sussurro teso,
come se lo
stesse chiedendo più a sé stesso, sconvolto da
ciò che stava
succedendo, a lei, che amava, amava e non poteva veder soffrire in
quel modo.
“Non
possiamo fare molto dal di fuori: anche se riuscissimo a sintetizzare
un antimutageno in una manciata di minuti, non so se il suo organismo
non lo vedrebbe come un nuovo corpo estraneo da combattere e non so
se interferirebbe o meno con la sua magia. Isabel è un po'
come noi:
non è esattamente normale, non so se la sua parte magica
reagisca
come farebbe un corpo umano al 100%. È dall'interno che
dobbiamo
agire!” spiegò Donnie, inchinandosi per prendere
Isabel in
braccio, mentre loro si guardavano confusi.
Le
sue grida scemarono quando l'amico la strinse, come se trovasse
momentaneo conforto in quel contatto; il genio fece strada verso la
camera di Isabel e lì la poggiò sul letto,
controllando
immediatamente le sue condizioni.
“Steve!
La mia borsa, presto!” urlò spazientito, facendo
trasalire il
ragazzino.
Ci
frugò freneticamente dentro, una volta che quello gliela
porse, e ne
tolse fuori un tubo trasparente, incurvato verso la fine.
“Devo
intubarla. La prossima trasformazione potrebbe compromettere il suo
tratto respiratorio, irrimediabilmente” sussurrò
assorto,
preparandosi a fare una cosa che non aveva mai fatto prima e che
sapeva essere pericolosa.
Il
rischio di graffiare e lesionare la trachea era altissimo anche per
una persona esperta, figurarsi per uno come lui.
“Vuoi
spiegarci cosa...” provò a domandare Mikey
inorridito, prima che
il fratello lo zittisse all'istante.
“Silenzio!
Mi serve assoluto silenzio!”
Doveva
far presto e intubarla prima che potesse avere una nuova
trasformazione o un attacco epilettico, ma le mani gli tremavano
così
tanto che non sapeva come avrebbe potuto riuscirci.
Ogni
millimetro di tubo che cercava di infilare nella gola gli sembrava
troppo ed eccessivo, un corpo estraneo che le avrebbe fatto male, lo
sapeva.
“Resisti,
resisti!” le sussurrò, premendo ancora di
più il tubo
endotracheale, quando non trovò fortunatamente resistenza
nella
laringe.
“Steve,
passami la cannula sottile!” strillò poi, tenendo
con una mano il
tubo e allungando l'altra verso il ragazzino che teneva la sua borsa.
Con
un gesto sicuro fece passare la cannula all'interno del tubo e poi
sfilò quest'ultimo con un sospiro di sollievo.
“Fatto!
annunciò, attaccando l'estremità della cannula
alla sacca per la
respirazione manuale. La passò a Steve, illustrandogli il
ritmo da
tenere per una corretta ossigenazione.
“Adesso
a voi. Dovete entrare nella mente di Isabel e aiutarla dall'interno.
È una cosa lunga da spiegare, dovete solo sapere che quello
che sta
succedendo si sta ripercuotendo anche nella sua psiche ed è
lì che
agirete! Io rimango qua per controllare le sue condizioni, assieme a
Steve. Muovetevi!”
Mikey
fece per prendere parola, ma lo sguardo secco che Don gli
mandò fece
morire la sua voce in un balbettio indistinto, e anche lui si
avvicinò ad Isabel, come i suoi fratelli.
“Cosa
dobbiamo aspettarci? E cosa dobbiamo fare?” si
informò Leo,
prendendo posto vicino alle gambe di lei, stabilendo un contatto
fisico, poggiando la mano vicino alla caviglia.
Mikey
era al suo fianco e Raph dall'altra parte.
“Lo
vedrete. Lo capirete” rispose il genio, assorto.
Ci
fu un intenso scambio di sguardi, quello fiducioso di Donnie, quello
spaventato di Steve, i loro tesi e confusi.
Poi
chiusero gli occhi e respirarono a fondo, grossi respiri dapprima
scoordinati, che poi pian piano si armonizzarono in un unico, calmo
soffio ancestrale.
La
mente si svuotò e si annullò, tanto da diventare
solo una linea
sottile per ricordare chi fossero, per indirizzarli verso la meta.
Entrare
nella mente di Isabel fu diverso dalla volta precedente: se allora
era stato quasi essere guidati per mano da lei, questa volta si
sentirono come indesiderati, sentirono una spessa ostilità
che
cercava di tenerli lontani, di alzare barriere che impedisse loro di
avvicinarsi; fu solo con un notevole sforzo che riuscirono infine ad
arrivare al nucleo della sua mente.
E
tra stupore e meraviglia, si accorsero immediatamente che non sarebbe
stato facile, che niente sarebbe andato liscio come avevano pensato.
Non
erano in un nulla grigio che potevano manipolare e immaginare come
volevano, come la volta prima: con occhi stupiti si voltarono in ogni
dove, scrutando con paura e un pizzico di riverenziale timore quella
che sembrava la replica esatta della città di New York, in
rovina e
decadente, un cielo plumbeo che minacciava la fine del mondo; una
tempesta di fulmini squarciava l'oscurità con folgori
brillanti che
facevano male agli occhi, seguiti da rombi che facevano tremare la
terra.
Alcuni
degli edifici erano crollati a terra in macerie polverose,
trascinando giù con sé anche porzioni di quelli
vicini, e quelli
rimasti in piedi sembravano consumati e distrutti dal tempo, in
rovina e ormai mangiati dalla vegetazione che cresceva ovunque,
riappropriandosi dei suoi spazi. Le strade erano divelte da grosse
voragini e radici di alberi che nella loro forza avevano spaccato
ogni cosa sul loro cammino.
Non
si sentiva un rumore. Quel mondo distopico creato nella mente di
Isabel era disabitato. Le finestre oscure delle case mettevano
soggezione e paura, come occhi che non li lasciavano un attimo, occhi
vuoti e spettrali.
Nel
silenzio riuscirono a sentire Mikey che deglutiva con apprensione.
“E
adesso?” chiese poco dopo, confuso come loro;
“Dov'è Isabel?”
Era
chiaro a tutti che non avrebbero potuto far comparire una strada che
li conducesse da lei, perché sembrava che lei non volesse
essere
trovata, stavolta.
Una
voce esplose dal cielo, facendoli trasalire, tutti sul chi vive.
“Siete
arrivati? Dovete trovare Isabel, anche se credo che ne troverete
più
di una” disse la voce di Don, chiara e limpida come se si
trovasse
lì al loro fianco.
“Genio,
dicci come diamine fare!” urlò Michelangelo con le
mani ad imbuto
attorno alla bocca, rivolto verso il cielo.
Dopo
che il suo urlo si spense, ci fu solo silenzio. La cappa nera rimase
ferma e stagnante, minacciando pioggia e fulmini. Mikey si
voltò
verso i suoi fratelli con un'espressione attonita, per la mancata
risposta di Don.
“Giusto
perché so che tanto l'ha fatto: Mikey, io non posso
rispondere alle
vostre domande. Voi potete sentirmi perché i vostri corpi
fisici
sono qui e sentono quello che vi dico. Voi invece siete
manifestazioni mentali, io non posso sentirvi!”
esalò la voce del
genio, leggermente spazientito.
Il
fratello sorrise per l'imbarazzo, strofinandosi il collo a disagio.
“Non
so dove siate, né cosa vediate, ma se Isabel non
è lì, di sicuro è
da qualche parte non molto lontano. Quello che dicevo prima
è che
probabilmente non ce ne sarà una sola, ma una per ogni
manifestazione della sua personalità che combatte contro le
altre...
è difficile da spiegare. Ma state attenti!” li
mise in guardia
Don, con tono spiccio.
“Se
ci sono novità vi contatterò!”
Non
appena la voce di Donnie si spense, ritornò il nulla, solo
il rumore
dei tuoni in lontananza e un rombo ritmato che poteva essere il cuore
di Isabel quanto il loro.
Senza
una parola si incamminarono per le strade rovinate, con passo
guardingo. Gli occhi scivolavano a destra e a sinistra, cercando un
segno, attenti a scrutare nelle ombre più scure e nel
silenzio, in
cerca di qualcosa e con la paura di trovarcelo davvero.
I
loro passi non facevano alcun rumore e la città deserta
sembrava
ancora più spettrale.
“Non...
non sentite qualcosa?” titubò Mikey con voce
malferma, dalla fine
della fila, cercando di non mostrare la paura che provava. Il suo
sguardo saettava con frenesia, sbarrato.
Tesero
le orecchie, in ascolto, e lo udirono anche loro: un tenue ronzio
riecheggiava da qualche parte lì vicino, intensificandosi
secondo
dopo secondo, sempre più minaccioso.
“Uno...
sciame d'api?” domandò il più giovane,
sempre più allarmato,
cercando i loro sguardi.
Raph
sembrava sul chi vive quanto lui, mentre Leo era in ascolto con gli
occhi chiusi.
“Io
ho già sentito questo suono” rivelò in
un sussurro, riaprendo gli
occhi limpidi.
Si
incamminò cautamente per la strada, trasversalmente,
avvicinandosi
ad un vicolo immerso nella tenebra più nera, quasi un buco
nero nel
nulla.
E
poi videro i due occhi dorati scintillare come gemme in quel nulla,
così luminosi in tutto quel buio, da fare quasi male a
guardarli:
era uno sguardo puro, uno di quelli che leggevano dentro, che
trapassavano l'anima.
“Attento!”
esclamò d'un tratto Raphael, facendosi avanti mentre le mani
correvano ai Sai, al vedere la figura scivolare in avanti e
mostrarsi, anche se con passi lenti e titubanti: la leonessa dal
manto ambrato quasi risplendette colpita dalla luce, fiera nella sua
andatura elegante.
“No,
Raph!” urlò il leader per bloccarlo, muovendo dei
passi incerti
verso la belva, con un rinato sorriso in viso.
“Io
la conosco” disse, avvicinandosi a lei, sempre più
velocemente.
La
leonessa si bloccò e sollevò il muso e quando lui
tese la mano
verso di lei, allungò il collo per odorarlo; dopo qualche
istante in
cui Mikey trattenne il fiato e Raph non si era ancora deciso a
lasciar andare i manici delle armi, la fiera si avvicinò al
mutante
e con un ronzio soddisfatto si strusciò contro la sua gamba.
Leo si
gettò in ginocchio all'istante e la strinse a sé,
pieno di
emozione, affondando il viso nella pelliccia ambrata del suo collo.
“Come
stai?” le domandò cortesemente, gioendo delle fusa
di lei. Un
lieve ruggito melodioso fu la sua risposta.
“Ehm,
Leo... bel momento, molto commovente, ma... ci vuoi
spiegare?” si
intromise Mikey, un po' imbarazzato dal comportamento del fratello
con una bestia immaginaria.
“Lei
è Luce. È la manifestazione del Sè di
Isabel” dichiarò Leo,
lasciando andare la leonessa e rivolgendosi finalmente a loro. Gli
bastò un'occhiata all'espressione stupida di Mikey per
capire che
non aveva capito.
“È
la parte più profonda della sua mente, che controlla e
vigila su
tutte le altre, tenendole in ordine” spiegò
quindi, ripetendo la
spiegazione che Isabel gli aveva dato mesi e mesi prima, quando
nemmeno lui aveva capito cosa fosse Luce.
Lo
sguardo di Raph scintillò, al capire che quella fiera altro
non era
che una manifestazione di Isabel, in fin dei conti, e al vedere come
si strusciasse contro suo fratello con affetto: Leo era già
stato
nella mente di Isabel, lei aveva condiviso qualcosa di così
profondo con
lui.
Gli
occhi dorati di Luce si accorsero del suo sguardo e lo fissarono,
lucidi e brillanti, così puri, tanto che sentì di
non essere degno
di guardarli, tanto da voler abbassare il capo, quasi vergognandosi.
“È
ferita” affermò Michelangelo d'un tratto, puntando
col dito verso
gli arti posteriori della leonessa. C'era un lungo squarcio che dalla
zampa sinistra saliva fin sulla coscia, sanguinante e dall'aria
dolorosa.
Leo
tolse la bandana dalla testa e la legò stretta attorno
all'arto,
stando attento a non farle male, mentre lei attendeva ferma e docile,
con gratitudine.
“È
stata lei? Dov'è?” chiese poi, catturando
l'attenzione di Luce.
La
fiera abbassò il muso, come se annuisse, e staccandosi da
lui iniziò
ad incamminarsi verso Nord; fu subito chiaro che li stesse guidando e
che dovessero seguirla.
Fu
un viaggio silenzioso e cupo, molto strano: sfilarono in silenzio
lungo le strade, la bestia ambrata ad aprire la fila, con la sua
camminata elegante nonostante la ferita, e loro appresso con fiducia,
anche se non tutti capivano, anche se di domande ce n'erano tante e
senza risposta.
Non
c'era tempo reale lì dentro, potevano essere passate ore
come
secondi, le gambe non dolevano, i metri sembravano manciate di
centimetri e un'infinità di chilometri, contemporaneamente;
arrivarono in fretta e nello stesso tempo dopo troppo, ma avevano
già
capito tutti dove erano diretti già da molto tempo: Central
Park
apparve in tutta la sua lussureggiante bellezza, eppure oscura e
tenebrosa, come solo uno sterminato bosco immerso nel buio poteva
essere; si incamminarono al suo interno seguendo Luce, che
così come
il suo nome suggeriva, emanava una lieve luminescenza, come se il suo
manto ambrato riflettesse la luce di astri che loro non potevano
nemmeno percepire.
Mikey
sussultava ad ogni passo, occhieggiando con sospetto e tensione ogni
albero oscuro, ogni tronco che poteva nascondere insidie e pericoli:
la mano di Raph si schiaffò sulla sua nuca all'improvviso,
facendolo
trasalire.
“La
smetti? Sei nella mente di Isabel, non c'è niente tra quegli
alberi,
non sono nemmeno reali” lo sgridò sottovoce,
superandolo poi con
irritazione.
Lui
sapeva dove stavano andando, sapeva perfettamente dove, in tutta
quella replica di Central Park, lei si trovasse. Ci avrebbe scommesso
la testa.
La
vegetazione iniziò a diradarsi e i margini di uno grande
spiazzo
apparvero nel loro campo visivo, l'inizio della piazza per la
Bethesda Fountain, nel silenzio e nella pace più assoluta.
Lo
scroscio dell'acqua si sentiva fin da lì, limpido e lieve.
Raph
accelerò il passo automaticamente, superando Luce, guidando
lui la
fila verso il punto predefinito, verso di lei.
Sentirono
i rumori di lotta prima ancora di vedere davvero, grida e tonfi
possenti e imprecazioni e rombi di tuono, che riempivano l'aria con
la loro violenza, che li allarmarono; un lampo scese dal cielo e
cadde a pochi passi da loro, illuminando la notte e incendiando
l'aria, ferendo le orecchie.
Corsero,
più velocemente, e dopo aver superato un folto e basso
gruppo di
cespugli, riuscirono a vedere il lato della piazza che costeggiava la
vegetazione, e lo scontro apparve in tutta la sua brutalità.
C'erano
tre parti che si combattevano in una battaglia tutti contro tutti. Si
fermarono con sorpresa, a poca distanza dal pioppo sotto il quale le
tre donne si combattevano, con furia inaudita:
C'era
una Isabel con gli occhi bianchi e splendenti, che si librava a
mezz'aria e richiamava a sé folgori e campi di energia; una
Isabel
perfettamente normale, a poca distanza, che evitava gli attacchi con
velocità, ma sembrava in difficoltà sempre
crescente; e per finire,
una Isabel mutante, la pelle verde tenue e la schiena ispessita
simile ad un guscio incorporato, che combatteva con furore col
ninjitsu, chiudendo il triangolo immaginario entro il quale tutte e
tre si muovevano.
“Cosa diamine...” esalò Mikey sconvolto, osservando le donne combattersi senza pietà con attacchi magici e fisici, tra scartate spettacolari e schivate all'ultimo istante, combo improvvisate tra due parti contro una, che poi si rivolgevano una contro l'altra, con alleanze che si stringevano e scioglievano in un battito di ciglia per conquistare la vittoria.
“Dobbiamo
fare qualcosa!” urlò Leo per sovrastare il rumore
della battaglia,
rivolto verso i fratelli.
La
Isabel normale si accorse della sua voce e si voltò verso di
loro,
con un gran sorriso in volto, sereno, felice nella sua
semplicità:
durò solo un attimo, poi si congelò eternamente
sul suo viso,
mentre gli occhi si sbarravano di sorpresa e dolore; cadde in avanti,
a terra, scomposta e immobile, colpita a morte da una delle altre
due.
“Isabel!” urlarono tutti e tre, sconvolti, gettandosi verso di lei, ma il corpo scomparve nel nulla, dissolvendosi sotto il loro sguardo smarrito.
La
terra tremò e il cielo esplose, una tempesta di fulmini si
abbatté
con fragore nel parco, costringendoli ad accucciarsi e a cercare
riparo, con le braccia sulla testa per proteggersi dai detriti che
volavano nell'aria.
In
mezzo al tornado che si andava formando, le due Isabel rimaste
continuavano a combattere, ignare e incuranti.
“Cosa
sta succedendo? Qualcuno mi spieghi cosa sta accadendo,
perché
Isabel sta continuando a mutare, sempre più
violentemente!” tuonò
la voce di Don dall'esterno, sommandosi al caos e al rumore, piena di
preoccupazione.
I
tre mutanti si guardarono con apprensione da dietro il loro riparo,
come se stessero decidendo con lo sguardo a chi toccasse, senza
nemmeno battere le palpebre: gli occhioni di Mikey iniziarono a
lacrimare per il fastidio e quando alla fine li strizzò,
sbuffò di frustrazione, seccato.
“Va
bene, vado io! Ma state attenti!” sbottò,
alzandosi in piedi.
Si
concentrò intensamente, ma ripensandoci, prima di sparire
corse
verso Luce e la strinse in un abbraccio, una cosa che voleva fare da
quando l'aveva incontrata.
La
carezzò con gioia, passando la mano nel folto e morbido
manto, con
affetto.
“Andrà
tutto bene” le sussurrò, lui che solo aveva
intuito la sua paura e
il suo tremore, al vedere la guerra tra le altre parti di sé.
La
lasciò andare con malincuore e si rialzò in
piedi, per quanto il
forte vento e la tempesta di folgori glielo permettesse.
“Speriamo
che il genio sappia dirci qualcosa!” esclamò,
iniziando a
concentrarsi.
I
contorni del suo corpo iniziarono a sbiadire e diventare sempre
più
trasparenti, finché tutta la sua persona non scomparve nella
pura
aria, l'ultima parte a svanire il suo grosso sorrisone, come lo
stregatto.
La
loro attenzione si rifocalizzò sulle ultime due Isabel.
Entrambe
erano capaci, ognuna nel suo campo personale: quella magica stava
letteralmente rivoltando la terra e il cielo, sconvolgendo le
condizioni atmosferiche per attaccare la sua avversaria, mentre la
mutante era un concentrato puro di ninjitsu e tecniche di lotta, con
la stessa furia che mostrava Raphael quando si avventava contro un
avversario.
Forse
non ragionarono appieno, quando entrambi si gettarono in mezzo alla
lotta, provando a separare le due donne, in attesa di sapere e capire
cosa stesse accadendo.
Leo
scattò a sinistra verso la Isabel magica, Raph a destra
verso la
Isabel mutante, parandosi di fronte a loro con uno stupido slancio di
temerarietà, mentre un fulmine e un calcio volante
caricavano.
Fu
solo per pura fortuna che non furono colpiti: gli occhi delle due
Isabel si aprirono di meraviglia nel scorgerli ed entrambe
trattennero gli attacchi all'ultimo secondo: i sorrisi che si
aprirono sui loro visi potevano sembrare felici e sinceri, ma non
promettevano niente di buono.
La
tempesta si placò lentamente e un gran silenzio scese
attorno a
loro.
“Dovete
calmarvi e ascoltarci!” esclamò Leo, alzando le
mani , per
mostrare loro che non avevano nessuna intenzione cattiva.
C'era
uno scintillio poco promettente negli occhi brillanti della Isabel
magica.
“Leo”
soffiò affabile, scendendo fino a toccare il terreno coi
piedi,
camminando poi verso di lui.
Isabel mutante era anche più inquietante: i suoi occhi castani creavano un gradevole contrasto con la pelle verde, risaltando ancor di più, e brillavano nel fissare Raphael, come una belva che fissa la sua preda. Poté quasi giurare di sentirsi in soggezione.
“Ragazzi!”
rombò la voce di Don, attirando l'attenzione delle due donne
quanto
la loro. Si agitarono e iniziarono a guardarsi con frenesia attorno,
scrutando nelle ombre per capire chi fosse stato a parlare.
“Mikey
mi ha spiegato la situazione. Quelle che vedete sono manifestazioni
delle due forze in lotta per il controllo del corpo: la magia e il
mutageno. La Isabel che è morta era invece ciò
che sarebbe rimasto
se queste due forze si fossero annullate a vicenda: una normale
umana.
Fatemi
spiegare: quello che succede nella sua mente è una
proiezione di ciò
che succede nel suo corpo e viceversa; se una delle sue
manifestazioni vince lì nella mente, automaticamente quella
parte
prenderà controllo del corpo.
E
bisogna che ci sia una vincitrice al più presto,
perché la vera
Isabel non resisterà ancora a lungo alle
mutazioni” li avvisò,
con un tono che poterono quasi definire urgente.
“IO!
Io devo vincere!” strillarono contemporaneamente le due
donne,
sovrastando ogni altro suono.
Si
fronteggiavano con occhiate malevole, pronte ad attaccarsi ancora.
“Io
sono la vera Isabel” disse quella magica, furiosa.
“Io sola devo
vincere!”
Era
arrabbiata con l'altra sé stessa, che vedeva come
un'intrusa, come
un'usurpatrice che voleva eliminarla per prendere ciò che
era e le
apparteneva.
“Ma
quello che sei non va bene. Io vado bene. È questo che
Raffaello
vuole” affermò melliflua Isabel mutante,
comprovando con le azioni
le sue parole.
Si
avvicinò a Raphael a grandi passi e gli si gettò
praticamente
addosso, e lui, preso alla sprovvista, forse, non si tirò
indietro.
“Io
sono la risposta a tutti i problemi. Io sono perfetta. Solo io posso
rendere tutti felici” soffiò, stringendo il
mutante dalla benda
rossa con passione, incurante di tutto il resto.
Raphael
era come bloccato. Voleva prendere parola, ma in effetti non sapeva
cosa avrebbe mai potuto dire. Lui amava Isabel per ciò che
era, era
perfetta così, ma non poteva evitare di pensare che anche la
nuova
lei mutante fosse stupenda.
E
sarebbe stato tutto così semplice, senza remore e problemi,
senza
rimorso o ripensamenti. O no?
Cercò
lo sguardo di Leo per chiedergli aiuto, ma l'espressione del fratello
sembrava suggerirgli di cavarsela da solo e anche rimproverarlo per
metterci così tanto.
“Io
non ti piaccio?” domandò la donna, accortasi della
sua fredda
immobilità, attirando la sua attenzione.
“Sei
bellissima” non poté evitare di confessare,
davanti a quegli occhi
feriti e in attesa, strappandole un sorriso felice.
L'abbraccio
che ne seguì fu anche più sentito di prima,
felice, euforico.
“Hai
capito? Non sei più necessaria” esalò
spietata alla Isabel
magica, sollevandosi sulle punte dei piedi per poterla guardare oltre
la spalla di Raphael.
Sorrise
davanti alla sua espressione ferita e sofferente, sorrise del suo
strazio.
“Addio,
cara!”
Con
una scivolata a destra e un gesto fluido, la mutante si
scostò
lievemente da Raphael e gli sfilò al contempo il Sai dal
fianco,
lanciandolo contro l'altra donna: sapeva che non avrebbe reagito per
non colpire anche lui.
Rimasero
tutti inerti, a seguire il volo dell'arma: Isabel non si
scansò, non
reagì; sorrise dolorosamente, quando il Sai la
colpì al petto, e
nemmeno per un secondo, il suo sguardo aveva lasciato lui.
“NO!”
urlò Raph, al vederla perdere la presa sul terreno, cadere
ginocchioni e la sua magia scemare fino ad abbandonarla del tutto; i
suoi occhi persero la sua luminescenza e l'ultima cose che vide,
prima che lei si accasciasse al suolo, furono i suoi occhi scuri, che
lo fissavano con amore.
“No!
Isabel!” strillò sconvolto, ma ormai il corpo
stava svanendo nel
nulla, come se non fosse importante, come se non contasse niente.
“Io
sono Isabel” lo corresse la mutante, correndo tra le sue
braccia. E
lo strinse, fin quasi a soffocarlo, ma l'orrore non lo
abbandonò, né
il dolore.
“NO!”
le rispose, fuori di sé, divincolandosi dalla sua stretta,
con
avversione e ferocia, mentre lei combatteva con tutta la sua forza il
suo attacco di rabbia.
La terra rincominciò a tremare e scuotersi, mentre voragini si aprivano nel parco e il vento si sollevava il turbini violenti che schiaffeggiarono i loro visi con violenza. Il cielo divenne rosso sangue e si aprì in due, mostrando un nero senza fine, un buco nero che risucchiava ogni cosa: gli alberi si sradicarono dalla terra, e vorticarono nell'aria assieme ad ogni più piccola parte del parco, le sue panchine, i mattoni della piazza, la statua dell'angelo della Bethesda Fountain.
E
nel caos, fu di nuovo la voce di Don a riecheggiare, con terrore.
“Ragazzi,
mi pare ovvio, ma voglio comunque ricordarvi una cosa: se moriranno
tutte le manifestazioni, la vera Isabel morirà. State
attenti!”
Isabel
mutante si staccò da Raph, rivolgendogli uno sguardo tra il
sorpreso
e il ferito, il volto pallido: la mano corse verso lo stomaco, verso
il Sai che lui aveva piantato nella sua carne; con
incredulità e
dolore lo strappò, con un gesto secco.
Lo
guardò, con una domanda che premeva sulle labbra, ma che non
trovò
mai la forza di pronunciare: svanì a mezz'aria, congelata
mentre
cercava di alzare la mano per poterlo toccare un'ultima volta.
E
il caos crebbe, crebbe a dismisura, inghiottendo ogni cosa e la
verità.
Isabel
era scomparsa, per sempre.
Note:
Buona
sera a tutti!
Allora,
qui scendiamo un po' nel metafisico, la lotta che accade nel corpo
viene illustrata come una lotta nella sua mente, con più
Isabel a
combattersi.
Corpo
e mente vanno a braccetto, per un guerriero.
E
riecco Luce e la spiegazione del perché era stata
introdotta... (va
a guardare...) 25 capitoli fa! Certo che me la prendo comoda.
Ma
c'è sempre un motivo per cui inserisco personaggi o
situazioni, mai
nulla è lasciato al caso. Addirittura c'è una
cosa che ho messo
velatamente nella prima storia che verrà spiegata solo a
metà della
quarta... sono malvagissima.
Anyway, Luce guida i nostri dalle Isabel, che si fanno spietatamente fuori una con l'altra, ma Raph, dopo un primo momento in cui era stato ammaliato da quella mutante, non ci sta che lei faccia fuori quella vera e la uccide a sua volta. E adesso?
Manca
solo un capitolo! ç___ç
L'arrivederci
è dietro l'angolo! Sì, c'è il
continuo, ma la fine di una storia
mi uccide, ogni volta!
Mi sono cresciute le braccia a furia di abbracciarvi tutte per il vostro affetto! Grazie da morire. Vi adoro!
P.s.:
uno schizzo volante per farvi vedere come ho immaginato un ibrido
umano mutante: i disegni di piastrone e carapace sono direttamente
sulla pelle, che è solo un po' più spessa del
normale e leggermente
più dura.
Abbracciorso, ci vediamo alla fine!