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Autore: Aura    12/12/2014    2 recensioni
“Aspetta un attimo, i bravi ragazzi non baciano così!”
“Fanno anche di più, cazzo”
(cit. Il diario di Bridget Jones)
Lexie ha solo ventidue anni, eppure ha ereditato una figlia. Ha chiuso le ambizioni di carriera e la sua giovinezza dentro a un cassetto, la sua vita gira intorno alla piccola Alanis: fa la commessa in una libreria e il suo momento di trasgressione settimanale è quando può avere il controllo del telecomando e gustarsi Dirty Dancing fantasticando su Johnny, il primo di una lunga lista di bad boy che le hanno rubato il cuore. Il suo nemico giurato? L'altezzoso maestro di Alanis, tale William Parker ribattezzato Testa di Corno, la classica persona che guarda tutti dall'alto in basso e che vuole sempre aver ragione, anche sull'educazione di sua nipote. O no? Comunque Lexie lo trova ridicolo e insopportabile, fuori moda ed esasperante nella sua ostinazione a volerla chiamare Miss Spencer, quasi per tenere le distanze da lei. O no?
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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sconvolta


L'enciclopedia galattica nel capitolo dedicato all'amore afferma che è troppo complicato da definire. La guida galattica per autostoppisti invece, sull'argomento amore, dice evitatelo se possibile.

(Guida galattica per autostoppisti)






Mi sento un po' in colpa perché praticamente bevo il caffè con il cappotto addosso, tanto ho fretta di tornare in città.
Ho avuto la pessima idea di dire ai miei che nel pomeriggio ho un turno in libreria e mi sono sentita decisamente in colpa, perché mia madre ha cercato di servire il pranzo il più in fretta possibile. No, mamma, tua figlia è una bugiarda: non deve andare al lavoro, è sulle spine solo perché deve uscire con l'insegnate di tua nipote.
Una volta a casa mi precipito in bagno, e mentre l'acqua della doccia si scalda vado in camera e rovescio quasi tutto il contenuto dell'armadio sul letto.
Quando suona il citofono i capelli sono asciutti e sono più o meno truccata, il giusto indispensabile, ma ho una gamba in un paio di jeans e l'altra nei leggins. Incespico a rispondere, avvisandolo che scenderò subito mentre nel frattempo saltello togliendomi i leggins. Li appallottolo e li lancio in camera, chiudendo la porta e confinando lì l'esplosione di vestiti, finisco di infilarmi i jeans e vado in cerca della giacca. Giusto, mancano le scarpe, ancora qualche esitazione e finalmente riesco a uscire di casa.

- Eccomi! - lo saluto, chiudendo il portone del palazzo.
William aspetta che lo raggiunga con una strana espressione in faccia, poi una volta di fronte a lui seguo il suo sguardo e mi rendo conto che ho la sciarpa in lana rosa con i pon pon a cuoricino azzurri di Allie. - Mi sono sbagliata. - ammetto, frugando in borsa per cercare le chiavi. Lui, piano, mi raddrizza il colletto del cappotto.
- Non ti sta male, in effetti stai bene. - la sua voce non ha un briciolo di malizia o di adulazione, nonostante quell'inflessione un po' demodè che gli è peculiare, è cristallina.
E non ho più il coraggio di andare a cambiarla, considerando che l'ho già fatto aspettare abbastanza.
- Ok. - dico, cercando di nasconderla sotto al cappotto. - Dove si va?
- Ti piace pattinare?
Annuisco, mordendomi l'interno guancia per non sorridere come una stupida: niente fa più classico appuntamento Newyorkese che andare a pattinare sul ghiaccio a Central Park. Le nostre mani si trovano, e ci incamminiamo.
Chiacchieriamo del più e del meno, lasciando gli argomenti a metà per introdurne nuovi cercando di recuperare la naturalezza che abbiamo per telefono
- Sì, ieri hanno portato la nuova edizione di quel libro...
- Il consiglio di classe vuole organizzare una vendita di dolci natalizia...
- Adoro Homeland, ma non riesco a capire come cazzo faccia Carrie a continuare a stare dietro a Brody. - quest'ultima, con parolaccia annessa, è ovviamente mia.
Forse non siamo sciolti come quando ci parliamo al telefono, il fatto di averlo accanto mi destabilizza un po', ma in senso positivo: non siamo imbarazzati. Sono consapevole di lui, della sua mano che stringe la mia, dei suoi occhi che mi guardano mentre camminiamo, della sua presenza accanto a me.
Noleggiamo i pattini e, quando salgo incerta sul ghiaccio, mi chiedo quanto tempo ci metterò prima di trovarmi a terra. William invece, al contrario delle aspettative che non me lo fanno immaginare come il perfetto sportivo, è sicuro e stabile sui pattini. Viene accanto a me e mi prende per mano, aiutandomi a staccarmi dal bordo. Adegua la sua andatura alla mia e mi sostiene, finché non trovo il ritmo.

- Cosa mi dici invece, di te? - domanda, tutto d'un tratto.
Lo guardo velocemente con la coda dell'occhio, prima di concentrarmi nuovamente sulla pista.
- Cosa vuoi sapere?
- Cosa studiavi al college?
- Quello che studiano tutti, - lo prendo in giro: - un po' di questo, un po' di quello. Volevo laurearmi in giornalismo, amavo le lezioni di letteratura.
- Sembra che comunque tu abbia trovato il tuo posto nel mondo. Hai mai pensato di ricominciare alla NYU?
Scrollo la testa,
- Non fare finta di non sapere quanto sia impegnativo lavorare e occuparsi di una bambina: non avrei il tempo né per frequentare né tanto meno per studiare.
- E quando Allie sarà più grande? - il modo in cui me lo chiede non mi mette a disagio: una volta avevo pensato che mi biasimasse per non aver finito gli studi (come se fosse dipeso da me), invece percepisco interesse nella sua voce, come se a prescindere da quello che faccio o da quello che ho studiato volesse spingermi a non rinunciare, se lo voglio.
- No, William: non credo che riuscirò, e onestamente non voglio aspettarmi niente: non voglio sperare di poter ricominciare e trovarmi a una certa età e capire che non è possibile. Sarebbe come inseguire la vita che avrei potuto avere se Becca non fosse morta, senza Allie: ma la mia vita è questa, non quella.
Rallentiamo automaticamente, o forse è lui che frena e di conseguenza lo faccio anch'io dal momento che il mio passo è poco più di un contributo alla sua andatura.
Ci fermiamo, sollevo prima un piede e poi l'altro per girarmi, imitandolo. Lui mi guarda, come se stesse cercando le parole giuste.
- Vorrei rimangiarmi quella volta che ti ho dato della ragazzina, ma non lo farò, perché non sei invincibile e non puoi pensare di non avere bisogno di aiuto. Ma sei forte, straordinariamente forte, senza perdere la tua dolcezza e la tua vulnerabilità. E devo ammettere che questo contrasto mi lascia sempre stupito.
Trattengo quasi il respiro mentre lo guardo, senza riuscire a dire niente.
Dentro di me risuonano semplicemente i suoi occhi e le sue parole, solo da un piccolo angolo ho la lucidità necessaria per chiedermi quante volte potrà ancora lasciarmi a bocca aperta, da dove diavolo gli escono queste frasi. È la cosa più simile a una dichiarazione romantica di quelle che si leggono nei libri che io abbia mai sentito. Deglutisco,
- Io... - vorrei dirgli qualcosa, per fargli capire quanto mi ha colpita, ma niente mi sembra adatto.
Si avvicina e posa le labbra sulla mia fronte, per un istante, poi torna a prendermi la mano e ripartiamo.
William Parker è un po' un ossimoro: mi ha dato un signor bacio con tutti i connotati per capire se avevo bevuto o no il suo vino, poi mi fa la dichiarazione perfetta e mi bacia la fronte.
Arrossisco, pensando che dopo tutto l'episodio del vino era più un pretesto, ma la seconda parte rimane.
- Hai freddo? - mi chiede, interpretando il mio rossore.
- No, grazie. - Lo guardo con la coda dell'occhio, è presuntuoso dire grazie a uno che ti ha detto che sei forte e dolce?
Cerco di fermarmi ma con scarso risultato, se non quello di rischiare di cadere. Gli tiro la manica, sperando non siano necessarie ulteriori spiegazioni, e William ci rallenta, fermandosi di fronte a me.
- Quando hai detto quelle cose, come sono... - cerco di trovare le parole giuste. - Non so come risponderti, non so nemmeno se grazie sia giusto, ma grazie.
Mi chiedo se sia fuori luogo spingermi verso di lui e baciarlo, ma rinuncio primo perché non sono abbastanza stabile sui pattini, e poi perché è vero, domenica ci siamo baciati ed è stato bellissimo e ci parliamo al telefono tutte le sere, ma adesso sembra passata un'eternità. Se al suo posto ci fosse stato Drew probabilmente lo avrei fatto senza tanti pensieri, ma con William è tutto così intenso, persino sfiorarci mentre ci passiamo l'insalatiera, che non riesco a buttarmi semplicemente. Inoltre lui mi ha detto quelle cose, e io non saprei fare altrettanto: provo qualcosa per lui, ma non so ancora dargli un nome.
- Dovrei ricominciare a chiamarti Miss Spencer, non ti ho mai lasciato senza una precisa opinione su qualcosa.
Non è vero, ma non lo sa.
- Hai smesso di chiamarmi Miss Spencer? - gli chiedo. Io lo chiamo William, e lui non mi ha più chiamato per cognome ma neanche ha mai usato il mio nome. Ci ho fatto decisamente caso, evita con cura di chiamarmi, punto.
- Sì, Lexie.
E ora capisco perché.
Diceva che il mio nome era troppo personale da usarlo se non mi conosceva, e ora che glielo sento pronunciare arrivo al punto di essere contenta che abbia aspettato fino ad adesso. Le lettere scivolano, come se il mio nome fosse qualcosa di privato che ci unisce. Come se fosse un sentimento.
Il ginocchio mi cede un istante ma lui è lì ad afferrarmi, e mentre mi sostiene finalmente mi bacia.
Mi aggrappo al bavero del suo cappotto nonostante le sue braccia mi tengano stabilmente al sicuro, e inspiro questo bacio gelato. Se pensavo che baciare così bene fosse una prerogativa dei ragazzi un po' tenebrosi, William mi fa assolutamente ricredere. E in qualche modo questa cosa aggiunge una sorpresa che non mi lascia per niente indifferente.

- Ci ho pensato, comunque. - dico, quando, dopo aver pattinato a sufficienza, risaliamo a piedi Central Park. - Non ero certo una secchiona, ma il college, le lezioni: mi piacevano. E ci ho pensato, in passato, se trovare un modo per riprendere o no; non solo per dire un giorno “l'ho finito” e fare qualcosa con il mio pezzo di carta. Era bello.
Camminiamo un po' in silenzio, ma posso quasi sentire il rumore dei suoi pensieri.
- Ti piacerebbe ascoltare una lezione di letteratura? - dice poi, tutto d'un tratto.
Aggrotto le sopracciglia, senza capire: - Cosa intendi?
- Il venerdì pomeriggio tengo una lezione al NYU, non sarebbe un problema farti entrare una volta. Potresti venire con me, venerdì, ti piacerebbe?
All'improvviso sono più incuriosita dall'idea di ascoltare una sua lezione piuttosto che qualsiasi altra.
- Altroché, davvero possiamo? - non vedo già l'ora.
William mi tranquillizza: - Basta che non cerchi di sostenere nessun esame, nessun problema.
- Sei carino quando cerchi di fare le battute. - mi esce fuori, istintivamente.
- Io non cerco di fare le battute. - si ribella, incupendosi. - E soprattutto non sono carino.
Rido sotto ai baffi, è carino eccome, ma evito di insistere.
Le giornate sono corte e più si avvicina il momento del tramonto più il freddo aumenta, così mi decido a proporgli di andare a casa a bere qualcosa di caldo.
- Però mi dispiace deluderti, ancora niente The: se vuoi posso provare a fare la cioccolata calda. O, meglio ancora, puoi provare a stupirmi con le tue innumerevoli doti nascoste e puoi farmela tu.
- Sbaglio o c'è una nota ironica? - chiede, sospettoso.
Mi stringo al suo braccio mentre lui chiama un taxi che si sta avvicinando,
- Niente affatto. Sono una fan delle tue doti nascoste.
Solleva un sopracciglio guardandomi, sì, a modo suo sa essere malizioso, maledizione.

Quando entriamo in casa mi vengono immediatamente in mente tutti i sottintesi che il mio invito potrebbe avere, e nonostante da un lato sono sicura che William non è il tipo da aspettarsi qualcosa solo perché è in casa mia, d'altra parte non so cosa potrebbe pensare della naturalezza con cui l'ho invitato. Mi tolgo cappello, sciarpa e cappotto, lanciandoli sull'appendiabiti più alto dell'armadio a muro, quello che di solito è il mio, e poi prendo la sua giacca, appendendola dove è di solito quella di Allie.
- Sei già stato qui, - dico, alzando le spalle, - quindi è inutile che ti faccia vedere la casa.
Mi appunto mentalmente di andare a controllare di non aver lasciato niente di compromettente in bagno, tipo uno dei miei reggiseni appesi sopra alla vasca oppure il rasoio con cui mi sono depilata prima, e lo spingo verso la cucina. - Credo che tutto sommato la farò io la cioccolata. - dico, aprendo il frigo in cerca del latte. - Insomma, se stiamo a vedere tu hai cucinato per me quando sono stata male e poi a casa tua, potresti pensare che sono un'inetta in cucina.
Lui non si siede e si mette vicino a me mentre metto il fornello sul gas.
- Non lo penso affatto. - mi tranquillizza.
O almeno quello dovrebbe essere il suo intento, ma mi trovo a sorridergli nervosa mentre verso il preparato nel pentolino insieme al latte, totalmente consapevole della sua presenza.
Il sibilo del gas, il rumore del cucchiaio che gira, rimbombano nella stanza.
- Alanis ha una vostra foto nel suo diario.
Il rumore del cucchiaio che cade per terra. Il tempo di raccoglierlo e i miei sensi sono di nuovi tutti all'erta, pronti a individuare e bloccare ogni possibile invasione.
Con una vostra foto non intende con me e Alanis, ma io e Becca. William osserva i miei movimenti nervosi mentre butto il cucchiaio nel lavello e ne prendo un altro.
- L'ho vista, ha molte foto di sua madre. - dico, più rigida che controllata.
- A volte credo che abbia superato il suo lutto meglio di quanto tu pensi.
È vero, e mi chiedo che parte ho avuto io in tutto questo: si presumerebbe che io le sia stata più di aiuto di quanto non sia in realtà. Ho cercato di parlargliene all'inizio, ma dopo un po' lei ha iniziato a evitare con cura l'argomento, pensavo che avesse bisogno di tempo e gliel'ho dato, senza essere stata in grado di riprenderlo.
Quando ho scoperto quella foto, così naturalmente inserita tra le pagine del suo diario come una bella cartolina, non sono riuscita a dirle niente per paura di rovinare tutto.
- A volte. - sottolineo, appellandomi al mio ruolo di tutrice. Ed è vero, a volte, troppe volte è ancora una bambina che ha perso sua mamma.
- Mi sono chiesto se invece non sia tu, quella che ancora non ci è riuscita.
Quel tono, il suo tono da maestro. Fino a cinque minuti fa era perfetto, ora invece devo lottare contro l'impulso di chiedergli di andarsene: la cantilena che io non sono riuscita ad accettare la morte di mia sorella l'ho sentita già da tanti, l'ultima cosa che voglio è che lui la ripeta, specialmente con quel modo di fare, ricordandomi quanto era facile odiarlo quando l'ho conosciuto.
- So che ti chiedo uno sforzo eccessivo. - dico, leggermente più acida di quanto vorrei. - Ma preferirei non parlare di questo. Non sono fatti tuoi, William, e non intendo fare in modo che lo diventino.

Sbatto sonoramente il cucchiaio sul bordo del pentolino, talmente impegnata a coprirmi con lo scudo che mi permette di andare avanti che non mi importa particolarmente dell'occhiata carica di biasimo che mi rivolge. Sono fatti miei, come sono fatti miei, dal momento che è stato deciso che sia io a occuparmene, cosa farò scrivere sulla lapide della madre di Allie che andrà a sostituire quella provvisoria che ha da un anno.

E sono fatti miei quando deciderò di farlo. Sono fatti miei che mia madre sta morendo e io sono fisicamente incapace di essere la figlia che si merita, limitandomi ad aspettare il momento in cui rimpiangerò anche lei. Almeno in questo sono riuscita a salvare Allie dalla mia spirale di negazione, lei sì che è la nipote che si merita.

- Sei arrabbiata. - Genio. William sospira, - Non potrai scappare sempre dai tuoi problemi.
In un lampo mi sembra di riuscire a riconoscere la persona con cui ho passato il pomeriggio, prima che tutto questo venisse fuori. Lo guardo, incerta se potermi fidare o meno della sua effettiva resa.
- Solo non vorrei occuparmene adesso. Non voglio rovinare questa giornata.
Aggrotta per un attimo le sopracciglia, senza perdermi di vista, ma non aggiunge altro: forse posso fidarmi.
E forse lo conosco più di quanto pensassi, perché, ora che mi sento un poco più al sicuro noto anche lui e capisco che è combattuto nel decidere di accettare la mia richiesta. Comporta uno sforzo, per William, cedere e tirarsi metaforicamente indietro quando ha intravvisto il mio punto debole, quando come al solito è convinto di aver ragione. La sua espressione è abbastanza eloquente, non ci vuole passare sopra, ma in qualche modo tenta di farlo. Forse per lui è un “per il momento”, ma io onestamente non ho il tempo di venire a patti con quello che è successo, non posso crollare quando ho una bambina di cui occuparmi: non è forse quello che fanno i genitori?
Verso la cioccolata che innalza due colonne di fumo denso dalle tazze, il silenzio di adesso è ben diverso da quello di prima, assomiglia di più ai silenzi di cui ci siamo sempre deliziati. Lui osserva me e io osservo lui, incapaci di andare oltre nonostante ci stiamo provando, incapaci di ammettere di essere nel torto.
E poi, nella maniera più ridicola possibile, il mio telefono inizia a suonare Time of my life.
Mi affretto a rispondere a Allie, già sapendo che sarà sicuramente lei dalla casa dei miei che vuole farmi un saluto prima di cena, e sono incredibilmente sollevata di poter pensare ad altro.
- Ciao nipotina. - la saluto.
Allie mi racconta della sciarpa a maglia che sta aiutando la nonna a fare e dell'ultima zucca dell'orto che mangeranno stasera. In sottofondo mi arriva la voce di mio padre, che mi chiede se me ne deve preparare un po' in un tapperwhare e io spio con la coda dell'occhio William, sperando di trovarlo più rilassato.
Imperturbabile.
Metto di proposito un dito nella cioccolata per capire se è ancora troppo calda, e per cercare di smuoverlo un po' mi pulisco contro la sua guancia. Aggrotta le sopracciglia e le distende, bene: una reazione.
- Dì al nonno di mettermi via tutta la zucca che avanza: non voglio mangiare altro per i prossimi tre giorni, visto che è l'ultima.
La saluto e metto giù, William ha preso un tovagliolo di carta per pulirsi e io riesco a fermarlo in tempo posandogli un piccolo bacio dove l'ho sporcato, sufficiente a eliminare le tracce.
- Sei una contraddizione. - dice, ancora troppo serio per i miei gusti. Io alzo le spalle, è una cosa di poco conto e non mi tocca. Ma non mi sposto da davanti a lui, limitandomi a guardarlo. - No, mia cara, non ti darò nessun bacio adesso.
Mia cara. Nascondo un sorriso, me lo hanno detto mille volte con tono sarcastico, da mia madre ai miei amici, ma mai così. Non che l'abbia usato con tenerezza, non è ancora del tutto rilassato, ma non c'era una traccia di ironia nella sua voce. Lo lascio schivarmi e ci sediamo a bere la nostra cioccolata.
- Non puoi fare così, Lexie. - insiste.
E va bene, mollare il colpo non è da lui ma è da me: non ho nessuna intenzione di continuare a litigare né di farmi psicoanalizzare da lui. Posso accendermi come un fiammifero e continuare a bruciare per ore, ma quando dico basta, è basta.
- E invece sì: tu hai tirato in ballo l'argomento, e io non ne voglio parlare oggi. - gli dico, aggiungendo l'ultima parola con una bugia per ammorbidirlo.
- Quindi è così che funziona? Hai una lista di temi che non vuoi affrontare e dobbiamo attenerci ad essa? Di cosa dovremmo discutere, delle previsioni meteorologiche?
Provo a bere un sorso di cioccolata per nascondere un sospiro ma è ancora troppo calda. E chi l'ha detto che un bravo ragazzo è innocuo? Con Drew, sicuramente, non mi sarei mai trovata in queste sabbie mobili. Però nonostante tutto non riesco a rimpiangerlo, nonostante tutto, in questo momento non cambierei William per nessuno al mondo.
- Avanti, maestro, non ho detto che voglio parlare del tempo, solo che non ho intenzione di affrontare il discorso su come ho superato la morte di mia sorella. - mi arrendo, - Fai la tua domanda, so che ne hai una.
- Il padre di Alanis? Perché non ti dà una mano?
Tiro un sospiro di sollievo, grazie al cielo non è un argomento scottante.
- Facile: non esiste un padre. - William aggrotta le sopracciglia e prima che intervenga, spiegandomi che i bambini non nascono sotto i cavoli, mi affretto a spiegare: - Ovvio che biologicamente condivide la metà del patrimonio genetico con qualcuno, e sì: è una persona in carne ed ossa, Becca non ha fatto nessuna inseminazione artificiale.
- E lui, non si è mai fatto vivo? Nemmeno dopo la morte di tua sorella?
Scuoto la testa,
- Un padre non è chi dà il suo contributo per fecondare l'ovulo, ma qualcuno che tiene la mano di tua madre mentre sta partorendo. Chi si sveglia nel cuore della notte per controllare che tu sia coperto bene o semplicemente che stai ancora respirando, ti tiene in braccio quando hai le coliche e con il suo cipiglio severo riesce a farti sentire in colpa, quando più grande farai una sciocchezza, senza dover nemmeno dire niente. Quindi, no, il padre di Allie non è mai esistito.

L'argomento scema, e mentre il livello della cioccolata nelle nostre tazze diminuisce riusciamo a tornare su argomenti più tranquilli, e a poco a poco riesco a sentirmi totalmente tranquilla, come se quell'intermezzo disastroso non fosse mai successo. Sono diventata abbastanza brava a nascondere la polvere sotto al tappeto, modestamente parlando.
Sono rientrata nella mia bolla di serenità, come quando stavamo passeggiando per Central Park e ho capito che dovevo intentarmi qualcosa al più presto se volevo prolungare il nostro appuntamento, ecco perché mentre metto le tazze nel lavello cado letteralmente dalle nuvole.
- Sì è fatto tardi, - lo sento dire dietro di me, - è ora che vada.
Mi giro, pensando freneticamente a qualcosa per trattenerlo. La realtà è che voglio stare con lui, punto: non mi importa quello che facciamo o dove siamo, come quando siamo al telefono e mi addormento con la cornetta in mano pur di non salutarlo, adesso vorrei che il nostro pomeriggio insieme non finisse.
Mi limito a sospirare,
- Devi?
Mi sistema una ciocca di capelli dietro all'orecchio,
- Questo appuntamento ci è già sfuggito di mano, le consuetudini avrebbero voluto che ti riportassi a casa quando avevamo finito di pattinare.
Mi mordicchio un labbro per nascondere un sorriso, non sembra nemmeno lui del tutto convinto a seguire le consuetudini.
- Non è andata male, no? Discussione a parte. - cerco di strappargli.
È difficile però essere più convincente, con lui così vicino a me tanto che devo sollevare la testa per guardarlo.
- No.
Mi spingo appena verso di lui quando lo vedo muoversi verso di me e le nostre labbra si incontrano. I miei pensieri si azzerano all'istante, ho già detto come mi bacia? È impossibile rimanere lucida.
Le sue mani affondano nei miei capelli, tenendomi contro di lui, la sua bocca mi cerca, accarezzandomi con dolcezza e fermezza. Intenso.
Mi sfugge un sospiro mentre ho ancora gli occhi chiusi, quando si allontana, e quando li riapro lo vedo lì, a osservarmi. Prima che possa dire o pensare qualsiasi cosa si spinge ancora su di me, mentre mi afferra sollevandomi e appoggiandomi sul bancone della cucina. Sono in bilico con mezzo sedere tra il piano e la vasca del lavello, ma è l'ultimo dei miei pensieri: io, lui e le cucine: andiamo decisamente d'accordo.
Reclino appena la testa, invitando le sue labbra a scivolare dalla mia bocca alla pelle del mio collo, in preda a una necessità che che se avessi più lucidità non vorrei soddisfare.
Perché, a discapito dei nostri precedenti, del fatto che effettivamente oggi è stato il nostro primo appuntamento e che spaventata dall'idea che mi costringesse ad affrontare la mia torre traballante di problemi, gli ho detto che non avevo intenzione di diventar affare suo; e per quanto in quel contesto non mi rimangio niente, in qualche modo siamo già oltre tutto questo. William, mi rendo conto nonostante sia consapevole di non essere in pieno possesso delle mie facoltà mentali al momento, è la persona che potrei amare. Con lui il discorso va già oltre una notte di sesso bollente, nonostante in questo momento forse lo desideri più di quanto abbia mai desiderato avere il perfetto Drew nel mio letto.
Ogni centimetro del mio corpo è attraversato da un formicolio impaziente che mi porta più vicina che mai a rimangiarmi la decisione di andarci piano. Catturo le sue labbra con le mie, per un istante, e basta che appoggi la mano sul suo petto senza neanche imprimere un po' di spinta che un filo d'aria scorre nuovamente tra noi. Inspiro e butto fuori l'ossigeno, prima di accorgermi che per metterlo a fuoco dovrei aprire gli occhi. Lo faccio e non appena incrocio il suo sguardo intenso la fame che mi annebbia la mente viene mitigata un po' da un'altra sensazione, dolce, che mi aiuta a riprendere il controllo di me.
La mano intreccia le mie dita e se le porta alle labbra, baciando delicatamente le nocche.
- Ciao, Lexie. - sussurra.
- Ciao, William.
Non so se lo fa perché si ricorda il mio commento di settimana scorsa a casa sua o per il senso di galanteria che fa parte di lui, ma mi aiuta a scendere dal piano della cucina e devo fare fatica per non farmi abbandonare ancora dalle mie sinapsi.
Tiene la mia mano mentre mi precede alla porta di casa e mi appoggio all'attaccapanni guardandolo vestirsi, in un silenzio confortevole. Quando finisce di abbottonarsi il cappotto le sue labbra sfiorano per un istante ancora le mie, e se ne va, lasciandomi sospirare sognante.












Nda Chiedo perdono! Non sono assolutamente riuscita a postare martedì, spero che questo aggiornamento più corposo possa compensare! E già che ci sono, giuro solennemente che posterò entro la fine di settimana prossima, ma essendo il prossimo capitolo ancora in fase di scrittura non garantisco che sia per martedì. Buon fine settimana a tutti, al prossimo capitolo!
   
 
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