PREMIO
Washington, 19 set. 2015
“No, you
don’t know what you’ve got, ‘till
it’s gone.”
1
-E’
con immenso onore che chiamo dunque sul palco, il soldato
speciale Solomon Andrew
Un
applauso
fragoroso seguì alle parole del presidente Waldrik, mentre
Ace2
saliva le scalette di legno situate alla sinistra del palco. Il suo
passo era
sicuro, ma il suo sguardo cupo era rimasto al suolo per tutto il tempo.
Non
voleva dare a i suoi occhi la possibilità di tradirlo, di
trasformarsi in
specchio che dalla sua anima tirasse fuori i suoi sentimentalismi. I
folti
capelli rossi di una volta ormai da tempo avevano lasciato spazio alle
rasature
precise e ordinate richieste dall’esercito. Una
folla di migliaia di persone era scesa per
ritrovarsi davanti alla Casa Bianca, per rendere omaggio a quelli che
dai media
erano stati definiti “gli eroi del medio oriente”.
Erano tre, quando partirono
mesi prima assieme alla loro unità. Oggi la loro storia
l’avrebbero raccontata
solo in due.
Il suo incedere si fece più incerto quando fu vicino al
presidente. L’ aveva vista solo in televisione fino ad
allora, e vedendola dal
vivo gli sembrò un’altra persona. Era molto
più alta di quel che sembrava,
forse era anche merito dei tacchi che indossava, e i suoi occhi verdi
sembravano davvero sinceri come i suoi propositi. Si scambiarono una
vigorosa
stretta di mano. La Waldrik gli sorrise, e dandogli una pacca sulla
spalla si
fece da parte. Improvvisamente, l’uniforme da cerimonia gli
si era stretta
addosso. Portò la mano destra al collo, allargando
leggermente il nodo della
cravatta nera sulla camicia bianca. Con la sinistra invece estrasse da
una
tasca un foglio stropicciato. Le persone avevano smesso di applaudire e
ora
aspettavano, in silenzio, che “lo specialista”3
cominciasse a
parlare. Si avvicinò con la bocca al microfono, mentre
buttava un occhio al
foglio.
“Ah…
io … - cominciò a balbettare un po’ in
difficoltà – vi…
vi ringrazio, di essere venuti qui così…
così numerosi. Sapete, di tutti i
finali, questo è quello che avrei voluto di meno.
Noi… noi oggi possiamo star
qui, a festeggiare, a sorridere. “evviva ce
l’abbiamo fatta” – mimò
agitandosi
un po’ con le braccia e assumendo un’espressione
buffa, per poi tornare
improvvisamente serio – ma la verità è
che molte, troppe persone sono morte
perché questo si realizzasse. Sapete – disse,
agitando davanti a tutti il suo
foglietto stropicciato – mi ero preparato un discorso. Un bel
discorso di
quelli farciti con belle parole, ringraziamenti. Tutte le solite cose,
no? Ma
io… io non ve lo leggerò – disse
strappando il foglietto, curandosi che il
microfono captasse il rumore delle fibre di carta che si sfilacciavano
– perché
non un discorso, non una medaglia, non un premio in denaro
né qualsiasi altra
cosa mi restituiranno quello che ho perduto…
Concludendo
così si allontanò dal microfono, andandosi a
sedere vicino al suo compagno, il
soldato di prima classe Mattew “Die”4
Diamond.
Il
presidente riprese la parola, chiedendo un fragoroso applauso per il
caporale,
che la platea non esitò a concedere. L’America
intera quel giorno si era
commossa, chi dal vivo e chi da dietro al proprio televisore. Mezzo
mondo si
era fermato per onorare la memoria di chi aveva sacrificato tutto per
il
proprio paese. Parlarono anche gli altri, dopo. Un po’ di
spazio a tutti.
Parlarono gli otto volontari superstiti, tra i quali figurava Julie de
la
Verandryè, la fidanzata di uno dei soldati morti nel
tentativo di liberarli.
Una splendida giovane, di ventotto anni. Aveva i capelli castani e gli
occhi
verdi e pieni di dolore.
Il dolore
di un amore perduto.
Parlò Mattew,
brevemente, con la voce rotta
dal pianto, e infine salì sul palco il colonnello Ridle, per
l’elogio al
soldato semplice Simon Drake, il ragazzo che si era sacrificato
perché i
compagni potessero salvarsi. La sua foto era rimasta sul palco per
tutto il
tempo, su un piedistallo e in una splendida cornice dorata. Era un
ragazzo dai
lineamenti snelli, con dei ricci neri che gli scendevano arruffati dal
capo e
la barba lunga ma curata, sempre nera. Al centro del viso spiccavano il
naso,
molto prominente, e un sorriso genuino accompagnato da quegli occhi
castano
chiaro sempre pieni di speranza.
-Io,
non
conoscevo bene il soldato semplice Drake. Ma so che
cos’è diventato. Un eroe.
Ha messo la vita dei suoi compagni, al di sopra della sua. Ha fatto
loro il
dono più grande che si possa fare a qualcuno: egli ha donato
la sua vita perché
gli ostaggi e i suoi compagni potessero tornare a casa, dalle loro
famiglie. Un
esempio di coraggio, che nessuno mai dimenticherà. Un
esempio che noi tutti non
dimenticheremo…
La
straziante cerimonia, durò in totale due interminabili ore,
e si chiuse con gli
spari rivolti al cielo dei fucilieri della prima divisione di fanteria,
della
quale Simon aveva fatto parte. Non ci furono scenate, urla strazianti
no, nulla
di tutto questo. I genitori di Simon erano morti qualche anno prima. In
un
brutto incidente stradale. “Cose che capitano”
ripeteva sempre lui. Per evitare
di parlarne. E i genitori delle vittime civili che avevano perso la
vita in
quel modo così brutale e privo di ogni dannatissimo senso
furono
incorruttibili: non uno di loro si abbandonò al dolore o
alla frustrazione.
Tutti mantennero un esemplare contegno, rotto solo in qualche caso
dalla
commozione. Ma il simbolo di quella giornata, non sarebbe stato il
coraggio del
soldato che si era sacrificato, o il racconto di quelli che si erano
salvati,
né le non-lacrime dei familiari delle vittime, no,
null’altro se non gli occhi
gonfi di lacrime di un uomo che nella sua unità veniva
chiamato “Oppenheimer”5.
“SONO DIVENTATO
MORTE, IL
DISTRUTTORE DEI MONDI”cit.5
-Andiamo
a
farci una birra? – chiese Die.
-Non
sono
dell’umore – controbatté Ace –
e poi non mi sembra il caso…
Il
giovane
staccò la stella dorata spillata sulla porzione anteriore
sinistra della sua
giacca, se la
rigirò un paio di volte in
mano e poi la infilò in tasca.
-L’abbiamo
lasciato li…
-Nessuna
missione è troppo difficile… - lo interruppe Die,
che a sua volta venne di
nuovo interrotto.
-…nessun
sacrificio è troppo grande6
I due
si
guardarono. Ace salutò il compagno con un cenno e fece per
andarsene. Tuttavia
una voce molto femminile e delicata, richiamò la sua
attenzione.
-Andrew,
aspetti… - lo chiamò Julie mentre si avvicinava
con passo frettoloso ai due.
Era una ragazza meravigliosa, molto alta e dalle forme sinuose e
armoniche. I
capelli mossi le scendevano dietro la schiena, sul lungo abito nero che
indossava. Spiccavano dei particolari in pizzo, ovviamente nero, ai
bordi delle
maniche e della scollatura, molto sobria. Al collo portava un ciondolo
a forma
di cuore che assorbiva la luce del sole e la rifletteva in altri
centinaia di
colori splendidi. Tra le mani piccole e delicate stringeva la scatolina
blu che
conteneva la medaglia al valore di Simon.
-Dammi
del tu,
Julie – gli rispose Ace fermandosi e voltandosi –
dimmi pure
-Tra
un
paio di giorni – esordì la donna – si
ecco…Simon avrebbe compiuto ventinove
anni. Un giorno , tanto tempo fa, mi disse che se mai gli fosse
successo
qualcosa gli sarebbe piaciuto che le persone che gli volevano bene si
riunissero per ricordarlo nel giorno del suo compleanno…sono
sicuro che
vorrebbe ci foste anche voi due – concluse rivolgendosi ai
due soldati.
-E’
la
tipica stronzata da Simon – commentò Die con una
nota di amarezza nella voce –
non dovrebbero esserci problemi per quanto mi riguarda… -
poi si votò a
guardare l’amico.
-Non
lo
so…io… - balbettò sospirando
– non ti prometto niente – concluse infine.
La
ragazza
sorrise soddisfatta e strinse la mano a Mattew in segno di gratitudine.
Si
trattava di un giovane molto alto, a differenza di Andrew che era
più basso.
Aveva un aspetto molto rude e delle mani molto grandi, proporzionato
alla sua
mole non indifferente. Portava sul viso una barba molto ispida,
interrotta sul
lato basso da una cicatrice che scendeva fino alla base del collo e
sebbene
fosse un tipo abbastanza spiritoso, sembrava perennemente imbronciato,
specie
quando puntava i suoi occhi neri come la pece su chi aveva di fronte
con
innaturale insistenza.
I tre si
separarono, tornando ciascuno alle proprie vite. Non fu facile per
nessuno dei
tre.
La ragazza
aveva passato gli ultimi mesi chiusa in una stanza, legata ed
incappucciata,
giungendo com’era normale che fosse al limite della follia.
Un’insistente
paranoia la portava a girare per casa svoltando ogni angolo curandosi
che non
vi fosse nessuno. Già, perché fu così
che la presero. Lei stava uscendo
tranquilla dalla tenda dove aveva appena medicato un ragazzo di tredici
anni
raggiunto da una pallottola, quando uno di quei terroristi la
afferrò da dietro
l’angolo e la tramortì. Quando si
svegliò era rinchiusa assieme ai volontari
del suo gruppo in un furgone che viaggiava su qualche strada
dissestata. Li, in
quel container, scoprì l’odore della paura.
Ace e Die
invece avevano passato gli ultimi anni della loro vita a Fort Riley, e
anche se
poterono tornarci come ex membri del primo reggimento di fanteria, la
loro
nuova vita da congedati non gli si adattava addosso. La sveglia alla
sei del
mattino ormai era biologicamente assimilata, e ciò li
avrebbe portati a non
fare niente per diciassette o diciotto ore al giorno. Cosa difficile
quasi
quanto trovarsi un lavoro. Die la sera stessa della commemorazione
lasciò Fort
Riley e se ne tornò in Texas, nella sua città
natale. Non salutò nessuno,
avvisò solo il colonnello che avrebbe liberato il suo posto
a breve.
Così,
quando Thomas j. Ridle ebbe raccattato tutto ciò che nelle
camerate era rimasto
di Simon, andò da Ace.
Il
mattino
del venti settembre alle nove suonò il campanello della casa
assegnata al
soldato in congedo con onore Andrew Solomon.
-Chi
è? –
chiese quest’ultimo da dietro alla porta.
-Sono
il
colonnello Ridle, Solomon
Ace
si
affrettò ad aprire la porta, e scattò
sull’attenti sulla soglia.
-Colonnello!
– esclamò.
-Dai
spostati
- gli disse Ridle. Teneva in mano un scatolone di media grandezza. Il
ragazzo
si spostò, lasciando entrare il colonnello e chiudendo la
porta dietro di lui.
Era un uomo di colore, non molto alto e di una certa età. Il
suo fisico non era
che l’ombra di ciò che era stato un tempo.
Poggiò lo scatolone a terra e si
tolse l’impermeabile, rivelando l’uniforme che con
orgoglio indossava in ogni
occasione. Esibiva sul petto tutte le medaglie eroicamente guadagnate.
Si tolse
anche il berretto, poggiandolo con cura insieme al cappotto, mostrando
la testa
liscia e priva d’ogni tipo di peluria. Si passò la
mano destra tra i baffi neri
e guardò Ace, che indossava un paio di bermuda con una
fantasia molto tropicale
e la tipica canotta da pigro la domenica mattina. Poggiato sul banco
alla
sinistra della porta stava un bicchiere di scotch.
-Me
ne
offri uno, ragazzo?
Il
soldato
fece strada al colonnello fino al salotto, dove aveva sistemato in una
vetrinetta alcune bottiglie di alcolici. Prese due bicchieri e ci
versò del
brandy.
-Spero
che
apprezziate il brandy, perché lo scotch è finito
– disse Ace mentre porgeva il
bicchiere a Ridle. Quest’ultimo lo prese, e poi lo
scontrò con quello del
giovane per brindare.
-Alle
nove
del mattino? – chiese un po’ sarcastico. Ace
mandò giù tutto d’un fiato.
-Cos’è
forse venuto qui a farmi la predica, colonnello? – chiese con
arroganza il
giovane battendo il bicchiere sull’apice del mobiletto.
-Ricordati
con chi stai parlando, Andrew. Non sei l’unico ad aver perso
dei compagni in
battaglia. Non sei il primo e non sarai nemmeno l’ultimo. In
ogni caso ti ho
riportato la roba di Simon. Non ho tempo di andare fino a Washington
per
restituirla alla signorina de la Verandryè. Spero che potrai
farlo tu
-Oh,
certo,
nessun problema…abbiamo finito? – rispose Ace. Il
colonnello gli si avvicinò e
poggiò il suo bicchiere a fianco a quello del giovane.
-Per
il
momento. So dov’è l’uscita, non
scomodarti - rispose. Poi si avviò verso
l’uscita, si riprese il cappello e l’impermeabile
ed uscì.
Ace
restò a
fissare la scatola per qualche istante, in quella posizione. Poi si
avvicinò e
la trascinò fin davanti alla poltrona. Si
accomodò e la aprì rivelandone il
contenuto. A parte le varie tenute rigorosamente ripiegate e gli
scarponi di
riserva, vi erano altre cianfrusaglie. Foto, oggetti, portafortuna e
tra quella
marmaglia di roba spiccò una specie di libro con la
rilegatura spessa rossa. Il
giovane lo prese e se lo rigirò un po’ in mano con
fare curioso. Decise di
aprirlo. La sua espressione tramutò dal curioso allo
sbigottito quando si rese
conto di ciò che aveva per le mani.
-Ma
è…è un
diario? – si chiese retoricamente. Così, preso
dalla foga di scoprire cosa
c’era scritto, si buttò nella lettura dalla prima
pagina.
FINE
DEL PROLOGO
* * *
Note
1. “No, non sai mai
quel che
hai, fin quando non lo perdi” – tratto dal
ritornello della canzone “Untill
it’s gone”, dall’album “The
hunting party”, Linkin Park
2. Ace è il soprannome
di
Andrew Solomon. Non vi spoilero la sua provenienza
3. Altro soprannome di Solomon.
Esso è dovuto al suo ruolo all’interno
dell’unità, che è quello di Specialista
4. Questo è invece il
soprannome di Mattew. E’ un gioco di parole tra il suo
cognome (Diamond, le
prime tre lettere si traslitterano “Dai”, suono
simile a quello prodotto dalla
pronuncia della parola “die”, che significa
“muori” o “morire”) e la sua
reputazione di cecchino infallibile
5. Oppenheimer è il
fisico
statunitense al quale viene attribuita l’invenzione della
bomba atomica. Nella
sua prima unità Andrew veniva chiamato così in
quanto esperto di esplosivi. La
frase successiva è una citazione dello stesso O., il quale
in preda a rimorsi
in seguito alla sua macabra invenzione si attribuì
l’epiteto di “Morte, il
distruttore di mondi”. Questo lo portò a rifiutare
l’incarico di lavorare alla
bomba ad idrogeno.
6. “No mission too
difficult, no sacrifice too great” è il motto
della pima divisione di fanteria,
della quale fanno parte Andrew e Mattew.
Angolo
dell’autore
Salve
a
tutti. Mi presento a voi questa volta cimentandomi in un nuovo genere:
sebbene
sullo sfondo ci sia un’avventura di guerra, scoprirete presto
che ci troviamo
all’interno del dramma romantico. Ovviamente sapere che il
protagonista
principale è morto vi pome in una condizione di vantaggio
sul finale della
storia, eppure io vi consiglio di stare bene attenti e di cogliere ogni
dettaglio, perfino quelli che sfuggono anche a me. Poiché
quel che sembra, non
sempre corrisponde a quel che è :)
Vi auguro
una buona lettura, e vi aspetto al prossimo capitolo! :D