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Autore: Ryuke    15/12/2014    0 recensioni
Simon Drake è il tipico ragazzo della porta accanto. Il ragazzo secco e alto che si confonde tra la folla. No, sbagliato.
Simon Drake ERA tutto questo. Ma un'imminente catastrofe di proporzioni mondiali stravolgerà la sua vita, portandogli via la sua unica ragione di vita: Julie.
"Quando trovi quella persona che ti mette in comunicazione con il mondo, diventi una persona migliore. Ma quando questa persona ti viene portata via, allora cosa diventi?"
Un romantico ed emozionante viaggio alla scoperta della forza dell'amore che vuole a tutti i costi superare ogni ostacolo.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Contesto generale/vago
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PREMIO

Washington, 19 set. 2015

No, you don’t know what you’ve got, ‘till it’s gone.” 1

 

-E’ con immenso onore che chiamo dunque sul palco, il soldato speciale Solomon Andrew

Un applauso fragoroso seguì alle parole del presidente Waldrik, mentre Ace2 saliva le scalette di legno situate alla sinistra del palco. Il suo passo era sicuro, ma il suo sguardo cupo era rimasto al suolo per tutto il tempo. Non voleva dare a i suoi occhi la possibilità di tradirlo, di trasformarsi in specchio che dalla sua anima tirasse fuori i suoi sentimentalismi. I folti capelli rossi di una volta ormai da tempo avevano lasciato spazio alle rasature precise e ordinate richieste dall’esercito.  Una folla di migliaia di persone era scesa per ritrovarsi davanti alla Casa Bianca, per rendere omaggio a quelli che dai media erano stati definiti “gli eroi del medio oriente”. Erano tre, quando partirono mesi prima assieme alla loro unità. Oggi la loro storia l’avrebbero raccontata solo in due.
Il suo incedere si fece più incerto quando fu vicino al presidente. L’ aveva vista solo in televisione fino ad allora, e vedendola dal vivo gli sembrò un’altra persona. Era molto più alta di quel che sembrava, forse era anche merito dei tacchi che indossava, e i suoi occhi verdi sembravano davvero sinceri come i suoi propositi. Si scambiarono una vigorosa stretta di mano. La Waldrik gli sorrise, e dandogli una pacca sulla spalla si fece da parte. Improvvisamente, l’uniforme da cerimonia gli si era stretta addosso. Portò la mano destra al collo, allargando leggermente il nodo della cravatta nera sulla camicia bianca. Con la sinistra invece estrasse da una tasca un foglio stropicciato. Le persone avevano smesso di applaudire e ora aspettavano, in silenzio, che “lo specialista”3 cominciasse a parlare. Si avvicinò con la bocca al microfono, mentre buttava un occhio al foglio.

“Ah… io … - cominciò a balbettare un po’ in difficoltà – vi… vi ringrazio, di essere venuti qui così… così numerosi. Sapete, di tutti i finali, questo è quello che avrei voluto di meno. Noi… noi oggi possiamo star qui, a festeggiare, a sorridere. “evviva ce l’abbiamo fatta” – mimò agitandosi un po’ con le braccia e assumendo un’espressione buffa, per poi tornare improvvisamente serio – ma la verità è che molte, troppe persone sono morte perché questo si realizzasse. Sapete – disse, agitando davanti a tutti il suo foglietto stropicciato – mi ero preparato un discorso. Un bel discorso di quelli farciti con belle parole, ringraziamenti. Tutte le solite cose, no? Ma io… io non ve lo leggerò – disse strappando il foglietto, curandosi che il microfono captasse il rumore delle fibre di carta che si sfilacciavano – perché non un discorso, non una medaglia, non un premio in denaro né qualsiasi altra cosa mi restituiranno quello che ho perduto…

Concludendo così si allontanò dal microfono, andandosi a sedere vicino al suo compagno, il soldato di prima classe Mattew “Die”4 Diamond.
Il presidente riprese la parola, chiedendo un fragoroso applauso per il caporale, che la platea non esitò a concedere. L’America intera quel giorno si era commossa, chi dal vivo e chi da dietro al proprio televisore. Mezzo mondo si era fermato per onorare la memoria di chi aveva sacrificato tutto per il proprio paese. Parlarono anche gli altri, dopo. Un po’ di spazio a tutti. Parlarono gli otto volontari superstiti, tra i quali figurava Julie de la Verandryè, la fidanzata di uno dei soldati morti nel tentativo di liberarli. Una splendida giovane, di ventotto anni. Aveva i capelli castani e gli occhi verdi e pieni di dolore.
Il dolore di un amore perduto.
Parlò Mattew, brevemente, con la voce rotta dal pianto, e infine salì sul palco il colonnello Ridle, per l’elogio al soldato semplice Simon Drake, il ragazzo che si era sacrificato perché i compagni potessero salvarsi. La sua foto era rimasta sul palco per tutto il tempo, su un piedistallo e in una splendida cornice dorata. Era un ragazzo dai lineamenti snelli, con dei ricci neri che gli scendevano arruffati dal capo e la barba lunga ma curata, sempre nera. Al centro del viso spiccavano il naso, molto prominente, e un sorriso genuino accompagnato da quegli occhi castano chiaro sempre pieni di speranza.

-Io, non conoscevo bene il soldato semplice Drake. Ma so che cos’è diventato. Un eroe. Ha messo la vita dei suoi compagni, al di sopra della sua. Ha fatto loro il dono più grande che si possa fare a qualcuno: egli ha donato la sua vita perché gli ostaggi e i suoi compagni potessero tornare a casa, dalle loro famiglie. Un esempio di coraggio, che nessuno mai dimenticherà. Un esempio che noi tutti non dimenticheremo…

La straziante cerimonia, durò in totale due interminabili ore, e si chiuse con gli spari rivolti al cielo dei fucilieri della prima divisione di fanteria, della quale Simon aveva fatto parte. Non ci furono scenate, urla strazianti no, nulla di tutto questo. I genitori di Simon erano morti qualche anno prima. In un brutto incidente stradale. “Cose che capitano” ripeteva sempre lui. Per evitare di parlarne. E i genitori delle vittime civili che avevano perso la vita in quel modo così brutale e privo di ogni dannatissimo senso furono incorruttibili: non uno di loro si abbandonò al dolore o alla frustrazione. Tutti mantennero un esemplare contegno, rotto solo in qualche caso dalla commozione. Ma il simbolo di quella giornata, non sarebbe stato il coraggio del soldato che si era sacrificato, o il racconto di quelli che si erano salvati, né le non-lacrime dei familiari delle vittime, no, null’altro se non gli occhi gonfi di lacrime di un uomo che nella sua unità veniva chiamato “Oppenheimer”5.

 

 

SONO DIVENTATO MORTE, IL DISTRUTTORE DEI MONDIcit.5

 

-Andiamo a farci una birra? – chiese Die.

-Non sono dell’umore – controbatté Ace – e poi non mi sembra il caso…

Il giovane staccò la stella dorata spillata sulla porzione anteriore sinistra della sua giacca,  se la rigirò un paio di volte in mano e poi la infilò in tasca.

-L’abbiamo lasciato li…

-Nessuna missione è troppo difficile… - lo interruppe Die, che a sua volta venne di nuovo interrotto.

-…nessun sacrificio è troppo grande6

I due si guardarono. Ace salutò il compagno con un cenno e fece per andarsene. Tuttavia una voce molto femminile e delicata, richiamò la sua attenzione.

-Andrew, aspetti… - lo chiamò Julie mentre si avvicinava con passo frettoloso ai due. Era una ragazza meravigliosa, molto alta e dalle forme sinuose e armoniche. I capelli mossi le scendevano dietro la schiena, sul lungo abito nero che indossava. Spiccavano dei particolari in pizzo, ovviamente nero, ai bordi delle maniche e della scollatura, molto sobria. Al collo portava un ciondolo a forma di cuore che assorbiva la luce del sole e la rifletteva in altri centinaia di colori splendidi. Tra le mani piccole e delicate stringeva la scatolina blu che conteneva la medaglia al valore di Simon.

-Dammi del tu, Julie – gli rispose Ace fermandosi e voltandosi – dimmi pure

-Tra un paio di giorni – esordì la donna – si ecco…Simon avrebbe compiuto ventinove anni. Un giorno , tanto tempo fa, mi disse che se mai gli fosse successo qualcosa gli sarebbe piaciuto che le persone che gli volevano bene si riunissero per ricordarlo nel giorno del suo compleanno…sono sicuro che vorrebbe ci foste anche voi due – concluse rivolgendosi ai due soldati.

-E’ la tipica stronzata da Simon – commentò Die con una nota di amarezza nella voce – non dovrebbero esserci problemi per quanto mi riguarda… - poi si votò a guardare l’amico.

-Non lo so…io… - balbettò sospirando – non ti prometto niente – concluse infine.

La ragazza sorrise soddisfatta e strinse la mano a Mattew in segno di gratitudine. Si trattava di un giovane molto alto, a differenza di Andrew che era più basso. Aveva un aspetto molto rude e delle mani molto grandi, proporzionato alla sua mole non indifferente. Portava sul viso una barba molto ispida, interrotta sul lato basso da una cicatrice che scendeva fino alla base del collo e sebbene fosse un tipo abbastanza spiritoso, sembrava perennemente imbronciato, specie quando puntava i suoi occhi neri come la pece su chi aveva di fronte con innaturale insistenza.
I tre si separarono, tornando ciascuno alle proprie vite. Non fu facile per nessuno dei tre.
La ragazza aveva passato gli ultimi mesi chiusa in una stanza, legata ed incappucciata, giungendo com’era normale che fosse al limite della follia. Un’insistente paranoia la portava a girare per casa svoltando ogni angolo curandosi che non vi fosse nessuno. Già, perché fu così che la presero. Lei stava uscendo tranquilla dalla tenda dove aveva appena medicato un ragazzo di tredici anni raggiunto da una pallottola, quando uno di quei terroristi la afferrò da dietro l’angolo e la tramortì. Quando si svegliò era rinchiusa assieme ai volontari del suo gruppo in un furgone che viaggiava su qualche strada dissestata. Li, in quel container, scoprì l’odore della paura.
Ace e Die invece avevano passato gli ultimi anni della loro vita a Fort Riley, e anche se poterono tornarci come ex membri del primo reggimento di fanteria, la loro nuova vita da congedati non gli si adattava addosso. La sveglia alla sei del mattino ormai era biologicamente assimilata, e ciò li avrebbe portati a non fare niente per diciassette o diciotto ore al giorno. Cosa difficile quasi quanto trovarsi un lavoro. Die la sera stessa della commemorazione lasciò Fort Riley e se ne tornò in Texas, nella sua città natale. Non salutò nessuno, avvisò solo il colonnello che avrebbe liberato il suo posto a breve.

Così, quando Thomas j. Ridle ebbe raccattato tutto ciò che nelle camerate era rimasto di Simon, andò da Ace.

Il mattino del venti settembre alle nove suonò il campanello della casa assegnata al soldato in congedo con onore Andrew Solomon.

-Chi è? – chiese quest’ultimo da dietro alla porta.

-Sono il colonnello Ridle, Solomon

Ace si affrettò ad aprire la porta, e scattò sull’attenti sulla soglia.

-Colonnello! – esclamò.

-Dai spostati - gli disse Ridle. Teneva in mano un scatolone di media grandezza. Il ragazzo si spostò, lasciando entrare il colonnello e chiudendo la porta dietro di lui. Era un uomo di colore, non molto alto e di una certa età. Il suo fisico non era che l’ombra di ciò che era stato un tempo. Poggiò lo scatolone a terra e si tolse l’impermeabile, rivelando l’uniforme che con orgoglio indossava in ogni occasione. Esibiva sul petto tutte le medaglie eroicamente guadagnate. Si tolse anche il berretto, poggiandolo con cura insieme al cappotto, mostrando la testa liscia e priva d’ogni tipo di peluria. Si passò la mano destra tra i baffi neri e guardò Ace, che indossava un paio di bermuda con una fantasia molto tropicale e la tipica canotta da pigro la domenica mattina. Poggiato sul banco alla sinistra della porta stava un bicchiere di scotch.

-Me ne offri uno, ragazzo?

Il soldato fece strada al colonnello fino al salotto, dove aveva sistemato in una vetrinetta alcune bottiglie di alcolici. Prese due bicchieri e ci versò del brandy.

-Spero che apprezziate il brandy, perché lo scotch è finito – disse Ace mentre porgeva il bicchiere a Ridle. Quest’ultimo lo prese, e poi lo scontrò con quello del giovane per brindare.

-Alle nove del mattino? – chiese un po’ sarcastico. Ace mandò giù tutto d’un fiato.

-Cos’è forse venuto qui a farmi la predica, colonnello? – chiese con arroganza il giovane battendo il bicchiere sull’apice del mobiletto.

-Ricordati con chi stai parlando, Andrew. Non sei l’unico ad aver perso dei compagni in battaglia. Non sei il primo e non sarai nemmeno l’ultimo. In ogni caso ti ho riportato la roba di Simon. Non ho tempo di andare fino a Washington per restituirla alla signorina de la Verandryè. Spero che potrai farlo tu

-Oh, certo, nessun problema…abbiamo finito? – rispose Ace. Il colonnello gli si avvicinò e poggiò il suo bicchiere a fianco a quello del giovane.

-Per il momento. So dov’è l’uscita, non scomodarti - rispose. Poi si avviò verso l’uscita, si riprese il cappello e l’impermeabile ed uscì.

Ace restò a fissare la scatola per qualche istante, in quella posizione. Poi si avvicinò e la trascinò fin davanti alla poltrona. Si accomodò e la aprì rivelandone il contenuto. A parte le varie tenute rigorosamente ripiegate e gli scarponi di riserva, vi erano altre cianfrusaglie. Foto, oggetti, portafortuna e tra quella marmaglia di roba spiccò una specie di libro con la rilegatura spessa rossa. Il giovane lo prese e se lo rigirò un po’ in mano con fare curioso. Decise di aprirlo. La sua espressione tramutò dal curioso allo sbigottito quando si rese conto di ciò che aveva per le mani.

-Ma è…è un diario? – si chiese retoricamente. Così, preso dalla foga di scoprire cosa c’era scritto, si buttò nella lettura dalla prima pagina.

 

 

FINE DEL PROLOGO

*   *   *

Note

1. “No, non sai mai quel che hai, fin quando non lo perdi” – tratto dal ritornello della canzone “Untill it’s gone”, dall’album “The hunting party”, Linkin Park

2. Ace è il soprannome di Andrew Solomon. Non vi spoilero la sua provenienza

3. Altro soprannome di Solomon. Esso è dovuto al suo ruolo all’interno dell’unità, che è quello di Specialista

4. Questo è invece il soprannome di Mattew. E’ un gioco di parole tra il suo cognome (Diamond, le prime tre lettere si traslitterano “Dai”, suono simile a quello prodotto dalla pronuncia della parola “die”, che significa “muori” o “morire”) e la sua reputazione di cecchino infallibile

5. Oppenheimer è il fisico statunitense al quale viene attribuita l’invenzione della bomba atomica. Nella sua prima unità Andrew veniva chiamato così in quanto esperto di esplosivi. La frase successiva è una citazione dello stesso O., il quale in preda a rimorsi in seguito alla sua macabra invenzione si attribuì l’epiteto di “Morte, il distruttore di mondi”. Questo lo portò a rifiutare l’incarico di lavorare alla bomba ad idrogeno.

6. “No mission too difficult, no sacrifice too great” è il motto della pima divisione di fanteria, della quale fanno parte Andrew e Mattew.

 

 

Angolo dell’autore

Salve a tutti. Mi presento a voi questa volta cimentandomi in un nuovo genere: sebbene sullo sfondo ci sia un’avventura di guerra, scoprirete presto che ci troviamo all’interno del dramma romantico. Ovviamente sapere che il protagonista principale è morto vi pome in una condizione di vantaggio sul finale della storia, eppure io vi consiglio di stare bene attenti e di cogliere ogni dettaglio, perfino quelli che sfuggono anche a me. Poiché quel che sembra, non sempre corrisponde a quel che è :)
Vi auguro una buona lettura, e vi aspetto al prossimo capitolo! :D

   
 
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