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Autore: WingsOfButterfly    15/12/2014    6 recensioni
Un contesto inusuale, un cantiere archeologico, è teatro dell'incontro di due persone che apparentemente non hanno nulla in comune. Tina, una ragazza piena di vita e piena di paure. Giulia, una donna affermata, un avvocato pienamente consapevole di chi è e di cosa vuole dalla vita. Tanti amici e tanti nemici a fare da contorno e ad animare la vita delle due protagoniste.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
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CAPITOLO 2


Due giorni dopo la visita dell’avvocato, Tina ed Alessandro arrivarono sul cantiere prima di tutti gli altri. Quel mercoledì infatti, aspettavano la ruspa che avrebbe dovuto aiutarli ad aprire una nuova area di scavo.
I due ragazzi arrivarono a piedi sulla collinetta, Tina si teneva la mano sinistra sotto le costole, dove una lieve fitta intermittente le spezzava il fiato. Alessandro, molto più disinvolto dell’amica, raggiunse rapidamente la baracca per poggiare marsupio e I-Pad al suo interno.
“Questa … dannata … salita mi … ucciderà, prima o poi” annaspò Tina, lasciandosi cadere pesantemente su una delle panche sotto la tettoia, accanto alla baracca.
Alessandro uscì all’esterno ridacchiando, avendo sentito la lamentela della ragazza. Le si avvicinò e si inginocchiò davanti a lei.
“Le sigarette ti uccideranno, prima o poi” puntualizzò ironico, scompigliandole i capelli.
Tina grugnì qualcosa d’indistinto, mentre si liberava dello zaino e si alzava per seguire l’altro, che si avviò verso un piccolo terrapieno coperto ancora da erbacce e sottobosco.
“Ieri sera hai avvertito Marco che stamattina avremmo aperto l’area che affideremo a lui?” gli domandò la ragazza, arrivando alle sue spalle e fermandosi come lui ad osservare quel punto che sarebbe appartenuto al bosco circostante ancora per poco.
“Sì, certo. Ha detto che avrebbe fatto il possibile per arrivare in tempo, prima della ruspa” assicurò Alessandro, mentre spostava qualche ramo secco e si sedeva su un tronco divelto.
“Il possibile per arrivare in tempo?!” ripeté Tina, piuttosto seccata “Tu sei ancora sicuro che sia una buona idea fare di Marco un responsabile d’area?”
Alessandro la guardò un attimo negli occhi con aria seria, poi fece spallucce e cominciò a giocare distrattamente con dei sassolini.
“Carlo ha detto che avrebbe fatto un buon lavoro. Lui è il capo, lo sai” fu la sua risposta neutrale.
Tina scosse la testa con disappunto, ma non ebbe il tempo di replicare, poiché dal ripido sentiero che conduceva sul promontorio si sentì il rombo di un motore.
La ruspa arrivò alle otto in punto, come erano rimasti d’accordo con il tecnico che l’avrebbe guidata. Di Marco, invece, nemmeno l’ombra. Gli altri ragazzi arrivarono alle nove, come sempre, e cominciarono subito a lavorare, sotto la supervisione di Emanuele. Tina ed Alessandro diressero i lavori della ruspa. La ragazza si ritrovò più di una volta a lanciare occhiate truci al sentiero che saliva da valle, sperando di veder spuntare la figura di Marco, ma niente. Dopo un po’ chiese ad uno dei ragazzi se per caso quella mattina l’avessero visto in Abbazia, se avesse fatto colazione con loro, ma quello rispose che, quando loro erano usciti, la porta della sua stanza era ancora chiusa. Erano ormai le undici passate, quando finalmente Tina lo vide arrivare. La ragazza toccò un gomito ad Alessandro e gli indicò con un’occhiata Marco che avanzava verso di loro.
“Vacci piano” le raccomandò l’amico, avendo colto nel suo sguardo una scintilla non proprio pacifica.
“Buongiorno” salutò Marco, avvicinandosi ai due con aria tranquilla. I soliti ricci castani, portati abbastanza lunghi da ricadergli davanti agli occhi azzurri, che quella mattina erano chiaramente velati di sonno.
“Sono le undici” lo accolse la voce fredda di Tina.
“Sì, lo so. Ieri sono andato a Siena a bere una birra con degli amici e sono tornato in Abbazia che erano quasi le quattro. Non sono proprio riuscito ad alzarmi prima” si giustificò lui, facendo spallucce e trattenendo a stento uno sbadiglio.
“Beh, la prossima volta a Siena vacci nel fine settimana, quando sai che il giorno dopo non hai da lavorare” lo riprese imperterrita l’altra.
Marco si concesse qualche secondo per osservarla. Erano quasi della stessa altezza, quindi nessuno dei due poteva sfruttare qualche centimetro in più per imporsi fisicamente sull’altro. Il ragazzo alzò un sopracciglio con aria infastidita, ma ingoiò la risposta poco carina che gli stava salendo alla gola, solo perché dietro le spalle di Tina vide Alessandro girarsi verso di loro ed osservarli.
“Adesso sono qui, comunque. Volete spiegarmi la situazione o preferite continuare a guardarmi come se fossimo alle elementari e io avessi appena rubato la merenda al mio compagno di banco?” li sfidò entrambi, senza alcuna remora, incrociando le braccia al petto con aria impenitente.
Tina aprì immediatamente la bocca, mandando lampi dagli occhi, ma Alessandro le mise una mano sulla spalla e strinse la presa tanto da costringerla a tacere.
“Cerchiamo di essere tutti più collaborativi e puntuali, da oggi in poi” propose il capocantiere, con voce pacata e atteggiamento diplomatico. Fissò Marco negli occhi, attendendo chiaramente una risposta.
Quello ricambiò con aria seria l’occhiata, infine prese un profondo respiro ed annuì.
“D’accordo” concesse, nascondendo una certa riluttanza dietro una finta accondiscendenza.
“Bene” approvò Alessandro, senza troppa enfasi “Adesso seguimi, ti mostro l’area che abbiamo aperto”
Tina rimase a guardarli da lontano, mentre parlottavano tra di loro. Marco non le era mai piaciuto, fin da quando l’aveva incrociato per la prima volta nei corridoi dell’Università. Aveva quell’aria tronfia e saccente che la irritava a morte, tuttavia decise di concedergli una possibilità. Magari Carlo aveva ragione, pensò la ragazza, forse Marco era davvero bravo per quanto era irritante ed, in quel caso, ingoiare qualche boccone amaro sarebbe stato un valido prezzo da pagare per il bene della campagna.
Durante il pranzo Alessandro e Marco continuarono a discorrere delle strategie di scavo che avrebbero dovuto adottare per quella nuova area. Tina, invece, seduta accanto ad Emanuele mangiava in silenzio con lo sguardo un po’ vacuo e la mente persa chissà dove.
“A che pensi, principessa?” la voce di Emanuele la riscosse improvvisamente dai suoi pensieri.
“A nulla in particolare” gli rispose con voce neutra, lanciandogli un sorriso fuggevole.
Emanuele alzò un sopracciglio con aria non del tutto convinta e strisciò un po’ sulla panca di legno verso di lei, in modo da poterle parlare quasi all’orecchio.
“Ti conosco, Tina. Quella è l’espressione di quando sei persa in un mondo tutto tuo” insinuò con aria saccente.
“Presuntuoso” lo riprese lei, facendo una smorfia buffa “Pensavo alla causa” ammise poi con un pesante sospiro.
Emanuele allargò appena gli occhi con aria ora consapevole. Si fece pensieroso per qualche istante, poi le sorrise con disinvoltura.
“Andrà bene” le assicurò, prima di assumere un’espressione vagamente maliziosa “Se vuoi posso distrarti io da questi cupi pensieri”
“Scemo!” lo rimbeccò Tina, dandogli un piccolo pugno su una spalla, mentre tratteneva a stento un sorriso divertito.
“Raccontandoti dei progressi che fa mio nipote, cammina già da solo, sai. Che avevi capito!” si difese, fingendosi ferito dalla sua insinuazione.
Tina lo osservò con un cipiglio a metà tra il divertito e lo scettico, le labbra strette nello sforzo di non scoppiare e ridere.
“Sì, certo, raccontala a chi ci crede”
“Dico sul serio!”
“Tu non hai un nipote, Emanuele”
“E tu che ne sai?”
“Sei figlio unico”
Emanuele fissò Tina per un lungo istante, con aria lievemente corrucciata. Tina gli restituì uno sguardo vittorioso, mentre inevitabilmente le sue labbra si incurvavano verso l’alto in un sorriso soddisfatto. Dopo un attimo, cominciarono entrambi a ridere scuotendo vigorosamente le spalle.
“Grazie” proruppe d’improvviso Tina, tornando seria e guardando l’amico negli occhi.
Emanuele corrugò la fronte in un’espressione interrogativa.
“Riesci sempre a trovare un modo per farmi tornare il sorriso” gli spiegò lei, mentre piegava la testa sulla sua spalle e si stringeva al suo braccio.
Emanuele prese un profondo respiro ed abbassò il mento sui suoi capelli, mentre con la mano libera le accarezzava gentilmente una guancia.
“Quando vuoi, principessa. Lo sai che io sono sempre qui” le assicurò con voce bassa e tranquilla.
Il resto della settimana trascorse abbastanza tranquillo e senza grossi imprevisti. Sullo scavo i lavori procedettero bene, i ragazzi si impegnarono ed i responsabili erano fiduciosi che presto si sarebbero cominciati a vedere i primi risultati importanti. L’atmosfera fu distesa e cameratesca anche al di fuori dell’orario di lavoro, il gruppo cominciò ad affiatarsi ed era piacevole restare a chiacchierare fino a notte fonda davanti ad un buon bicchiere di vino, salvo poi tornare ad essere archeologi attenti, capaci e puntuali il mattino successivo. Sull’attenzione e la puntualità Alessandro non transigeva, non faceva sconti neanche ai suoi colleghi e amici, compresa Tina.

Il venerdì mattina, infatti, si era assicurato che la sua collega fosse ben sveglia e concentrata prima di affidarle completamente le redini dello scavo. Dopo mille raccomandazioni, lui prese la sua auto ed imboccò la strada opposta a quella del suo gruppo per dirigersi a Siena. Quella stessa mattina alle undici aveva appuntamento con l’avvocato Giulia Dardi per consegnarle tutti i documenti che lei gli aveva chiesto. Dopo una settimana intensa di scavo, indossare una polo pulita senza macchie o strappi, dei jeans senza tasconi ed un paio di scarpe senza la punta rinforzata in metallo era davvero strano. Sorrise tra sé a quel pensiero. Erano talmente immersi nel loro lavoro che a volte si dimenticavano che prima di essere archeologi erano persone, uomini e donne. Anche Tina era così, appassionata e concentrata, era questo uno dei fili che la univano ad Alessandro, il loro amore per l’archeologia.
Alessandro ebbe giusto il tempo di passare in facoltà a recuperare tutte quelle scartoffie prima di raggiungere l’ufficio di Giulia, appena fuori dal centro della cittadina.
La segretaria lo annunciò immediatamente ed egli poté così entrare senza alcuna infinita attesa.
“Buongiorno, prego accomodati” l’avvocato lasciò la sua poltrona e fece il giro della scrivania per stringere la mano ad Alessandro ed invitarlo a sedersi su una delle due sedie accanto a loro.
“Grazie. Spero di non essere troppo in ritardo, ho voluto assicurarmi che tutto fosse in ordine mentre non c’ero” si giustificò lui, sedendosi ed accavallando le gambe con fare tranquillo.
Giulia tornò a sedersi a sua volta, lisciandosi le pieghe della gonna tubino nera abbinata ad una giacca dello stesso colore ed una camicia bianca.
“Non preoccuparti, qualche minuto di ritardo non è la fine del mondo” gli sorrise cordiale “Hai paura che i tuoi ragazzi possano fare danni senza la tua guida?”
“Li ho affidati a Tina, che è ufficialmente il comandante in seconda, quindi sono certo che tutto andrà per il meglio, ma sai com’è, un avvertimento in più non fa mai male”
Si sorrisero, creando un’aria amichevole e distesa, rara da trovare in uno studio legale.
“Tina mi sembra molto preparata e votata alla causa, sono certa che andrà tutto bene” constatò Giulia, con un’espressione mite che rese il suo viso disteso e la sua postura disinvolta.
Alessandro annuì convinto, grattandosi una guancia velata da un sottilissimo strato di barba nera.
“E’ tutto merito suo se questa campagna è potuta partire, si è interessata lei di tutti gli aspetti, da quelli logistici a quelli economici. Lo scavo non potrebbe essere in mani migliori”
La donna assottigliò lo sguardo per qualche istante, poi le piccole rughe che aveva sulla fronte si distesero e si poggiò tranquillamente allo schienale della sua poltrona.
“Bene, tornando a noi. Hai i documenti di cui avevo bisogno?” la sua voce si fece leggermente più profonda, nel suo consueto tono professionale.
“Oh sì, certo. Ho qui tutto quello che mi avevi chiesto” Alessandro si sporse sulla scrivania per passarle un plico.
“Ottimo” approvò Giulia, cominciando a sfogliare le carte.
“Intanto ho già una buona notizia, ho ottenuto dal giudice che possiate continuare a scavare nel frattempo che il processo è in corso e finché non verrà provata una vostra eventuale colpevolezza” annunciò lei, con gli occhi sempre immersi tra i documenti.
“Perfetto!” gioì Alessandro “Questo Tina deve proprio saperlo, era così tesa stamattina sapendo che sarei dovuto venire da te. Ti spiace se la chiamo un attimo?”
Giulia alzò gli occhi fissando il volto sorridente di Alessandro e scosse il capo con aria bonaria.
“Certo che no, fai pure” così dicendo si immerse nuovamente nella lettura di quegli atti.
Alessandro compose velocemente il numero della sua collega e dovette attendere diversi squilli perché rispondesse.
“Pronto”
Prima di rispondere, il ragazzo premette un tasto e mise in modalità altoparlante, così quando Tina parlò nuovamente anche Giulia poté sentirla e sobbalzò per la sorpresa. Alzò uno sguardo confuso su Alessandro, che le fece un occhiolino complice.
“Ale, se hai chiamato per controllare che ancora nessuno abbia un piccone ficcato in testa o una trowel in una costola, beh … no, non è ancora successo” proruppe proprio la voce dell’archeologa.
L’amico sorrise, scuotendo la testa con aria divertita.
“Ciao Tina, in effetti avevo chiamato per darti una buona notizia” si bloccò per accrescere volutamente l’attesa. Tuttavia le parole che Tina pronunciò subito dopo non erano quelle che lui si era aspettato.
“Emanuè, si te pigl, vir che te cumbin!” si sentì qualche rumore e delle risate.
Allo stesso tempo, sentendo Tina parlare nuovamente in dialetto anche Giulia non riuscì a trattenere una risata. Lasciò perdere i documenti che stava leggendo, abbandonando la cartellina sulla scrivania, e poggiò i gomiti sul piano reggendosi il mento sui pugni chiusi, rimanendo a fissare il cellulare con aria divertita.
“Tina, tutto bene?” chiese Alessandro unendo le sopracciglia con aria scettica.
“Quel cretino di Emanuele, mi aveva legato i piedi con il filo a piombo e io gli ho tirato dietro un secchio. Ma ti giuro che stiamo lavorando, li sto tenendo in riga, sul serio, è solo che lui, lo sai com’è fatto…” parlò così velocemente che alcune parole non si capirono, e quel piccolo difetto di pronuncia che aveva con le esse rese tutto il suo discorso decisamente sibilante e comico.
Giulia e Alessandro risero, guardandosi negli occhi ilari.
“Ale … ma dove sei? Sento delle voci…”
“Sono nello studio di Giulia e tu sei in viva voce”
“Porca put … ehm, ciao Giulia, come stai? Scusa per lo spettacolino a cui hai dovuto assistere” cercò di rimediare Tina leggermente in imbarazzo, per poi aggiungere a denti stretti “Ale, potevi pure dirmelo che stavo in viva voce!”
Ma lui non rispose, fu l’avvocato a prendere la parola al posto suo. Si avvicinò al telefono, poggiato al centro della sua scrivania, e lo guardò come se vedesse davanti a sé la sua interlocutrice, con un piccolo sorriso sornione ad incurvarle le labbra.
“Ciao Tina, è un piacere sentirti e non preoccuparti, è sempre divertente sentirti parlare in dialetto”
“Bel tentativo, Giulia, ma tanto lo so che ho fatto una pessima figura. Ad ogni modo, avete parlato di una buona notizia, magari riesco a dimenticarmi di questo spiacevole intermezzo”
Giulia guardò un’ultima volta il cellulare, poi tornò a poggiarsi allo schienale della poltrona rigirandosi una penna tra le dita, mentre con un chiaro gesto della mano cedeva ad Alessandro il compito di dare a Tina la buona notizia.
Il ragazzo alzò un angolo della bocca verso l’avvocato con aria complice, poi prese un lungo respiro prima di parlare.
“Dunque, Giulia ha parlato con il giudice e ha ottenuto che lo scavo continui finché il tribunale non ci giudicherà colpevoli, fino a quel momento possiamo andare avanti con la campagna”
Dal telefono si sentì silenzio, intervallato ogni tanto da un rumore metallico, picconate immaginò Alessandro.
“Giulia ci sei?” chiese Tina con voce un po’ fievole.
L’avvocato restò per un istante perplessa, poi nuovamente si avvicinò all’apparecchio sulla scrivania e lo fissò con la fronte leggermente corrucciata ed espressione incerta.
“Sono qui”
“Grazie, di cuore”
Un sorriso spontaneo incurvò le labbra di Giulia, fissò il cellulare con un cipiglio davvero intenso, poi si riscosse scuotendo la testa e rimettendosi dritta.
“Di niente” alzò lo sguardo, ricordandosi in quel momento che davanti a lei c’era Alessandro ed incontrò i suoi occhi altrettanto sorridenti.
“Bene, e adesso che hai recitato la parte della diplomatica vai pure a sfogare la tua gioia spicconando tutto quello che ti capita sottomano” intervenne lui sogghignando.
“Ale!” lo riprese la voce indignata di Tina.
“So che vuoi farlo” insistette lui.
Silenzio.
“Si, è vero!” dal cellulare si diffuse una sonora risata, allegra e piena.
“Allora io vado, ciao ragazzi e grazie ancora”
I due ricambiarono il suo saluto, ma capirono che lei non li avrebbe sentiti, perché prima che la chiamata terminasse si sentì: “Stefano, molla quel piccone. Adesso tocca a me!”
Giulia guardò Alessandro con gli occhi sgranati e un’aria a metà tra il divertito ed il confuso.
“E’ matta” confermò lui, prima che lei potesse dire anche una sola parola.
L’avvocato aprì bocca per dire qualcosa, ma poi un lampo passò nel suo sguardo e decise di non dar voce ai propri pensieri.
“Tutto bene?” indagò Alessandro.
“Certo”
“Uhm, vista l’ora che ne diresti di pranzare assieme?” propose lui con aria vaga, alzando le spalle con tranquillità.
“Ehm, io …”
“Solo per ringraziarti di questa piccola vittoria, sono certo che se Tina fosse qui, la penserebbe come me e non sopporterebbe un tuo rifiuto” puntualizzò, sfoggiando un sorriso complice.
“Ma Tina non c’è” gli fece notare lei, con un sorriso altrettanto sfacciato.
Alessandro voltò il capo a destra e a sinistra con aria sorpresa.
“Ops, è vero. Beh, vorrà dire che in questo caso dovrai accontentarti di me e nemmeno io sopporterei un tuo rifiuto” incrociò le braccia al petto ed inarcò un sopracciglio in attesa.
“D’accordo, se la metti così” cedette Giulia con un sospiro.
Alessandro sorrise trionfante e si alzò per avviarsi alla porta ed aprirla per poi aspettare che lei passasse e seguirla.
Camminarono affiancati nel tiepido sole settembrino, discorrendo di futilità, fino ad una tavola calda poco distante dallo studio di Giulia.
Dopo aver trovato un tavolo libero ed aver ordinato, si ritrovarono in silenzio ad osservarsi.
Giulia, curiosa di sapere cosa avesse in mente l’altro, aspettava che fosse Alessandro ad introdurre un argomento. Lui, invece, completamente a proprio agio, osservava il viso della donna con un sorriso enigmatico sul volto.
“Allora, piace molto anche a te il lavoro che fai, vero?” le chiese all’improvviso.
Giulia fece un piccolo respiro, riprendendo il controllo della situazione e tornando calma come sempre.
“Sì, è vero. E’ sempre stato così, fin da piccola non ricordo di aver mai voluto fare altro”
“Segui una tradizione di famiglia?” Alessandro poggiò i gomiti sul tavolo e sporse il busto verso il centro, come per creare un’atmosfera più intima.
“Oh no, no. Mio padre è un viticoltore, possiede un bel po’ di vigne vicino Montepulciano. Mia madre è sempre stata una donna di casa e mio fratello è un programmatore informatico”
“Famiglia interessante” commentò Alessandro, interrompendosi un attimo per bere un sorso d’acqua.
“Devo ammettere che sono sempre stato portato a vedere gli avvocati come una categoria che si tramandi il cinismo di generazione in generazione” riprese lui, fissandola intensamente negli occhi “Mai avrei creduto che tra le sue fila nascondesse anche donne raffinate ed affascinanti”
“Beh, il mio ideale di archeologo è sempre stato Indiana Jones, ma … non vedo la tua frusta”
Giulia resse il suo sguardo senza battere ciglio, solo le labbra si incurvarono in un sorriso di sfida.
“Touché” ammise Alessandro, abbandonando quella posizione racchiusa e poggiando finalmente la schiena alla sedia “Hai ragione, i luoghi comuni non sono mai attendibili”
Quello scambio di opinioni e frecciatine venne interrotto dal cameriere, che portò loro le ordinazioni. Trascorsero il resto del pranzo a chiacchierare tranquillamente di argomenti più che neutrali ed Alessandro non tentò più alcun tipo di approccio. Tuttavia, si offrì di pagare il pranzo e s’impose di fronte alle rimostranze di Giulia.
“Beh, allora ti ringrazio per il pranzo, è stato divertente” commentò l’avvocato, uscendo nuovamente in strada.
“Figurati, è stato un piacere” lui la raggiunse e l’affiancò.
“Sì, anche per me, solo che ora devo proprio scappare” ammise lei, guardando l’orologio con una certa ansia “La mia pausa pranzo finiva dieci minuti fa”
“Sì, certo. Anch’io ho delle commissioni da fare” concordò Alessandro, che poi si affrettò ad aggiungere “Pensavo che potresti darmi il tuo numero di telefono … sai, se dovessero esserci problemi o novità sulla causa” il sorriso malandrino che gli illuminò il viso diceva che la causa era veramente l’ultimo dei motivi a cui stava pensando, ma Giulia si trovò a sorridere della scioltezza con cui lui non si facesse sfuggire occasione per provarci.
“Tieni” estrasse dalla borsa un bigliettino e glielo porse “Il mio biglietto da visita, ci sono tutti i miei numeri”
“Grazie” lui le si avvicinò, passandole un braccio dietro la schiena con il palmo aperto per tirarla leggermente verso di sé e si abbassò per salutarla con un bacio sulla guancia.
“A presto, Alessandro” l’avvocato scosse il capo divertita dalla sua intraprendenza e lo salutò con la mano prima di voltarsi e ritornare al suo ufficio.






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Una piccola, ma doverosa, nota: di diritto penale, giurisprudenza e quant'altro ne so davvero poco, quindi tutto quello che c'è in questa storia è una mia invenzione funzionale solo ai fini della trama. Ne so molto di più di archeologia, ma credo che questo si sia capito ormai xD
Sono riuscita a mischiare un po' le carte in tavola con questo capitolo? :D

  
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