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Autore: fraviaggiaincubi    17/12/2014    0 recensioni
Dal capitolo 7
“Un’arma?”domandò debolmente e il Nazgul annuì soddisfatto che la sua preda si interessasse delle sue parole, non c’era niente di meglio che allarmarlo facendogli intuire su quale baratro stesse per scivolare la Terra di Mezzo. Con un sorriso sadico che l’uomo non poteva cogliere proseguì: “Esatto, un’elfa che contiene in sé anche il sangue di uno stregone della terra di Angmar.”si indicò con un gesto teatrale. “Capace di creare guerrieri invincibili...
Genere: Drammatico, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kili, Nuovo personaggio, Tauriel, Un po' tutti
Note: Movieverse, OOC, What if? | Avvertimenti: Violenza
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Capitolo 11
 
Fuga su ali d’argento
 
 
Le pupille arancioni, del colore della sabbia al tramonto, fremettero bloccandosi contro il nero senza volto del Nazgul. Anche da lì la sua aura le cullava i sensi come il vento le ali, invitandola ad accogliere il suo potere che mille volte l’aveva in passato irretita e attratta, spinta da forze misteriose di magnetismo come la luna le maree.
Najiel, il nome della sua condanna, Colei che Vola nel Buio, la rinnegata dalla luce, regina della notte. L’aquila fissò a lungo il Nazgul, inseguendo con lo sguardo grifagno i riflessi liquidi della seta nera del manto. La lingua nera di Sauron le scivolava addosso come una carezza, le uniche che ormai riceveva, trasformandosi in parole conosciute, che altro che ferire le orecchie come al nano e alla splendida elfa dai capelli di fiamma, la faceva sentire...viva e completa, come mai sentiva da anni.
“Non sono tornata” rispose seccata, dopo aver respinto la dolcezza di quella voce gelida, che sapeva spegnerti i sensi come l’acqua ghiacciata quando cadevi tra le sue braccia crudeli. Gonfiò le ali argentate e il suo sguardo divenne freddo come il sibilo dello stregone alla sua risposta. “E’colpa tua se sono così”
Lo stregone scoppiò a ridere, rilassando la posa sotto lo splendido manto. Avanzò fino a trovarsi davanti agli otto spettri e all’aquila e una mano coperta dal guanto metallico cercò la gola piumata di Najiel, tentando di sfiorare le sue piume argento. “Cioè come? Stupenda?” le chiese con voce mielata e gli occhi arancioni si velarono di nostalgia, un semplice guizzo che lo sguardo cieco del Nazgul colse e trasmise a Sauron, tessendo lentamente la trappola. La lingua nera scivolò come seta da sotto il cappuccio e Najiel le accolse facendole sue sotto le piume, frementi a contatto con quella mano inumana. Ricordi si trasmisero come corrente al suo corpo di regina dei cieli, ma Najiel li ignorò scostandosi. Fissò con astio il Nazgul e poi si voltò verso Tauriel e Kili, incrociando i loro occhi colmi di timore e speranza.
Si sono qui per salvarvi, credo.
La voce fredda e inumana dello stregone tornò a colpirla con la lingua nera, ma stavolta nessuna nota dolce ne intesseva le parole: era gelida e priva di inflessioni, crudele come la sua natura infida che le aveva strappato ogni cosa e pericolosa, conosceva quel pericolo e le ali si spalancarono facendola allontanare. Atterrò sul suolo polveroso fissando gli orchetti avvicinarsi da dietro e la sfida brillò nel suo sguardo grifagno. “Non un’altra volta spettro, non rovinerai la vita di quelle due creature. Né te, né quella schifosa creazione alle tue spalle”. Indicò con il becco affilato la Bocca di Sauron, che le regalò un sorriso irto di denti. “Najiel, dolcezza mia.” sussurrò in risposta, con voce roca. Si voltò verso Kili e si esibì in un inchino, indicandola elegantemente con la mano pallida. “Kili, lei è la creatura di cui ti parlavo, sopravvissuta a ottanta frustrate”, un nuovo ghigno, “e diventata una Senzanome”
Tauriel a quelle parole sollevò lo sguardo, sempre avvolta dalle braccia di Kili. “Una Senzanome? Credevo fossero estinti?” sussurrò e il famigliare timore sfiorò i suoi occhi scuri. Najiel abbassò lo sguardo amareggiata e la risata dello stregone la schiaffeggiò, incidendo a fondo sulle vecchie ferite e riportando a galla le parole di Gandalf: Di lei non ci si può fidare.
Il Nazgul parve cogliere ciò che la tormentava. “Si Najiel, come vedi nessuno si fida di te. Sei come me, perché non accetti di unirti a Sauron? Ti darà ciò che hai sempre sognato”. La sua voce divenne dolce, invitante, come il sussurro dell’Unico lo era per lui. “Essere amata.”
“Sauron non sa amare!” urlò Najiel e le sue ali si aprirono al vento mefitico della terra di Mordor. Fissò con sfida Sauron, immergendosi nel fuoco del suo spirito, e  con un colpo d’ali catturò il vento sollevandosi, lasciandosi la terra alle spalle mentre la prima ascia si abbatteva nel punto dove era poco prima. In un attimo i suoi occhi catturarono il punto in cui l’elfa e il nano si trovavano e fu tutto semplice, come una volta. Chiuse le ali e si lanciò verso terra, avvertì la lama dello Stregone sfiorarla, ma anche lei era delle tenebre e la spada la colpì senza ferirla. Spalancò le ali colpendolo e il sibilo degli spettro le strappò un sorriso negli occhi fieri.
Guarda Gandalf, anche io so fare del bene.
Ascoltò il cuore cantare di gioia e con uno scatto artigliò il terreno, mentre incrociava gli occhi dell’elfa fissarla, marroni come il bosco, circondati da un aura di fuoco dei suoi capelli. Bastò quel piccolo momento e l’elfa capì, la fiducia inondò le sue iridi e lei balzò sulla sua groppa argento, le mani pallide strette alla piume. Il nano la seguì e Najiel lo vide stringerla a sé, le mani intrecciate e un sorriso solo loro, rubato nel mezzo delle grida degli orchi e i sibili degli spettri, ancora deboli per la sconfitta alle Alte Colline.
Respinse il nodo al petto vedendo il loro  legame e senza dire nulla si lanciò nel cielo, sfidando lo sguardo rovente di Sauron con la potenza delle sue ali e finalmente, per la seconda volta, la luce del riscatto brillò nei suoi occhi fieri, cacciando alle sue spalle le tenebre di Mordor. Nemmeno una volta si voltò a fissare quella terra che tanto le aveva rubato, ma se l’avesse fatto, forse avrebbe notato la figura scura dello Stregone innalzarsi con aria di vittoria tra gli orchi urlanti, la spada intrisa dello splendente rosso del sangue di Tauriel, intrappolato come un gioiello liquido sulla lama affilata.
Il Nazgul rise, una risata gelida e crudele, che inseguì silenziosa Najiel. Si voltò con un fruscio della veste luccicante e il peso dello sguardo di Sauron lo attraversò come una scarica. Un sorriso invisibile lo percorse e il suo sguardo cieco si fissò sul sangue che brillava sulla lama. Ne ammirò il rosso intenso e la sua voce fredda si sollevò nel cielo infiammato di Mordor: “Sii vola pure Senzanome, fuggi alle tenebre, tanto è inutile”, fissò lo spirito del suo signore e un sibilo soddisfatto percorse il buio sotto il cappuccio, “noi abbiamo quello che desideravamo.”
 
 
~~~
 
 
Il buio, era sempre stato un suo alleato.
La notte, che silenziosa accoglieva il suo passaggio.
Passare inosservati era più facile di notte, essa era fatta per dormire solo se non eri sempre in fuga, perché nonostante fosse il regno di creature oscure, era anche quello delle sue prede e questo Aragorn lo sapeva bene.
Per la centesima volta il ramingo si alzò di scatto, guardando nel buio davanti a lui. Era sicuro che qualcosa avesse riso, aveva sentito chiaramente una bassa risata soffocata. I suoi occhi umani si scontrarono contro la notte più nera, solo un lieve profilo faceva intuire che le grosse figure davanti a lui erano alberi. Si affidò al tatto e ascoltò il tocco morbido dell’erba sotto le dita, finché non incontro le dita calde di Arwen, addormentata contro di lui. Cercò la figura dello stregone grigio e intravide la sua sagoma poco distante, ma per il resto nessuna forma di vita si muoveva tra le immense sentinelle di legno e foglie che lo circondavano, ma allora perché udiva quella risata quando chiudeva gli occhi?
Aragorn sospirò tornando a distendersi ed Arwen si mosse accanto a lui. Una mano si posò sul suo petto, come ad assicurarsi che il suo cuore battesse e il ramingo avvertì una fitta al pensiero che solo poche ore prima, quello stesso organo era stato trafitto dalla sua stessa spada dal re stregone di Angmar.
Aragooorn...
L’uomo aprì di scatto gli occhi e il battito impazzì mentre scattava a sedere fissando tra le forme degli alberi, nere e all’improvviso minacciose. Questa volta aveva sentito chiaramente il suo nome scivolare nella foresta. Il buio premeva contro di lui e qualcosa si mosse tra gli alberi, più nero della notte stessa, quasi si rivestisse dell’ombra dell’oscurità. Un vento gelido investì il viso del ramingo e qualcosa di ghiacciato e affilato gli sfiorò la gola, raffreddando il suo stesso respiro.
“Non ti consiglio di usarlo.” sussurrò una voce inumana, fredda come ghiaccio e letale come veleno e Aragorn mollò la presa sulla spada, sentendo il sudore gelido percorrergli la schiena. Avrebbe riconosciuto quella voce tra mille, come se solo pensandoci avesse evocato il suo proprietario a finire ciò che aveva cominciato nella sua tomba mortale. Tentò di apparire calmo, ma quando parlò la sua voce era spezzata e debole: “Come fai ad essere qui?”
Una bassa risata risuonò nel buio e il fruscio della stoffa accompagnò il tocco della punta affilata della spada sul petto. Aragorn sentì il potere di Mordor attraversare il metallo per toccarlo e una fitta bruciante gli attraversò il corpo, così intensa che solo un forte autocontrollo gli impedì di emettere un gemito: era come se la spada stesse di nuovo trafiggendo la sua carne. Chiuse gli occhi e la voce del re dei Nazgul risuonò nuovamente: “Male Aragorn? Lo so...farà sempre male, ho fatto in modo che sia così.” sibilò velenoso e il ramingo riaprì gli occhi, avvertendo lo spettro scostarsi. Scattò in piedi allontanandosi, ma qualcosa gli bloccò il respiro, come se una presa invincibile gli avesse afferrato il cuore. Crollò a terra e il sapore del sangue gli invase la bocca, il dolore era così intenso, bruciante e vero che l’uomo gemette, portandosi la mano all’altezza del cuore. “Cosa...mi hai...fatto?” domandò debolmente e la risata dello Stregone lo raggiunse alla sua destra. Riusciva a scorgere il luccicare innaturale del suo manto, ipnotico come le squame di un serpente nel suo lento movimento.
Lo Stregone lo fissò, gustandosi il dolore che scivolava come miele dal corpo contratto e con un piede lo rivoltò a pancia in su, fissando le pupille frementi dell’uomo. Per un attimo si perse a studiare il corpo atletico, anni di fughe e lunghe camminate lo avevano temprato e nonostante il dolore l’aura regale dell’uomo traspariva dal viso e dal corpo ancora giovane e forte. Sibilò compiaciuto, sarebbe stato il corpo perfetto per tornare, nonostante il dolore quel piccolo cuore batteva e irrorava sangue con perfetta maestria, come una macchina ben oliata fatta per lottare e vivere.
“Devo dire, che sei forte erede di Gondor”commentò con aria annoiata, ma un sorriso invisibile accompagnò le parole finali mentre si chinava, fino ad attirare l’attenzione del ramingo, allentando la presa sul suo cuore. La furia di Aragorn sostituì il dolore e la paura e lo Stregone sibilò gelido, sfidando con la sua aura la silenziosa battaglia di sguardi. Accarezzò pigramente la lama Morgul e una risata secca e fredda scattò nell’aria. “Quando scoprirai cosa vuol dire essere risparmiato da me, sarà un grande giorno” aggiunse misterioso e l’attenzione di Aragorn lo compiacque.
Lasciò che il ramingo si alzasse di scatto, estraendo la lama. Aragorn si immobilizzò a fronteggiare la figura indistinta dello spettro, solo il bagliore del suo mantello gli faceva intuire dove fosse e si concentrò su quello, attento a capire la sua prossima mossa, ma lo Stregone parve rilassato, come un grosso felino dopo la caccia. La tensione gli indurì i muscoli, il corpo si contrasse e l’uomo affilò lo sguardo; non si sarebbe fatto ingannare da quella posa rilassata, i Nazgul erano astuti e quell’essere era pericoloso.
“Cosa intendevi con quelle parole?” ruppe il silenzio e lo Stregone sibilò divertito, come se attendesse quella domanda. Lentamente si alzò, un’arma di distruzione e dolore stagliata contro il bosco fremente, e la voce gelida e inumana spezzò il silenzio di nuovo calato, come una falce che si abbatteva su Aragorn: “Semplice erede di Isindur, scoprirai che essere ancora vivo sarà peggio che morire com’era successo in quella tomba.”
“Spiegati”. Aragorn avanzò minaccioso, era ormai certo che stesse accadendo tutto nella sua testa. Percorse la radura vuota con lo sguardo, ma la sua attenzione venne di nuovo calamitata dallo spettro; era lui che esigeva la sua attenzione e il ramingo pose la spada tra loro, una barriera di metallo contro l’oscura forza di Mordor. “Spiegati!” ripeté con autorità e il Nazgul lo fissò interessato, come a leggere in quella parola la forza della loro stirpe. Una bassa risata seguì il suo ordine e lo Stregone si chinò beffardamente con un elegante movimento. “Obbedisco sire, sangue del mio sangue.”sussurrò minaccioso, godendosi la tensione dell’uomo prima di aggiungere, il tono inumano di nuovo freddo e gelido: “Quando ti ho ucciso e dopo salvato, ho fatto in modo che si creasse un legame Aragorn”, fece una pausa, assaporando ogni singola emozione che gli occhi scuri del ramingo gli regalavano, e infine aggiunse infido: “Ogni volta che ucciderai un avversario dell’esercito di Mordor proverai il dolore che hai sentito quando ti ho ucciso.”
  
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