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Autore: lastfirstkjss    17/12/2014    0 recensioni
Robert non ha paura di nulla, la vita a San Francisco gli è sempre apparsa perfetta e forse in fin dei conti era proprio così, non era una persona che si faceva tanto influenzare da altri e si era proprio promesso che mai lo sarebbe stato. Si riteneva bello, quello sì, ma non si era mai vantato di nulla, a scuola metteva sempre in mostra la sua intelligenza e il suo amore per lo studio ma sapeva che alla fine di ogni lezione sarebbe stato preso di mira, ma lui non aveva paura, perché è quello che gli aveva insegnato il padre prima che morisse, lui doveva essere forte e continuare ad essere se stesso, senza cambiare per le prese in giro e lui mise in pratica tutto i consigli di suo padre.
Fino a quando, però, non fu costretto a lasciare San Francisco per il lavoro della madre, avrebbe dovuto lasciare gli amici. Doveva lasciare tutti i suoi 16 anni in un altro stato, lasciare tutti i suoi amici che si era fatto in quell'arco di tempo, doveva lasciare li anche i bulli della scuola a cui ormai si era abituato e andarsene a vivere a Boston dove non potette
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Scolastico, Universitario
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Ormai era passata già una settimana da quando ci trasferimmo a Boston, solo io e mia madre in una casa che per due persone poteva sembrare un'esagerazione. Non poteva certamente dire che fosse una brutta casa perché per prima cosa mentirei a me me stesso e e poi era un'abitazione ampio e in pieno centro, ma davvero non capivo a cosa ci sarebbero servite tutte quelle stanze ma senza alcuna ombra di dubbio, mia madre avrebbe trovato in più in la un modo per occuparle.

Prima dell'inizio della scuola riuscii persino a fare un giro per la città, ammetto che ho sempre desiderato fare una gita a Boston ma mai e poi mai avrei pensato che prima o poi ci saremmo addirittura trasferiti dall'altra parte dell'America.

A Boston gli edifici hanno l'aria compiaciuta e l'aspetto nutrito, sarà forse perché la mia zona è una universitaria, e alcuni vialetti erano piastrellati mentre le mura erano in mattone. Non penso fosse una zona moderna, anzi ma cosa dico, era ovvio che non lo fosse.

A proposito di scuola, durante il mio giro per la città ci passai accanto, esteriormente non era proprio niente male, era davvero una cosa enorme nel vero senso della parola, quella in cui andavo a San Francisco non era piccola ma di certo non aveva le dimensioni di quest'altra.

L'unica cosa che molto probabilmente avrei fatto più fatica ad accettare era appunto la scuola, la Gordon Hall; inizialmente mia madre voleva iscrivermi a quella scuola privata, com'è già che si chiama? Ah sì, la Harvard ma forse ci avrà pensato due volte sapendo che io non ci sarei uscito vivo da quella merda, per quanto io possa amare la scuola faccio quasi sempre di testa mia e non studierei mai se dovessi studiare in una scuola che non mi ispira affatto. Quindi ora devo andare in una scuola pubblica di mio gradimento, spero.

Ore 07:25.

La sveglia ormai era suonata da circa cinque minuti abbondanti ma feci davvero tanta fatica a svegliarmi, forse perché ero abituato a svegliarmi più tardi e il primo giorno non ci andavo neanche, a meno che non mi obbligassero. Perché mi piaceva la scuola non significa che mi piacesse anche svegliarmi presto.

Dopo quei miei svariati pensieri sulla vita che ormai non potevo più portare avanti come una volta e già ne sentivo estremamente la mancanza, decidetti finalmente di alzarmi, misi prima un piede giù ma subito lo rialzai per colpa delle piastrelle fredde, maledetti i padroni che non avevano messo il parquet e quelle dannate piastrelli, presi un lungo respiro e posai entrambi i piedi a terra cercando di non badare a quanto freddo mi stesse venendo.

Grazie a Dio di tempo ne avevo, ma avevo deciso di svegliarmi un po' prima per prepararmi per bene, così corsi fino in bagno ed ero proprio proprio fortunato avendone uno tutto per me così mi feci velocemente la doccia mettendoci forse diedi o quindici minuti e uscii dal bagno con un asciugamano avvolto attorno alla vita mentre con un altro mi tamponai leggermente i capelli, lo zaino lo feci già la sera prima dato che ormai era un'abitudine, quel giorno avrei avuto letteratura, storia, scienze, matematica e infine chimica e non potevano esserci materie migliori per iniziare bene il primo giorno di scuola, ma appunto, il problema era proprio che dovessimo fare lezione il primo giorno di scuola; preferii non pensarci più di tanto e presi dall'armadio, che già avevo messo in ordine, un paio di skinny jeans, una semplice canottiera bianca che avrei infine accompagnato con una camicia a quadri rossi e neri e per finire indossai le mie Nike bianche, erano un modello di qualche anno prima ma non avevo mai amato così tanto delle scarpe in vita mia infatti ne avevo circa quattro paia uguale tra cui uno di esse erano quelle basse.

Mi finii di asciugarmi i capelli con il phon e con esso li mandai all'indietro, la mia solita pettinatura e nonostante un po' mi avesse stufato, non mi andava di cambiare essendomi abituato con quella.

Scesi le scale e trovai mia madre in cucina che mi preparava la colazione, mi avvicinai a le e le stampai un leggero bacio sulla guancia e la vidi sorridere così sorrisi anche io, era proprio contagioso quel suo bel sorriso.

“Giorno ma'.” quasi urlai mentre mi sedetti a tavola.

“Sei pronto per oggi tesoro?” mi portò il mio caffè sempre con quel poco latte dentro e avvolsi la tazza con entrambe le mani. Mi dava abbastanza fastidio come domanda, avrebbe dovuto sapere quale sarebbe stata la mia risposta.

“Penso di sì.” alzai le spalle dopo quella mia risposta e presi a bere il mio caffè che finii praticamente subito. Ormai erano già le 07: 39 e forse era ora che andassi a scuola, ci mettevo forse dieci minuti ad arrivare a scuola o poco più, ma avevo bisogno di respirare un po' di aria mattutina così aspettai ancora un po' e salii di nuovo le scale entrando nella mia stanza, aprii nuovamente l'anta dell'armadio da cui presi una giacca di pelle, o per lo meno ci assomigliava, e la indossai posandomi sulle spalle lo zaino.

Quando scesi salutai mia madre con un altro bacio sulla guancia e uscii sbattendo quasi per sbaglio la porta. Mi soffermai per qualche secondo davanti alla porta e respirai l'aria 'pulita' di quel lunedì mattina, ho sempre adorato sentire nei polmoni l'aria che c'era di mattina, poi di Settembre le mattinate avevano proprio una temperatura ottima.

Mi avvinai poi verso la strada che mi avrebbe portato a scuola, non c'erano molte persone per strada, se non quelle poche macchine di persone che magari andavano a lavorare e alcuni ragazzi che sicuramente si avviavano verso il mio stesso posto.

Arrivai davanti alla scuola verso le 07:53 e il cortile era già completamente pieno, persone che stavano in gruppo, altri che stavano seduti sul prato davanti alle scale della scuola e altri che fumavano chissà cosa.

Io invece mi appoggiai ad un albero, forse tra i pochi liberi, e risposi al messaggio di Daily.

Daily era una mia cara amica,non migliore amica, quella non l'avevo mai avuto, ma lei mi era sempre stata accanto e aveva sempre e dico sempre trovato un modo per risolvere i problemi che a volte la scuola mi causava. E mi mancava. Dio, se mi mancava. Ma sarei poi riuscito a rivederla una volta all'anno, se tutto sarebbe andato bene.

Mentre continuavo a messaggiare con lei, sentii la campanella suonare e presi quasi un piccolo colpo perché non avevo controllato l'orario ed erano già le 08:05, quindi potevo dedurre che quella fosse l'ora in cui si entrava.

Mentre mi spostai dalla mia postazione iniziale e salii le scale, sentii qualcuno andarmi contro scontrandosi contro la mia spalla e poi sentii ridere prima il ragazzo che mi era andato contro e poi un altro ragazzo che gli stava praticamente attaccato alla spalle, scossi appena il capo a quella scena e appena entrai mi ritrovai davanti a diversi ragazzi e ragazze che giravano in giro per il corridoio avviandosi verso le loro classi, io invece la mia classe proprio non lo sapevo quale fosse così vidi la signora della segreteria e andai da lei, sapendo che lei sarebbe stata in grado di darmi le giuste informazioni.

“Mi scusi, sono il nuovo ragazzo, Robert Stevenson, potrebbe riferirmi qual'è la mia classe?” sfoggiai il mio tono più gentile e accennai un piccolo sorriso, era una signora sulla quarantina con dei grandi occhi versi e con i capelli quasi color cenere, era proprio una signora graziosa.

Annuii alla mia domanda e subito dopo abbassò il capo posando lo sguardo su un elenco degli alunni delle terze e lesse tutti i nomi degli alunni finché non fermò il dito su un nome, che potei capire essere il mio.

“Robert Stevenson, sei nella 3^C, io sono Marie, se hai bisogno di qualcosa mi trovi sempre qua, spero che tu possa ambientarti presto.” Mi guardava sorridendo mentre mi parlava e la ringraziai anch'io con un sorriso gentile mentre la salutavo con la mano; c'erano ancora ragazzi che giravano per i corridoi mentre la campanella era già suonata da forse otto o nove minuti e risi sotto i baffi ripensando a quanto ci tenessi ad arrivare sempre puntuale a scuola, ma cercai di attirare poco attenzione per non esser preso di mira anche qui, dove mi sarei dovuto rifare una seconda vita.

Trovai la mia classe e buffai, appena sentii il permesso entrai e mi guardai per un attimo attorno, metà degli allievi non si erano ancora presentati così adocchiai subito il posto in seconda fila,ma prima di sedermi mi presentai alla professoressa. Professoressa di letteratura, signora di forse quarantacinque anni o poco di più, aveva il viso da persona seria ma di una persona che ci tiene estremamente al proprio lavoro, il suo nome era Lydia Ross, ero più che sicuro che io e lei saremmo andati d'accordo, dopo aver fatto le solite stupide presentazioni che parevano tanto un terzo grado davanti a tutta la classe, mi diede il permesso di sedermi e appena mi sedetti al posto che poco prima avevo guardato, circa dieci ragazzi, uno dopo l'altro, entrarono dalla porta della classe e una ragazza si sedette accanto al posto libero che c'era accanto a me. Mi sorrise subito, con un sorriso ampio e bello, sereno e innocente, mi tese la mano e io gliela strinsi, come una giusta presentazione.

“Io sono Camryn, ma puoi chiamarmi Cam, sei il ragazzo nuovo?” continuava a sorridere, ma non le facevano male gli zigomi? Si abbassò e prese dallo zaino il libro di letteratura e la imitai.

“Io sono Robert, ma puoi chiamarmi come preferisci.” Forse potevo sembrare quasi acido, ma di prima mattina non ero molto socievole e preferivo prestare attenzione alla lezione proprio come iniziai a fare, e forse lei se ne rese conto, così si limitò ad annuire e anche lei prestò attenzione alla lezione, forse mi sarebbe stata simpatica, sembrava proprio una ragazza con la testa sulle spalle.

Le ore non passarono molto lentamente ma ad ogni lezione nuova era sempre la stessa storia, mi dovevo presentare e dire sempre le stesse cose ad ogni professore che entrava e all'ultima ora, chimica, i miei nuovi compagni accennarono tutti una breve risata sapendo tutti che mi sarei dovuto presentare di nuovo e così feci anche io, risi leggermente prima di presentarmi con il professore e all'ultima volta un po' di concentrazione spesso la perdevo anche io.

Un certo Christian mi aveva rivolto la parole, sembrava apprezzarmi parecchio avendo forse notato che spesso rispondevo alle domande che porgevano i docenti e capii praticamente da subito che era come me, anche lui amava la scuola, ne ero sicuro. Sentii persino qualcuno dire “eccone un altro” quando alzavo la mano per rispondere, ma me ne fregai, come ho sempre fatto.

Mancavano cinque minuti alla fine della lezione e Camryn mi lasciò il suo numero scritto su un foglietto appena strappato da un quaderno e dato il rumore fastidioso che gli altri facevano, lei si avvicinò al mio orecchio e mi disse di scriverle appena sarei arrivato a casa in modo da potermi fare qualcosa sulla scuola. Io presi il bigliettino e me lo infilai nella tasca dei jeans, annui e le sorrisi non appena la campanella suonò, ma dato tutto il baccano che gli alunni fecero a quel suono sembrava che fosse successo ben altro e non una semplice giornata di scuola finita.

Quando mi ritrovai sulle scale dell'entrata rischiai quasi di finire con la faccia a terra dato che qualcuno, con poca delicatezza, mi era finito addosso. Oh, ma in quella scuola era un vizio o cosa? Mi voltai per guardare in faccia la persona a cui poco importava di schivare le persone in modo da non rischiare di farle volare a terra e mi ritrovai di nuovo il suo viso, quel maledetto viso che vedetti anche la mattina alle 08:00 h, occhi azzurri, di un azzurro chiaro proprio bellissimo, era proprio particolare visto che oltre ai tatuaggi sulle braccia e chissà in quale altro posto, riuscii a notarne anche uno vicino ad un occhio, una croce piccolina e semplice, poi un dilatatore. Era bello, ma odioso, e neanche lo conoscevo ed ho sempre pensato che se una persona ti giudica senza conoscerti era perché effettivamente era la prima impressione che egli dava.

“Scusami, potresti almeno cercare di guardare dove metti i piedi?” Mi rivolsi a lui con un tono abbastanza duro, o per lo meno era quello che cercai di fare, ma non distolsi lo sguardo dal suo, mentre percepivo gli altri che scendevano tranquillamente le scale dell'entrata.

Mi afferrò la camicia dall'estremità del colletto e cercò quasi di alzarmi ed ero sicuro che ne sarebbe stato in grado, lo capivo dalla sicurezza negli occhi, dal modo in cui afferrò la mia camicia senza crearsi alcun problema.

“Non rivolgerti a me con questo tono, pivello.” Pivello, suvvia, pensavo che ormai nessuno usasse più quel nomignolo per provare ad insultare qualcuno, ma lo sentii marcare con forza quella parola facendola quasi sembrare un'altra frase, ma risi, lo feci piano ma comunque risi e lui forse infastidito da quella mia reazione mi fece indietreggiare sbattendomi con forza contro il muro delle scale, notai un paio di occhi di qualcuno che si erano fermati per assistere alla scena, manco fosse stata una lotta. O forse loro lo conoscevano e magari sapevano cosa avrebbe fatto.

“Non ci provare mai più, o la prossima volta t'ammazzo.” Lo disse con così tanto odio che quasi pensai che potesse essere in grado di farlo. No. Non avevo paura, semplicemente mi dava fastidio chi se la prendeva con persone come me. Ma mi limitai ad annuire, così li mi lasciò il colletto e mi sbattette ancora una volta contro il muro, poi lo vidi allontanarsi. Che bastardo.

Tossì appena e mi passai una mano tra i capelli in modo da aggiustarli, non mi soffermai per neanche un secondo in quel cortile e me ne uscii subito percorrendo il cortile, sorpassando persino quel bastardo che fino a poco prima se la prese con me. Feci la strada correndo, non sapevo perché, ma volevo andarmene al più presto e tornare a casa, unico posto dove senza dubbio mi sarei sentito bene, in un certo senso.

Quando ormai ero a pochi passi da casa iniziò a mancarmi il respiro e fui costretto a fermarmi e mi piagai in due, posando le mani sulle ginocchia, mi guardai le scarpe per qualche minuto finché non mi sentii meglio e mi alzai in posizione diretta, vedevo benissimo la mia casa, infatti mi bastarono pochi passi e varcai il piccolo giardino davanti a casa, aprii la porta e mi ritrovai mia madre esattamente come l'avevo lasciata, in cucina a cucinare.

Mi spostai e andai verso il salotto dove lasciai cadere lo zaino sul divano, subito dopo mi vidi arrivare mia madre con il grembiule pieno di chissà quale strana macchia, si pulii le mani su esso e poi con il migliore sorriso che potette farmi, mi guardò con gli occhi di chi aveva capito già tutto.

“Com'è andata? E i ragazzi? Come sono?” Si appoggiò al bracciolo della poltrona accanto senza mai togliermi lo sguardo di dosso. Le volevo un bene immenso ma non la sopportavo quando riusciva a capire sempre tutto.

“Normale, uguale a prima. Non mancano le ragazze mezze nude, i preferiti in classe, e ovviamente i bulli.” Al termine di quell'ultima parola mi venne spontaneo mettermi a ridere, non una risata di gioia, ma una risata nervosa. E lei lo capì subito, ovviamente.

“Ti hanno già fatto qualcosa?” Il suo tono era quasi impaurito, triste. La paura, quella che io mai avevo provato, perché ero forte, sì, papà l'ha sempre che sei avrei saputo combattere la paura allora ero forte. E io lo ero.

Scossi la testa in segno di negazione rispondendo così a lei.

“Sii forte, lo sai che è quello che vorrebbe anche tuo padre.” Lei continuava a parlare ma io davvero mi ero stancato di portare avanti quella nostra conversazione, così presi lo zaino sulle spalle e me ne andai nella mia stanza, chiusi la porta silenziosamente e lasciai lo zaino in un angolo, stendendomi poi sul letto, mi girai su un fianco e portai lo sguardo verso la finestra.

Papà. Come mi manchi.

Ho paura papà, ho paura di deluderti, e contro questa paura non posso proprio combattere, anche se lo volessi.

   
 
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