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Autore: Canneella    18/12/2014    0 recensioni
Daniele frequenta il Liceo Classico da quattro anni e gli fa schifo.
A dire la verità, a fargli schifo è un po' tutto.
Nulla lo interessa, tutto ció che lo circonda lo annoia, e lui è spento come un diciottenne non dovrebbe essere.
Alessandra invece ha due anni di meno ed è entusiasta ogni cosa, da un fiorellino sull'asfalto al sorriso di un anziano, disegna tutte le cose belle che vede ed è felice, sempre, anche se non succede niente.
Si vedono ogni giorno ma non si salutano, lei gli sorride soltanto con quel fare gentile e lui ricambia, le dedica l'unico lampo di colore di una giornata grigia, e lei non lo sa.
(Storia in revisione, ma si può leggere tranquillamente)
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Daniele

Una fitta di dolore all'addome mi sveglia.
Accendo il cellulare e guardo l'ora e merda, sono le tre di notte.
Sono stato in palestra fino alle nove ieri sera e quel pugno non l'avevo neanche visto arrivare da quanto ero stanco.
La boxe mi piace, ma mi piacerebbe di più se mi facessero stare con quelli della mia età anzi che con gli armadi più grandi.
Ieri è stato un massacro, l'ultimo incontro mi ha lasciato un livido abbastanza brutto sullo zigomo destro e un altro peggiore all'addome.
Mi alzo a fatica, che tanto se mi sveglio di notte non mi riaddormento mai, apro la finestra e l'aria fresca di metà ottobre entra in tutta la stanza.
Tra quattro ore potró fare colazione, prepararmi, uscire di casa, prendere il Diciotto e vedere Alessandra.
Certo, dopo l'ultimo punto ne seguono altri fastidiosi come la Versione di Greco, la probabile interrogazione di storia e il fatto che oggi esco di nuovo alle due quindi devo stare fermo e seduto per sei ore ad annoiarmi, ma esce alle due anche lei e la prospettiva della mia giornata mi fa un po' meno schifo.
Mi risdraio a letto, con qualche gemito di dolore per il livido.
Devo spegnere il cervello per quattro ore.
Ce la posso fare.
E ce la faccio.

"Daniele alzati, devo andare a lavorare.
Arrivi tardi."
Apro lentamente gli occhi e mi rendo conto che sono le sette, ho dormito e tra venti minuti devo essere sul diciotto.
Ignoro il dolore all'addome, mi vesto, faccio colazione al volo ed esco.
Mi siedo sull'autobus, al solito posto, facendo attenzione che resti libero quello davanti, e aspetto.
Piazza Martinez.
La vedo salire e sorridermi.
Ha i capelli legati in una specie di cipolla sulla testa che peró le sta bene, le scarpe di due colori diversi come al solito e degli orecchini con due piccoli gufi.
Si siede davanti a me.
"Ciao!"
"Ciao"
"Hai un livido sullo zigomo, lì, a destra"
"Ah, lo so, niente. Non fa male."
"Come te lo sei fatto? Secondo me fa male invece."
"Ieri sera all'allenamento. Faccio boxe."
"E vi picchiate così?" dice spalancando gli occhi già di loro enormi.
È carina, tanto, tanto carina.
"Solo a volte. 
Dipende dal tizio con cui ti mettono.
Ieri ero con un venticinquenne che passa la vita in palestra e pesa cento chili di muscoli, mi è andata pure troppo bene con solo due lividi."
"Io non ce la farei mai."
Beh, è ovvio che non ce la farebbe mai, è così piccina, io avrei paura di romperla.
Questo peró non glielo posso dire.
"Che sport fai tu?" Le chiedo infine.
"Nuoto da nove anni! É uno sport meraviglioso, davvero. 
Tu sai nuotare?"
"Sì, ma mi annoia. Dove nuoti?"
"Alle piscine di Albaro."
"Non è tanto lontano dalla mia palestra, ci passo davanti.
Fai le gare?"
"Sì, anche se non mi importa granchè dei risultati e della squadra e della classifica.
Io nuoto perchè mi piace."
"Allora un giorno vengo a vederti."
"Assolutamente no! Mi mette a disagio!"
"Va bene, va bene, stavo scherzando.
Comunque la settimana scorsa ti ho vista disegnare, sei brava.
Io non sono capace."
"Peccato che tu non sia capace, disegnare è proprio bello.
Io disegno tutte le persone e le cose interessanti che vedo."
"E ne vedi tante?"
"Oh, sì! Guarda quella ragazza in piedi vicino all'autista, per esempio.
Ha dei lineamenti bellissimi, particolari, e se non stessi parlando con te probabilmente la starei fissando incantata."
"Io non l'avrei nemmeno vista se tu non me l'avessi fatta notare. È normale, non è così bella."
"Odio l'aggettivo 'normale'. 
Nessuno è normale.
Siamo tutti un po' diversi, chi più chi meno, e tutti potenzialmente interessanti."
"Io sinceramente trovo interessanti poche persone.
Ho sempre l'impressione di essere circondato da una marea di gente uguale."
"Non la guardi abbastanza allora.
Io adoro osservare le persone che incontro, immaginarmi le loro vite, quello che pensano, se stanno bene o stanno male e perchè. 
Tu non lo fai?"
"No. 
Mi sa che lo fai solo tu, eh"
"Puó darsi allora, ma è un peccato, è una cosa bella."
Scendiamo dall'autobus e ci fermiamo davanti al portone della scuola ancora qualche minuto, poi mi ricordo di avere la Versione alle prime due ore.
"Io dovrei salire, ho Greco.
A che ora esci?"
"Alle due. Ci vediamo!"
"Ciao" dico, facendo uno sforzo enorme per salire le scale senza girarmi a guardarla.
E la versione va malissimo.
Ovvio, dovevi studiare, idiota.
Sinceramente al momento non mi interessa, recupereró, voglio soltanto che arrivino le due.

Quando esco la aspetto, riprendiamo il diciotto insieme e chiacchieriamo anche al ritorno.
Prima di scendere si ferma un secondo davanti alle porte che stanno per chiudersi.
"Posso disegnarti un giorno?"
Non mi da' il tempo di risponderle, le porte si chiudono e lei sparisce.


  
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