La
madre delle stronze è sempre incinta (Senza offesa Afrodite)
Becky si
sedette scioccata al suo vero tavolo, accanto a Jace: in un solo giorno
aveva
scoperto che suo padre era un dio, Ade il dio degli Inferi, aveva perso
sua
madre e trovato un fratello. Ne aveva di pensieri per la testa.
“Lo
sapevi…”
mormorò dopo alcuni attimi di riflessioni in cui
ripercorreva la giornata,
lanciando un’occhiataccia al moro a fianco a lei, che non
riuscì a trattenere
un ghigno, mentre tutto il campo continuava a lanciar loro occhiatine
di
soppiatto.
“Lo
sapevo.”
Rispose enigmatico, mentre le ninfe cominciavano a riempire i cibi di
pietanze
gustose e i ragazzi ad abbuffarsi.
“Potevi
dirmelo.” Lo incalzò lei frustrata mentre
perplessa osservava i ragazzi che
cominciavano ad alzarsi per buttare delle pietanze nel braciere che
ardeva al
centro, da cui proveniva un profumo buonissimo.
“Non ne
ero
sicurissimo e preferivo che fosse nostro padre a
svelartelo…La vita dei figli
di Ade non è mai facile: apparteniamo per metà a
questo mondo e metà a quello
dei morti…spesso finiamo per vivere in solitudine. Magari
saresti riuscita a
integrarti…” Le spiegò melanconico
bevendo un sorso di tè al limone, comparso
nel suo bicchiere. Becky lo guardò stupita, iniziando a
comprendere le sue
parole: sapeva cosa significava non appartenere mai a qualcosa di
definito…essere
soli…Scuotendo i capelli scacciò via i suoi
tristi pensieri.
“E come
sei
finito amico del biondo?” chiese lei perplessa, facendolo
scoppiare a ridere.
Erano come la luna e il sole…
“Gray
è
l’esatto opposto di me” rispose lui infatti,
“Ipersociale, figlio del sole,
sempre allegro e circondato da persone…La verità
è che non poteva sopportare
che io stessi da solo: siamo arrivati circa nello stesso periodo al
campo e lui
si è fissato che fosse una cavolata la paura dei figli di
Ade e ha fatto di
tutto per essere mio amico. Riuscendoci, ovviamente. Mentre Chris
è un satiro
nostro amico alle primissime armi che aiutiamo di tanto in
tanto.” Le spiegò
dando un’occhiata all’amico biondo, che di tanto in
tanto lo fulminava per avergli
tenuto nascosta una rivelazione così grande.
Becky li
osservò senza commentare: non aveva mai avuto amici, non
sapeva cosa dire a
parte che…li invidiava.
“Ti
dà
fastidio?” chiese poi di punto in bianco mentre Jace iniziava
ad alzarsi con un
piatto di sugose braciole in mano.
“Cosa?”
le
chiese inclinando la testa e fermandosi per guardarla
dall’alto.
“Avere…”
iniziò la ramata a disagio, “...una
sorella.” Concluse distogliendo lo sguardo,
cosciente che le sue gote si fossero arrossate.
“Non mi
hai
ascoltato?” le chiese lui con un sorriso comprensivo
mettendole una mano sul
capo, “Di solito noi figli di Ade siamo isolati, è
un sollievo avere una
sorella.” Le disse, facendole alzare la testa con gli occhi
sgranati e
luminosi, mentre le labbra si piegavano finalmente in un sorriso
spontaneo.
“Anche
a me
non dispiace.” gli confessò con un risatina
liberatoria e Jace sorrise.
“Ora
alzati
ladruncola, che è ora di fare
l’offerta.” Le disse poi mettendole tra le mani
un piatto con del cibo e facendola alzare in piedi.
“L’offerta?”
chiese lei perplessa alzandosi e osservando il piatto con della pizza
fumante.
“L’offerta
a
nostro padre; il rito prevede che si faccia loro un sacrificio
propiziatorio,
perché è dei suoi fumi che gli dei si
nutrono.” Gli spiegò con chiarezza,
dimenticando le decise idee della sorellina riguardo loro padre.
“No.”
La voce
di Becky risuonò limpida mentre lei si risedeva a braccia
incrociate sulla
panca.
Jace
sospirò.
“È
considerata una mancanza di rispetto Becky, potresti fare una brutta
fine.”
Cercò di persuaderla, mentre alcuni curiosi, tra cui Gray,
cominciavano a
osservare lo strano teatrino.
“Non se
ne
parla neanche che io faccia qualcosa per quel bastardo di mio
padre.” Ringhiò
lei voltandosi dall’altra parte, con gli occhi che le
ardevano.
La terra
tremò.
“Trema
quanto
vuoi, da me non avrai niente.” Sibilò fredda
guardando il terreno con astio.
“Becky
non
sai niente dei motivi per cui hanno spinto nostro padre ad agire
così, evita di
farti ammazzare per cose stupide!” la rimproverò
spazientendosi Jace, cosciente
dei limiti della pazienza del dio della morte.
Becky
continuò a tenere il muso per alcuni altri secondi mentre il
suo cervello
ragionava rapido sulle possibilità di morire davvero, e
infine, mentre
ripensava alle informazioni che sua madre le aveva dato nei suoi
racconti sul
padre, le venne in mente un’idea decisamente più
malefica, facendola sorridere
sadica.
“Va
bene.” Disse
a Jace alzandosi con un sorriso zuccherino in volto, prima di correre a
brancare
una ninfa, con cui parlottò animatamente.
Dei brividi
freddi corsero lungo la schiena del povero giovane mezzosangue,
già conscio che
quel sorriso non significava niente di buono, mentre tutto il campo li
spiava.
Dopo alcuni
secondi la ninfa tornò con una ciotola ripiena di gelatina
rossa e frammenti
solidi beige, che porse gentile alla ramata.
Con passo
baldanzoso la ragazza si avvicinò al braciere e la
versò tutta dentro, con un
sorriso sadico e soddisfatto.
“Grazie
tante, papà!” commentò con tono acido e
ricevendo una scossa di terremoto in
risposta, prima di tornare al suo tavolo praticamente saltellando per
la soddisfazione.
Intanto Gray
si era avvicinato a Jace, che l’aveva seguita al braciere
esasperato, e lo
guardava perplesso.
“Che ha
fatto
per avere quella faccia?” gli chiese guardando
l’amico che sospirava a metà tra
il divertito e il disperato, lanciando nel fuoco una braciola.
“Ha
offerto
un’intera ciotola di marmellata di fragole e
cereali,” gli rispose guardando
prima lui e poi Becky rassegnato ma con un sorrisino in volto,
“Nostro padre
odia più di qualsiasi altra cosa le fragole e i cereali per
colpa della suocera
Demetra, ne è quasi allergico.”
La risata di
Gray risuonò spensierata in tutto campo.
La mattina
dopo Becky dormiva pacifica avvolta nel lenzuolo del suo letto nella
Casa di
Ade, la tredicesima casa, con pareti di ossidiana massiccia, un teschio
sulla
porta e torce che ardevano di fuoco verde, il letto suo vicino alla
finestra e
che prima era di Jace, ma si era lamentata talmente tanto che alla fine
glielo
aveva ceduto; lo zainetto appeso alla testiera e la sua
“Scatola dei Tesori”
nascosta sotto alcune assi del pavimento. Le piaceva quel posto.
“Svegliati
ladruncola! E’ ora di colazione e dopo abbiamo alcune
lezioni!” la voce di Jace
interruppe il suo sonnecchiare idilliaco, ma lei si girò
caparbia dall’altro
lato.
“No.”
Mugugnò
tirandosi la coperta sopra le orecchie.
“Anche
se
siamo in due, sono il Capo casa; quindi vedi di alzarti e
prepararti.” Le disse
severo incrociando le braccia, già vestito di tutto punto
nei suoi jeans e
magliette nera con teschio bianco.
“Portami
la
colazione quando torni.” gli rispose lei soltanto per poi
tornare nel beato
mondo dei sogni.
Jace
alzò un
sopracciglio scioccato e al contempo divertito: perché mai
faceva così? L’aveva
vista con la madre, non era davvero così fredda e
indifferente, e data la
condizione in cui vivevano e quello che poteva indovinare della sua
vita, non
doveva neanche essere viziata per davvero…eppure persisteva
nella recita. Era
curioso di vedere se…
“Come
vuoi.”
Si arrese uscendo dalla casa a passo lento e già Becky si
stava crogiolando
soddisfatta, quando un urlo di dolore squarciò il silenzio
della camera,
facendola balzare in piedi.
“JACE!”
chiamò balzando giù dal letto e afferrando la
lampada da comodino come arma,
per poi lanciarsi fuori dalla porta, pronta a tutto,
e…trovare Jace
placidamente appoggiato a braccia incrociate alle colonne nere del
portico.
“Che
cosa…?”
chiese lei stralunata con i capelli a balla di fieno, addosso un
pigiama nero
con un gattino bianco sulla maglietta e in mano la sua arma
improvvisata.
“Ben
alzata
Becky! Ti vesti o vieni così?” le chiese serafico
Jace drizzandosi e
stiracchiandosi.
“Tu!”
lo
apostrofò quella fulminandolo e minacciandolo con la
lampada, “Sei terribile!”
gli sibilò furibonda prima di rientrare in casa a passo di
marcia e sbattendo
contro ogni cosa osasse intralciare il suo cammino.
Jace scosse
la testa mentre il sorriso si trasformava in una smorfia preoccupata.
Dieci minuti
dopo procedevano verso la mensa, entrambi affamati e Becky inviperita;
non
appena entrarono nel padiglione si levò un alto mormorio,
che lei ignorò scocciata,
e, dopo aver gettato malefica altra marmellata e cereali nel braciere,
iniziò a
fare a brandelli delle croccanti brioche e a puciare biscotti con gocce
di
cioccolato nel suo amato thè come una furia.
E avrebbe
continuato a martoriare la sua colazione se non fosse intervenuto
Chirone a
chiamarla gentilmente; Becky alzò la testa con sguardo
omicida, ma di fronte al
sorriso paterno del centauro non poté non sospirare e
accennare un sorriso.
“Buongiorno
Chirone.” lo salutò con un cenno della testa.
“Buongiorno
Becky, sono venuto a portarti un dono da tuo padre.” le disse
con tono calmo e
osservando le reazioni della ragazza, che si alternavano fra stupore,
desiderio
e rabbia.
“Cosa?”
chiese infine con curiosità e diffidenza, smettendo di
ingozzarsi di biscotti,
e Chirone, sotto lo sguardo attento di Jace, poggiò con
delicatezza sul tavolo
un paio di orecchini neri a goccia, come il ciondolo della sua collana;
lo
sguardo di Becky si indurì ancora di più e rimase
ferma per alcuni attimi, la
mente che lavorava a velocità folle. Poi li prese e li
indossò. Jace e Chirone
si scambiarono un’occhiata perplessa e stupita, che lei
intercettò.
“Se
posso
sfruttarlo, lo farò senza rimpianti.”
Spiegò lei con un sogghigno prima di
andare a rovesciare altra marmellata di fragole e creali nel braciere.
Tornata
al tavolo trovò solo il fratello ad attenderla, che fece un
cenno agli
orecchini che indossava.
“Concentrati
sulla tua forza latente e sfiorali.” le suggerì
curioso di sapere che arma
fosse destinata alla sorella e lei eseguì perplessa; non
appena le sue dita li sfiorarono
sentì un forte freddo invaderla e gli orecchini si fusero
nelle sue mani per poi
condensarsi nuovamente in due corte daghe completamente nere e arcuate,
con due
gocce sull’elsa.
“Ferro
dello
Stige, ha le stesse capacità di uccidere un mostro del
bronzo celeste, che è il
materiale ad esempio del bracciale di Gray.” le
spiegò mentre lei se le
rigirava ammirata fra le mani, saggiandone la leggerezza e
sinuosità; bastò
sfiorare la lama con un dito perché si disegnasse una
sottile striscia di
sangue sul suo indice.
“Straordinarie…”
mormorò con gli occhi che luccicavano, ritrasformandoli in
orecchini con un
solo pensiero, “Andiamo ad allenarci!” impose
entusiasta afferrandolo per un
braccio e strappandolo dal tavolo con ancora un pezzo di brioche in
bocca, ma
Jace si risedette e sorrise sornione.
“Hai
bisogno
di imparare da un esperto di combattimento a corpo a corpo con doppia
lama, non
da me.” Le disse sogghignando e pulendosi le labbra con un
tovagliolo. “È una
fortuna che io sia amico del migliore al campo…”
alluse guardandola divertito,
mentre lei sbiancava.
“Tutti
ma non
lui!” gemette incredula della propria sfortuna.
Jace
scoppiò
a ridere.
“Gray
Lux,
figlio di Apollo.”
Becky cadde
ansimante nella polvere per l’ennesima volta, la fronte che
gocciolava di
sudore.
“Forza
ladruncola, di nuovo.”
Tre ore.
Tre
maledettissime e interminabili ore a combattere senza sosta con Gray. E
lei
finiva sempre a terra.
Non ne poteva
più.
“No.”
Il
rifiuto di Becky venne sottolineato dal suo permanere sdraiata a terra,
con un
broncio sfinito e un po’ infantile in volto; era umiliante
essere continuamente
battuta, nonostante sapesse che era ovvio dato che lei era alle prime
armi e
che era solo allenamento.
Si aspettava
come minimo che Gray iniziasse a prenderla in giro o che la alzasse con
la
forza, invece vide solo spuntare una mano nel suo campo visivo oscurato
dai
capelli ramati scarmigliati.
“Facciamo
un
minuto di pausa ladruncola, se eri stanca bastava chiedere.”
Le disse con un
sorriso divertito prima di prenderle delicatamente la mano e aiutarla
ad
alzarsi, mentre le guance le andavano in fiamme e lo guardava ad occhi
sgranati. Ieri non aveva notato come la mano di Gray fosse
così grande rispetto
alla sua…
Il biondo la
trascinò per mano a sedere al lato dell’arena
senza alcun’imbarazzo e le porse
una bottiglietta d’acqua fresca, che lei, distogliendo lo
sguardo imbarazzata,
accolse con un grazie a malapena udibile, facendolo ridacchiare.
“GRAAAAAAYYYYY”
Delle urla dal tono mieloso ed estremamente acute perforarono il
timpano di
Becky, che si girò scocciata per veder arrivare sugli spalti
dell’arena cinque
o sei figlie di Afrodite; le riconobbe subito come quelle che Jace le
aveva
indicato come le VIP (Vipere Inacidite Primedonne) della loro casa:
bellissime,
affamate di uomini e spezza cuori.
Gray le
salutò tranquillo con un cenno della mano, per poi
avvicinarsi a loro spinto
dai continui richiami languidi delle barbie, sotto lo sguardo piccato
della
ramata; Gray stava insegnando a lei, cosa andava a fare con quelle?! Lo
sapeva
che era un maniaco seduttore…
Per pura
ripicca, si alzò e lo seguì, stampandosi in volto
il miglior sorriso innocente
e cordiale che aveva; non l’avrebbero avuta vinta.
Né lui, né loro.
“Ciao
ragazze!” le salutò con la voce limpida e leggera,
mentre quelle la guardavano
con lo stesso affetto con cui una casalinga osserva uno scarafaggio che
zampetta allegro sul ripiano della cucina.
“Ciao
Black…”
la salutarono nascondendo la loro irritazione dietro false moine e
sorrisi a
trentadue denti, incredule che la loro preda più ambita si
stesse allenando con
una come lei.
Gray
osservò
quel teatrino con un brivido freddo lungo la schiena: le ragazze quando
facevano così lo spaventavano a morte, pronte a saltarsi
alla gola alla prima
parola sbagliata nonostante i sorrisi e le moine.
“Vi
spiace se
vi rubo Gray?” chiese loro aggrappandosi con fare noncurante
al manica della
felpa del ragazzo, che la guardò scioccato, “Ma
sono appena arrivata ed è
l’unico che può aiutarmi a imparare ad usare
queste armi!” continuò sfoggiando
un’espressione da cucciolo ferito che avrebbe addolcito i
morti.
“Certo,
nessun problema.” rispose la ragazza al centro, formosa e dai
capelli neri e
boccolosi, Cecil, la Capo Casa, “Lo aspettiamo
fuori…” aggiunse con un
sorrisetto prima di incamminarsi fuori dall’arena con passo
sinuoso, seguita da
tutte le altre; solo una ragazzina che sembrava avere la sua
età, dalla
bellezza fresca e innocente, che la ramata etichettò subito
come non
appartenente al gruppo ma come vittima, la guardò per un
attimo imbarazzata,
come se volesse dirle qualcosa, ma poi scappò dietro le
altre.
Becky le
seguì con lo sguardo fino a che non scomparirono, poi
lasciò di botto Gray
riacquistando un’espressione irritata e disgustata.
“Stupide
oche!” borbottò, “Tutte lì
come delle gatte morte…” continuò senza
degnare di
uno sguardo il biondo, che invano cercava di seguire la sua logica:
possibile
che fosse gelosa? Si chiese con un sorrisetto malizioso.
“Ti
muovi?”
gli chiese poi Becky rievocando le due daghe e portandosi al centro
dell’arena,
uno sguardo determinato in volto.
“Certo
ladruncola,
arrivo.” Le rispose divertito evocando le sue, pronto a
riprendere
l’allenamento.
Becky era
stata entusiasta quando a pranzo Jace le aveva detto che nel pomeriggio
l’avrebbe aiutata a sviluppare i suoi poteri riguardo il
controllo dei morti, il
passaggio nell’ombra e varie cose interessanti da dio della
morte. Lo aveva
praticamente soffocato in un abbraccio dalla gioia, soprattutto
perché dopo la
mattinata passata tra estenuanti combattimenti con Gray e confusionarie
riflessioni per capire se stessa, dato che non si perdonava di aver
perso la
pazienza perché delle oche flirtavano con Gray,
l’idea di passare del tempo con
Jace era davvero rilassante oltre che emozionante; la novità
di avere un
fratello che fin da subito si era preso cura di lei, spazzando via la
sua
diffidenza con pochi gesti, era estremamente piacevole e voleva
approfondire il
legame, nella speranza di non rimanere delusa, mentre il suo cuore
gioiva come
quello di una bambina.
Ovviamente
non avrebbe mai potuto prevedere che appena si fosse sparsa la voce che
i due
figli di Ade si sarebbero allenati, metà campo si sarebbe
presentato
nell’arena, lasciata vuota appositamente per loro due, cosa
che rendeva il
tutto più imbarazzante.
“Allora,”
iniziò Jace ignorando completamente il pubblico, abituato ad
essere una specie
d’attrazione a metà tra l’intrigante e
il temibile, “Iniziamo?” le chiese
continuando a tenere le mani nei jeans neri, a giocherellare con il
coltellino
svizzero.
“Si.”
rispose
lei ridotta a un fascio di nervi: lei voleva passare un po’
di tempo con Jace!
Non essere il fenomeno di baraccone di un campo di impiccioni!
Maledetti, li
avrebbe presi tutti a calci.
“Allora
inizia coll’ascoltare...immagino che le senta anche
tu.” Le spiegò lui con un
sorriso amaro, mentre vedeva gli occhi di Becky riempirsi di disagio e
imbarazzo.
“No,
non le
sento più. Non sento niente. Sono guarita.”
Rispose agitata guardando per terra
e strisciando avanti e indietro il piede per
l’iperattività: possibile che
fossero tutti così curiosi da far cadere quel silenzio
innaturale?!
“In che
senso?” le chiese Jace curioso, sollevando un sopracciglio.
“Ho
smesso di
sentirle in prima superiore, quando in un momento particolarmente
caotico ho
urlato loro si stare zitte…” spiegò in
un mormorio la ragazza, sotto gli occhi
neri di Jace, stupito; era riuscita a zittirle? Doveva aver
già sviluppato
inconsciamente i suoi poteri, almeno nelle basi…
“Non
sei
pazza, sono le voci dei morti quelle che sentivi” le
spiegò con calma nel
tentativo di rassicurarla, “Ora devi permettere loro di
parlarti di nuovo per
evocarli.” Le spiegò avvicinandosi a lei e
mettendole una mano sulla spalla;
per un attimo lei lo guardò spaventata, poi un mormorio
dagli spalti le ricordò
che era in pubblico e si allontanò con espressione spavalda.
“Okay.”
Rispose prima di chiudere gli occhi e concentrarsi. Andava tutto bene,
Jace
aveva detto che era normale; non doveva aver paura, altrimenti si
sarebbe
ridicolizzata di fronte a tutto il campo.
Per alcuni
attimi temette che non sarebbero tornate, ma poi, come lo sciabordio
delle onde
che si infrangono sul bagnasciuga, nella sua testa cominciò
a scrosciare un
mormorio di voci, tutte diverse, di bambini, vecchi, donne, uomini;
tutti che
chiedevano cose diverse, piangevano, si lamentavano, la chiamavano.
Istintivamente si mise le mani sulle orecchie e strizzò gli
occhi, ma un
campanello nella sua mente le ricordò il suo scopo e
tremante prese fiato.
“Venite.”
Una
parole, detta con decisione, sgorgata grazie a
quell’improvviso sorgere in lei
del fuoco nero e freddo che aveva provato la sera prima, e la terra
iniziò a
tremare; poi si aprì in profonde spaccature e da esse si
riversarono fuori
schiere di spettri senza ordine, di ogni tipo ed epoca, perfino bambini.
Lei li
guardò
sciamare incredula, non sapendo bene cosa fare, mentre tra gli spalti i
ragazzi
cominciavano a essere inquieti e ad agitarsi sul posto.
“Fermi.”
la
voce fredda di Jace intervenne e ogni spirito si fermò
all’istante, continuando
a mormorare, in attesa.
“Okay
Becky,
fin qui sei stata brava.” si complimentò il
ragazzo con la sorella, facendola
sorridere e convincendosi della sua deduzione precedente, “Ma
devi imparare a
non lasciarti sopraffare, altrimenti approfitteranno di te per scappare
dagli
Inferi; devi richiamare solo quelli di cui hai bisogno per combattere e
congedarli subito dopo.” Aggiunse però prima di
fare un cenno della mano, di
fronte a cui tutti gli spettri ritornarono da dov’erano
venuti.
Becky
annuì
concentrata, iniziando a dimenticarsi del pubblico, poi chiuse
nuovamente gli
occhi pensando a chi volesse evocare.
“Ascoltale,
distinguile.” Le suggerì abbassando ancora la voce
Jace, “Sono morti, non ti
faranno niente…sono ai tuoi ordini.”
E lei
iniziò
ad ascoltare…sentì il pianto di una madre morta
prematura per non aver
conosciuto suo figlio, sentì i lamenti di un anziano morto
abbandonando la
moglie in vita, i vagiti di un neonato morto in fasce, il pianto di un
uomo
morto in guerra…
Le lacrime
iniziarono a scenderle lungo le guance, ma non si fermò e
continuò a cercare,
si stava avvicinando. Doveva scavare più a fondo,
più indietro.
L’ultimo
urlo
di un generale francese colpito da una baionetta, la dichiarazione
d’amore mai
pronunciata di un pirata inglese, le invettive rabbiose di un rivoltoso
tedesco, le preghiere pagane dei barbari Galli…ed eccole, le
parole
d’incoraggiamento di un generale greco, il lamento di un
oplita morto senza
onore, la rabbia di un ateniese ucciso dai persiani…
“Presentatevi
al mio cospetto.” Comandò con lo stesso tono
freddo che aveva usato Jace poco
prima.
Dalle
spaccature del terreno cominciarono a uscire nuovamente i morti, in
forma di
scheletri e spettri, ma stavolta erano distinguibili le armi e le
armature
greche, gli scudi spartani, i pennacchi ateniesi…
Becky stava
nuovamente per lasciarsi prendere dallo stupore e lasciarli vagare, ma
poi si
ricordò delle parole del fratello: era lei a comandare.
Eppure i fantasmi non
sembravano intenzionati ad ascoltarla, troppo rabbiosi, troppo presi da
se
stessi…
Con decisione
prese un bel respiro, cancellò ogni traccia di lacrime dalle
sue guance e sfiorò
un orecchino, trasformandolo subito in daga che allungò
orizzontalmente davanti
a sè, come un segno.
“Sono
Rebecca
Black, figlia di Ade e vostra signora.” Pronunciò
ostentando una sicurezza che
non aveva, nella speranza non si notasse il tremolio della mano
nascosta nella
felpa; i morti, alle sue parole, dapprima sciamarono ancora
più furiosi, ma
dopo continue occhiate alla sua spada iniziarono ad ammutolire e a
inginocchiarsi al suo cospetto.
Non rise
soddisfatta solo per cercare di mantenere quell’aria potente
e temibile di cui
si era circondata, aveva pur sempre una dignità.
“Ora
potete
andare, siete congedati.” Aggiunse infine abbassando la spada
mentre il fuoco
nero cominciava a spegnersi dentro di lei e i morti tornavano da dove
erano
venuti.
Non appena
l’ultimo soldato ridiscese agli Inferi, Becky cadde in
ginocchio, sfinita e con
il respiro affannato.
“Complimenti
Becky!” le disse sinceramente stupito Jace, affrettandosi a
metterle un braccio
intorno alle spalle per aiutarla a rimettersi in piedi, “Ti
sei guadagnata il
loro riconoscimento, ti serviranno con onore.” La
rassicurò facendola sorridere
soddisfatta.
“Grazie
Jace.” gli disse sincera, contagiandolo con la sua
felicità e facendogli
nascere anche a lui un sorriso sul volto.
“Ottima
scelta ladruncola!” la voce di Gray, che dopo esser sceso
nell’arena con un
salto li stava raggiungendo a passo svelto, la distrasse dal fratello,
“Jace
nella sua evocazione aveva scelto i soldati francesi della Prima Guerra
Mondiale, ma penso che i tuoi greci abbiano riscosso più
successo.” Commentò
divertito, mentre per la prima volta lei si accorgeva che da quando li
aveva
congedati, tutto il campo aveva innalzato applausi e fischi
d’apprezzamento, creando
un caos incredibile; era stata così presa dai
morti…i figli di Ade: più coi
morti che coi vivi, ricordò a se stessa amara.
“I miei
soldati erano eccezionali!” replicò Jace
guardandolo storto ma non riuscendo a
non ridere, “Avevo sempre desiderato vedere le baionette
francesi…” aggiunse
con tono nostalgico, facendo ridere Becky.
“Jace!”
la
voce di Chirone richiamò l’attenzione del figlio
di Ade che, a un cenno del
centauro si scusò con i suoi amici e chiese a Gray di
aiutare la sorella, prima
di andargli incontro.
“Ce la
fai a
camminare?” le chiese Gray osservando divertito come,
lasciata da Jace, si
fosse istintivamente appoggiata a lui.
“Certo!”
rispose lei arrossendo e staccandosi, ma le gambe erano della stessa
consistenza di una gelatina e non volevano collaborare.
“Come
no!”
scoppiò a ridere il biondo prendendola al volo per poi,
prima che potesse
protestare, sollevarla tra le braccia, stile principessa.
“Se hai
bisogno puoi chiedere.” le ricordò con leggero
rimprovero prima di iniziare a
camminare senza sforzo alla ricerca di qualche cubetto di ambrosia,
mentre
Becky, con la faccia che si mimetizzava tra i capelli, si cercava di
fare il
più piccola possibile. In seguito le sarebbero venute in
mente un sacco di
risposte sarcastiche e scorbutiche, ma in quel momento pensava solo che
avrebbe
potuto farsi portare più spesso così.
Passò
una
settimana tranquilla, divisa fra lezioni con Jace e Gray, oltre che con
Chirone
di tanto in tanto, mentre Becky si ambientava sempre di più
al campo,
nonostante fosse difficile per lei integrarsi, come le aveva
preannunciato
Jace; ma non le interessava, dopotutto era finita in sole sei risse da
cui Gray
e Jace l’avevano dovuto portare via di peso prima che
distruggesse gli
assalitori: era più di quanto avesse mai avuto, si divertiva
profondamente e
per la prima volta sentiva il cuore continuamente scaldato e non freddo
come la
morte.
Poteva dire
di essere felice, pensò mentre trotterellava fischiettando
una canzone degli
Skillet, diretta verso il bagno femminile.
Stava
già per
girare l’angolo della casetta, quando sentì delle
voci discutere animatamente e
istintivamente si fermò ad ascoltare, sospettosa; subito
riconobbe la voce
Cecil e delle altre VIP di Afrodite, che stavano evidentemente
maltrattando
qualcuno, e si sporse per dare un’occhiata: al centro del
gruppo delle VIP,
tutte sui loro tacchi alti e con le minigonne imbarazzanti, stava la
piccola
ragazza della loro casa che aveva visto il giorno del primo allenamento
con
Gray, gli occhi lucidi e il corpo avvolto in un vestitino bianco
tremante
mentre stringeva tra le mani qualcosa.
“E
quindi
vorresti farci credere che quello te lo ha mandato tuo
padre?” chiese Cecil con
voce mielosa e pericolosa al tempo stesso, attorcigliando una ciocca di
capelli
neri intorno al dito affusolato dall’unghia perfettamente
smaltata e laccata,
“Povera stupida! Come se a qualcuno potrebbe fregare qualcosa
di te…” le disse
fingendo pietà per lei prima di spingerla a terra. Becky si
impose di rimanere
ferma.
“Lo
avrai
rubato a una di noi! Dalla nostra posta!” intervenne una
prosperosa ragazza dai
capelli color del fuoco.
“È
mio!”
balbettò la ragazza senza neanche provare a rialzarsi, i
capelli di un dolce
castano miele che le cadevano lisci sulle spalle a contrasto coi grandi
occhi
ambra, dandogli un’aria ancora più indifesa,
“Me lo ha mandato mio padre come
regalo di compleanno…” mormorò
portandoselo al petto con timore.
“Stupidaggini!”
ringhiò una mora pesantemente truccata prima di prenderla
per i capelli e
sollevarla da terra.
“Tutti
lo sanno
che tuo padre a malapena sa della tua esistenza!” le
sibilò sorridendo Cecil,
prima di approfittare del dolore subito dalla ragazza per strapparle di
mano
una piccola boccetta di profumo, a forma di rosa rossa. Becky dovette
fare
ricorso a tutte le sue forze per rimanere ferma: se fosse intervenuta
ora, si
sarebbero vendicate il doppio mentre lei non c’era; doveva
adottare una
strategia più sottile.
“Ridammelo
Cecil!” urlò la ragazzina, un lampo di rabbia e
decisione negli occhi, tendendo
le mani per riprendersi il suo tesoro. Che creature spregevoli.
“Zitta!”
le
ringhiò l’ultima delle bulle, una bionda tutta
tette, prendendo un calice,
evidentemente preparato per l’occasione, di coca cola e
rovesciandoglielo
addosso.
Poi la mora
la lasciò cadere a terra e il gruppo se ne andò
sghignazzando.
A quel punto
Becky uscì e corse a inginocchiarsi accanto alla ragazza,
che piangeva seduta a
terra.
“Ehi,
tutto
bene?” le chiese preoccupata, ma quella appena la riconobbe
sbiancò e cercò di
rialzarsi.
“Tutto
bene, sono
solo inciampata e mi sono rovesciata la coca cola
addosso…” si giustificò
barcollando e cercando di scappare, ma Becky le mise un braccio dietro
la
schiena e l’aiutò a stare in piedi.
“Ho
visto
tutto.” Le disse trattenendo a stento il furore,
“Scusa se non sono intervenuta
ma pensavo che avrei peggiorato le cose.” Si scusò
mortificata con un piccolo
sorriso, mentre quella arrossiva imbarazzata e abbassava lo sguardo.
“Patetica
eh?” chiese amara con un sorriso che non aveva nulla di tale.
“Per
niente!”
ringhiò con grinta Becky, facendola a sobbalzare,
“Sono quelle stronze ad
essere patetiche! Ma non preoccuparti, adesso vieni da me a sistemarti
e poi
pensiamo a una bella vendetta!” le disse con un sorriso
convinto e gli occhi
bicolori che ardevano.
“Cosa?”
le
chiese quella confusa mentre Becky, assicuratasi che stesse in piedi,
la
trascinava per mano verso la sua casa, “No, no! Non voglio
trascinarti in
questa cosa, sono delle nemiche terribili e a malapena mi conosci, non
hai
motivo di farlo!” cercò di fermarla, guardandola
con gli occhi simili a quelli
di un panda, il trucco leggero tutto sbavato.
Becky si
fermò perplessa e la ragazza sorrise leggermente mesta,
pensando che avesse
capito, invece la ramata le tese una mano.
“Giusto,
non
mi sono presentata! Rebecca Black, piacere di conoscerti, e non ti
preoccupare,
non saranno certo quattro oche del genere a fermarmi, sono pur sempre
figlia di
Ade. Non permetterò che tu rimanga loro vittima.”
Le disse con sogghigno
felino.
La ragazza
sgranò gli occhi e per poco non si mise a piangere dalla
gioia.
“Lily
Fleur,
della Casa di Afrodite!” si presentò stringendole
la mano e Becky, sorridendo,
riprese a trascinarla; quando arrivarono alla Casa di Ade, Lily venne
presa dal
timore di non poter entrare, ma Becky la tranquillizzò con
un gesto di mano.
“Hai il
mio
permesso!” le spiegò trascinandola dentro,
“Stai tranquilla, Jace non c’è, ma
anche se arrivasse non ci sarebbero problemi; è
fantastico!” le spiegò ridendo
orgogliosa di lui, mentre la ragazza si guardava intorno curiosa; poi
la ramata
la spinse nel piccolo bagno personale e le lanciò dentro dei
suoi vestiti.
“Non so
se ti
vanno bene, sei più alta e magra di me, ma è
meglio di niente.” Si scusò
imbarazzata che avesse solo vestiti da maschiaccio, ma Lily li prese
con
gratitudine e le sorrise.
“Grazie
Becky” la ringraziò stringendoseli al petto.
“Di
niente!”
rispose quella arrossendo, poi le venne in mente qualcosa e
sogghignò scaltra,
“Io esco un attimo a sistemare le cose, torno tra dieci
minuti; se senti qualcuno
entrare o sono io o è Jace, non preoccuparti!” le
disse prima di spingerla in
bagno mentre lei balbettava qualcosa.
Con un
sorriso sadico uscì dalla casa…era ora di farla
pagare a qualche stronza.
Poi, chiuse
gli occhi ed entrò nell’ombra.
Quando,
titubante,
Lily uscì dal bagno, trovò ad aspettarla Becky,
seduta sul suo letto a gambe
incrociate e circondata di oggetti di ogni tipo.
“Pensavo
fosse Jace…” mormorò con un sospiro di
sollievo e ridacchiando, “Già stavo
pensando a come spiegargli la mia presenza qui! Scusami per la crisi
isterica
di prima.” ammise con le gote arrossate, andando a sedersi
accanto a lei.
“Stai
tranquilla!” la rassicurò Becky osservandola
ammirata, perfino nei suoi vestiti
rimaneva bellissima; i capelli lisci e folti, gli occhi brillanti, il
fisico
sinuoso ed etereo…I suoi capelli quando usciva dalla doccia
sembravano un gatto
dopo esser stato infilato in un’asciugatrice.
“Cosa
sono
questi?” chiese sedendosi a gambe incrociate di fronte alla
ramata e osservando
quel mucchio di oggetti: rossetti, lucidalabbra, mascara, creme per il
corpo,
balsami…
“La
nostra
vendetta!” spiegò compiaciuta Becky mentre Lily
sgranava gli occhi innocenti.
“Non
saranno…?” chiese incredula.
“Esattamente!
Occhio per occhio, dente per dente: sono alcuni dei loro trucchi
più preziosi.”
Continuò rigirandosi tra le mani con sguardo rapito quei
prodotti dai costi
mostruosi.
“Come
hai
fatto?” le chiese sbalordita mentre iniziava a ridere
incredula.
“Jace
mi ha
insegnato a passare nell’ombra: stancante, ma ne vale la
pena.” Rispose lei
mentre Lily osservava preoccupata che effettivamente era un
po’ pallida.
“Ma il
meglio
deve ancora venire!” riprese a parlare Becky con fare
misterioso prima di
infilarsi una mano in tasca, “Ta-daaan!”
urlò estraendo il profumo a forma di
rosa, mentre Lily si copriva con una mano la bocca, scioccata.
“L’hai
ripreso…”
mormorò guardandola con gli occhi che si inumidivano.
“Certo!
Era
in nascondiglio proprio idiota…fortuna che non brillano per
intelligenza!” ribatté
Becky orgogliosa prima che Lily le gettasse le braccia al collo.
“Grazie,
grazie, grazie!” iniziò a ripetere stringendola
con affetto, “Sei un’amica
fantastica!” le uscì di getto con voce
cristallina. Becky spalancò gli occhi
stupita e Lily, staccandosi e vedendo il suo sguardo, rise imbarazzata.
“Cioè…se
anche tu vuoi essere mia amica…non sei
obbligata…io…” iniziò a
balbettare
imbarazzata e sentendosi stupida per essersi entusiasmata subito per
così poco!
Probabilmente l’aveva fatto solo perché era buona,
dopotutto era una figlia di
Ade e non aveva bisogno di una debole figlia di Afrodite…
“Si!”
rispose
Becky di getto arrossendo, “Certo che voglio essere tua
amica!” ripete
abbracciandola di slancio, tanto che caddero supine sul letto, per poi
iniziare
a ridere senza sosta per l’assurdità e la gioia
del momento.
“Sei la
mia
prima amica…” ammise Becky guardando il soffitto
dopo qualche minuto, sdraiata
accanto a Lily, evidentemente a disagio.
“Anche
tu per
me.” Replicò la castana con un sorriso,
“Mio padre è un importante avvocato, ho
sempre vissuto chiusa nel suo attico a Manhattan, seguita da insegnanti
privati
e stupide guardie del corpo. Mi ha odiato per molto, molto
tempo…ma da quando
sono al campo ha detto di sentire la mia mancanza e stiamo
riallacciando i
rapporti, per questo quel profumo è un regalo
importante.” Le spiegò sorridendo
malinconica, mentre Becky la guardava incerta e ammirata: quella
ragazza si
stava aprendo sinceramente con lei, eppure lei non aveva il coraggio di
fare lo
stesso. Neanche a Jace aveva mai detto niente, né gli aveva
chiesto di lui…era
come un argomento taboo.
“Io...”
iniziò
insicura e accigliata, ma Lily la guardò allarmata.
“Non
preoccuparti Becky! Siamo amiche, non ti devi forzare a dire qualcosa
se non te
la senti; l’importante è che siamo sincere
l’una con l’altra, perché solo se
è
sincero un rapporto può resistere…” la
rassicurò prendendole una mano tra le
sue e guardandola seria, mentre la ramata annuiva grata. Si ripromise
di dirle
tutta la verità presto.
“Posso
chiederti un favore?” aggiunse poi, titubante, ma
all’assenso di Becky riprese
a parlare, “Mi puoi promettere che non dirai a nessuno di
oggi? Se qualcuno
provasse a intervenire direttamente ho paura che le cose
peggiorerebbero…”
ammise leggermente spaventata, ma Becky annuì seria.
“Non lo
dirò
a nessuno, te lo prometto! Ma ti prometto anche che da ora e in poi non
permetterò a nessuna di maltrattarti.”
Giurò con sguardo serio e un sorriso
spontaneo.
“A
proposito…” riiniziò a parlare poi Lily
tirandosi a sedere, “Cosa ne facciamo
di questi? Inoltre non posso portare il profumo indietro con me o me lo
riprenderanno ancora, oltre che a maltrattarmi.”
Realizzò dispiaciuta, ma Becky
si alzò con un sorrisetto sul volto.
“Ci
penso
io!” le disse alzandosi e raggiungendo il fondo del letto,
per poi
inginocchiarsi sul pavimento e con delicatezza sollevare le assi; sotto
lo
sguardo incuriosito di Lily ne estrasse un grosso cofanetto in ebano a
tre
piani, intarsiato in argento, e lo mise su letto.
“Il mio
cofanetto segreto dei tesori!” spiegò con evidente
orgoglio e gli occhi che le
brillavano.
“E
posso
vederlo?” le chiese intimidita Lily, ammirandone la bellezza
e sentendosi
sciogliere per l’importante confidenza.
“Certo!”
annuì Becky, felice di poter condividere qualcosa con lei e
aprì il coperchio
in alto: dentro vi era ogni sorta di piccolo accessorio: mollette,
fermacapelli, pettini, anelli, collane, profumi, bracciali,
orecchini…e anche
negli altri cassetti si trovava riposto in ordine un assortimento di
piccoli tesori,
tutti belli e preziosi, brillanti e tenuti con cura.
“Sono
magnifici…” mormorò Lily guardandoli
estasiata, senza osare toccarli.
“Davvero
ti
piacciono?” gli chiese leggermente agitata Becky e la ragazza
annuì.
“E se
te lo
dice una figlia di Afrodite, ci puoi credere!” aggiunse
ridacchiando e
contagiandola.
“Gli
oggetti
li metterò sotto le assi mentre il tuo profumo lo terremo
qui! Così potrai
venire a riprenderlo ogni volta che vuoi, ma nessuno te lo
porterà via!” spiegò
deponendo con cura la boccetta nel ripiano in alto.
“Grazie
mille, sei fantastica!” la ringraziò sincera Lily,
con il cuore colmo di
felicità, “Ora però devo scappare, che
tra poco abbiamo la cena e devo cenare
con le mie compagne.” Si congedò con una smorfia
prima di abbracciarla.
“Dopo
cena ti
riporto i vestiti!” aggiunse prima di correre via, mentre
Becky la salutava con
la mano tutta contenta.
Aveva appena
finito di nascondere il tutto canticchiando quando Jace e Gray
entrarono nella
casa per accompagnarla a cena, stanchi e sudati per un allenamento
intenso tra
i due. Non si può descrivere la loro faccia alla vista di
Becky che, sorridendo
come mai, gli gettava ad entrambi le braccia la collo con gioia.
“Ho
un’amica
Jace! Ho un’amica!” iniziò a urlare poi,
staccandosi e guardando il fratello
pieno di aspettativa, come una bambina in cerca di approvazione.
Gray avrebbe
voluto davvero tanto punzecchiarla, ma la sua faccia così
genuinamente contenta
e l’abbraccio appena ricevuto glielo impedirono. O forse fu
la discreta
gomitata di Jace nelle costole.
“È
fantastico, Becky!” le rispose infatti il moro
scompigliandole i capelli.
“Chi
è?”
chiese invece curioso e sorridente Gray.
“Lily
Fleur,
della Casa di Afrodite! È una ragazza fantastica, niente a
che fare con quelle
idiote delle sorelle!” iniziò a elogiarla
evidentemente orgogliosa.
I due
sembrarono pensarci un attimo ma poi annuirono.
“Quella
molto
carina ma timida, che segue sempre le VIP?” chiese il biondo
cercando di
richiamare alla memoria qualcosa su di lei, mentre Becky annuiva
energica.
“E come
vi
siete conosciute?” le chiese Jace e Becky si trattenne a
stento dal
raccontargli tutto, infrangendo la promessa, ma memore anche delle
parole
sull’onestà di Lily decise di non mentire.
“Segreto!”
si
limitò a dire ridacchiando, poi li superò
correndo fuori dalla casa e arrivata
sulla stradina si voltò a guardarli con aria di sfida.
“Ancora
lì?
Chi arriva per ultimo domani mi cede la sua brioche!”
urlò scattando a correre,
mentre i due, pensando che le ragazze erano davvero delle creature
complicate,
le correvano dietro. Una brioche era pur sempre una brioche.
Per le tre
settimane successive Becky pensò di essere la persona
più felice del mondo: il
rapporto con Jace diventava sempre più stretto, lei e Fleur
passavano un sacco
di tempo insieme a divertirsi, evitando anche così che le
VIP la
maltrattassero, ed era sempre più vicina a Gray, cosa che la
confondeva e le
faceva piacere al tempo stesso. E tutto sarebbe proseguito bene, se
Jace non
avesse trovato gli oggetti rubati, e con il caos che avevano scatenato
le
figlie di Afrodite sarebbe stato impossibile non collegare le cose.
Adesso erano
l’uno di fronte all’altra, nella loro stanza; Jace
aveva il volto scuro e la
guardava a braccia incrociate con gli occhi che mandavano lampi, mentre
Becky
dall’altra parte lo guardava colpevole e incerta su cosa fare.
“Come
li hai
trovati?” gli chiese imbarazzata guardando per terra e
sfregandosi il braccio
con la mano.
“Devi
aver
rotto una boccetta inavvertitamente e sentivo un forte profumo di
fiori….quindi
ho sollevato le assi per capire da dove provenisse.”
Spiegò duro, continuando a
perforarla con le sue pozze nere; Becky rimase muta.
“Si
può
sapere perché l’hai fatto?” le chiese
allora con tono freddo osservando gli oggetti
riposti sul letto, ma Becky rimase ancora in silenzio senza guardarlo,
“Tu non
ti trucchi Becky, non ne hai bisogno; perché continui a
rubare? Sono cose
costose e anche preziose, non puoi fare come ti pare e
piace!” iniziò a
rimproverarla innervosendosi sempre di più per il suo
silenzio, per il suo
tradimento, perché in realtà non era cambiato
nulla.
“Perché?”
le
chiese di nuovo raggiungendola, ma lei fece dei passi indietro; non
poteva
dirglielo, aveva promesso a Lily di mantenere il silenzio, e non poteva
neanche
dirgli che aveva promesso di non dirlo, perché glielo
avrebbe estorto. Non
aveva scelta.
“Perché
le
volevo.” Rispose con la voce che le tremava, non guardandolo.
Per un attimo
Jace la guardò muto, poi il terreno prese a tremare.
“Perché
le
volevi?! Non sei una bambina Becky! Smetti di essere così
viziata e di pensare
che tutto il mondo ti debba qualcosa, che puoi avere tutto! Non hai
nessun
rispetto per gli altri, per i ragazzi del campo che ti hanno accolto?!
Immagino
che anche il cofanetto sia pieno di cose rubate…Possibile
che non sia cambiato
nulla? Io mi fidavo di te, quando sono sorti dei dubbi che avessi
rubato tu le
cose, li ho spenti subito!” le urlò contro con gli
occhi neri che bruciavano,
la rabbia che ardeva in lui. Becky sgranò gli occhi ferita e
si circondò la
vita con le braccia, mentre la vergogna e il senso di colpa si
trasformavano in
rabbia.
“Cosa
ne sai?
COSA NE SAI TU?” gli urlò contro con gli occhi le
diventavano lucidi, “Ho
vissuto sedici anni da sola, con nessuno al mondo che aiutasse me e mia
madre
malata; ho sacrificato tutto per mantenerci: scuola,
possibilità di amicizie,
il mio futuro; ho fatto qualsiasi lavoro, perfino i più
ingrati e abbiamo
sempre rasentato la miseria…e nessuno, NESSUNO HA MAI FATTO
NULLA PER ME, PER
NOI! NEMMENO MIO PADRE CHE È UN DIO! NON DEVO NIENTE A
NESSUNO, HO TUTTO IL
DIRITTO DI PRENDERMI CIÒ CHE VOGLIO SE NESSUNO È
DISPOSTO AD AIUTARMI!” urlò
fino a sentire la gola che le doleva, per poi prendere la lampada del
comodino
e lanciargliela contro; Jace la schivò a malapena, colto di
sorpresa.
“NON
SAI
NULLA DI QUELLO CHE HO DOVUTO PASSARE, NON HAI NESSUN DIRITTO DI
GIUDICARMI;
SEI UGUALE A TUTTI GLI ALTRI!” terminò in lacrime
prima di scappare fuori dalla
casa mentre Jace si lasciava cadere infuriato e confuso sul letto.
Becky
correva, correva e piangeva a dirotto; anche lui, anche Jace
l’aveva tradita.
Per un attimo pensò a Lily, a cui aveva confessato tutto
qualche giorno prima e
che l’aveva accolta in un abbraccio, ma poi pensò
che probabilmente la pensava
anche lei come Jace ma era stata troppo dolce per dirglielo. E
Gray…Gray
l’avrebbe disprezzata.
Era sola. O
forse lo era sempre stata.
Con il cuore
spezzato saltò nell’ombra e abbandonò
il Campo Mezzosangue.