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Autore: StelladelLeone    18/12/2014    0 recensioni
Una giovane ladra dal pessimo carattere che lotta per la sua sopravvivenza.
L'odio per un padre che l'ha abbandonata insieme alla madre.
Un errore di calcolo nel scegliere il nuovo bersaglio da borseggiare.
L'assurdo incontro che le stravolgerà la vita.
Non tutto ciò che credeva era vero, ora lo sta scoprendo a suo rischio e pericolo: una nuova vita da affrontare, persone e sentimenti da scoprire e una maschera da gettare.
**
“Io vi odio tutti…vi odio proprio…” iniziò a mormorare con il corpo che le tremava dalla rabbia mentre cercava di rimettersi in piedi, “Voi pazzi sconosciuti…la capra…mia madre…voi stupidi piccioni e…mio padre. Lui lo odio da morire... Rivoglio la mia vita!” continuò alzando la voce leggermente isterica, mettendosi finalmente dritta e guardando con uno scintillio folle negli occhi l’arpia, che improvvisamente aveva smesso di inseguire il satiro e si avvicinava a lei.
~ Questa storia partecipa al contest "OC semidèi in cerca di penna e d'autore (Percy Jackson contest)" indetto da MaryScrivistorie (http://freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=10905934) ~
Genere: Avventura, Comico, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ade, Chirone, Dioniso, Nuova generazione di Semidei, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La madre delle stronze è sempre incinta (Senza offesa Afrodite)

 

 

Becky si sedette scioccata al suo vero tavolo, accanto a Jace: in un solo giorno aveva scoperto che suo padre era un dio, Ade il dio degli Inferi, aveva perso sua madre e trovato un fratello. Ne aveva di pensieri per la testa.

“Lo sapevi…” mormorò dopo alcuni attimi di riflessioni in cui ripercorreva la giornata, lanciando un’occhiataccia al moro a fianco a lei, che non riuscì a trattenere un ghigno, mentre tutto il campo continuava a lanciar loro occhiatine di soppiatto.

“Lo sapevo.” Rispose enigmatico, mentre le ninfe cominciavano a riempire i cibi di pietanze gustose e i ragazzi ad abbuffarsi.

“Potevi dirmelo.” Lo incalzò lei frustrata mentre perplessa osservava i ragazzi che cominciavano ad alzarsi per buttare delle pietanze nel braciere che ardeva al centro, da cui proveniva un profumo buonissimo.

“Non ne ero sicurissimo e preferivo che fosse nostro padre a svelartelo…La vita dei figli di Ade non è mai facile: apparteniamo per metà a questo mondo e metà a quello dei morti…spesso finiamo per vivere in solitudine. Magari saresti riuscita a integrarti…” Le spiegò melanconico bevendo un sorso di tè al limone, comparso nel suo bicchiere. Becky lo guardò stupita, iniziando a comprendere le sue parole: sapeva cosa significava non appartenere mai a qualcosa di definito…essere soli…Scuotendo i capelli scacciò via i suoi tristi pensieri.

“E come sei finito amico del biondo?” chiese lei perplessa, facendolo scoppiare a ridere. Erano come la luna e il sole…

“Gray è l’esatto opposto di me” rispose lui infatti, “Ipersociale, figlio del sole, sempre allegro e circondato da persone…La verità è che non poteva sopportare che io stessi da solo: siamo arrivati circa nello stesso periodo al campo e lui si è fissato che fosse una cavolata la paura dei figli di Ade e ha fatto di tutto per essere mio amico. Riuscendoci, ovviamente. Mentre Chris è un satiro nostro amico alle primissime armi che aiutiamo di tanto in tanto.” Le spiegò dando un’occhiata all’amico biondo, che di tanto in tanto lo fulminava per avergli tenuto nascosta una rivelazione così grande.

Becky li osservò senza commentare: non aveva mai avuto amici, non sapeva cosa dire a parte che…li invidiava.

“Ti dà fastidio?” chiese poi di punto in bianco mentre Jace iniziava ad alzarsi con un piatto di sugose braciole in mano.

“Cosa?” le chiese inclinando la testa e fermandosi per guardarla dall’alto.

“Avere…” iniziò la ramata a disagio, “...una sorella.” Concluse distogliendo lo sguardo, cosciente che le sue gote si fossero arrossate.

“Non mi hai ascoltato?” le chiese lui con un sorriso comprensivo mettendole una mano sul capo, “Di solito noi figli di Ade siamo isolati, è un sollievo avere una sorella.” Le disse, facendole alzare la testa con gli occhi sgranati e luminosi, mentre le labbra si piegavano finalmente in un sorriso spontaneo.

“Anche a me non dispiace.” gli confessò con un risatina liberatoria e Jace sorrise.

“Ora alzati ladruncola, che è ora di fare l’offerta.” Le disse poi mettendole tra le mani un piatto con del cibo e facendola alzare in piedi.

“L’offerta?” chiese lei perplessa alzandosi e osservando il piatto con della pizza fumante.

“L’offerta a nostro padre; il rito prevede che si faccia loro un sacrificio propiziatorio, perché è dei suoi fumi che gli dei si nutrono.” Gli spiegò con chiarezza, dimenticando le decise idee della sorellina riguardo loro padre.

“No.” La voce di Becky risuonò limpida mentre lei si risedeva a braccia incrociate sulla panca.

Jace sospirò.

“È considerata una mancanza di rispetto Becky, potresti fare una brutta fine.” Cercò di persuaderla, mentre alcuni curiosi, tra cui Gray, cominciavano a osservare lo strano teatrino.

“Non se ne parla neanche che io faccia qualcosa per quel bastardo di mio padre.” Ringhiò lei voltandosi dall’altra parte, con gli occhi che le ardevano.

La terra tremò.

“Trema quanto vuoi, da me non avrai niente.” Sibilò fredda guardando il terreno con astio.

“Becky non sai niente dei motivi per cui hanno spinto nostro padre ad agire così, evita di farti ammazzare per cose stupide!” la rimproverò spazientendosi Jace, cosciente dei limiti della pazienza del dio della morte.

Becky continuò a tenere il muso per alcuni altri secondi mentre il suo cervello ragionava rapido sulle possibilità di morire davvero, e infine, mentre ripensava alle informazioni che sua madre le aveva dato nei suoi racconti sul padre, le venne in mente un’idea decisamente più malefica, facendola sorridere sadica.

“Va bene.” Disse a Jace alzandosi con un sorriso zuccherino in volto, prima di correre a brancare una ninfa, con cui parlottò animatamente.

Dei brividi freddi corsero lungo la schiena del povero giovane mezzosangue, già conscio che quel sorriso non significava niente di buono, mentre tutto il campo li spiava.

Dopo alcuni secondi la ninfa tornò con una ciotola ripiena di gelatina rossa e frammenti solidi beige, che porse gentile alla ramata.

Con passo baldanzoso la ragazza si avvicinò al braciere e la versò tutta dentro, con un sorriso sadico e soddisfatto.

“Grazie tante, papà!” commentò con tono acido e ricevendo una scossa di terremoto in risposta, prima di tornare al suo tavolo praticamente saltellando per la soddisfazione.

Intanto Gray si era avvicinato a Jace, che l’aveva seguita al braciere esasperato, e lo guardava perplesso.

“Che ha fatto per avere quella faccia?” gli chiese guardando l’amico che sospirava a metà tra il divertito e il disperato, lanciando nel fuoco una braciola.

“Ha offerto un’intera ciotola di marmellata di fragole e cereali,” gli rispose guardando prima lui e poi Becky rassegnato ma con un sorrisino in volto, “Nostro padre odia più di qualsiasi altra cosa le fragole e i cereali per colpa della suocera Demetra, ne è quasi allergico.”

La risata di Gray risuonò spensierata in tutto campo.

 

La mattina dopo Becky dormiva pacifica avvolta nel lenzuolo del suo letto nella Casa di Ade, la tredicesima casa, con pareti di ossidiana massiccia, un teschio sulla porta e torce che ardevano di fuoco verde, il letto suo vicino alla finestra e che prima era di Jace, ma si era lamentata talmente tanto che alla fine glielo aveva ceduto; lo zainetto appeso alla testiera e la sua “Scatola dei Tesori” nascosta sotto alcune assi del pavimento. Le piaceva quel posto.

“Svegliati ladruncola! E’ ora di colazione e dopo abbiamo alcune lezioni!” la voce di Jace interruppe il suo sonnecchiare idilliaco, ma lei si girò caparbia dall’altro lato.

“No.” Mugugnò tirandosi la coperta sopra le orecchie.

“Anche se siamo in due, sono il Capo casa; quindi vedi di alzarti e prepararti.” Le disse severo incrociando le braccia, già vestito di tutto punto nei suoi jeans e magliette nera con teschio bianco.

“Portami la colazione quando torni.” gli rispose lei soltanto per poi tornare nel beato mondo dei sogni.

Jace alzò un sopracciglio scioccato e al contempo divertito: perché mai faceva così? L’aveva vista con la madre, non era davvero così fredda e indifferente, e data la condizione in cui vivevano e quello che poteva indovinare della sua vita, non doveva neanche essere viziata per davvero…eppure persisteva nella recita. Era curioso di vedere se…

“Come vuoi.” Si arrese uscendo dalla casa a passo lento e già Becky si stava crogiolando soddisfatta, quando un urlo di dolore squarciò il silenzio della camera, facendola balzare in piedi.

“JACE!” chiamò balzando giù dal letto e afferrando la lampada da comodino come arma, per poi lanciarsi fuori dalla porta, pronta a tutto, e…trovare Jace placidamente appoggiato a braccia incrociate alle colonne nere del portico.

“Che cosa…?” chiese lei stralunata con i capelli a balla di fieno, addosso un pigiama nero con un gattino bianco sulla maglietta e in mano la sua arma improvvisata.

“Ben alzata Becky! Ti vesti o vieni così?” le chiese serafico Jace drizzandosi e stiracchiandosi.

“Tu!” lo apostrofò quella fulminandolo e minacciandolo con la lampada, “Sei terribile!” gli sibilò furibonda prima di rientrare in casa a passo di marcia e sbattendo contro ogni cosa osasse intralciare il suo cammino.

Jace scosse la testa mentre il sorriso si trasformava in una smorfia preoccupata.

 

Dieci minuti dopo procedevano verso la mensa, entrambi affamati e Becky inviperita; non appena entrarono nel padiglione si levò un alto mormorio, che lei ignorò scocciata, e, dopo aver gettato malefica altra marmellata e cereali nel braciere, iniziò a fare a brandelli delle croccanti brioche e a puciare biscotti con gocce di cioccolato nel suo amato thè come una furia.

E avrebbe continuato a martoriare la sua colazione se non fosse intervenuto Chirone a chiamarla gentilmente; Becky alzò la testa con sguardo omicida, ma di fronte al sorriso paterno del centauro non poté non sospirare e accennare un sorriso.

“Buongiorno Chirone.” lo salutò con un cenno della testa.

“Buongiorno Becky, sono venuto a portarti un dono da tuo padre.” le disse con tono calmo e osservando le reazioni della ragazza, che si alternavano fra stupore, desiderio e rabbia.

“Cosa?” chiese infine con curiosità e diffidenza, smettendo di ingozzarsi di biscotti, e Chirone, sotto lo sguardo attento di Jace, poggiò con delicatezza sul tavolo un paio di orecchini neri a goccia, come il ciondolo della sua collana; lo sguardo di Becky si indurì ancora di più e rimase ferma per alcuni attimi, la mente che lavorava a velocità folle. Poi li prese e li indossò. Jace e Chirone si scambiarono un’occhiata perplessa e stupita, che lei intercettò.

“Se posso sfruttarlo, lo farò senza rimpianti.” Spiegò lei con un sogghigno prima di andare a rovesciare altra marmellata di fragole e creali nel braciere. Tornata al tavolo trovò solo il fratello ad attenderla, che fece un cenno agli orecchini che indossava.

“Concentrati sulla tua forza latente e sfiorali.” le suggerì curioso di sapere che arma fosse destinata alla sorella e lei eseguì perplessa; non appena le sue dita li sfiorarono sentì un forte freddo invaderla e gli orecchini si fusero nelle sue mani per poi condensarsi nuovamente in due corte daghe completamente nere e arcuate, con due gocce sull’elsa.

“Ferro dello Stige, ha le stesse capacità di uccidere un mostro del bronzo celeste, che è il materiale ad esempio del bracciale di Gray.” le spiegò mentre lei se le rigirava ammirata fra le mani, saggiandone la leggerezza e sinuosità; bastò sfiorare la lama con un dito perché si disegnasse una sottile striscia di sangue sul suo indice.

“Straordinarie…” mormorò con gli occhi che luccicavano, ritrasformandoli in orecchini con un solo pensiero, “Andiamo ad allenarci!” impose entusiasta afferrandolo per un braccio e strappandolo dal tavolo con ancora un pezzo di brioche in bocca, ma Jace si risedette e sorrise sornione.

“Hai bisogno di imparare da un esperto di combattimento a corpo a corpo con doppia lama, non da me.” Le disse sogghignando e pulendosi le labbra con un tovagliolo. “È una fortuna che io sia amico del migliore al campo…” alluse guardandola divertito, mentre lei sbiancava.

“Tutti ma non lui!” gemette incredula della propria sfortuna.

Jace scoppiò a ridere.

“Gray Lux, figlio di Apollo.”

 

 

 

Becky cadde ansimante nella polvere per l’ennesima volta, la fronte che gocciolava di sudore.

“Forza ladruncola, di nuovo.”

Tre ore.

Tre maledettissime e interminabili ore a combattere senza sosta con Gray. E lei finiva sempre a terra.

Non ne poteva più.

“No.” Il rifiuto di Becky venne sottolineato dal suo permanere sdraiata a terra, con un broncio sfinito e un po’ infantile in volto; era umiliante essere continuamente battuta, nonostante sapesse che era ovvio dato che lei era alle prime armi e che era solo allenamento.

Si aspettava come minimo che Gray iniziasse a prenderla in giro o che la alzasse con la forza, invece vide solo spuntare una mano nel suo campo visivo oscurato dai capelli ramati scarmigliati.

“Facciamo un minuto di pausa ladruncola, se eri stanca bastava chiedere.” Le disse con un sorriso divertito prima di prenderle delicatamente la mano e aiutarla ad alzarsi, mentre le guance le andavano in fiamme e lo guardava ad occhi sgranati. Ieri non aveva notato come la mano di Gray fosse così grande rispetto alla sua…

Il biondo la trascinò per mano a sedere al lato dell’arena senza alcun’imbarazzo e le porse una bottiglietta d’acqua fresca, che lei, distogliendo lo sguardo imbarazzata, accolse con un grazie a malapena udibile, facendolo ridacchiare.

“GRAAAAAAYYYYY” Delle urla dal tono mieloso ed estremamente acute perforarono il timpano di Becky, che si girò scocciata per veder arrivare sugli spalti dell’arena cinque o sei figlie di Afrodite; le riconobbe subito come quelle che Jace le aveva indicato come le VIP (Vipere Inacidite Primedonne) della loro casa: bellissime, affamate di uomini e spezza cuori.

Gray le salutò tranquillo con un cenno della mano, per poi avvicinarsi a loro spinto dai continui richiami languidi delle barbie, sotto lo sguardo piccato della ramata; Gray stava insegnando a lei, cosa andava a fare con quelle?! Lo sapeva che era un maniaco seduttore…

Per pura ripicca, si alzò e lo seguì, stampandosi in volto il miglior sorriso innocente e cordiale che aveva; non l’avrebbero avuta vinta. Né lui, né loro.

“Ciao ragazze!” le salutò con la voce limpida e leggera, mentre quelle la guardavano con lo stesso affetto con cui una casalinga osserva uno scarafaggio che zampetta allegro sul ripiano della cucina.

“Ciao Black…” la salutarono nascondendo la loro irritazione dietro false moine e sorrisi a trentadue denti, incredule che la loro preda più ambita si stesse allenando con una come lei.

Gray osservò quel teatrino con un brivido freddo lungo la schiena: le ragazze quando facevano così lo spaventavano a morte, pronte a saltarsi alla gola alla prima parola sbagliata nonostante i sorrisi e le moine.

“Vi spiace se vi rubo Gray?” chiese loro aggrappandosi con fare noncurante al manica della felpa del ragazzo, che la guardò scioccato, “Ma sono appena arrivata ed è l’unico che può aiutarmi a imparare ad usare queste armi!” continuò sfoggiando un’espressione da cucciolo ferito che avrebbe addolcito i morti.

“Certo, nessun problema.” rispose la ragazza al centro, formosa e dai capelli neri e boccolosi, Cecil, la Capo Casa, “Lo aspettiamo fuori…” aggiunse con un sorrisetto prima di incamminarsi fuori dall’arena con passo sinuoso, seguita da tutte le altre; solo una ragazzina che sembrava avere la sua età, dalla bellezza fresca e innocente, che la ramata etichettò subito come non appartenente al gruppo ma come vittima, la guardò per un attimo imbarazzata, come se volesse dirle qualcosa, ma poi scappò dietro le altre.

Becky le seguì con lo sguardo fino a che non scomparirono, poi lasciò di botto Gray riacquistando un’espressione irritata e disgustata.

“Stupide oche!” borbottò, “Tutte lì come delle gatte morte…” continuò senza degnare di uno sguardo il biondo, che invano cercava di seguire la sua logica: possibile che fosse gelosa? Si chiese con un sorrisetto malizioso.

“Ti muovi?” gli chiese poi Becky rievocando le due daghe e portandosi al centro dell’arena, uno sguardo determinato in volto.

“Certo ladruncola, arrivo.” Le rispose divertito evocando le sue, pronto a riprendere l’allenamento.

 

 

Becky era stata entusiasta quando a pranzo Jace le aveva detto che nel pomeriggio l’avrebbe aiutata a sviluppare i suoi poteri riguardo il controllo dei morti, il passaggio nell’ombra e varie cose interessanti da dio della morte. Lo aveva praticamente soffocato in un abbraccio dalla gioia, soprattutto perché dopo la mattinata passata tra estenuanti combattimenti con Gray e confusionarie riflessioni per capire se stessa, dato che non si perdonava di aver perso la pazienza perché delle oche flirtavano con Gray, l’idea di passare del tempo con Jace era davvero rilassante oltre che emozionante; la novità di avere un fratello che fin da subito si era preso cura di lei, spazzando via la sua diffidenza con pochi gesti, era estremamente piacevole e voleva approfondire il legame, nella speranza di non rimanere delusa, mentre il suo cuore gioiva come quello di una bambina.

Ovviamente non avrebbe mai potuto prevedere che appena si fosse sparsa la voce che i due figli di Ade si sarebbero allenati, metà campo si sarebbe presentato nell’arena, lasciata vuota appositamente per loro due, cosa che rendeva il tutto più imbarazzante.

“Allora,” iniziò Jace ignorando completamente il pubblico, abituato ad essere una specie d’attrazione a metà tra l’intrigante e il temibile, “Iniziamo?” le chiese continuando a tenere le mani nei jeans neri, a giocherellare con il coltellino svizzero.

“Si.” rispose lei ridotta a un fascio di nervi: lei voleva passare un po’ di tempo con Jace! Non essere il fenomeno di baraccone di un campo di impiccioni! Maledetti, li avrebbe presi tutti a calci.

“Allora inizia coll’ascoltare...immagino che le senta anche tu.” Le spiegò lui con un sorriso amaro, mentre vedeva gli occhi di Becky riempirsi di disagio e imbarazzo.

“No, non le sento più. Non sento niente. Sono guarita.” Rispose agitata guardando per terra e strisciando avanti e indietro il piede per l’iperattività: possibile che fossero tutti così curiosi da far cadere quel silenzio innaturale?!

“In che senso?” le chiese Jace curioso, sollevando un sopracciglio.

“Ho smesso di sentirle in prima superiore, quando in un momento particolarmente caotico ho urlato loro si stare zitte…” spiegò in un mormorio la ragazza, sotto gli occhi neri di Jace, stupito; era riuscita a zittirle? Doveva aver già sviluppato inconsciamente i suoi poteri, almeno nelle basi…

“Non sei pazza, sono le voci dei morti quelle che sentivi” le spiegò con calma nel tentativo di rassicurarla, “Ora devi permettere loro di parlarti di nuovo per evocarli.” Le spiegò avvicinandosi a lei e mettendole una mano sulla spalla; per un attimo lei lo guardò spaventata, poi un mormorio dagli spalti le ricordò che era in pubblico e si allontanò con espressione spavalda.

“Okay.” Rispose prima di chiudere gli occhi e concentrarsi. Andava tutto bene, Jace aveva detto che era normale; non doveva aver paura, altrimenti si sarebbe ridicolizzata di fronte a tutto il campo.

Per alcuni attimi temette che non sarebbero tornate, ma poi, come lo sciabordio delle onde che si infrangono sul bagnasciuga, nella sua testa cominciò a scrosciare un mormorio di voci, tutte diverse, di bambini, vecchi, donne, uomini; tutti che chiedevano cose diverse, piangevano, si lamentavano, la chiamavano. Istintivamente si mise le mani sulle orecchie e strizzò gli occhi, ma un campanello nella sua mente le ricordò il suo scopo e tremante prese fiato.

“Venite.” Una parole, detta con decisione, sgorgata grazie a quell’improvviso sorgere in lei del fuoco nero e freddo che aveva provato la sera prima, e la terra iniziò a tremare; poi si aprì in profonde spaccature e da esse si riversarono fuori schiere di spettri senza ordine, di ogni tipo ed epoca, perfino bambini.

Lei li guardò sciamare incredula, non sapendo bene cosa fare, mentre tra gli spalti i ragazzi cominciavano a essere inquieti e ad agitarsi sul posto.

“Fermi.” la voce fredda di Jace intervenne e ogni spirito si fermò all’istante, continuando a mormorare, in attesa.

“Okay Becky, fin qui sei stata brava.” si complimentò il ragazzo con la sorella, facendola sorridere e convincendosi della sua deduzione precedente, “Ma devi imparare a non lasciarti sopraffare, altrimenti approfitteranno di te per scappare dagli Inferi; devi richiamare solo quelli di cui hai bisogno per combattere e congedarli subito dopo.” Aggiunse però prima di fare un cenno della mano, di fronte a cui tutti gli spettri ritornarono da dov’erano venuti.

Becky annuì concentrata, iniziando a dimenticarsi del pubblico, poi chiuse nuovamente gli occhi pensando a chi volesse evocare.

“Ascoltale, distinguile.” Le suggerì abbassando ancora la voce Jace, “Sono morti, non ti faranno niente…sono ai tuoi ordini.”

E lei iniziò ad ascoltare…sentì il pianto di una madre morta prematura per non aver conosciuto suo figlio, sentì i lamenti di un anziano morto abbandonando la moglie in vita, i vagiti di un neonato morto in fasce, il pianto di un uomo morto in guerra…

Le lacrime iniziarono a scenderle lungo le guance, ma non si fermò e continuò a cercare, si stava avvicinando. Doveva scavare più a fondo, più indietro.

L’ultimo urlo di un generale francese colpito da una baionetta, la dichiarazione d’amore mai pronunciata di un pirata inglese, le invettive rabbiose di un rivoltoso tedesco, le preghiere pagane dei barbari Galli…ed eccole, le parole d’incoraggiamento di un generale greco, il lamento di un oplita morto senza onore, la rabbia di un ateniese ucciso dai persiani…

“Presentatevi al mio cospetto.” Comandò con lo stesso tono freddo che aveva usato Jace poco prima.

Dalle spaccature del terreno cominciarono a uscire nuovamente i morti, in forma di scheletri e spettri, ma stavolta erano distinguibili le armi e le armature greche, gli scudi spartani, i pennacchi ateniesi…

Becky stava nuovamente per lasciarsi prendere dallo stupore e lasciarli vagare, ma poi si ricordò delle parole del fratello: era lei a comandare. Eppure i fantasmi non sembravano intenzionati ad ascoltarla, troppo rabbiosi, troppo presi da se stessi…

Con decisione prese un bel respiro, cancellò ogni traccia di lacrime dalle sue guance e sfiorò un orecchino, trasformandolo subito in daga che allungò orizzontalmente davanti a sè, come un segno.

“Sono Rebecca Black, figlia di Ade e vostra signora.” Pronunciò ostentando una sicurezza che non aveva, nella speranza non si notasse il tremolio della mano nascosta nella felpa; i morti, alle sue parole, dapprima sciamarono ancora più furiosi, ma dopo continue occhiate alla sua spada iniziarono ad ammutolire e a inginocchiarsi al suo cospetto.

Non rise soddisfatta solo per cercare di mantenere quell’aria potente e temibile di cui si era circondata, aveva pur sempre una dignità.

“Ora potete andare, siete congedati.” Aggiunse infine abbassando la spada mentre il fuoco nero cominciava a spegnersi dentro di lei e i morti tornavano da dove erano venuti.

Non appena l’ultimo soldato ridiscese agli Inferi, Becky cadde in ginocchio, sfinita e con il respiro affannato.

“Complimenti Becky!” le disse sinceramente stupito Jace, affrettandosi a metterle un braccio intorno alle spalle per aiutarla a rimettersi in piedi, “Ti sei guadagnata il loro riconoscimento, ti serviranno con onore.” La rassicurò facendola sorridere soddisfatta.

“Grazie Jace.” gli disse sincera, contagiandolo con la sua felicità e facendogli nascere anche a lui un sorriso sul volto.

“Ottima scelta ladruncola!” la voce di Gray, che dopo esser sceso nell’arena con un salto li stava raggiungendo a passo svelto, la distrasse dal fratello, “Jace nella sua evocazione aveva scelto i soldati francesi della Prima Guerra Mondiale, ma penso che i tuoi greci abbiano riscosso più successo.” Commentò divertito, mentre per la prima volta lei si accorgeva che da quando li aveva congedati, tutto il campo aveva innalzato applausi e fischi d’apprezzamento, creando un caos incredibile; era stata così presa dai morti…i figli di Ade: più coi morti che coi vivi, ricordò a se stessa amara.

“I miei soldati erano eccezionali!” replicò Jace guardandolo storto ma non riuscendo a non ridere, “Avevo sempre desiderato vedere le baionette francesi…” aggiunse con tono nostalgico, facendo ridere Becky.

“Jace!” la voce di Chirone richiamò l’attenzione del figlio di Ade che, a un cenno del centauro si scusò con i suoi amici e chiese a Gray di aiutare la sorella, prima di andargli incontro.

“Ce la fai a camminare?” le chiese Gray osservando divertito come, lasciata da Jace, si fosse istintivamente appoggiata a lui.

“Certo!” rispose lei arrossendo e staccandosi, ma le gambe erano della stessa consistenza di una gelatina e non volevano collaborare.

“Come no!” scoppiò a ridere il biondo prendendola al volo per poi, prima che potesse protestare, sollevarla tra le braccia, stile principessa.

“Se hai bisogno puoi chiedere.” le ricordò con leggero rimprovero prima di iniziare a camminare senza sforzo alla ricerca di qualche cubetto di ambrosia, mentre Becky, con la faccia che si mimetizzava tra i capelli, si cercava di fare il più piccola possibile. In seguito le sarebbero venute in mente un sacco di risposte sarcastiche e scorbutiche, ma in quel momento pensava solo che avrebbe potuto farsi portare più spesso così.

 

Passò una settimana tranquilla, divisa fra lezioni con Jace e Gray, oltre che con Chirone di tanto in tanto, mentre Becky si ambientava sempre di più al campo, nonostante fosse difficile per lei integrarsi, come le aveva preannunciato Jace; ma non le interessava, dopotutto era finita in sole sei risse da cui Gray e Jace l’avevano dovuto portare via di peso prima che distruggesse gli assalitori: era più di quanto avesse mai avuto, si divertiva profondamente e per la prima volta sentiva il cuore continuamente scaldato e non freddo come la morte.

Poteva dire di essere felice, pensò mentre trotterellava fischiettando una canzone degli Skillet, diretta verso il bagno femminile.

Stava già per girare l’angolo della casetta, quando sentì delle voci discutere animatamente e istintivamente si fermò ad ascoltare, sospettosa; subito riconobbe la voce Cecil e delle altre VIP di Afrodite, che stavano evidentemente maltrattando qualcuno, e si sporse per dare un’occhiata: al centro del gruppo delle VIP, tutte sui loro tacchi alti e con le minigonne imbarazzanti, stava la piccola ragazza della loro casa che aveva visto il giorno del primo allenamento con Gray, gli occhi lucidi e il corpo avvolto in un vestitino bianco tremante mentre stringeva tra le mani qualcosa.

“E quindi vorresti farci credere che quello te lo ha mandato tuo padre?” chiese Cecil con voce mielosa e pericolosa al tempo stesso, attorcigliando una ciocca di capelli neri intorno al dito affusolato dall’unghia perfettamente smaltata e laccata, “Povera stupida! Come se a qualcuno potrebbe fregare qualcosa di te…” le disse fingendo pietà per lei prima di spingerla a terra. Becky si impose di rimanere ferma.

“Lo avrai rubato a una di noi! Dalla nostra posta!” intervenne una prosperosa ragazza dai capelli color del fuoco.

“È mio!” balbettò la ragazza senza neanche provare a rialzarsi, i capelli di un dolce castano miele che le cadevano lisci sulle spalle a contrasto coi grandi occhi ambra, dandogli un’aria ancora più indifesa, “Me lo ha mandato mio padre come regalo di compleanno…” mormorò portandoselo al petto con timore.

“Stupidaggini!” ringhiò una mora pesantemente truccata prima di prenderla per i capelli e sollevarla da terra.

“Tutti lo sanno che tuo padre a malapena sa della tua esistenza!” le sibilò sorridendo Cecil, prima di approfittare del dolore subito dalla ragazza per strapparle di mano una piccola boccetta di profumo, a forma di rosa rossa. Becky dovette fare ricorso a tutte le sue forze per rimanere ferma: se fosse intervenuta ora, si sarebbero vendicate il doppio mentre lei non c’era; doveva adottare una strategia più sottile.

“Ridammelo Cecil!” urlò la ragazzina, un lampo di rabbia e decisione negli occhi, tendendo le mani per riprendersi il suo tesoro. Che creature spregevoli.

“Zitta!” le ringhiò l’ultima delle bulle, una bionda tutta tette, prendendo un calice, evidentemente preparato per l’occasione, di coca cola e rovesciandoglielo addosso.

Poi la mora la lasciò cadere a terra e il gruppo se ne andò sghignazzando.

A quel punto Becky uscì e corse a inginocchiarsi accanto alla ragazza, che piangeva seduta a terra.

“Ehi, tutto bene?” le chiese preoccupata, ma quella appena la riconobbe sbiancò e cercò di rialzarsi.

“Tutto bene, sono solo inciampata e mi sono rovesciata la coca cola addosso…” si giustificò barcollando e cercando di scappare, ma Becky le mise un braccio dietro la schiena e l’aiutò a stare in piedi.

“Ho visto tutto.” Le disse trattenendo a stento il furore, “Scusa se non sono intervenuta ma pensavo che avrei peggiorato le cose.” Si scusò mortificata con un piccolo sorriso, mentre quella arrossiva imbarazzata e abbassava lo sguardo.

“Patetica eh?” chiese amara con un sorriso che non aveva nulla di tale.

“Per niente!” ringhiò con grinta Becky, facendola a sobbalzare, “Sono quelle stronze ad essere patetiche! Ma non preoccuparti, adesso vieni da me a sistemarti e poi pensiamo a una bella vendetta!” le disse con un sorriso convinto e gli occhi bicolori che ardevano.

“Cosa?” le chiese quella confusa mentre Becky, assicuratasi che stesse in piedi, la trascinava per mano verso la sua casa, “No, no! Non voglio trascinarti in questa cosa, sono delle nemiche terribili e a malapena mi conosci, non hai motivo di farlo!” cercò di fermarla, guardandola con gli occhi simili a quelli di un panda, il trucco leggero tutto sbavato.

Becky si fermò perplessa e la ragazza sorrise leggermente mesta, pensando che avesse capito, invece la ramata le tese una mano.

“Giusto, non mi sono presentata! Rebecca Black, piacere di conoscerti, e non ti preoccupare, non saranno certo quattro oche del genere a fermarmi, sono pur sempre figlia di Ade. Non permetterò che tu rimanga loro vittima.” Le disse con sogghigno felino.

La ragazza sgranò gli occhi e per poco non si mise a piangere dalla gioia.

“Lily Fleur, della Casa di Afrodite!” si presentò stringendole la mano e Becky, sorridendo, riprese a trascinarla; quando arrivarono alla Casa di Ade, Lily venne presa dal timore di non poter entrare, ma Becky la tranquillizzò con un gesto di mano.

“Hai il mio permesso!” le spiegò trascinandola dentro, “Stai tranquilla, Jace non c’è, ma anche se arrivasse non ci sarebbero problemi; è fantastico!” le spiegò ridendo orgogliosa di lui, mentre la ragazza si guardava intorno curiosa; poi la ramata la spinse nel piccolo bagno personale e le lanciò dentro dei suoi vestiti.

“Non so se ti vanno bene, sei più alta e magra di me, ma è meglio di niente.” Si scusò imbarazzata che avesse solo vestiti da maschiaccio, ma Lily li prese con gratitudine e le sorrise.

“Grazie Becky” la ringraziò stringendoseli al petto.

“Di niente!” rispose quella arrossendo, poi le venne in mente qualcosa e sogghignò scaltra, “Io esco un attimo a sistemare le cose, torno tra dieci minuti; se senti qualcuno entrare o sono io o è Jace, non preoccuparti!” le disse prima di spingerla in bagno mentre lei balbettava qualcosa.

Con un sorriso sadico uscì dalla casa…era ora di farla pagare a qualche stronza.

Poi, chiuse gli occhi ed entrò nell’ombra.

 

 

Quando, titubante, Lily uscì dal bagno, trovò ad aspettarla Becky, seduta sul suo letto a gambe incrociate e circondata di oggetti di ogni tipo.

“Pensavo fosse Jace…” mormorò con un sospiro di sollievo e ridacchiando, “Già stavo pensando a come spiegargli la mia presenza qui! Scusami per la crisi isterica di prima.” ammise con le gote arrossate, andando a sedersi accanto a lei.

“Stai tranquilla!” la rassicurò Becky osservandola ammirata, perfino nei suoi vestiti rimaneva bellissima; i capelli lisci e folti, gli occhi brillanti, il fisico sinuoso ed etereo…I suoi capelli quando usciva dalla doccia sembravano un gatto dopo esser stato infilato in un’asciugatrice.

“Cosa sono questi?” chiese sedendosi a gambe incrociate di fronte alla ramata e osservando quel mucchio di oggetti: rossetti, lucidalabbra, mascara, creme per il corpo, balsami…

“La nostra vendetta!” spiegò compiaciuta Becky mentre Lily sgranava gli occhi innocenti.

“Non saranno…?” chiese incredula.

“Esattamente! Occhio per occhio, dente per dente: sono alcuni dei loro trucchi più preziosi.” Continuò rigirandosi tra le mani con sguardo rapito quei prodotti dai costi mostruosi.

“Come hai fatto?” le chiese sbalordita mentre iniziava a ridere incredula.

“Jace mi ha insegnato a passare nell’ombra: stancante, ma ne vale la pena.” Rispose lei mentre Lily osservava preoccupata che effettivamente era un po’ pallida.

“Ma il meglio deve ancora venire!” riprese a parlare Becky con fare misterioso prima di infilarsi una mano in tasca, “Ta-daaan!” urlò estraendo il profumo a forma di rosa, mentre Lily si copriva con una mano la bocca, scioccata.

“L’hai ripreso…” mormorò guardandola con gli occhi che si inumidivano.

“Certo! Era in nascondiglio proprio idiota…fortuna che non brillano per intelligenza!” ribatté Becky orgogliosa prima che Lily le gettasse le braccia al collo.

“Grazie, grazie, grazie!” iniziò a ripetere stringendola con affetto, “Sei un’amica fantastica!” le uscì di getto con voce cristallina. Becky spalancò gli occhi stupita e Lily, staccandosi e vedendo il suo sguardo, rise imbarazzata.

“Cioè…se anche tu vuoi essere mia amica…non sei obbligata…io…” iniziò a balbettare imbarazzata e sentendosi stupida per essersi entusiasmata subito per così poco! Probabilmente l’aveva fatto solo perché era buona, dopotutto era una figlia di Ade e non aveva bisogno di una debole figlia di Afrodite…

“Si!” rispose Becky di getto arrossendo, “Certo che voglio essere tua amica!” ripete abbracciandola di slancio, tanto che caddero supine sul letto, per poi iniziare a ridere senza sosta per l’assurdità e la gioia del momento.

“Sei la mia prima amica…” ammise Becky guardando il soffitto dopo qualche minuto, sdraiata accanto a Lily, evidentemente a disagio.

“Anche tu per me.” Replicò la castana con un sorriso, “Mio padre è un importante avvocato, ho sempre vissuto chiusa nel suo attico a Manhattan, seguita da insegnanti privati e stupide guardie del corpo. Mi ha odiato per molto, molto tempo…ma da quando sono al campo ha detto di sentire la mia mancanza e stiamo riallacciando i rapporti, per questo quel profumo è un regalo importante.” Le spiegò sorridendo malinconica, mentre Becky la guardava incerta e ammirata: quella ragazza si stava aprendo sinceramente con lei, eppure lei non aveva il coraggio di fare lo stesso. Neanche a Jace aveva mai detto niente, né gli aveva chiesto di lui…era come un argomento taboo.

“Io...” iniziò insicura e accigliata, ma Lily la guardò allarmata.

“Non preoccuparti Becky! Siamo amiche, non ti devi forzare a dire qualcosa se non te la senti; l’importante è che siamo sincere l’una con l’altra, perché solo se è sincero un rapporto può resistere…” la rassicurò prendendole una mano tra le sue e guardandola seria, mentre la ramata annuiva grata. Si ripromise di dirle tutta la verità presto.

“Posso chiederti un favore?” aggiunse poi, titubante, ma all’assenso di Becky riprese a parlare, “Mi puoi promettere che non dirai a nessuno di oggi? Se qualcuno provasse a intervenire direttamente ho paura che le cose peggiorerebbero…” ammise leggermente spaventata, ma Becky annuì seria.

“Non lo dirò a nessuno, te lo prometto! Ma ti prometto anche che da ora e in poi non permetterò a nessuna di maltrattarti.” Giurò con sguardo serio e un sorriso spontaneo.

“A proposito…” riiniziò a parlare poi Lily tirandosi a sedere, “Cosa ne facciamo di questi? Inoltre non posso portare il profumo indietro con me o me lo riprenderanno ancora, oltre che a maltrattarmi.” Realizzò dispiaciuta, ma Becky si alzò con un sorrisetto sul volto.

“Ci penso io!” le disse alzandosi e raggiungendo il fondo del letto, per poi inginocchiarsi sul pavimento e con delicatezza sollevare le assi; sotto lo sguardo incuriosito di Lily ne estrasse un grosso cofanetto in ebano a tre piani, intarsiato in argento, e lo mise su letto.

“Il mio cofanetto segreto dei tesori!” spiegò con evidente orgoglio e gli occhi che le brillavano.

“E posso vederlo?” le chiese intimidita Lily, ammirandone la bellezza e sentendosi sciogliere per l’importante confidenza.

“Certo!” annuì Becky, felice di poter condividere qualcosa con lei e aprì il coperchio in alto: dentro vi era ogni sorta di piccolo accessorio: mollette, fermacapelli, pettini, anelli, collane, profumi, bracciali, orecchini…e anche negli altri cassetti si trovava riposto in ordine un assortimento di piccoli tesori, tutti belli e preziosi, brillanti e tenuti con cura.

“Sono magnifici…” mormorò Lily guardandoli estasiata, senza osare toccarli.

“Davvero ti piacciono?” gli chiese leggermente agitata Becky e la ragazza annuì.

“E se te lo dice una figlia di Afrodite, ci puoi credere!” aggiunse ridacchiando e contagiandola.

“Gli oggetti li metterò sotto le assi mentre il tuo profumo lo terremo qui! Così potrai venire a riprenderlo ogni volta che vuoi, ma nessuno te lo porterà via!” spiegò deponendo con cura la boccetta nel ripiano in alto.

“Grazie mille, sei fantastica!” la ringraziò sincera Lily, con il cuore colmo di felicità, “Ora però devo scappare, che tra poco abbiamo la cena e devo cenare con le mie compagne.” Si congedò con una smorfia prima di abbracciarla.

“Dopo cena ti riporto i vestiti!” aggiunse prima di correre via, mentre Becky la salutava con la mano tutta contenta.

Aveva appena finito di nascondere il tutto canticchiando quando Jace e Gray entrarono nella casa per accompagnarla a cena, stanchi e sudati per un allenamento intenso tra i due. Non si può descrivere la loro faccia alla vista di Becky che, sorridendo come mai, gli gettava ad entrambi le braccia la collo con gioia.

“Ho un’amica Jace! Ho un’amica!” iniziò a urlare poi, staccandosi e guardando il fratello pieno di aspettativa, come una bambina in cerca di approvazione.

Gray avrebbe voluto davvero tanto punzecchiarla, ma la sua faccia così genuinamente contenta e l’abbraccio appena ricevuto glielo impedirono. O forse fu la discreta gomitata di Jace nelle costole.

“È fantastico, Becky!” le rispose infatti il moro scompigliandole i capelli.

“Chi è?” chiese invece curioso e sorridente Gray.

“Lily Fleur, della Casa di Afrodite! È una ragazza fantastica, niente a che fare con quelle idiote delle sorelle!” iniziò a elogiarla evidentemente orgogliosa.

I due sembrarono pensarci un attimo ma poi annuirono.

“Quella molto carina ma timida, che segue sempre le VIP?” chiese il biondo cercando di richiamare alla memoria qualcosa su di lei, mentre Becky annuiva energica.

“E come vi siete conosciute?” le chiese Jace e Becky si trattenne a stento dal raccontargli tutto, infrangendo la promessa, ma memore anche delle parole sull’onestà di Lily decise di non mentire.

“Segreto!” si limitò a dire ridacchiando, poi li superò correndo fuori dalla casa e arrivata sulla stradina si voltò a guardarli con aria di sfida.

“Ancora lì? Chi arriva per ultimo domani mi cede la sua brioche!” urlò scattando a correre, mentre i due, pensando che le ragazze erano davvero delle creature complicate, le correvano dietro. Una brioche era pur sempre una brioche.

 

Per le tre settimane successive Becky pensò di essere la persona più felice del mondo: il rapporto con Jace diventava sempre più stretto, lei e Fleur passavano un sacco di tempo insieme a divertirsi, evitando anche così che le VIP la maltrattassero, ed era sempre più vicina a Gray, cosa che la confondeva e le faceva piacere al tempo stesso. E tutto sarebbe proseguito bene, se Jace non avesse trovato gli oggetti rubati, e con il caos che avevano scatenato le figlie di Afrodite sarebbe stato impossibile non collegare le cose.

Adesso erano l’uno di fronte all’altra, nella loro stanza; Jace aveva il volto scuro e la guardava a braccia incrociate con gli occhi che mandavano lampi, mentre Becky dall’altra parte lo guardava colpevole e incerta su cosa fare.

“Come li hai trovati?” gli chiese imbarazzata guardando per terra e sfregandosi il braccio con la mano.

“Devi aver rotto una boccetta inavvertitamente e sentivo un forte profumo di fiori….quindi ho sollevato le assi per capire da dove provenisse.” Spiegò duro, continuando a perforarla con le sue pozze nere; Becky rimase muta.

“Si può sapere perché l’hai fatto?” le chiese allora con tono freddo osservando gli oggetti riposti sul letto, ma Becky rimase ancora in silenzio senza guardarlo, “Tu non ti trucchi Becky, non ne hai bisogno; perché continui a rubare? Sono cose costose e anche preziose, non puoi fare come ti pare e piace!” iniziò a rimproverarla innervosendosi sempre di più per il suo silenzio, per il suo tradimento, perché in realtà non era cambiato nulla.

“Perché?” le chiese di nuovo raggiungendola, ma lei fece dei passi indietro; non poteva dirglielo, aveva promesso a Lily di mantenere il silenzio, e non poteva neanche dirgli che aveva promesso di non dirlo, perché glielo avrebbe estorto. Non aveva scelta.

“Perché le volevo.” Rispose con la voce che le tremava, non guardandolo. Per un attimo Jace la guardò muto, poi il terreno prese a tremare.

“Perché le volevi?! Non sei una bambina Becky! Smetti di essere così viziata e di pensare che tutto il mondo ti debba qualcosa, che puoi avere tutto! Non hai nessun rispetto per gli altri, per i ragazzi del campo che ti hanno accolto?! Immagino che anche il cofanetto sia pieno di cose rubate…Possibile che non sia cambiato nulla? Io mi fidavo di te, quando sono sorti dei dubbi che avessi rubato tu le cose, li ho spenti subito!” le urlò contro con gli occhi neri che bruciavano, la rabbia che ardeva in lui. Becky sgranò gli occhi ferita e si circondò la vita con le braccia, mentre la vergogna e il senso di colpa si trasformavano in rabbia.

“Cosa ne sai? COSA NE SAI TU?” gli urlò contro con gli occhi le diventavano lucidi, “Ho vissuto sedici anni da sola, con nessuno al mondo che aiutasse me e mia madre malata; ho sacrificato tutto per mantenerci: scuola, possibilità di amicizie, il mio futuro; ho fatto qualsiasi lavoro, perfino i più ingrati e abbiamo sempre rasentato la miseria…e nessuno, NESSUNO HA MAI FATTO NULLA PER ME, PER NOI! NEMMENO MIO PADRE CHE È UN DIO! NON DEVO NIENTE A NESSUNO, HO TUTTO IL DIRITTO DI PRENDERMI CIÒ CHE VOGLIO SE NESSUNO È DISPOSTO AD AIUTARMI!” urlò fino a sentire la gola che le doleva, per poi prendere la lampada del comodino e lanciargliela contro; Jace la schivò a malapena, colto di sorpresa.

“NON SAI NULLA DI QUELLO CHE HO DOVUTO PASSARE, NON HAI NESSUN DIRITTO DI GIUDICARMI; SEI UGUALE A TUTTI GLI ALTRI!” terminò in lacrime prima di scappare fuori dalla casa mentre Jace si lasciava cadere infuriato e confuso sul letto.

 

Becky correva, correva e piangeva a dirotto; anche lui, anche Jace l’aveva tradita. Per un attimo pensò a Lily, a cui aveva confessato tutto qualche giorno prima e che l’aveva accolta in un abbraccio, ma poi pensò che probabilmente la pensava anche lei come Jace ma era stata troppo dolce per dirglielo. E Gray…Gray l’avrebbe disprezzata.

Era sola. O forse lo era sempre stata.

Con il cuore spezzato saltò nell’ombra e abbandonò il Campo Mezzosangue.

 

 

 

 

 

  
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