Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Cintia    19/12/2014    0 recensioni
In una Roma repubblicana una giovane donna vuole perseguire il suo sogno e il suo volere: essere una delle sacre sacerdotesse Vestali.
Ma il suo destino muta, altri sono i suoi compiti, altri i suoi doveri verso Roma e verso gli Dei.
Nuove scelte e nuove vie da percorrere, decisioni da prendere, battaglie da sostenere, amori da vivere, morti di cui piangere.
Perchè la vita stessa di Cintia è macchiata di sangue, mescolata alla passione e alla sofferenza.
È vita contrapposta a volontà.
È incontro e devozione del Dio.
Perchè ognuno deve vivere per riscrivere un destino già scritto.
Genere: Introspettivo, Mistero, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Era la Novizia fin da quando, sei anni prima, era entrata nell'ordine delle Vestali. 
Aveva fatto voti e rinunce per essere scelta e diventare, un giorno, una delle vergini più illustri della Repubblica. Quelle donne erano preziose quanto la vita stessa, generatrici e custodi di un potere immenso, l'essenza stessa della romanità, il fuoco, che scorre nella linfa di ogni uomo, la linfa sacra agli dei e preziosa per ogni singola cellula di Roma.
Il loro compito era vegliare sulla sacralità, nutrirla e curarla notte e giorno, nei rigori dell'inverno così come nelle torride estati, affinchè non soffrisse di stenti e finchè la Fortuna avrebbe voluto.
A Roma, le vergini sacre erano venerate quanto il focolare che servivano. Vergini caste, illibate. Giunchi flessuosi, puri. Bellezze splendenti e lucenti, fertili come il fuoco stesso.
Ero stata preparata lungamente per diventare un'adepta. 
Eppure non sono stata abbastanza. Non per Roma.
 
Tutto ebbe inizio l'estate dei miei undici anni. 
Camminavo tra le messi care alla dea Cerere, accarezzando le spighe, incantata dal tripudio dei colori della natura, il cielo terso e l'aria calda, portatrice dei dolci aromi dei fiori. L'Arcadia era di fronte ai miei occhi, tutt'intorno a me,ed io vittima del piacere che ne traevo. Bastò il morso di un serpentello del campi per riportarmi alla terra. Gli dei non volevano godessi del tripudio di bellezza, probabilmente fu un satiro malvagio o una ninfa invidiosa, così mi disse la madre quando accorse trafelata sentendo le mie grida.
Ma, prima ancora del calore delle braccia materne, fu un sussurro a scaldarmi. Mentre un fiotto caldo di sangue fuoriusciva dal mio piede sporcando la bionda terra e le lacrime rigavano copiose il mio viso, ecco che un'eco, simile ad un sibilo di vento, mi cullò con parole dolci. Madre natura forse voleva scusarsi del gesto infame contro una sua figlia, oppure era una semplice allucinazione momentanea, provocata forse dallo spavento.
Fu in quel momento che mi parlò la prima volta. Parole che pagai col sangue.
A distanza di anni ricordo ancora la sensazione che provai nell'udirla. 
Sebbene tentassi di dimenticarla, quel ricordo tornava, incessante, finchè non ebbi paura dei miei stessi pensieri, fino a temere di pensare. Come poteva una bambina sentire così profondamente il ricordo di qualcosa che non era mai avvenuto? Ebbi il coraggio di non dire nulla alla madre, lei non avrebbe capito, mi avrebbe punita. Ma qualcuno si era accorto del mio fare assorto, troppo silenzioso per la bambina esuberante che ero stata. 
Cosa dire di fronte all'indicibile? È mai possibile che le parole sgorghino per esprimere l'ignoto? Alla mater superiora non era sfuggita la mia improvvisa trasformazione, così mi aveva chiamato in disparte per interrogarmi riguardo la mia salute. Iniziò con domande generali, mi chiese se mi trovassi bene tra le altre giovani e se per caso questo mio stato fosse provocato dalla lontananza della mia famiglia. Ma quando vide che non erano questi i motivi si fece pensierosa. Più cupa, guadinga. 
Era una donna anziana, da una folta chioma nivea e dalla corporatura solida, eppure appariva simile ad un giunco: flessuosa, capace di resistere a sfoghi d'ira dei ministri del culto così come agli eccessi delle novizie.
Resistere senza mai soccombere, un portamento stoicamente determinato, fiero. 
Fino a quel momento.
Eravamo in un piccolo pertugio di un lungo corridoio, ma lei si spinse fuori e mi trascinò con sè verso il tempietto dell'ala ovest del palazzo. A noi giovani era vietato accedervi o anche solo passeggiare in quell'area, si diceva contenesse dei segreti indicibili e oscuri, pericolosi quanto il crollo di Roma stessa.
Trascinata con quella foga non feci nessuna resistenza, anzi, ero più che mai curiosa di attraversare quei giardini, sentivo crescere dentro di me un non so quale timore, subito fagocitato dalla curiosità che cresceva all'avvicinarsi del luogo sacro.
Quando la mater si fermò improvvisamente io caddi, le ginocchia leggermente sbucciate gettarono rigagnoli di sangue scuro, denso, viscido. Il calore si generò automaticamente nel profondo del petto, racchiuse il dolore e mi fece gemere di un'emozione nuova che si propagò ed ebbe effetti in tutto il corpo. Gli occhi mi si fecero vacui, le pupille dilatate, i capelli prima legati in una salda treccia si disfarono in mille ricci ribelli, il corpo si fece nuovo di energia. Nella testa sentii nuovamente quel verso, simile ad un gorgoglio gutturale, poi un crescendo fino a tacere. Non riuscii a cogliere nulla di comprensibile eppure il calore di quella litania disumana mi riempii di una linfa nuova e vitale.
Nel frattempo vennero raggiunte da un anziano, custode e sacerdote del tempietto a cui si stavano dirigendo, che vedendo tutta la scena da dietro il colonnato si fece avanti, salutando la mater con un cenno del capo. 
"Avresti dovuto capirlo tempo fa, mia signora" a parlare fu lui, dalla sua voce non trasparì nessuna inflessione particolare, ma la mater superiora lo ritenne un affronto alla sua persona, lo si capiva dal modo in cui arricciò le labbra, un gesto fugace, ma espressivo al tempo stesso di rabbia e frustrazione. Eppure l'uomo non prestò attenzione a lei, quanto, piuttosto, alla giovane piegata dalla sofferenza. 
Le volse lo sguardo, ricercandone attenzione e porgendo i palmi per aiutarla, la ragazzina continuava ad avere uno sguardo perso, distante.
Provò allora ad incitarla scuotendola leggermente per la spalla, ma gli occhi si mantenevano imperscrutabili, nessuna risposta giungeva all'uomo o alla mater, ciò nonostante nelle loro menti si profilavano diversi scenari, differenti motivi e un'unica impensabile risposta.
"È davvero possibile che lei sia chi stiamo aspettando?" Sussurrò la mater sconcertata.
"Ritengo sia con Lui in questo stesso momento" Le rispose l'uomo, un sorriso a lacerarne le fattezze.
"Paulus non capisco il motivo della tua felicità, è inammissibile."
"Lavinia cara dovresti sapere che non c'è limite al divino"
"È osceno"
"È amore, è amore peccaminoso, bugiardo, sporco. È anche osceno. Ma è Amore."
E dicendo ciò si lasciò andare ad una risata grossa, orrida, mentre la mater aveva il volto solcato da lucide gemme. 
La giovane intanto continuava ad essere assente, partecipe di un'altra vita, di altre emozioni, troppo intense e pericolose, continuava a stare sospesa in quel limbo, che la preservava dal male del presente, per rigettarla negli inferi dell'eterno.
 
 
 
 
 
 
 
  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Cintia