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Autore: Shichan    09/11/2008    4 recensioni
L’hai capito, vero Suzaku?
Che hai perso.
La guerra tra Britannia e Giappone non può essere vinta con le forze armate.
Non se hai paura di uccidere.
Non se non riesci a pensare ad ogni soldato, ad ogni vita, come una pedina degli scacchi.
E lo sai bene, Suzaku.
Lelouch è sempre stato il Re degli scacchi.

[Lelouch vi Britannia; Suzaku Kururugi]
Presenza di spoiler se non avete visto tutte e due le serie complete ^^
Genere: Triste, Song-fic, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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La Festa dei Folli

Disclaimer: i personaggi appartengono ai rispettivi autori ed io li utilizzo solo perché la mia mente è profondamente malata.

Alcune frasi sono © dell’anime.

La canzone è © dei rispettivi autori (La festa dei folli, Riccardo Cocciante, Notre Dame de Paris).

Avvertenze: spoiler e riprese degli avvenimenti dell’anime dalla prima alla seconda serie, ultime puntate comprese.

Note: questa è stata la sfida per ora più “grande” che io abbia affrontato in termini di “oneshot”.

È stata iniziata in Agosto ed è finita a Novembre. Per la prima volta ho dovuto pazientare di avere l’ispirazione giusta, quando di solito se ho davanti word non ho poi molto bisogno di ragionare per scrivere. E soprattutto, distruggere uno dei tuoi personaggi preferiti come ho fatto io con Suzaku e scoprire che ti viene naturale, non ha prezzo XD. È una bella soddisfazione, anche se mi dispiace di averla fatta di 16 pagine X° Mi scuso con i lettori (o chi avrà la forza di essere tale e non fermarsi qui XD)anche per questa insopportabile sottolineatura che dopo un anno ancora non ho capito perché appare =.=

Special Thanks: si ringrazia la Nari, che povera si è sorbita la creazione dell’ultima parte e le mie imprecazioni in diretta su msn. E Sephta, che si è pazientemente ascoltata la lettura di alcune parti al telefono.

Vi ringrazio tanto per il supporto morale, o non l’avrei mai conclusa :**

 

[La festa dei folli]

 

Questa, è la Britannia.

Una nazione forte, una nazione che non teme rivali nella sua area di conquista.

Una popolazione fatta di nobili ed altolocati, di militari addestrati alla protezione dei loro governatori.

La Britannia, conta di eredi, di famiglie libere; conta di uomini che si svegliano con la consapevolezza che quello sarà un giorno come gli altri, fatto delle solite mansioni, di incontri governativi e assemblee generali.

Oppure, si recheranno gli uni a casa degli altri per un comodo ed amichevole thé, un pomeriggio di inganni e falsi sorrisi per la comune convivenza senza problemi conflittuali fra le famiglie che della Britannia sono le basi.

I figli studieranno nelle migliori scuole, senza alcuna preoccupazione oltre lo studio, le amicizie e i festival che il loro istituto organizza per tanti periodi dell’anno quanti sono quelli voluti dalla tradizione.

Tutti gli abitanti della Britannia, che siano essi parte integrante della famiglia reale, o dell’amministrazione governativa o, molto più semplicemente, dei britanni qualunque, la cosiddetta “gente del popolo”, non si danno pena di cosa accade il giorno.

Non si preoccupano di avvisare a casa che tarderanno sul lavoro, né guarderanno febbrilmente gli orologi per paura di non fare in tempo per l’ora in cui i loro figli usciranno da scuola.

I britanni, di queste cose non hanno forse nemmeno concezione.

Vanno orgogliosi delle loro case, grandi e ben arredate, con giardini sempre verdi, ben curati; un giardiniere che lavorando fa sì che la mattina, appena svegli, sentiranno l’odore tipico dell’erba appena tagliata, o dei fiori accuratamente innaffiati.

I colori delle piante, nelle case dei britanni, sono più vivi, e gli alberi più rigogliosi.

A volte, nei loro giardini corre qua e là un animale di compagnia: un cane se la famiglia ha dei bambini, un gatto se le loro figlie sono già signorine. Uccellini in gabbia, se ci sono anziani, o se qualcuno in famiglia è cagionevole di salute o, ancora, se chi vi abita è un britanno che non ha particolare affinità con gli animali più vivaci.

E, dopotutto, quegli uccellini in gabbia sono estremamente “comodi”: non sporcano la casa, il cibo che bisogna dargli è minimo, perché comunque sopravvivranno anche con una piccola porzione. Poi, l’uccellino canterà, deliziando le orecchie dei britanni che ne osserveranno il candido o colorato piumaggio; sbatterà un paio di volte le ali, cercando di volare in una gabbia dalle sbarre troppo strette.

Ma va bene così, anche se soffre per la prigionia.

Perché quella è la Britannia.

E lui, è semplicemente stato così sfortunato da non rientrare nella categoria di persone o esseri viventi che non hanno altra preoccupazione se non a quale istituto mandare il proprio figlio, o quali complimenti ben collaudati rivolgere a questo o quel governatore.

Lui, non è un britanno.

 

[La festa dei folli]

 

Questo, è il Giappone.

Uno Stato, o qualcosa che si potrebbe a tutti gli effetti descrivere come “nazione”.

Una popolazione che è fatta di lavoratori, di uomini medi che ogni giorno si svegliano con la consapevolezza che fino a sera non vedranno i loro figli.

Il Giappone, è formato da famiglie semplici, da figli che saranno istruiti nelle scuole pubbliche: dai docenti apprenderanno che gli adulti non sono sempre in buona fede, non sono sempre nel giusto.

Impareranno, lì in quelle aule sempre troppo piccole per quanti sono loro, che la lealtà, il coraggio, l’uguaglianza che tanto si decantano, sono valori a cui nessuno dà più importanza.

E d’altra parte, poi, come potrebbero crederci?

Il giorno si parla di pace, si parla di fratellanza, e gli uomini si giurano fedeltà, aiuto.

La notte ai bambini si raccontano favole di morte e tradimento.

I giapponesi sono ossessionati dal tempo: in una frenetica vita che gli sfugge di mano, continuano a correre, sempre. Nel lavoro, con la famiglia, nei momenti felici e in quelli tristi, anche mentre sognano, persino mentre respirano.

Non riescono a piangere quanto vorrebbero, quando le lacrime vanno fuori controllo.

Fermano una risata dopo così poco tempo dalla sua nascita, che gli fa quasi male ai polmoni.

Loro non ricordano i sogni, poiché il risveglio è così veloce, così forzato, che a loro quelle sfumature oniriche sfuggono dalle mani, come l’aria, come l’acqua.

Spesso, non ricordano le cose: non avevano tempo di osservarle.

I giapponesi corrono e corrono, senza osservare il paesaggio, senza raccogliere fiori; a volte, sospirano.

Rimpiangono.

E poi, ricominciano a correre.

Le famiglie giapponesi, non hanno mai troppi figli: non avrebbero la possibilità di starvi dietro senza farli soffrire. E piuttosto che crescerli nell’infelicità, sacrificano forse il desiderio di averne.

I giapponesi, sono uomini che non hanno mai camminato davvero sulla terra: rischiavano che fosse sempre troppo tardi.

Perché loro, non sanno nemmeno se il giorno dopo saranno ancora vivi.

Loro, non sono britanni.

 

[La festa dei folli]

 

La società della Britannia, è l’esempio di come una popolazione dovrebbe essere.

Specialmente una popolazione il cui Impero si è esteso, ottenendo successi in battaglia che neppure gli antichi avrebbero sognato o ritenuto possibili, senza l’aiuto delle divinità che formavano la loro religione.

Vantano un Imperatore che li ha condotti alla prosperità, e la cui famiglia detiene i maggiori incarichi che quel governo di un solo uomo ha bisogno di tenere su, perché la Britannia non diventi un puzzle nelle mani di un bambino che non ne conosce la funzione.

E i figli di quell’Imperatore, rendono onore alla famiglia, alla razza. All’Impero.

Cosicché l’urlo di: «All Hail Britannia!» possa essere un grido alzato da voci che credono in ideali dalle solide fondamenta.

Coraggio.

Forza.

Stabilità.

Questa è la Britannia, e il popolo è il suo orgoglio.

Fiero di appartenere a coloro che detengono il potere, prendendone in prestito, esercitandone a loro volta, per avere quella certezza di cui ha bisogno ogni essere umano: avere un ruolo, avere un’importanza nel mondo in confronto al quale lui non è nulla.

Ma i britanni, a questo non credono; forse, lo farebbero se avessero una religione, ma loro non la hanno.

Non hanno un Dio, i britanni: non è una divinità, quell’entità di cui ci sia ricorda solo ad un passo dal baratro, mentre la Disperazione ti ha preso per mano e ti conduce nell’oscurità più cupa, quella senza uscita.

Gli abitanti dell’Impero di Britannia non hanno bisogno di credere in Dio, visto che hanno sé stessi.

Sono loro, Dio.

Oppure, lo è il loro Imperatore che dall’alto, seduto su un trono che si immagina d’oro o d’argento, osserva le questioni mondane, mantenendo un occhio di riguardo verso i più fedeli, i più leali.

I britanni, sono sciocchi: sono come folli in piazza, nel mezzo di una festa di paese.

Si agitano come marionette dai fili intrecciati, che vengono mosse goffamente in canti e balli; ripetono nomi, ripetono motti, parole che non gli appartengono, parole che non comprendono. Come pappagalli da compagnia a cui è stato insegnato a ripetere il dire altrui, senza averne nemmeno coscienza.

Ridono di battute forzate, di falsa allegria e si divertono, godono dei piaceri, senza accorgersi di starsi sporcando di fango, ridendo gli uni degli altri.

Questi, sono i britanni.

I giapponesi li chiamano: invasori.

 

[La festa dei folli]

 

La società giapponese, è l’esempio di come una popolazione non dovrebbe essere e, al tempo stesso, di come è nella realtà, quella che nelle favole non viene raccontata per non spaventare i bambini.

Un popolo che nel suo governo non ha più fiducia, dopo averlo perso.

Uomini che diventano schiavi, donne che diventano giocattoli.

Persone che, malgrado siano cadute in basso, in quell’oscurità che non permetteva di vedere null’altro intorno a sé, hanno alzato la testa e continuano a fare la cosa più difficile al mondo: vivono.

Vivono nella paura di non vedere l’alba del giorno seguente, nel terrore che torneranno a casa e la porta sarà buttata giù, con forza, scardinandola.

Il legno che la formava, sarà tagliato in diversi punti: la cucina, subito dopo l’ingresso, sarà nel caos, le stanze seguenti, ben poco diverse. Abiti ovunque, mobili rovesciati.

Urla, di terrore, disgusto. Di supplica.

Una moglie sulla quale i segni della violenza sono visibili come una sola nuvola di pioggia in un cielo azzurro. Un figlio tremante in un angolo, nel cui sguardo leggeranno le atrocità di cui le mura di quella casa saranno pregne.

Questa, è la paura che vivono i giapponesi: oppure, quella di rientrare in casa, e trovare un lago di sangue che non lasci spazio a nulla, oltre a un grido di disperazione.

Quella Disperazione che agli invasori non fa mai visita, che non li spaventa, non li trascina via con sé.

Quella per la quale i giapponesi dovrebbero pregare, ogni giorno, ogni ora, ogni istante.

Ma i giapponesi no, non credono in Dio.

Dio li ha abbandonati nel momento in cui il Giappone ha perso orgoglio, nome, bandiera.

Quando è divenuto l’ “Area 11”, e i suoi abitanti hanno compreso che la libertà sarebbe stata quella che nei libri definiscono poeticamente “mera illusione”, i giapponesi hanno smesso di pregare qualunque dio.

E hanno smesso di vivere.

I giapponesi sono sciocchi, come folli in una festa nella piazza di un paese: pendono dalle labbra di un solo uomo, come i bambini di fronte al cantastorie preferito, solamente perché è l’unica cosa che credono di poter fare, per recuperare l’orgoglio e la vita che hanno distrattamente lasciato andare via.

Senza accorgersi che una favola resta una favola, non diventa mai realtà e quel loro atteggiamento seppellisce l’orgoglio di esseri umani ancor prima di quello di un popolo.

Piangono i soprusi e non li affrontano, si lamentano del dolore delle ferite, ma non ne ripuliscono il sangue, né evitano che esso inizi a scivolare via da un taglio leggero.

Questi, sono i giapponesi.

I britanni, li chiamano: Eleven.

 

[Lasciate che sia mia, la voce che dà il via,

che spinge l’allegria folle alla follia]

 

I giapponesi, persero tutto.

E come inevitabile conseguenza, vennero sottomessi.

Nonostante ciò, forse all’inizio loro sperarono in qualcosa: ingenuamente, credettero che il governo del Sacro Impero di Britannia si sarebbe rivelato magnanimo nei confronti del popolo sottomesso, permettendogli di mantenere la loro vita come era, sebbene sotto la loro amministrazione.

Furono disillusi.

Il governo britanno non si rivelò affatto misericordioso verso un popolo che era stato palesemente schiacciato dimostrando non solo la sottomissione quasi completa, ma la totale inadeguatezza alla battaglia decisiva che gli avrebbe portato via tutto. Erano bastate la metà delle forse britanne, per far cadere quel Giappone di cui gli Eleven andavano tanto fieri.

E le guerre, non sono come quelle che si fanno da bambini.

Se perdi, non si ricomincia dall’inizio come se nulla fosse accaduto.

Quando gli Eleven compresero quella realtà, la Britannia aveva già deciso per loro la vita – perché potevano almeno sperare in quella, vero? – quella che avrebbero portato avanti da lì in avanti.

Gli ex-giapponesi divennero gli animali da compagnia, le bestie da sovraccarico di lavoro.

Gli epiteti più gentili, non gli sarebbero mai stati rivolti: al contrario, benché lavorassero, benché gli spettasse il rispetto dovuto se non ad un popolo, almeno ad un essere umano, le parole che gli venivano rivolte erano così lontane dal rispetto della singola persona, da risuonare lontane e straniere in quel luogo che avevano sempre chiamato casa.

Un Eleven non poteva fuggire; e fu allora che, tra quelli che già prima dei britanni erano stati reietti della società e che, ora, altro non potevano definirsi se non spazzatura, arrivò.

L’unica via che sembrava percorribile per acquistare la “libertà”.

Il Refrain.

Che fosse una droga, sembrava non importare minimamente.

Spinti all’uso dalla totale mancanza di una speranza, continuarono senza pensare, l’uno dopo l’altro, a fare del Refrain la personale via di fuga.

Anche mentre si sentivano male.

Sputavano, sbavavano. E a volte, sanguinavano persino.

Quante volte si poteva violentare una donna, solo dandole una dose sostanziosa?

Quanti segreti di Stato si potevano far rivelare, solo somministrando una dose forte?

E quanto, quanto venivano amplificati il piacere e l’eccitazione, con il Refrain?

Molto.

Tanto.

Forse, troppo.

“Paradiso”, lo chiamavano alcuni.

Eppure, quella dose sostanziosa a volte diventava troppa, come un bicchiere già pieno d’acqua che, a causa di qualche goccia in più caduta per disattenzione, straborda.

E allora, la vita che il Refrain doveva agevolare veniva portata via senza pietà.

L’anima che doveva risollevare, era persa per sempre.

La follia, fu l’unica soluzione che trovarono.

E gli Eleven furono etichettati come folli ed ignorati come fantasmi; ma lui, fu diverso.

Lui non pronunciò parole sprezzanti, ma con voce chiara annunciò un cambiamento. Quello in cui gli ex-giapponesi credettero, non fu una promessa, né un giuramento.

Loro credettero nella sua voce che annunciava un miracolo, a cui lui stesso avrebbe dato inizio, con una sola parola, come un effetto domino inarrestabile.

Disse di chiamarsi Zero.

 

[E che il più brutto sia

trovato e fatto papa

in piazza per la sua fisionomia pazza.]

 

Fu etichettato come: “L’uomo che compiva i miracoli”.

Si guadagnò tale nome.

Sbaragliò eserciti, tattiche militari.

Le strategie, erano sempre un passo avanti, nel suo ferreo e assoluto controllo della situazione.

Un’immensa partita a scacchi, dove la scacchiera era il mondo intero.

Eppure, era l’area 11, quella a cui Zero mirava? O il mondo?

Probabilmente entrambe; forse, una sola. Ma se anche fosse stato così, non poteva giungere al Giappone senza andar contro la Britannia.

L’apparizione di Zero, il suo primo vero contribuito, avvenne in maniera del tutto inaspettata: il mondo non sa che allora, Zero era solamente uno studente di nome Lelouch Lamperouge, e che il suo scopo era creare un “mondo gentile” per la sorella minore.

Non aveva moventi nobili come l’orgoglio per la nazione: lui era ed è uno dei principi ereditari del Sacro Impero di Britannia.

Non aveva ragioni profonde come la compassione per il popolo: non è forse vero che anche Zero, sul campo di battaglia, schiaccia i più deboli? Anche se si tratta di britanni, non è questa la politica che attua, la strategia che nasconde dietro gli ordini?

Lelouch Lamperouge aveva solo un desiderio personale; e si servì del mondo per tentare di realizzarlo.

Compì il primo miracolo e Zero venne conosciuto da tutti, amici e nemici poco importava. Era parte della strategia dopotutto.

Lui era lì, per essere il simbolo di una rivolta, dell’indipendenza; lui sarebbe stato il simbolo della speranza dei giapponesi.

Il “papa” che porta la pace nel mondo, non importa la razza, non influisce la religione professata, né la cultura. Il papa, dall’alto, controllerà che ci sia quell’uguaglianza agognata, quella fratellanza desiderata. Che il rispetto per l’individuo sia all’ordine del giorno, che la gentilezza sia ordinaria amministrazione.

Il “papa” scese in piazza, trattato come un folle che sperava di cambiare il mondo.

Eppure, solo lui poteva avere quel ruolo: perché era l’unico che fosse pronto a diventare schiavo della follia, approfittando del mondo per un unico, semplice, desiderio.

 

[E quello che farà

più orrore con la sua

mostruosità sarà eletto e così sia.]

 

Zero fu affiancato dall’Ordine dei Cavalieri Neri.

E per contro, come in una doppia vita, era lo studente affiancato dai compagni di classe.

Un fratello gentile che amava la sorella minore più della sua stessa vita, pronto a difenderla a costo di morire.

E, sebbene nessuno l’avrebbe mai saputo, non poteva esserci altra persona se non Lelouch Lamperouge, dietro la maschera di Zero.

Lelouch era pronto a sacrificare persino sé stesso: chiunque, avrebbe potuto vederlo come un eroe, come una persona ammirevole. Rendere vana la propria vita, come se fosse assolutamente priva di senso, o di motivi per proseguire, solo per amore di una sorella che non vede e che non cammina, ma che – è dunque questo che chiamano “ironia della sorte”? – rappresenta tutto ciò di cui hai bisogno al mondo, per sopravvivere.

Se c’è lei, tutto ha senso; se lei sta bene, allora e solo allora è tutto a posto.

Un sorriso di quella sorella così piccola, che non puoi far altro che giurare a te stesso di proteggere, è tutta la forza di cui avrai bisogno per non sentirti male la prima volta che vedrai un cadavere causato da quella strategia che, prima di allora, hai applicato solamente agli scacchi.

Chi mai giudicherebbe male una persona simile?

Chi mai avrebbe il coraggio di etichettarla come una persona malvagia?

 

Zero era pronto a sacrificare tutto e tutti: chiunque avrebbe potuto vederlo come un’opportunista, come un folle che si diverte a giocare con la vita altrui. Mandare persone su persone a morire, come se la loro esistenza non avesse il minimo senso, solo per riconquistare un paese che si è mostrato fin troppo arrendevole, agli occhi di alcuni. Godere di una vittoria sulla Britannia, senza curarsi delle perdite da essa provocata.

Se c’è la vittoria, tutto ha senso; se l’avversario è in difficoltà, allora e solo allora è tutto a posto.

Per il momento.

Sentir invocare con esultanza il proprio nome da quel popolo che gli stava affidando sé stesso, il proprio orgoglio, le speranza, il nome, la nazione, era tutta la forza di cui Zero aveva bisogno per parlare con convinzione alle sue pedine – pardon, sottoposti – per avere il consenso per la prossima mossa, quella che successivamente avrebbe portato ad un’altra vittoria, ad altre perdite ed ad un risultato che forse, però, non le valeva affatto tutte.

Chi mai giudicherebbe bene una persona simile?

Chi mai avrebbe il coraggio di etichettarla come un eroe?

 

Zero e Lelouch Lamperouge, sono talmente l’uno il riflesso dell’altro, che capire chi fossero era così semplice, che sfuggì proprio sotto il naso fino alla fine.

E nel frattempo, Zero era l’unico che potesse prendere il comando.

L’uomo che compiva i miracoli, era l’unica persona abbastanza mostruosa per la facilità con cui ignorava le atrocità che avvenivano sotto il suo naso, che potesse essere eletta.

Nessun altro.

 

[Il papa è lui.]

 

È lui l’uomo che gli ridarà il Giappone.

Lui quello che soverchierà la Britannia.

È Zero, solamente Zero, l’uomo che potrà comandare persino gli dei.

È lui che porta le speranze degli Eleven alla concretizzazione.

È solo lui, il papa dei folli.

 

[Il papa è lui.]

 

Lui, ama il Giappone e vuole restituirlo ai giapponesi.

È lui, l’Eleven che vuole placare quell’ira immotivata dalla Britannia.

Vuole farlo dall’interno.

È lui, che forse vuole tentare di allearsi con gli “dei”.

Anche lui cerca di portare le speranze degli Eleven alla concretizzazione.

Anche lui, è un papa dei folli.

Anche se non lo sa ancora.

 

[E quello che sarà

più orrendo regnerà,

il papa è lui!]

 

Furono l’uno di fronte all’altro quando su quella via gremita di gente, stava per avvenire un’esecuzione.

Perché fin troppe volte “Eleven” era stato e sarebbe rimasto sinonimo di “traditore”.

Il papa senza scrupoli indossava una maschera, perché altro non poteva fare.

Perché quello era un simbolo.

Il papa buono, vittima di un nome e non di un’azione, era lì, la faccia scoperta di fronte all’altro.

La maschera, l’avrebbe indossata solo poi.

Zero lo salvò, quando lui sperava non accadesse.

Zero lo perdonò, quando lui voleva essere trattato da colpevole.

Gli offrì la mano, e lui la rifiutò.

«Non approvo i tuoi metodi.» gli disse.

E, senza saperlo, lo tradì.

Zero non perdona il tradimento, e Kururugi Suzaku non era stato altro che un traditore fino a quel momento.

Tuttavia, Zero esitò, perché dietro la maschera, la parte umana non poteva uccidere il suo più caro amico.

Da allora, sebbene non sapessero fino in fondo ciò che riguardava l’altro, furono consci di una cosa: uno solo avrebbe regnato su un popolo che era ormai guidato da follia, disperazione ed un barlume di speranza. Sarebbe stato colui che avrebbe dimostrato di essere la persona più crudele, l’unica che senza rimpianti o ripensamenti poteva far divenire un sogno realtà.

E la gara, ebbe inizio.

 

[E' la, è lui,

ma lui chi è?]

 

Suzaku Kururugi, figlio del l’ex Primo Ministro del Giappone.

Un giovane arruolatosi per espiare i propri peccati: è sempre stato proprio , “all’interno” della Britannia, nel punto da cui voleva partire per cambiare tutto, anche il mondo, forse.

È lui, Suzaku, che fino a quel momento ha sempre seguito un sogno infantile, nella futile speranza che si sarebbe avverato solo desiderandolo intensamente.

Lui è quel bambino egoista divenuto gentile.

Quello che non piegava la testa di fronte a nessuno.

Colui che di fronte ad un bambino britanno, una volta, urlò con tutte le sue forse, picchiandolo e sbattendolo a terra, solo perché era un britanno.

Non conosceva la parola “pregiudizio”, e tuttavia già la lasciava riflettere nei gesti e nelle parole.

Quel bambino che nel britanno trovò il suo primo amico; quello che giurò di proteggerlo.

Suzaku non sa se Lelouch è ancora vivo, ma sa che si ricorda di lui.

Sa che sono ancora amici.

 

[Che fa?

Cos'è?]

 

Suzaku, ha smesso di crescere quel giorno di tanti anni fa in cui Lelouch se ne è andato.

E, come allora, continua a sperare in un cambiamento assurdo, che sa tanto di sogno e ben poco di realtà.

Ora fa il soldato, Suzaku.

Spera ancora di cambiare le cose e testardamente prova, e riprova, perché crede fermamente che i frutti presto o tardi si vedranno. Gioca con il fuoco, lui, come un incosciente che non sa che rischia di scottarsi.

Suzaku, a volte osserva il cielo, a volte prega.

A volte, però, si arrabbia per la sua impotenza.

Per la debolezza; non la vede la sua forza, Suzaku, ed è sempre stato un po’ testardo.

Se qualcuno gliela indicasse, lui sarebbe capace di non riuscire ugualmente a vederla.

Suzaku, a volte, cammina per strada sia fra gli Eleven che fra i britanni, e quando vede un litigio, cerca di placarlo; capita che lo trattino in malo modo entrambi.

Perché Suzaku non ha ancora capito che la razionalità ha già lasciato l’Area 11 da molto tempo.

 

 

[E' lui, che va.

Di qua.

Di là.

Ma lui, chi è?]

 

A volte, Suzaku, non capisce il perché.

Lui non sembra rendersi conto del motivo per cui né gli Eleven, né i britanni, lo ascoltano.

Eppure lui è un soldato, lui potrebbe e dovrebbe portare l’ordine.

Ma chissà perché, spesso fallisce.

È lui, che va con le migliori intenzioni, sempre, sempre, anche se fallisce, anche se sa che non verrà capito.

Va lì, e chiede di smettere; sì, chiede.

Perché Suzaku è gentile.

Lui non impone a nessuno, oh no, lui non è come quel tipo, come Zero.

Lui, Suzaku, è convinto di poter ottenere dei risultati rispettando tutti, senza sacrificare nessuno.

E non ha capito perché, in realtà, gli Eleven che dovrebbero ascoltarlo lo fissano come la peggior feccia che insudicia l’Area 11; e i britanni – che dovrebbero ascoltarlo perché un soldato dell’esercito della Britannia, difende anche loro – lo osservano come qualcosa di grottesco, che è fuori luogo, come un ornamento natalizio in piena estate.

Suzaku, non sa che se per lui dovessero decidere un nome offensivo, probabilmente lo chiamerebbero: “il Giullare”.

E, forse, non ha nemmeno ancora capito quale differenza c’è fra lui e Zero, oltre le innumerevoli scuse che lui chiama “diversità”, quando ha bisogno di dirsi che sì, va bene come sta agendo lui.

Zero, è totalmente dalla parte degli Eleven.

E Suzaku, non ha ancora capito che un uomo che non prende posizione, è nemico del mondo intero.

Non importa quanto si dimostrerà gentile: Suzaku Kururugi è un giullare nelle mani di chi si annoia, correndo da una parte all’altra, senza appartenere a nessun luogo, e a nessuna persona.

Questo, è lui.

 

[Ma quello là chi è?

Quel mostro che è laggiù.

Nascosto se ne sta nel suo mostruoso buio.]

 

Chi, oggi, non lo conosce?

Figlio dell’ex Primo Ministro Kururugi, giapponese di origini. Poi l’Eleven, come tutti i suoi concittadini.

Il soldato che vuole cambiare il sistema dall’interno, poi il britanno onorario, poi il Cavaliere della Principessa del Massacro.

Quanti nomi, ha Suzaku, quante identità. E tante ancora ne avrà, come maschere, come se fosse un attore che capriccioso cambia troppo spesso il suo ruolo.

Ha tanti volti e proprio per questo, alla fine, chi mai sia Suzaku Kururugi, non lo sa nessuno.

Lui è tutto ed è niente: il compagno di scuola gentile, l’amico d’infanzia fidato.

Poi cammina, avanza, esce da scuola. E si dirige altrove, in un luogo che non può chiamare “casa”, ma che in fondo non è nemmeno poi così estraneo.

Avanza, lui va sempre dritto, perché ha un obiettivo.

Lui sa qual è il suo ruolo, lo sa anche mentre cammina fra gente che lo osserva e si chiede chi sia davvero.

Suzaku Kururugi è tutto quello che è stato e che sarà: agli occhi di chi non vede non potrebbe apparire in altro modo.

Ma lui lo sa, cos’è.

Non è l’amico fedele, non è il leale soldato, non è nemmeno un vero britanno, figurarsi un cavaliere.

Lui è un mostro: lo sa, di essere uno schifoso, fottuto traditore.

Un assassino le cui mani sono ancora grondanti di un sangue invisibile.

È la sua natura, quella vera, quella da cui non può scappare, non importa quante maschere indosserà. Lui ha tradito così tante volte nella sua vita fin troppo breve per così tante colpe, che non potrebbe essere altro.

Ha tradito suo padre, il piccolo assassino.

Ha tradito la sua patria, il meschino soldato, quello che dice di voler cambiare le cose anche quando lo vede – lo vede, Dio – che non sta cambiando proprio nulla e che gli Eleven muoiono con nelle vene più Refrain che sangue.

Ha tradito il suo migliore amico, anche se non lo ha mai saputo. Ma d’altra parte, non si può sfuggire alla propria natura. Nemmeno volendo. Nemmeno se scappi disperatamente.

Ma Suzaku Kururugi, lui è un artista della fuga.

Cammina in bilico sul filo della finzione, teso fino allo spasmo, sperando di non cadere, che la recita regga.

È gentile, perché spera di cancellare il peccato che l’ha reso un mostro.

Poi, quando la maschera diventa pesante come il piombo… accade.

Suzaku scappa via, torna all’esercito.

E resta nascosto nell’ombra, come il predatore che attende la preda.

No.

Più calzante ancora.

Perché Suzaku non è predatore, non è preda; lui è rimasto fermo, come quell’orologio che si porta dietro.

Il suo tempo è fermo a quell’istante.

E lui, si nasconde in quel buio che fa paura, più della realtà da cui stava fuggendo.

Perché, dopotutto, Suzaku è ancora il bambino di nove anni che tremante, non ha il coraggio di dire: «Io ho ucciso mio padre.»

 

[Il Papa è lui]

 

Zero proseguì per la sua strada.

Strategie, attacchi, difese. La sua vita, il suo modo di pensare.

La mossa dopo. Sempre e solo quella a cui pensare, mentre i sottoposti divenivano dubbiosi e poi, come in un irrefrenabile circolo vizioso, gli affidavano tutto di nuovo.

Come se non trovassero l’errore, il tassello mancante.

E Zero guardava, come il Re Nero degli scacchi osserva i pedoni e gli Alfieri muoversi in sua difesa, sbaragliando l’avversario.

Non esitò: non poteva permetterselo.

Un Re non ha dubbi, un Re governa e basta.

Comanda su un popolo fedele che lo osanna a figura di pace e giustizia.

La gente pronuncia il suo nome, in un’esaltazione che tutte le volte sembra non doversi più fermare.

Le voci vibrano nell’aria, il nome di Zero è sulla bocca di tutti.

Sarà lui, che guida il popolo, che è il popolo.

Sarà lui, il Papa.

 

[Il Papa è lui]

 

Suzaku, a volte avanzò.

A volte tornò inconsapevolmente sui suoi passi.

Tattiche, attacchi, difese. La sua vita, il suo modo di pensare.

Il suo lavoro, eseguire gli ordini. Sempre e solo quella, la regola da rispettare, mentre i superiori restavano dubbiosi della sua origine di Eleven e poi, come in un irrefrenabile circolo vizioso, diventavano fiduciosi.

Come se avessero trovato l’errore, il tassello mancante.

E Suzaku combatteva, come il Cavallo Bianco degli scacchi combatte con i pedoni e gli Alfieri in difesa del Re, sbaragliando gli avversari.

Fino a giungere al Re Nero.

Non esitò: non poteva permetterselo.

Un Cavaliere non ha dubbi, esegue gli ordini e basta.

Protegge un popolo che a volte lo segue, altre gli volta le spalle.

Quella gente che sottovoce pronuncia il suo nome, come in un ripensamento riguardo la giustizia.

I sussurri sfiorano il silenzio che è nell’aria, il nome di Kururugi Suzaku è sulla bocca di molti.

Forse sarà lui, che difende il popolo, che è il popolo.

Sarà lui, il Papa.

 

[E' quello che ci fa

Più orrore e regnerà

Il Papa è lui!]

 

Zero e Suzaku, quante volte si scontrarono ancora?

Tante, molte.

Innumerevoli, forse.

Si potrebbe chiamare scherzo del destino, alchimia, ovvietà.

Non ha poi molta importanza: hanno proseguito, ancora, e ancora. E Suzaku l’aveva capito – oh se lo aveva capito – che Zero non era solo Zero, che Lelouch, lui c’entrava qualcosa.

Li aveva notati, i comportamenti strani, i modi di fare diversi, la maggiore riservatezza e… il sorriso.

Il sorriso di Lelouch non era mai stato così falso.

Non con Rivalz, Nina, Milley.

Non con Shirley.

Non con lui, Suzaku.

Eppure, Lelouch divenne così palesemente falso nella sua perfetta recitazione – sembra forse un controsenso? – che Suzaku lo capì.

Ma chiuse gli occhi.

Non lo affrontò, non sollevò la questione, ma spostò lo sguardo.

Perché non guardare era più facile, molto più semplice che ammetterlo.

E saliva sul Lancelot, Suzaku, soldato al servizio della Britannia.

Non era vero, che non sapeva contro chi combatteva, non era vero che non sapeva il perché.

Conosceva l’odio di Lelouch, il desiderio di quel bambino che era stato il suo migliore amico, che era ancora il suo migliore amico.

Eppure, Suzaku chiuse gli occhi, si tappò le orecchie.

Non sapeva nulla, lui, non capiva. Doveva solo combattere, avanzare.

Tradì, di nuovo.

E probabilmente, insieme a Lelouch, tradì anche sé stesso.

Ma in fondo, uno come lui, poteva anche vendere l’anima al diavolo: tanto, non se ne faceva più nulla.

Perché c’è un limite oltre il quale nemmeno l’anima di un traditore può essere insudiciata oltre.

E lui, Suzaku, quel limite l’aveva già superato.

Dunque… perché non gettare via qualcosa di così scomodo come il proprio cuore?

 

Battiamo le mani, all’uomo che di orrori ha fatto lo scenario di una vita.

Che si innalzino grida d’esaltazione.

Il nuovo Papa, forse, è giunto.

 

[È il campanaro e ha

la gobba su di sé

più brutto non ce n’è

è lui, Quasimodo.

 

E guarda come guarda

La gonna di Esmeralda.

È gobbo e zoppo e orbo,

è orrendo e regnerà.]

 

Suzaku, finì irrimediabilmente con il mostrarsi per quello che era.

Alla fine, il traditore uscì allo scoperto… per tradire di nuovo.

Lì, di fronte al suo peggior nemico, la pistola contro di lui, contro il suo volto.

Tensione, adrenalina, grilletto.

Sparare.

Nessun’altra scelta.

Sparare.

Non c’è altro che può fare.

Sparo, rumore, l’urlo di Karen.

Non avere pietà, Suzaku.

La maschera è colpita, si rompe, cala.

E rivela un viso, rivela un timore, rivela un incubo.

Non abbassare la pistola, Suzaku.

Lui, il suo migliore amico.

Allora era vero, aveva tradito lui, gli altri, il Giappone!

Mantieni il sangue freddo, Suzaku.

E parli, chiedi, domandi.

Vuoi sapere, nonostante tutto.

Perché sei stato preso in giro – e tu non hai forse fatto lo stesso?

Rabbia.

Una rabbia cieca, perché è tutto sbagliato, quello che fa Lelouch, che fa Zero.

Sparagli, Suzaku.

Spara al traditore.

Zero punta la pistola contro di lui, contro Suzaku, contro il militare.

O quello che è.

Quel che rimane.

Silenzio, tensione, adrenalina.

Si ripete di nuovo.

Uccidilo.

Sparo. Colpo.

Suzaku uccise il traditore.

O forse, consumato nell’animo che lui stesso aveva macchiato, con sopra le spalle il peso delle morti, dei tradimenti, dell’infedeltà, delle promesse mancate… ne uccise due.

Eppure, continuerà a guardare avanti, Suzaku.

Non ha più nulla da perdere, dopotutto, non c’è più nulla che possa distruggerlo più di tutto quello.

Venderà tutto ciò che possiede.

Orgoglio, dignità.

Tutto. Non gli serve più.

E ogni tanto, gli sembrerà di rivedere qualcosa per la quale una volta avrebbe combattuto.

Ma lui, resta sempre lui.

Lo sapeva, d’altronde, no?

Fin dalle sottili insinuazioni, quando era ancora l’inizio di tutto.

Il britanno onorario che senza ritegno seguiva come un cagnolino colei che sarebbe divenuta la Principessa del Massacro.

Seguendo Euphemia Li Britannia, come un cane fedele da biasimare per la sua sottomissione.

Come uno sporco Eleven che attraverso la famiglia reale accresceva la sua posizione, il suo potere.

Attaccato alla gonna di una principessa per poter un giorno essere “principe”.

Senza rimpianti, ripensamenti, senza vergogna – ma la vergogna, Suzaku ha perso anche quella probabilmente.

È lui, il mostro.

Lui, nessun altro.

E nessuno può governare la follia, se non il Re dei Folli.

Mettiti a guida del popolo che hai voluto difendere senza avere riguardo di niente, nemmeno di te stesso.

Mettiti al suo comando, con un titolo fatto di menzogne e tradimenti, di fiducia verso l’uomo che vede in quel popolo che difendi nient’altro che pedine.

Fallo, Suzaku.

Diventa il Papa dei folli e vedi, quanto riuscirai a resistere.

 

[Il Papa è lui.]

 

Ma Zero, no, non era morto.

Zero, non può morire.

Lui non è una persona, non è uomo.

È simile a un dio.

È un simbolo.

E i simboli no, non possono morire.

Gli dei, no, loro sono immortali.

“L’uomo capace di creare i miracoli” tornò, proprio quando Suzaku credeva – o sperava? – che fosse solo un ricordo, l’unico ed ultimo rimpianto che gli fosse mai rimasto.

Quello che si permetteva ancora di trattenere.

Ma Lelouch, non era stato ucciso.

Salvato dalla pietà, o chissà da cos’altro, era vivo.

E un nemico no, non puoi lasciarlo in vita.

Perché tornerà, sempre, come un qualcosa di estremamente fastidioso

Come una fenice che rinasce dalle proprie ceneri, Zero fece nuovamente la sua comparsa, la sua mossa.

Un’entrata in scena che lasciò di stucco tutti.

Tranne te, Suzaku.

Forse, te lo aspettavi. O magari, chissà, sapevi già tutta la verità, malgrado l’avessi taciuta, nonostante tu sapessi che il simbolo del Giappone – lo sai anche tu che Zero è questo, no? – sarebbe tornato.

Di sicuro, senza dubbio.

O forse, più di tutto questo, più di qualsiasi verità… tu lo speravi.

Così, il senso di colpa è minore, no?

Non devi caricare le tue spalle di un’altra uccisione.

Guardalo, Suzaku, guarda Lelouch e chiediti se è di nuovo lui o se qualcun altro sta tentando di indossare gli abiti e il nome di Zero.

Illuditi, perché è l’unica cosa che puoi fare – o che sai fare? – per scappare dalla tua realtà.

Quella in cui tu non vali nulla.

Quella in cui Zero ti ha sconfitto.

Dove è lui, il Papa di questo folle popolo. E tu, puoi essere solo parte del popolo.

…O un servitore della sua guida.

 

[Il Papa è lui]

 

Zero, anzi no.

Lelouch.

Guarda, osserva la vita di fronte a te.

Un fratello al tuo fianco, gentile, sempre attento ad ogni tua mossa, e da essa dipendente.

Lo ricordi, quando gli hai regalato quel ciondolo? Come poter dimenticare un’espressione simile?

Un concentrato di felicità, stupore… forse malinconia.

Ma allora non eri ancora in grado di notarla, non eri pronto per scorgerla.

Rolo, lui ti vuole bene, tu lo sai.

E poi, ci sono tutti i tuoi amici: la presidentessa, che ancora si ostina a non diplomarsi per – com’è che dice? – divertirsi ancora un po’ all’Ashford.

Rivalz, il tuo amico di sempre, quello fidato, che prima di Rolo ti ha sempre seguito e accompagnato a quelle gare di scacchi illegali che tanto ti divertono.

Lui, che insieme a Shirley – se lo chiede tutto il mondo come hai fatto a non notare che ti ama, sai? – ti copre ogni volta.

Eppure, manca qualcosa.

Manca qualcuno.

Non solo Nina, che non è più all’Istituto.

No, manca ancora qualcos’altro. Qualcun altro.

Già, proprio lui, Suzaku Kururugi, il tuo migliore amico. Il Knight of Seven.

Non può certo venire a scuola come sempre, così impegnato.

Lo sai benissimo. E come tutti, quando invece potresti essere l’unico ad avere dei “privilegi” nei suoi confronti, non puoi che osservarlo da lontano.

Ormai, Suzaku è lì, quasi irraggiungibile, lontano.

In fondo, però, hai quella strana certezza, quella sensazione nel profondo del cuore. O magari, è solo sesto senso.

Suzaku, che sia un Cavaliere o uno studente, sarà sempre e comunque un Suzaku che conosci solamente tu.

Il tuo migliore amico.

È questo, il tuo privilegio, no?

Dunque rivolgi lo sguardo verso di lui: vedi?

È diventato la guida di quel Giappone che entrambi amavate tanto da piccoli, tanto da giurare la caduta della Britannia.

Saluta il futuro Papa, Lelouch.

 

[È orrendo e regnerà!

È orrendo e regnerà!

Quasimodo!]

 

Forse, per un attimo, sei stato davvero disposto a chinare la testa di fronte a lui.

Magari – ti viene da ridere solo a pensarci! – lo avresti fatto.

Certo.

Se soltanto prima non avessi ricordato, in ogni minimo particolare.

Brucia, non è vero Lelouch?

La sensazione del tradimento che piano piano sembra avvolgerti il cuore con il solo ed unico scopo di bruciarlo lentamente, lasciando le cicatrici fino a consumarlo del tutto.

A volte, lo si chiama “odio”.

Ma è così poco lontano dalla sofferenza, che c’è da chiedersi se davvero… è odio o no.

Lo vedi, Lelouch?

Lo vedi lo scenario di fronte a te, in quel preciso istante, mentre osservi da quell’isola in cui Rolo ti ha portato pur di metterti in salvo?

Chieditelo.

Come sarebbe stato se Suzaku non ti avesse scoperto, sparato, tradito.

Ferito.

Venduto.

Sì, Lelouch, proprio come si fa con una sciocca ed inutile – almeno apparentemente – merce di scambio. E pensa, non si è limitato solo a questo.

Quell’uomo – no, non puoi proprio più sperare di pronunciare le parole “migliore amico” senza volerti vendicare – ti ha portato di fronte a tuo padre.

L’Imperatore Charles di Britannia ti ha guardato con sufficienza, con arroganza, come si osserva un fastidioso insetto che si pensava di aver schiacciato per sempre.

Più forte di te, più potente di te come è sempre stato, è proprio il padre che odi così tanto da esserti messo non una, ma due volte, contro un intero Impero.

Suzaku ti ha portato da lui.

Suzaku ti ha costretto ad inginocchiarti di fronte a lui.

Ti ha tenuto fermo, ti ha coperto il Geass, privandoti di un attacco e di una difesa in una sola mossa.

Lui, proprio Kururugi, ti ha venduto per la carica di Knight of Rounds.

Lui ti ha alzato la testa, per costringerti a guardare quell’uomo.

Bloccato dalle sue mani, costretto dalla sua volontà a guardare il Potere dei Re attaccarti proprio quando fino ad allora era stato un’arma nelle tue mani.

Suzaku.

Lui ti ha tolto i ricordi.

E Nunnaly.

No, Lelouch, non è più una questione di “migliore amico”.

Suzaku non è più nemmeno una persona, forse.

Orrendo.

Meschino.

E proprio per questo, lo scettro ora è in mano a lui.

Un uomo che possiede ancora un’anima, è un uomo debole; e i deboli non comandano.

 

[È orrendo e regnerà!

È orrendo e regnerà!

Il Papa è lui!]

 

Lo osservi, Suzaku, da quando sei tornato a scuola.

Lo controlli, perché hai quella sensazione così fastidiosa, che Zero sia proprio lui.

È difficile, crederci?

Non ricordi più quello che ha fatto, forse, ed ora provi pietà per lui?

Ridicolo.

Non è Zero, che ha sacrificato persino i suoi uomini?

Non è stato lui, ad abbandonarli sul campo di battaglia?

Non è forse stato Zero – o… Lelouch? – ad assassinare persone innocenti?

Il padre di Shirley.

Che colpa aveva, quell’uomo?

Il cuore di Nina.

Prima lei non era così.

Shirley Fenette.

Lo amava. E lui l’ha sacrificata.

Rolo Lamperouge.

Suo fratello. E lui lo ha sacrificato.

Zero – Lelouch, Suzaku. Lelouch. – li ha uccisi.

Senza pietà, senza pentimenti.

Non conosce la parola “rimpianto”?

Non sa quanto può distruggere il rimorso?

Quell’uomo non ha sensi di colpa.

Tutto quel sangue, non lo terrorizza?

Le mani imbrattate dal sangue, ormai non spaventano più.

Tu lo sai Suzaku, vero?

Un mostro capace di dimenticare, ignorare i legami.

Cancellarli, come fossero segni di matita su un foglio bianco.

Denigrarli, come fossero la peggiore delle vergogne.

Eliminarli, come insetti fastidiosi.

Lo ha fatto con loro.

Con te.

Con lei.

Alza gli occhi e osserva Zero.

Ricorda Euphemia.

Ed ora, odialo.

Con tutto te stesso.

L’hai capito, vero Suzaku?

Che hai perso.

La guerra tra Britannia e Giappone non può essere vinta con le forze armate.

Non se hai paura di uccidere.

Non se non riesci a pensare ad ogni soldato, ad ogni vita, come una pedina degli scacchi.

E lo sai bene, Suzaku.

Lelouch è sempre stato il Re degli scacchi.

 

[È orrendo e regnerà!]

 

Ti inchini al nuovo Imperatore di questo regno.

Lelouch vi Britannia.

L’assassino del vecchio Imperatore, suo padre.

L’uomo che indossava la maschera di Zero, quello che dovresti odiare.

Com’è possibile che tu ora sia dalla sua parte?

Sfruttalo.

Lo affiancherai finché gli sarai utile, finché non sarà lui a non essere più utile ai tuoi fini.

Ai tuoi obiettivi.

Perché è chiaro che ne hai, Suzaku.

Tu non hai mai fatto qualcosa per niente.

Anche quando le tue intenzioni apparivano come le migliori, senza alcun secondo fine, senza volere alcun tornaconto… alla fine non era così.

Motivi subdoli, ben nascosti, mascherati dalla frase ingenua di un ragazzino idealista: “voglio cambiare la Britannia dall’interno”.

Quante volte te lo sei ripetuto come un bambino che pronuncia senza fermarsi “va tutto bene” pur di scacciare le paure?

Quante volte, Suzaku, questo è stato il tuo metodo per apparire innocente a te stesso?

Tante.

Troppe.

E come ogni cosa che viene troppo sfruttata… non fa più effetto.

Non è forse per questo, ora, che sei il Knight of Zero?

Sfruttalo.

Dopodiché, gettalo via.

 

[È orrendo e regnerà!

Quasimodo!]

 

Alzi la mano, con eleganza, per far cenno al tuo Cavaliere di alzarsi.

Suzaku Kururugi.

Assassino dell’Ex Primo Ministro, suo padre.

Il militare che ha tradito tutto e tutti, quello che dovresti odiare.

Com’è possibile che lo accetti dalla tua parte?

Sfruttalo

.

Ti lascerai affiancare finché ti sarà utile, finché non sarà lui a non essere più utile ai tuoi fini.

Ai tuoi obiettivi.

Perché è chiaro che ne hai, Lelouch.

Tu non hai mai fatto qualcosa per niente.

Anche quando le tue intenzioni apparivano come le migliori, senza alcun secondo fine, senza volere alcun tornaconto… alla fine non era così.

Motivi subdoli, ben nascosti, mascherati dalla frase ingenua di un ragazzino idealista: “voglio creare un mondo di pace per Nunnaly”.

Quante volte te lo sei ripetuto come un bambino che pronuncia senza fermarsi “va tutto bene” pur di scacciare le paure?

Quante volte, Lelouch, questo è stato il tuo metodo per apparire innocente a te stesso?

Tante.

Troppe.

E come ogni cosa che viene troppo sfruttata… non fa più effetto.

Non è forse per questo, ora, che vuoi il Knight of Zero con te?

 

Sfruttalo.

Dopodiché, gettalo via.

 

[Il Papa è lui!]

 

Lo sapevano entrambi.

Forse, fin dall’inizio.

Suzaku Kururugi era ben cosciente di non poter cambiare la Britannia dall’interno.

Troppo marcia, per sperare di potercela fare.

Ma in fondo, tutti i bambini credono a sogni impossibili e Suzaku sì, era sempre rimasto bambino.

Un ragazzino testardo ed infantile, che va contro tutto e tutti malgrado le evidenze lo mettano alle strette, solo per il gusto di andare contro gli adulti.

 

Lelouch Lamperouge, sapeva già, in qualche modo e da qualche parte nel proprio cuore, che non sarebbe stato il Geass, alla fine, a fargli soverchiare l’Impero di Britannia.

Troppo facile e le cose a cui tieni davvero, quelle per cui sacrifichi orgoglio, dignità, amore, amicizia e tutte quelle cose così scontate che a perderle ci si mette un battito di ciglia dopo aver combattuto anni per averle, non sono mai semplici.

Specie se si tratta di ottenerle.

Denigrato dalla sorella che amava, fino alla fine, Lelouch vi Britannia, decise.

Di arrendersi; ma non come chiunque altro e forse, di arresa non si potrà parlare.

Si appoggiò al suo migliore amico – che era suo nemico. Certo. Ma poco importava.

Pianificò tutto, guidò ogni cosa nel minimo dettaglio e con astuzia, intelligenza.

Ed infine… lo gettò su spalle altrui.

Quelle di Suzaku.

Scambio equo, lo potrebbero definire alcuni – magari, qualcuno lo farà, chissà.

Suzaku Kururugi desiderava uccidere Zero.

Gliene fu data la possibilità.

Lelouch Lamperouge – o vi Britannia, ma ormai, non ha più importanza, no? – desiderava distruggere quel mondo di differenza e ipocrisia, e crearne uno nuovo.

Gliene fu data la possibilità.

E cosa offrivano, loro?

Suzaku, la vita.

Lelouch… la vita.

 

Si annuncia la morte in battaglia del Knight of Zero,

Suzaku Kururugi.

 

Suzaku, per il Giappone, morì quel giorno.

Parole, piani, strategie.

L’ultima.

L’ultima davvero.

Una sfilata, il passaggio dell’Imperatore Lelouch fra i giapponesi.

Gli ostaggi, coloro che gli si sono opposti erano lì, per essere uccisi.

E lui sorrise.

Uno studente si chiese, osservandolo, se fosse sempre stato quello il suo vero “io”, se fosse sempre stato davvero quello, il vero Lelouch.

Ma Lelouch non rispose.

Rivalz era troppo lontano.

E dopotutto, andava bene così.

Il popolo si chiese, se fosse sempre stato quello ciò che aveva desiderato.

Poi, un’apparizione.

Zero.

Di fronte a Lelouch – ma non era proprio lui, Zero?

E lui lo fissa, sbigottito, perché non può essere… no? – sei sempre stato un ottimo attore, Lelouch.

Zero avanza, veloce, preciso.

Jeremiah Gottwald, guardia dell’Imperatore tenta di fermarlo, ma in poche mosse Zero è passato oltre.

 

Ci fu un sussurro.

Ma alle cose più banali, non si bada mai.

Arriva, lo raggiunge.

Estrae la spada.

Lo trafigge.

Sangue, e Lelouch vi Britannia, l’Imperatore, il dittatore, sta morendo.

Si accascia su Zero, ne tocca la maschera.

Appare come un gesto disperato.

Eppure è una carezza.

Sussurra qualcosa.

Anche Zero.

Ma i sussurri, nel caos, non si sentono.

La spada è estratta, il corpo scivola, proprio lì, vicino a Nunnaly.

Vicino a sua sorella.

La folla esulta, grida di gioia.

Qualche ostaggio gioisce.

E chi ha capito, piange.

Nunnaly, urla.

Ma chi sentirebbe un solo grido in un luogo pieno di caos?

 

Io sono la sua spada.

A falciare i nemici, come le sue debolezze, ci penserò io.

 

Le parole del Knight of Zero.

Prima che diventasse Zero, da lì al resto dei suoi giorni, in un’identità non sua.

Il suo prezzo.

Uccidere Zero e dare la vita.

Senza morire davvero.

“Morire” per prendere il posto della persona uccisa.

E piange.

Ma una maschera copre ben più che un’identità.

 

Lo sapevano, Lelouch e Suzaku.

Che nessuno di loro due sarebbe mai potuto diventare il Papa dei folli.

La guida del Giappone.

Non sapevano che ci sarebbero riusciti entrambi.

Col nome di Zero.

«Zero è un simbolo.»

Lelouch l’aveva detto, no?

E chissà, se Suzaku l’aveva capito.

Lui, ora, ricorda vividamente solo il corpo esanime di Lelouch addosso al proprio.

 

E chissà, quanto gli pesa ora quella spada che doveva essere il suo “ruolo”.

 

 

Ringraziamenti

So che le note dell’autrice sono una palla, ma mi sembra decisamente doveroso ringraziare uno per uno chi ha recensito “Unbearable”.

Pikki SakuraChan: felice che ti sia piaciuta e soprattutto felice tu ci abbia visto lo shonen ai *-*” Concordo (ovviamente) sul fatto che Suzaku e Lelouch insieme siano qualcosa di estremamente pucchoso e ormai mi sono seriamente arresa a trovare qualcuno che abbia in Suzaku un personaggio che gli piace parecchio o che sia addirittura il suo preferito XD Come disse qualcuno, se vedi Code Geass, sei di certo nel 95% di persone che odia Kururugi. Io rientro nel 5% che resta XD

Grazie davvero di averla letta e commentata e, addirittura, di averla messa fra i preferiti ^^

 

Yoko891: sono quasi commossa di avere un tuo commento XD *bastarda*

Che dire, grazie davvero, avere i tuoi commenti (qui o altrove) mi è sempre utile, perché cose come le troppe virgole o le ripetizioni purtroppo mi sfuggono spesso senza che me ne accorga. Qui ho tentato di farci più attenzione, e spero di esserci vagamente riuscita (rileggersi 16 pagine è da suicidio).

Grazie del complimento migliore che potessi farmi (inconsapevolmente?) riguardo l’aver tenuto IC Suzaku XD Ti voglio bene, chuu :**

 

Sephta: come al solito sono più le ff che ti leggi senza sapere cosa sto davvero scrivendo, che altro XD e te ne ringrazio, perché è difficile almeno secondo me, specie dare un giudizio dopo.

La paura dei tuoni si sarà notato che ormai la uso spesso, ma da bambino mi sembrava una delle cose più ovvie XD *lei fingeva di averne perché si sentiva esclusa*

Suzaku dal mio punto di vista è spesso un impulsivo che cerca di mostrarsi freddo, cosa che non riesce sempre ad essere o mantenere, quindi la scena in cui se ne andava era d’obbligo.

E sì, Nunnaly è propria quella che dovrai odiare con tutta te stessa, sennò non sei più mia sorella u__u

 

Gufo_Tave: ti ringrazio del commento, e grazie anche di avermi fatto notare la questione del termine Eleven. Non ricordo con esattezza, se lo avevo letto da qualche parte o visto in un Picture Drama, ma è provabilissimo che le varie informazioni ricercate sul periodo in cui erano bambini mi si siano inevitabilmente confuse in testa.

Grazie quindi di avermelo fatto notare ^^

 

Kaho_chan: ti ringrazio dei complimenti ^O^ Tendo a preferire molto l’utilizzo dei bambini nelle fanfic, laddove è possibile, probabilmente perché mi torna abbastanza semplice muoverli, o perché hanno una psicologia che mi interessa molto muovere (o magari, è solo perché io sono ancora una mentalità mocciosa XD). Devo dire che con questi due è stato un po’ più complicato, perché non puoi mettergli in mente o in bocca discorsi troppo complessi. Sono quindi contenta che tu l’abbia trovata probabile e non troppo forzata ^^

 

Gaia Loire: mi ripeto, ma davvero contenta che ti sia piaciuta. Purtroppo la fine di Code Geass, come a molti, se anche mi è piaciuta moltissimo mi ha davvero devastato l’anima, in tutto il senso letterale dell’affermazione XD

In Unbearable avevo alleggerito di proposito la situazione, visto che ancora non ero psicologicamente stabile per scrivere a proposito del finale, o trattandolo ^^”

E lieta che tu abbia visto lo shonen-ai, yeah! XD

 

Nacchan: tu, santa donna XD

Che bello, anche tu hai reputato Suzaku stronzo *__* *come se poi fosse un complimento*

Contenta che tu l’abbia trovata almeno vagamente fluffyzzante <33

E grazie di stare sempre lì a sopportarmi, specie nella creazione di questa >**<

   
 
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