Breathless.
02. Night flies
Lavorammo sodo fino alle sette di sera, Stephenie e Catherine
se n’erano già andate, Kristen si era intrattenuta con Robert e Michael, il suo
ragazzo, sul set a parlare con me e Mark, mentre smontavamo l’attrezzatura. La
ragazza, tornata in abiti degni della stagione, un paio di jeans a sigaretta,
sneackers ed un cappotto color cammello, stava chiedendomi se potevo farle una
stampa in più di una foto di lei e gli altri che le era particolarmente piaciuta
«Non so cosa farai per la post produzione, ma mi piacerebbe avere quella foto, è
semplice, eppure molto bella, sai davvero cogliere i momenti» sorrise dolcemente
nella mia direzione stringendosi al braccio di Michael, ricambiai il sorriso
mettendomi a tracolla la pesante borsa
«Te la farò avere certamente, ora è meglio che vada, questa sera, ho un impegno»
mi congedai da tutti senza più parlare con Robert e affaticandomi lungo le scale
mi diressi all’auto. Mentre scivolavo fuori dall’edificio, sentii qualcuno
corrermi dietro, a differenza del pomeriggio non mi feci fregare e lanciai uno
sguardo alle mie spalle, era Mark.
«Lil, ho trovato questa sulla scala, penso sia caduta dalla tua borsa!» presi il
foglietto e salutai Mark, arrivai al bagagliaio, posai il borsone accanto agli
altri che erano stati precedentemente riposti ed aprii il foglio stropicciato.
In una grafia irregolare ma leggibile c’erano segnate queste parole:
Scendi dal pendio e svolta sulla sinistra, sarò li tra poco.
Riposi il biglietto nella tasca posteriore dei jeans e mi infilai nel post del
guidatore, avviai il motore e feci retromarcia, stavo per mettere il piede sulla
frizione per mettere la prima quando lo sportello si spalancò ed un giaccone
rosso riempì lo spazio vuoto dell’interno dell’auto, dieci secondi dopo, un
cappellino nero si calava sulla testa color miele di Robert
«Allora, pronta?» disse sorridendomi mentre si strofinava le mani insieme, non
risposi ma misi la prima e cominciai la discesa che ci avrebbe portati verso
Londra.
Mentre viaggiavamo tranquilli sulla statale Robert iniziò a farmi domande sulla
mia attività
«E’ da tanto che fai questo lavoro?» chiese appoggiandosi alla portiera per
guardarmi in faccia, io scrollai la testa e risposi tenendo gli occhi fissi
sulla strada
«In effetti no, saranno si e no un paio di mesi» ammisi e lui alzò un
sopracciglio
«E lavori per Vogue UK?» c’era una punta di scetticismo, io ridacchiai prima di
rispondere
«Intendevo dire, che è da poco che lo faccio come lavoro pagato profumatamente,
in realtà scatto foto da quando avevo sedici anni»
«Ovvero da due anni» disse lui con espressione seria, mi concessi uno sguardo;
alzai gli occhi verso di lui con espressione incredula
«Credi che abbia diciotto anni?»
«Beh, in effetti si, perché ne hai di più?» la sua aria stupita era divertente,
risi come un’idiota e risposi solo quando mi pungolò il braccio
«Ne sto per fare ventuno, all’inizio del mese prossimo»
«Ah davvero? E diciamo, se volessi farti un regalo dove dovrei mandarlo?
Ipoteticamente parlando, è chiaro» disse alzando entrambe le mani, io scrollai
la testa ancora ridacchiando e risposi alla sua ipotetica domanda
«Non ne ho idea, so che ancora per due settimane sarò a Londra, poi riparto e
facci cinque giorni a Parigi, una full immersion al Louvre e poi non so»
Mancavano cinque chilometri alla città, e le luci delle strade erano ora
costanti ed arancioni, sul cofano della macchina si riflettevano anche le luci
delle case che costeggiavano la strada, abbassò lo sguardo sulle sue mani
«Sei una che viaggia molto eh. Non pensavo che, insomma, fossi una che ama
girovagare»
«Non lo pensa mai nessuno, non so come mai, ma pensano tutti che io sia una
specie di divano addicted, e beh, non è che sia sbagliato, ma non è totalmente
giusto» risposi alzando le spalle. Arrivammo nella periferia di Londra e prese a
darmi delle indicazioni stradali.
Dopo una decina di minuti di “gira alla prossima a destra” e “A sinistra”
arrivammo davanti a quello che sembrava un vecchio capannone di mattoni rossi e
lamiera. Fin dall’ampio parcheggio nel quale eravamo si poteva sentire la musica
fuoriuscire dalle imponenti vetrate sporche o dipinte che fossero.
Scendemmo dell’auto e camminammo in silenzio verso l’entrata che era stata
ricavata dalla vecchia apertura del capannone. Un uomo coi capelli neri dal
taglio militare ci squadrò un momento soffermandosi sul mio parka. “Cosa ci sarà
mai da fissare” mi domandai un po’ stizzita mentre l’uomo apriva l’enorme bocca
per parlare con Robert
«Finalmente in compagnia di una ragazza Rob?» la voce dell’uomo era gutturale e
con un forte accento spagnolo
«Mi chiedo per quanto Josè» rispose il ragazzo strofinandosi una mano sul naso,
io lo squadrai e l’uomo mi fissò sorridendo
«Scappano sempre tutte, sai com’è, anche se forse ora che sei quel Cullen,
magari lei resta» sentii il sangue ribollirmi nelle vene ed iniziai a battere
nervosamente il piede a terra mentre cercavo le parole meno offensive per
rispondere all’uomo
«Quel Cullen? Cioè le ragazze dovrebbero guardarlo per via di un personaggio che
lui ha interpretato e non per quello che è realmente?»
«Non ti scaldare piccoletta, tu non sai che vita fa il ragazzo» disse l’uomo
tornando improvvisamente serio
«Infatti non lo so, e onestamente non m’interessa, se sono qui sta sera è perché
Robert me l’ha domandato, non perché speravo che facesse per me qualcosa alla “Cullen”
perché, onestamente, lui per me non è Edward. Non più di quanto lo sia lei»
dissi infilando le mani nelle tasche del parka verde, l’uomo e Robert mi
fissarono un momento e poi il mio accompagnatore mi guardò
«Davvero non mi vedi come Edward? Avevo letto che sei fan della saga» alzai le
spalle e risposi con la verità
«Lo sono, ma il mio Edward rimane Gaspard Ulliel» Josè sorrise
«Forse questa volta entri ed esci accompagnato Rob» il ragazzo sorrise verso di
me e mi fece segno di precederlo all’interno. Obbedii.
Il locale era davvero stupefacente, sul lato dell’entrata c’era l’enorme bancone
del bar che infondo finiva all’interno di una stanza, probabilmente l’ufficio
del personale, sparsi per il locale c’erano tavoli e panche di legno scuro che
contrastavano perfettamente con i mattoni rossi della costruzione, infondo al
locale notai un palco attrezzato per le band ed il bagno. Robert mi spinse per
un gomito verso il bancone del bar e richiamò l’attenzione della ragazza che
stava lavando dei bicchieri
«Cherry? Come stai?» la bionda alzò la testa sorridendo, ma non appena i suoi
occhi mi scorsero la sua espressione s’indurì
«Ciao tesoro, tutto bene, tu invece? Hai l’aria stravolta» si avvicinò
ondeggiando con passo sinuoso, indossava una minigonna nera ed un top nero
scollato sulla schiena. Era una ragazza davvero molto bella, gli occhi cerulei
erano ornati da almeno mezzo chilo di ombretto color porpora e le sue ciglia,
spropositatamente lunghe erano color fuxia.
«In effetti sono un po’ stanco, comunque, ti presento Kate» disse indicandomi,
la ragazza fece un sorriso forzato
«Incantata» disse squadrando anche lei il mio parka. Non appena si fu
allontanata di nuovo azzardai la domanda
«Senti, c’è qualcosa che non va col mio giubbotto? Perché ho l’impressione che
lo fissino tutti» Robert, sorrise e prese tra le dita il risvolto del giubbotto,
finalmente capii perché tutti fissavano me; cucito sul risvolto del parka c’era
un’enorme rana color giallo ocra a macchie nere che faceva la linguaccia. Era un
regalo di mia sorella Miryam.
«Diciamo che non è nello stile della giacca questo» disse semplicemente
rilasciando il colletto e sistemandolo con un paio scrollate. Le sue dita per un
secondo sfiorarono la pelle scoperta del mi mento ed io sentii una scossa
elettrica scorrermi lungo la schiena; i nostri occhi s’incontrarono per un
istante, poi lui sorrise e lasciò cadere la mano lungo il fianco. Mentre ci
dirigevamo verso un tavolo vicino al palco ma lontano dagli amplificatori gli
spiegai l storia della mia toppa
«Mia sorella prima che partissi per New York mi ha regalato questa, a me
piacciono un sacco le ranocchie, ne ho ovunque, sulle maglie, sui jeans e
persino sulla biancheria. Ma dato che il giubbotto era privo di simboli di Kate,
come dice lei, mi ha cucito sul colletto questa per farmi ricordare sempre chi
sono e che lei mi vuole bene» Ci accomodammo ed appoggiammo i cappotti su parte
della panca rimasta vuota, eravamo seduti vicinissimi e sotto il tavolo, sentivo
le nostre ginocchia che si sfioravano. Nonostante avessi avuto un ragazzo per
più di due anni mentre facevo il mio tirocinio con un fotografo genovese, non mi
era mai capitato di sentire il mio corpo invaso da scosse elettriche ogni qual
volta ci sfioravamo. Notai che Robert si torceva i capelli nervosamente, così
decisi di rompere l’imbarazzante silenzio nel quale eravamo inoserabilmente
crollati, ma quando aprii la bocca lui fece lo stesso
«Ho letto in rete» cominciai mentre lui diceva
«Mark mi ha detto» ridemmo insieme di quel tentativo patetico di parlare e gli
cedetti la parola per farlo smettere di torcere i poveri capelli color miele.
«Mark mi ha detto che suoni, è vero?» Alzai un sopracciglio e presi un appunto
mentale “Uccidere Mark”
«No, cioè si, strimpello un po’ il piano, ma niente di serio. Ho cominciato
quando ho dovuto girare mezz’Europa con un gruppo di cui ero la reporter»
ammisi, un po’ in imbarazzo sapendo bene che lui suonava chitarra e pianoforte.
Mi rivolse un sorriso sincero
«Che ne dici se improvvisiamo un po’ di musica?»
«Sei pazzo? Ci lanceranno addosso i bicchieri!» dissi sporgendomi verso di lui
un po’ troppo. Riuscivo a sentire l’ottimo odore di deodorante e dentifricio al
limone, tornai indietro con le spalle e lui alzandosi mi prese per mano
trascinandomi lungo la panca di legno sul quale il mio sedere non esattamente
leggerò scivolò
«Coraggio! Non ci lanceranno niente, e se lo faranno prometto di proteggerti con
la chitarra – diete un ulteriore tirone al quale mi opposi stringendo il bordo
del tavolo – vuoi che ti trascini fino lassù?»
Convinta che l’avrebbe davvero fatto, sospirai e mi alzai sistemandomi la
camicia ed il maglioncino verde nel quale le mie non-esattamente-grazie erano
rinchiuse.
Mentre salivo sul palco dietro Robert, sentii qualcosa che non avevo mai provato
prima avvolgermi, era una sensazione mistica, un misto tra eccitazione, paura,
frenesia. Mi sedetti al piano e lui trascinò verso di me microfono e sgabello,
poi si posizionò accanto a me accordando la chitarra
«Che cosa proponi?» mi sussurrò a pochi centimetri dal volto mentre cercavo con
tutte le mie forze di non svenire per l’imbarazzo della pessima figura a cui ci
avrei sottoposti
«Non so» riuscii a pronunciare solo queste parole mentre sapevo che stavo
infilandomi in un pessimo vicolo. Finchè si trattava di foto ero spavalda, non
sapevo nulla di tecnico ma sapevo come fare le cose, ma suonare era un’altra
storia. E suonare con Robert era decisamente un libro diverso di un parallelo
universo.
«Alanis Morissette la conosci?» chiese alitandomi in faccia aroma al limone, io
annuii e lui proseguì
«Che ne dici se proviamo a suonare una sua canzone? Magari qualcosa di famoso,
non so, Thank you? O magari That i would be good?» propose mentre si sistemava.
«La prima non la so bene, ma con la seconda penso di potermela cavare, almeno
fino a quando non cominceranno a piovere le prime bottiglia» dissi sorridendo
nervosamente, lui rispose al mio sorriso e poi accese i microfoni
«Buonasera a voi del Broken Cat, sono Rob e lei è la mia amica Kate, questa sera
vogliamo cantare per voi» alcuni applausi si levarono ed io capii che tutti
conoscevano bene le uscite di Robert che s’improvvisava musicista.
Non appena iniziò a suonare i primi accordi, lo seguii al piano meravigliandomi
per come le note mi uscivano spontanee anche se un po’ diverse dalla versione
originale della canzone.
Robert prese a cantare ed il pubblicò calò nel silenzio totale.
Erano ammaliati. E lo ero anche io.
…
Erano ormai passate le cinque del mattino quando uscimmo dal
locale già deserto da parecchie ore. Josè aveva adorato la nostra performance ed
avevamo fatto svariate canzoni, tra cui una delle canzoni di Robert che più
amavo: To Roam.
Mentre salutavamo Josè sulla porta e ci avvicinavamo alla macchina rabbrividii
per il freddo e Robert mi infilò il suo cappello sulla fascia di capelli
ondulati, alzai lo sguardo e lo vidi sorridere
«Sei freddolosa?» mi domandò mentre ormai eravamo vicini al bagagliaio della
macchina, io scrollai la testa
«No, cioè si, ho freddo, ma mi piace il freddo. In un certo senso, mi fa sentire
viva» dissi guardando la nebbia che ci circondava. Se non fosse stato davvero
vicino probabilmente avrei visto soltanto la sua figura e mi sarei persa il
bellissimo sorriso che mi stava rivolgendo.
Un sorriso dolce, ma allo stesso tempo pareva amaro, come se fosse impregnato di
una vena triste, e forse, se solo avesse provato la metà delle cose che avevo
provato io quella notte, avrei saputo dire perché.
Eravamo in procinto di dirci addio.
Mentre mi avvicinavo con questo pensiero alla portiera del guidatore sentii le
sue braccia afferrarmi le spalle, mi girai e vidi i suoi occhi verdi a pochi
centimetri da me, rimasi immobile in attesa di quel che avrebbe fatto.
Sospirò.
«E’ stata una notte fantastica. Peccato sia volata» disse serrandomi ancora per
le spalle, poi avvicinò ancora il suo volto al mio ed io ebbi paura che avrebbe
fatto un gesto stupido. Ma dovevo sapere che non era stupido. Appoggiò la testa
sulla mia spalla e fece scorrere le braccia sulla mia schiena. Ricambiai il
gesto spingendomi un po’ sulla punta dei piedi. L’abbracciò durò solo pochi
istanti.
«Andiamo Romeo, ti riaccompagno a casa» dissi mentre aprivo la portiera e
chiudevo gli occhi su quella notte così piena di cose nuove.
Note dell'autrice:
Grazie per aver letto la mia storia! Spero vi sia piaciuta
e vorrei anche dirvi che se vi è parsa una perdita di tempo, mi piacerebbe che
me lo faceste sapere, criticatemi liberamente. Ora però vorrei ringraziare le
due persone che han recensito!-
Princesseelisil: Grazie mille! E concordo pienamente, Robert è Robert!
Ma per me resta l'Edward Cinematografico, spero che questo capitolo due di
piaccia!
Railen: Caratterizzare Robert sta diventando un bel problema!
Io cerco di basarmi sulle interviste ed i filmati che vedo e spero che sia
almeno un po' simile al Robert che è nella vita vera. Comunque, come ho già
detto, Rob è l'Edward del Film. Quando leggo, per me resta Gaspard XD E mi fa
piacere che la Kate ti piaccia, avevo paura d'aver creato un mostro, anche se,
in questo secondo capitolo si capisce un po' più di lei. E' umana e non una
superdonna stile Mary Sue, non sa fare tutto, anzi, è un po' babba Spero sto
secondo capitolo ti piaccia!