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Autore: PennarelliScarichi    21/12/2014    0 recensioni
Ed io lo faccio, comincio a sussurrare piano quella canzone che ti piace tanto, come se fosse una cosa solamente nostra:
mi dici che domani vorrai visitare di nuovo tutta la città, anche se so già che ti faranno male i piedi dopo poco.
Farfugli che non devo andare via.
Io come risposta ti stringo ancora più vicina a me: infondo, dove mai potrei andare?
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Mi dici che sono troppo vecchio per essere così timido, ed io volto la testa per
non farti vedere le mie guance che arrossiscono.
La mia attenzione si sposta ai piedi del letto, sul muro addobbato da quel telo di cui sei tanto fiera: alcuni elefantini neri si alternano a disegni strani, quasi a formare una specie di mandala indiano.
Le tue dita lunghe si avvicinano al mio collo, salgono fino all’orecchio destro e arrivano a sfiorare la cicatrice a mezzaluna vecchia di anni:
ricordo il sangue che scorreva veloce e le mie mani macchiate di rosso intente a fermare quel fiume. Alla fine lo avevo lasciato raggrumarsi, fino a farlo cessare.
 
Scuoto un po’ la testa per farti capire che le tue dita non le voglio lì, per farti capire che riportano a galla ricordi che fanno male.
Tu comprendi quella richiesta muta, sai che ci sono certe cose che non ti ho detto, che vorresti che ti dicessi.
 
Lasci perdere e affondi le tue dita nei miei ricci: ormai non seguono più un verso, sono così lunghi che riesco a legarli in un codino.
Ora sono sciolti perché so quanto ti rilassa esplorare quel mondo: non capisco bene cosa ci trovi, ma ti lascio fare.
 
 
Tu dici che il nostro amore è fatto per gli schermi dei cinema, ed io non ti credo.
Non ti credo perché io non sono fatto per questo genere di cose: io non so tenere una mano,
non sono come quei cani da appartamento che stanno fedeli vicino al padrone, io senza guinzaglio scappo.  Io non sorrido con gli occhi dell’amore, io non so accarezzare.
Gli abbracci non so neanche cosa sono.
Tutto quello che so fare è scrivere musica, forse questo è l’unico amore che conosco.
 
Lentamente sei riuscita a tirar fuori una parte di me che nemmeno conoscevo, che non si trova nelle maglie bucate, nei jeans strappati alle ginocchia e nella mia giacca di pelle.
Mi hai cominciato a prendere per mano, a farmi capire che in amore non esistono guinzagli, che se volevo andare via potevo farlo benissimo.
Hai cominciato a baciarmi anche in pubblico, a concedermi carezze che ero abituato a sentire solo tra le lenzuola del mio letto.
E piano piano ho imparato: ho smesso di correre via, di sentirmi a disagio a causa di quei tuoi gesti e ho cominciato a stringerti la mano prima che tu prendessi la mia.
 
Mi volto verso di te e sorrido.
I tuoi capelli biondi sono illuminati dalla debole luce delle candele: sembrano ancora più biondi, assomigliano quasi al miele.
Mi avvicino e ti dimostro che sono diventato un cane fedele, che anche senza guinzaglio io non scappo, ritorno sempre da te.
Tu mi baci la guancia.
Una, due, mille volte.
Ti sussurro che rischi di bucarmela, tu ridendo dici che l’hai già fatto e sfiori la fossetta che ti piace tanto.
Ricordo che, la prima volta che ci siamo conosciuti, hai detto che era così profonda che ti sembrava un buco nero in una grande galassia.
 
Rimasi spiazzato, è vero.
Non pensavo che una zanzarina come te potesse parlare tanto.
Ma con il tempo ho cominciato ad amare tutti i tuoi difetti: il tuo gesticolare quando parli, i tuoi silenzi strazianti, le tue chiamate nel cuore della notte.
E ancora le tue braccia lunghe che spesso ti  fanno sembrare goffa, la tua risata, la tua passione per i Coldplay e per la cucina cinese.
 
Da sostituibile sei diventata insostituibile, da irrilevante sei passata ad essere necessaria.
 
Avvicino il mento al tuo collo, ci incastriamo come due pezzi imperfetti di un puzzle:
sento il tuo respiro debole sul mio orecchio.
Mi chiedi di cantare qualcosa, che forse può aiutarti ad addormentarti.
Ed io lo faccio, comincio a sussurrare piano quella canzone che ti piace tanto, come se fosse una cosa solamente nostra:
mi dici che domani vorrai visitare di nuovo tutta la città, anche se so già che ti faranno male i piedi dopo poco.
Farfugli che non devo andare via.
 
 
Ed io come risposta ti stringo ancora più vicina a me: infondo, dove mai potrei andare?
  
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