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Autore: Alucard Belmont    23/12/2014    1 recensioni
La serratura scattava e quella porta che separava la sua anima dal foglio di carta si apriva, la penna sembrava allora animarsi di vita propria e in quel momento le parole scivolavano languidamente per rincorrersi sui fogli.
L’inchiostro tracciava strade e sentieri che la fantasia e la passione poi riempivano ed animavano di vita e speranze, di memorie.
Di rimpianti.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Tre anni. Tanto era passato. 

Per tre anni le sue dita non avevano più accarezzato i fogli di quella carta da lettere.
Ricordava però perfettamente la superficie liscia, ricordava il gesto naturale e forse un po’ infantile di respirare il profumo della carta, sicuro di poter percepire la fragranza immaginaria e dolce di quelle rose stampante agli angoli, sicuro di respirarlo mischiato a quello più reale dell’inchiostro. 
Tre anni senza che le sue dita stringessero più quella stilografica dal pennino dorato e quasi troppo piccola per le sue mani, come una chiave inserita nella serratura di una porta troppo grande, che non può aprire nonostante tutti gli sforzi.  
Eppure funzionava, funzionava sempre. 
La serratura scattava e quella porta che separava la sua anima dal foglio di carta si apriva, la penna sembrava allora animarsi di vita propria e in quel momento le parole scivolavano languidamente per rincorrersi sui fogli.
L’inchiostro tracciava strade e sentieri che la fantasia e la passione poi riempivano ed animavano di vita e speranze, di memorie. 
Di rimpianti.
Quando aveva smesso di scrivere? 
Certo, sapeva esattamente quando era accaduto, eppure quella domanda si ripresentava ciclicamente, come il freddo invernale che ogni anno torna a gelarti le ossa. 
Quando aveva smesso di essere felice e si era accontentato di una serenità appena accennata, fragile e instabile, tanto simile a quell’ultima foglia aggrappata al proprio ramo in balia del vento autunnale?
Quando aveva smesso di credere alle favole e di cercare il buono e la magia nel mondo, trasformandosi nell’ombra cinica e crudele di se stesso?
Ricordava i momenti in cui era stato felice: la felicità più pura e semplice. 
Ricordava poi la disperazione, le perdite e le ferite. 
Ciò di cui non aveva memoria era il percorso che lo aveva condotto così in basso.
Quella sera, con il foglio bianco posato sulla scrivania davanti a lui e la penna stretta fra le dita, lo aveva capito. 
E aveva iniziato a scrivere, di nuovo.

«Cara amica, 
forse sorriderai sapendo che ci sono riuscito. Finalmente ho capito.
È stato quella notte.»
Esitò. 
La mano si soffermò a mezz’aria, i suoi occhi celesti sfumarono verso il grigio nella semi-oscurità della sua stanza, mentre le ombre proiettate dalla piccola abat-jour assumevano l’aspetto di ricordi lontani nel tempo, sopiti e soffocati dai troppi giorni trascorsi.
Frammenti di una felicità che aveva conosciuto e che gli era scivolata fra le dita si intrecciavano all’angoscia che gli anni successivi avevano portato con sé. 
I contorni di un viso incorniciato da morbidi riccioli castani si delinearono allora lentamente, tracciati da un invisibile pennello che scivolava delicatamente sulla tela della sua mente, il suono di una voce allegra tintinnò limpido in quel silenzio impregnato di apatia e scelte non fatte. 
Così vivido. Così reale. Eppure così lontano.

«Quella notte ho scelto per l’ultima volta, una scelta che per anni ho rimpianto. 
Ho scelto di smettere di lottare, ho preferito lasciar andare ciò che di più buono il cielo aveva messo sulla mia strada. Fu per debolezza, giovinezza. Probabilmente fu per egoismo.
Una singola, ultima scelta. La peggiore.
Quando il mattino dopo iniziai a rimpiangerla, avevo già mosso il primo passo su quel sentiero che mi avrebbe condotto a scrivere queste parole. 
Parole che giungono così tardi nella notte, ma forse non troppo tardi nella mia vita. 
Forse no.
Ho smesso di scegliere proprio allora, sai? 
Per paura di rimpiangere ancora, per paura di commettere nuovamente un errore. 
Ho lasciato che fossero gli altri a scegliere per me e a scegliermi. 
Amica mia, non è forse questo il più grande errore?»

Si lasciò scivolare una mano fra i lunghi capelli castani, appoggiandosi poi con i gomiti al piano della scrivania cercando un sostegno. 
Il viso serrato fra le dita, nascosto.
Quella ragazza orami lontana, in pochi giorni era stata capace di insegnargli una lezione che molti non avevano la fortuna di imparare in un’intera vita. 
Gli aveva insegnato ad amare.
Poche ore insieme che con gli anni erano divenute un tesoro inestimabile, un’eternità in confronto al pensiero di una vita vissuta senza averla mai incontrata. 
Ma poche, troppo poche, in confronto al “per sempre” che si erano promessi.
Promesse...
Quella notte erano state spazzate via, e insieme ad esse anche la sua capacità di farle era svanita.
Aveva iniziato ad odiarle, e parole come “prometto” o “per sempre” altro non erano che coltellate di vergogna inferte al proprio cuore.
Non aveva mantenuto la più importante, non aveva senso farne altre.

«Quella notte ho smesso di scegliere, di promettere, di amare. 
Di sognare.
Ho iniziato ad accontentarmi di ciò che una vita di apatia e inerzia avrebbe portato con sé. 
Ed a cosa mi ha condotto? 
Alzarmi dal letto al mattino avendo come unica speranza quella di poter tornare a scivolare nell’incoscienza del sonno al più presto.
Un sonno che tarda però ad arrivare, notte dopo notte, sempre più tormentato dalla consapevolezza che tutto ciò non può continuare. 
E infatti non continuerà.
Per questo sono qui, ora, e ti scrivo queste righe che forse non leggerai mai. 
Voglio tornare a sognare ed amare. Ed è questa notte che tornerò a farlo.»

Senza accorgersene, una lacrima rigò la sua guancia, raggiungendo lenta l’angolo increspato della sua bocca. Increspato in un sorriso.
Il sapore salato di quell’unica lacrima contrastava con il sorriso sereno, il primo dopo anni. 
Quella lacrima che come una goccia di pioggia, l’ultima di un acquazzone che ha imperversato per un tempo apparentemente infinito, va a posarsi dove il primo raggio di sole accarezza la terra. 
L’ultimo lacrima ed il primo sorriso.
Cos’erano se non simboli della tristezza di aver sprecato così tanti anni inutilmente e la felicità di averne compreso finalmente i motivi?

«Ho odiato il mondo, troppo cieco per ammettere che in realtà odiavo me stesso. 
Ho odiato anche te, amica mia. 
E ora sono qui, questi pensieri trasformati in onde d’inchiostro blu che si infrangono sulla carta, una consapevolezza crescente ormai divenuta certezza.
Domattina, quando mi sveglierò, la mia vita sarà diversa.
Mi hai insegnato che la vita può essere una favola, e non potrò mai ringraziarti abbastanza per questo.
Ora lo so, posso far sì che la mia vita lo sia.
E comunque andrà, lo sarà.»

Non aveva smesso di credere alle favole. 
Aveva smesso di credere di poter proteggere chiunque avesse tentato di condividere, anzi, di scrivere una nuova favola con lui. 
Gli era stato donato così tanto ed aveva distrutto tutto. 
Aveva stracciato e bruciato le pagine di una storia, e l’acre sapore delle ceneri non se n’era mai andato dalle sue labbra. 
Da quel giorno, per anni, ogni bacio non aveva avuto altro sapore se non quello della sfiducia.
Ogni bacio tranne uno.
Quell’ultimo bacio, donato da una ragazzina che aveva fatto breccia oltre la maschera e che sembrava conoscerlo da sempre. 
Un bacio impacciato e timido che aveva smosso qualcosa, aveva soffiato via le ceneri del rimpianto dalle sue labbra. 
Per la prima volta.
Nonostante la speranza che quel momento non fosse solo un flebile bagliore nel buio, non poteva sapere se e quando avrebbe riprovato la stessa sensazione, o se a quel timido bacio ne sarebbe seguito mai un altro.

Quella notte, però, lasciando che la propria anima divenisse denso e scuro inchiostro ad imprimersi in poche righe, aveva capito.
Non poteva sapere se e quando, non poteva sapere chi e come. 
Sapeva però che a fare la differenza sarebbero state le scelte. 
La sua scelta era tornare a credere ed emozionarsi. 
Era tornare ad amare e promettere.
Era smettere di mentire e mentirsi.
Era perdonarsi, e cercare nuovamente la felicità.
Quella notte, scelse di smettere di limitarsi ad esistere... scelse di tornare a vivere.

«Non so se un giorno mai ci incontreremo ancora, amica mia. 
Non so con chi condividerò la mia favola, e chi vorrà condividerla con me.
Ma grazie a te, so che posso scegliere la mia via. 
Io scelgo di vivere. Spero tu faccia lo stesso.
Con questa scelta, la mia vita sarà una delle favole in cui mi hai insegnato a credere. La più bella.
Ora posso dirlo…
Te lo prometto.»
  
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